Giovanni Domenico Ottonelli

1648

Della cristiana moderazione del teatro. Detto la qualità delle Commedie

Édition de Chiara Mainardi
2015
Source : Giovanni Domenico Ottonelli, Della cristiana moderazione del teatro. Detto la Qualita delle Commedie, Firenze, Luca Franceschini e Alessandro Logi, 1648.
Ont participé à cette édition électronique : François Lecercle (Responsable d'édition), Clotilde Thouret (Responsable d'édition) et Doranne Lecercle (XML-TEI).

[FRONTISPICE] §

DELLA CHRISTIANA
MODERATIONE
DEL THEATRO
LIBRO PRIMO.
Detto la Qualita delle Commedie;
Per dichiarare, quale sia la lecita à buoni Christiani, e quale la illecita:
e per distinguere la modesta dalla oscena secondo la Dottrina di
S. Tommaso, e d’altri Teologi per sicurezza della coscienza.
opera
Del P. Gio: Domenico Ottonelli dà Fanano,
Sacerdote della Compagnia di Gesù.

Si narrano molti casi moderni; si considerano molte Ragioni, per
le quali compariscono le Donne in scena, o in banco, e si
risponde a molte difficolta solite farsi, per giu-
stificare cotal Comparsa.
In Fiorenza
Nella Stamperia di Luca Franceschini e Alessandro Logi. 1648.
Con Licenza de’ Superiori.

Dedicazione §

Al Penitente Babila Commediante, e alle due Convertite, di lui Compagne, Cometa, e Nicosa.

« Pænitentiam agite; appropinquavit enim Regnum Cælorum »I. Questo Santo avviso di penitenza, e di vicinanza del celeste Regno, porge a me ora dolce materia di congratularmi teco, ô Comico Penitente, e uomo avventurato; perché a te diede già felice occasione di convertirti santamente a Dio. Tu vivevi nel lezzo de’ disonesti piaceri, sacrificando te stesso a Venere impudica, e servando per regola de’ tuoi costumi l’impero di Satanasso; che però lo Storico della tua vita scrive. : « Vivebat luxuriose, agens omnia, que illi Demon suggessisset »II. Vita senza spirito di vera vita, e che era vero principio di eterna morte. Ma che ? tu morto con la più bella parte di se stesso, e vino, e spirante l’aura vital del corpo, entrasti un giorno nell’Ecclesiastica Scuola, della Santità, ove all’orecchio ti giunse per divina dispensazione, e per gran favore evangelico, e efficace suono di quella penitenziale, è celeste lezione. « Pænitentiam agite ; appropinquavit enim Regnum Cælorum. » E quindi tu in men, che non balena il cielo, di fatto discepolo buono, e buon dottore, conquistasti la laurea di vero penitente con un’abbondanza grande di lacrimosa pioggia, e con una cordialissima compunzione. Gli occhi tuoi dissero con la voce delle lacrime il tuo gran duolo: e il cuore per gli occhi lambiccò se stesso in cadenti gocceIII di doloroso [iv] affetto. « Compunctus cepit cum lacrimis horrere, ac se miserum dicere probis, quæ peccaverat », dice il medesimo Autore spiegando la gran ventura della tua conversione, e il grato soggetto della mia congratulazione. Io lodo, e ammiro in te, che subito dal sacro tempio uscendo, quali da un ardente fornace di celeste zelo, diventasti magnanimo disprezzatore dell’acquistate ricchezze, e Apostolico Predicatore della religiosa perfezione, dicendo risolutamente alle due Compagne tue. « Quæcumque acquisivi, accipite, et dividite inter vos : ego abrenuncio sæculo, et efficior Monachus. »IV I miei doviziosi acquisti sono tesori vostri, divideteli, e godeteli voi ; che io mi parto, rinunciando al secolar inganno, e men vadoV al chiostro per tramutarmi di Comico fallace in Monaco verace. O magnanima, e santa risoluzione, ben degna di essere imitata ; come fu subito da quelle Comiche convertite ; poiché illuminata Cometa, e con lei Nicosa, prima da Dio col chiaro lampo della grazia, e poi da Babila con la chiarezza di tale esempio, si compunsero, e compunte risposero lacrimando. Noi Compagne ti siamo state agli impudichi affari della vita licenziosa, e Compagne altresì ti vogliamo essere alle pudiche asprezze della vita penitenziale. Se tu vuoi seppellirti tra dolori : noi vogliamo dolorose vicino alla tua Tomba fare soggiorno. E se tu speri diventar colla penitenza un nuovo Sole; e noi speriamo esser fatte colla medesima due nuove Stelle. Tu già sei vero Penitente; e noi già siamo vere Convertite. Tu seguitaVI il corso tuo ; e noi te seguitiamoVII. Così dissero le due, non più Comiche, ma Eroine, e tosto co’ fatti confermaroVIII i detti. Viddero, che Babilia si racchiuse volontario prigioniero della penitenza ; e esse, venduta la somma delle ricchezze, e dato ai poveri il prezzo, si racchiusero Schiave spontanee della medesima penitenza. Io hora a voi tre, ò Anime grandi, indirizzo questa mia Operetta, e bramo ardentemente di poterne indirizzare altre ad altri Comici Penitenti, e Comiche Convertite. Prego umilissimamente Dio, che ammollisca i cuori, e apra le orecchie di quei Comici, che sono osceni, e di quelle Comiche che sono impudiche; acciocché odano presto, e fruttuosamente l’Evangelico avviso. « Pænitentiam agite; appropinquavit enim Regnum Celorum ». [vi]

Lo Stampatore a chi legge. §

San Tommaso insegna, che gli Attori Teatrali possono lecitamente esercitare l’officio loro, purché usino quel Gioco moderatamente. « Istriones moderate ludo utantur. »IX L’Autore del presente Ricordo alludendo alla parola del S. Dottore, Moderate, ha composto un’Opera circa la necessaria Moderazione del cristiano Teatro ; e l’ha distinta in vari Libri mandati come tanti Ricordi ad un Amico. Questo Libro contiene il Primo Ricordo ; e dichiara, quale sia la Commedia lecita a buoni Cristiani, e quale la illecita.

Il 2. Libro, e Ricordo prova, che la Commedia illecita non si deve permettere senza buona ragione.

Il 3. Libro, e Ricordo mostra, che come le Pitture, e le Statue disoneste non sono permesse in Pubblico scandalosamente da Buoni Cristiani, cosi non è permissibile la Commedia disonesta.

Il 4. Libro, e Ricordo insegna ai Recitanti, o Accademici, o Mercenari, il modo di recitare cristianamente.

Il 5 Libro, e Ricordo ammaestra gli Uditori  acciocché udendo una Commedia illecita, oscena, e peccaminosa, l’odano come Buoni Cristiani senza peccato.

Il 6. Libro. e Ricordo supplica instantemente [vii]i Sig. Superiori a comandare, che le Commedie si recitino secondo le regole di S. Tommaso, e dei Teologi ; acciocché i Popoli Cristiani sianoX ricreati, e Dio non si offenda con i peccati mortali.

Ora esce il primo Libro, spero, che gli altri seguiranno appresso per beneficio delle Anime, e la gloria del Sig. Iddio : e tutti ci si procurerà, che le sentenze latine, stampate con diverso carattere, sianoXI volgarizzate per comodità di chi, o non l’intende, o le vuole lasciare, senza scapito dell’intelligenza loro sostanziale.

L’Autore non abbraccia opinioni scrupolose, o dirette, ma benigne, e sicure : acciocché il Buon Cristiano sappia ciò, che può fare senza offendere il Creatore. Ne egli esclude affatto le vere Donne dalla Scena, o dal Banco, ma le disoneste, che vi comparisconoXII scandalosamente.

Ne condanna in tutto il rappresentare un trattato di Cristiano Matrimonio, o di onesto innamoramento, ma il rappresentarlo con disonestà, e scandalosamente.

Questo poco ho stimato essere bene di avvisare, per chi vorrà leggere tali Ricordi, con desiderio di fuggire i peccati, e di far il viaggio di questa vita come Buon Cristiano armato con l’aiuto di Cristo secondo l’avviso di S. Agostino. « A gens quisque iter vite hujus, auxiliante Christo, in desinenter debet esse armatus. » [viii]

Mutius Vitellescus societatis Jesu Præpositus Generalis. §

Cum Librum, cum Titulus Della Christiana Comedia et c. P. Ioannis Dominici Othonellii nostræ Societatis Sacerdotis, aliquot ejusdem Societatis Theologi recognoverint, et in lucem ediposse probaverint, facultatem concedimus, ut typis mandetur, si ita iis, ad quos pertinet, videbitur. In quorum fidem, et c.

Mutius Vitellescus.

Si stampi il presente Libro osservati iXIII soliti ordini il dì 9. di Gennaio 1645. Vincenzio Rabatta Vic. di Firenze.

Si può stampare. Firenze lì 8 Gennaio 1645. Io Gio. Muzzarelli da Fanano Inquisitor Generale.

Alessandro Vettori Senatore Aud. di S.A.S.
[n.p.]

Errori principali §


Errori principali Correzioni
Pag. 39 de sunt se dese sunt
58 pronocatine provocative
61 honestetem honestatem
66 hisonesti disonesti
22 illis illius
97 pronuncierà se pronuncierà contro se
106 Utori Autori
103 contastus contactus
115 bracaio braccio
118 adorantur adornantur
124 Molto Molte
125 moltissime moltissimi
128 c. 46. c. 48.
14 uluis ulnis
150 voliantes volitantes
150 satte saette
162 vede veste
184 di gusto gusto
206 conclude concludere
214 c. 7 c. 57
216 modestia modesta
218 pendebet pendebat
218 plautonice plutonice
192 manca Ad malum, vel solum esse movendo
247 cerca cerva
262 alcuni molti alcuni, e forse molti
262 e forse d’esporre d’esporre

Indice de’ capi, e de’ quesiti §

Proemio §

Pag. 1.

Capo primo §

Della Dottrina intorno alle Azioni, e Commedie illecite, e oscene. Pag.XIV 4

Q.XV I. §

Le moderne Azioni si recitano secondo la debita, e cristiana moderazione ? Pag. 5

Q. 2. §

Quali Dottori dobbiamo leggere, per saper distinguere la Commedia lecita dall’illecita ? Pag. 2.

Q. 3. §

Le Commedie sono lecite a nostro tempo secondo la dottrina di S. Tomaso ? Pag. 9

Q. 4. §

I Superiori possono secondo S. Tommaso dar licenza di recitar le Commedie ai mercenari Commedianti ? Pag. 10

Q. 5. §

E secondo la dottrina di S. Tommaso un altro Decreto fatto da S. Carlo contro i Commedianti, e Ciarlatani ? Pag. 12

Q. 6 §

perché S. Carlo nel Decreto Sinodale dei Comici parla senza distinzione dei buoni dai rei ? Pag. 13

Nota 1. §

Della seconda risposta di Beltrame circa il Sinodale Decreto di S. Carlo contro i Commedianti. Pag. 14

Nota 2. §

Intorno alla medesima Risposta di Beltrame. Pag. 17

Nota 3. §

L’Autore risponde al Quesito. Pag. 18

Q. 7. §

Quando sono illecite le Azioni, e le Commedie moderne secondo S. Tom. Pag. 22

Q. 8. §

Le parole brutte dette dal Comico, e non mortali di lor natura, possono esser mortali per qualche ragione, e render l’Azione, e la Commedia illecita secondo la dottrina di S. Tommaso ? Pag. 23

Append. §

Appendice al presente Quesito. Pag. 27

Q. 9. §

Quante parole brutte mortali rendono illecita l’azione al Comico secondo San Tommaso, e i dottori. Pag. 30

Q. 10. §

Quali sono i fatti brutti, che rendono illecita l’azione secondo S. Tommaso ? E quanti di numero fanno ciòXVI ? Pag. 32

Nota unica. §

Si dichiara, quanti fatti turpi rendono l’azione illecita. Pag. 34

Q. 11. §

Nelle moderne azioni, e Commedie mercenarie sono parole, e fatti impuri, osceni, illeciti, e mortali ? Pag. 36

Q. 12. §

Che nocumentoXVII al prossimo, [n.p.]che tempo, che luogo, che negozio, e che persona rende illecita la Commedia secondo la dottrina di S. Tommaso ? Pag. 39

Q. 13. §

Che si deve giudicare delle azioni dei moderni Comici, e Ciarlatani secondo gli altri Dottori, per giustificar se stessi, e l’uso moderno dell’arte loro ? Pag. 47

Q. 15 §

I moderni Dottori si accordano con gli antichi nel giudicare dell’azioni dei Comici moderni ? Pag. 51

Nota Unica. §

Seguita l’allegazione di altri Dottori. Pag. 60

Q. 17. §

Per qual ragione le azioni di molti Comici moderni sono illecite ? Pag. 65

Q. 18. §

perché si è dichiarata con tante autorità di sacri Dottori, e d’altri Scrittori la qualità della Commedia oscena, e illecita ? Pag. 67

Capo Secondo. §

Si porta la dottrina intorno alla comparsa delle vere donne, Comiche ordinarie, in scena, ovvero in banco. Pag. 70

Q. 1. §

La comparsa di vera donna in scena è illecita ? Pag. 70

Q. 2. §

La comparsa di vera donna, e Comica ordinaria è illecita ? Pag. 73

Q. 3. §

La comparsa di donna Comica ordinaria è lecita secondo la fatta proposizione alXVIII parere dei moderni Dottori ? Pag. 76

Q. 4. §

Per qual ragione la comparsa di Comica ordinaria è illecita ? Pag. 79

Nota Unica. §

Si continua la stessa materia. Pag. 82

Capo Terzo §

Si trattano le ragioni, per le quali le Comiche ordinarie compariscono in scena, ovvero in banco del pubblico Teatro. Pag. 86

Q. 1. §

La licenza ottenuta dai Superiori di fare le azioniXIX basta, perché i Comici introducano le Comiche ordinarie al pubblico auditor. Pag. 87

Q. 2. §

Il gusto degli Spettatori è ragione sufficiente di far onesta la comparsa delle [n.p.] ordinarie Comiche nel pubblico Teatro ? 92

Q. 3. §

L’allenamento efficace, che nasce dalla femminile comparsa, è buona ragione per renderla convenevole ? Pag. 95

Nota Unica. §

Del modesto Ridicolo dei Comici, e Ciarlatani virtuosi, e ingegnosi per dilettare, e allettare. Pag. 97

Append. §

Appendice alla Nota con altri casi. Pag. 100

Q. 4. §

La difficoltà di far commedie senza la comparsa femminile è ragione sufficiente per l’uso lecito di tal comparsa ? Pag. 103

Q. 5 §

LoXX zelo di Padre, o di Marito è buona ragione ai Comici di condur seco le Donne, e farle comparire aXXI Teatro ? Pag. 107

Q. 6 §

Il gusto delle Donne Comiche in far quest’arte è ragione di scusa sufficiente per la pubblica comparsa ? Pag. 115

Q. 7 §

La necessità del guadagno è ragione sufficiente per la comparsa delle comiche ? Pag. 116

Q. 8. §

In che modo le ordinarie Comiche aiutano al guadagno dei Comici, o dei Ciarlatani ? Pag. 121

Q. 9. §

Le ordinarie Comiche nuoconoXXII più con l’Azione del Teatro, o con la conversazione di casa ? Pag. 124

Nota Unica. §

Di un altro guadagno cagionato dalla domestica conversazione con le Comiche. Pag. 128

Q. 10 §

In quanti, e quali modi le ordinarie Comiche nuoconoXXIII alle anime comparendo aXXIV Teatro ? Pag. 130

Nota 1. §

Si risponde ad alcune obiezioni. Pag. 134

Nota 2. §

Intorno alla stessaXXV materia. Pag. 139

Q. 11. §

LeXXVI ordinarie Comiche nuoconoXXVII alleXXVIII anime del Teatro con altri modi ? Pag. 143

Nota Unica §

Intorno al documento cagionato dalle Comiche con la dolcezza del canto. Pag. 145

Q. 12. §

LeXXIX ordinarie Comiche nuoconoXXX alleXXXI anime con i balli fatti nel pubblico Teatri. Pag. 152

Q. 13. §

NuoconoXXXII agliXXXIII animi co i salti fatti nel pubblico Teatro ? Pag. 157

Q. 14. §

La Comica può vestirsi da uomo comparendo a saltar, o a far altri giochi nel pubblico Teatro ? Pag. 160

Nota. §

Si risponde più distintamente al Quesito. Pag. 164

Q. 15. §

Le Comiche ordinarie comparendo nel pubblico Teatro [n.p.] nuoconoXXXIV con altro modo oltre i modi sin qui assegnati ? Pag. 170

Capo Quarto. §

Delle risposte ad alcune difficoltà, che si fanno per difendere la comparsa delle ordinarie Comiche nel pubblico Teatro. Pag. 175

Q. 1. §

Se le Donne sono per tuttoXXXV, perché levarle dal Teatro ? Pag. 175

Q. 2. §

Se le Donne si levano dal Teatro, perché non bisognerà anche levarle da molti altri luoghi del Mondo. Pag. 179

Q. 3. §

L’uso non basta per giustificar la comparsa delle donne del Teatro ? Pag. 181

Nota. §

Non tutti gli uditori sanno, o vogliono distinguere l’artificio dell’arte dal pericolo di peccato. Pag. 183

Q. 4. §

Non sarà peggio introdurre i Giovani vestiti da Donne nel Teatro. Pag. 188

Nota. §

Della principal ragione per la quale non si approva la comparsa dei Giovanetti vestiti da Donna per le pubbliche scene del Teat. Pag. 195

Q. 5. §

Non basta il fine buono per introdurre le Donne ; e i discorsi amorosi del pubblico Teatro. Pag. 198

Nota. §

Si continua la risposta intorno alla rappresentazione di un Matrimonio. Pag. 206

Q. 6. §

Per la lecita comparsa delle Comiche parlanti d’amore non basta, che si supponga esser lecita nei libri stampati con la pubblica approvazione dei Super. Pag. 212

Q. 7. §

Non è lecito, almeno, che la donna comparisca ornata aXXXVI Teatro, per far la parte sua nell’azione senza parlare amorosamente con oscenità ? Pag. 215

Q. 8. §

Non basta l’esempio delle Comiche introdotte nelle Commedie stampate, che per introdurle ancora lecitamente nelle recitate ? Pag. 220

Q. 9. §

Chi dicesse, che le Comiche parlano d’amore alla Platonica, non giustificherebbe la lor comparsa ? Pag. 224

Q. 10. §

Non è troppa severità l’escludere le Comiche parlanti d’amore dal pubblico Teatro ? Pag. 226

Q. 11. §

La tolleranza fin’ora praticata circa la comparsa delle Comiche non è buona ragione per non levarla dal Teatro ? Pag. 228

Q. 12. §

I Teologi dei Principi non riprenderebbero la comparsa delle Comiche, se non fosse lecita. Pag. 229

Q. 13. §

A che cosa è obbligato [n.p.] il Confessore del Superiore per rispetto della comparsa delle Comiche nel pubblico Teatro. Pag. 234

Nota 1. §

Si risponde al Quesito secondo la dottrina dell’Eminentiss. Sig. Cardinal de Lugo. Pag. 238

Append. §

Apendice per conferma del detto. Pag. 243

Nota 2. §

Di un Principe, che avvistato della illecita comparsa delle Comiche le levò dal Teatro. Pag. 244

Q. 14. §

perché lo scritto da alcuni moderni, e dotti Personaggi, che concedono la comparsa di donne in commedia, non basta, per giustificare il comparire delle Comiche mercenarie in banco, o in scena. Pag. 251

Append. §

Appendice alla risposta data intorno all’autorità del P. Galluzzi. Pag. 254

Nota. §

Della risposta intorno all’autorità de Garzoni. Pag. 255

Q. 15. §

Se la detta comparsa è illecita, perché non si leva dallo Stato Ecclesiast. 259 {p. 1}

Ricordo detto la Qualità §

Per conoscere l’Azione lecita dalla illecita, e la Commedia modesta dalla oscena, secondo la Dottrina dei Teologi, dei Casisti, e d’altri Scrittori antichi, e moderni. E per rispondere a molti casi di Coscienza in questa materia.

 

Opera

Del P. Gio. Domenico Ottonelli

Da Fanano, Sacerdote della Compagn. Di Gesù.

Proemio. §

Gregorio Santo, Tesorier dovizioso della moralità, scrive, che la vera Giustizia è posseditrice di compassione. « Vera Justitia compassionem habet »Ho. 34.Note [NDE] Ottonelli réprend la citation « Vera justitia compassionem habet, falsa dedignationem » de Saint Grégoire le Grand, Homiliarum in Evangelio, hom. Monit ad Camitemci. l. 34, 2., quasi voglia significare, il personaggio veramente buono, virtuoso, e giusto si è quello, nel cuore di cui, come in nascosto favo, si ritrova il miele dolcissimo della compassione alle miserie altrui. A questa Giustizia, e santità compassionante alludendo S. Agostino par, che ci dica. Troppo è duro, chi può con la penna, ò con la voce avvisar lo scampo dall’infernal dannazione, a chi vi corre, e non senXXXVII cura, o non si muove : eppure dovrebbe tremare nel lacrimevole caso di tanti infelici; e non dovrebbe restare con le carni di ferro, né col cuore di diamante senza mollificarsi. « O miserater, avvisa il Santo, nunquid ferrea sunt carnes notre, ut non contremiscant ? vel etiam sensus noster adamantinus, ut non mollescat, aut etiam minime vigilet ? »L. de Salu. Monit ad Camitemc. 55

S. Crisostomo con la sua penna intinta nell’oro scrive, che non ha scudo valevole per difesa contro te saette di un giustissimo riprensore, chi vede cadere nelle fauci di Satanasso gli sfortunati peccatori, suoi fratelli, e non li degna di una semplice {p. 2}ammonizione. « Nos videntes frates nostros in fauces Diaboli cadere neque dignamur admonere, qualem igitur abebimus defensionem ? » S. Bernardo con le parole della sua gemmata bocca concede alla preziosa gemma del cristiano zelo la forza, e il titolo di stimolo, dicendo. « Stimulus zeli emulantis, quod rectum est »Ser. De Fas. Dom.. E è ben ragione lo stimolare, che si ritiri da morte, chi pericola nella vita : anzi è legge prescritta dalla carità, che si avvisi ben tostoXXXVIII, e si risvegli, chi sonnacchioso dorme nell’iniquità.

Io adunqueXXXIX secondo i detti registrati da questi gravissimi Dottori, e santi Padri dico, che chi considera da senno il manifesto periglio di molti, e non si muove a pietà, non ha senso di umana compassione ; egli è un animato macigno : è un vivo bronzo; è un diamante di durissima inumanità. E chi non scioglie la lingua alla caritativa ammonizione, resterà senza valevole difensioneXL del tremendo esame del Giudice spaventoso. E chi non stimola gagliardamente i peccatori ad uscire dallo stato infelice del peccato, e egli ancora facilmente vi cadrà preda dell’infernal predatore. E però io scrivo di presente con desiderio di servire al giovamento di molti, e senza dar occasione d’irritamento a verunoXLI.

Ha non so ché di turpitudine, come notò Plutarco, il vivere solamente per sua utilità. « Turpe est, nos nobis tantum vivere ». LoXLII zelo è tanto vigoroso di celeste forza, che rende il buon fedele santamente inquieto. Lo scrivere, e il parlare con termini di cristiana modesta, e per gravissimi accidenti, non deve irritare alcuno ; massimamente quando può giovare a molti. E io appunto vorrei cogliere con la mia fatica, benché debolissima, questo buon frutto : e vorrei porre qualche dolce lenitivo ad un certo Comico malore, che per cagione di certi viziosi va infettando il Teatro della cristiana moderazione, e rende l’arte Comica odiosa a molte, zelanti, e virtuose persone ; ma non vorrei, che s’irritasse, chi professa di essere, e è veramente Comico virtuoso, degno di fama, e meritevole di onore. Mi dà speranza di colpire nel segno, senza rompere il disegno di verunoXLIII, il detto di Nicolò Barbieri, chiamato Beltrame tra Comici, il quale nel c. 4 della Supplica sua dice così. {p. 3}

Chi della Commedia tratta, scrivendo, o parlando, mentre, che distingua i tempi, i modi, le persone, sempre dirà bene. E il Cecchino nobile Ferrarese, e Comico di professione, nei suoi discorsi intorno alle Commedie, mandati all’Eminentiss. Sig. Cardinale Scipione Borghese a tempo del Pontificio Monarca Paolo V compatisce gli errori di quelli, che senza distinzione assolutamente concludono, che non si deve permettere, né recitare, né ascoltare Commedie. E di più scrive chiaro questo breve periodo.

I sacri Dottori, zelanti della correzione dei buoni costumi, non lasciaronoXLIV di scrivere ; come si possa fare, per far bene la Commedia, e fuggire quel biasmoXLV, al quale sono sottoposti tutti quelli, che la fanno male.

Ora io desiderando trattar, e scrivere in questa forma, e con l’uso di questi termini, spero non far torto a me stesso, facendomi riputare ingiusto ; ne aggravare punto i virtuosi Comici, ponendoli, quali viziosi, tra i biasimevoli : ne raccorreXLVI poco frutto dalla mia fatica, seminando nell’arene degliXLVII scostumati, o zappettando lo sterile campetto della teatrale vanità. Dico dunque, che la bella luce dellacristiana moderazione ombreggiata si è non poco, e riceve danno grave, non daiXLVIII Commedianti, né daiXLIX Ciarlatani modesti ; ma dagliL osceni : per cagione del qual danno io vi ricordo, ô Amico mio, di far bene, e chiaramente intendere a vostri amorevoli la Qualità delle azioni, e Commedie illecite : impero che il diritto di ragione, et lo zelo discreto vuole, che si scriva in questa materia con buona, e chiara distinzione : e non solamente con riguardo dell’Arte Comica, la quale non è vile in sé, né scandalosa ; ma anche con rispetto dei virtuosi Comici, la fama, et utilità dei quali non si deve offendere; né ad essi deve pregiudicare il difetto dei viziosi. Ragione si è, che viva lieto sotto il manto di onorata lode, chi vive professor verace della virtù, e che all’incontro sia bersaglio di meritato vitupero, chi demerita tra i virtuosi della sua professione. Degno è, che si salvi dalle censure, chi salva sé dagli eccessi peccaminosi. Insomma bisogna parlar dei Commedianti con distinzione : perché, perché come nota il Cecchino, il biasimare, chi merita di essere biasimato, acciocché s’emendi, per non rendersi biasimevole, è cosa da non {p. 4}biasimarsi ; ma biasimando chi non deve biasimare, è un biasimo, che ritorna sopra il biasimante.

Il Comico Beltrame secondo me stimò di giustamente supplicar dicendo. Io non ho scritto per altra fine questo Discorso, se non per supplicare quesiti tali, che tanto volentieri vibrano la spada della loro lingua contro i Comici; e se non perché salvino i virtuosi, e modesti dalle censure.

E io a Beltrame, e ai Professori dell’Arte sua dico, che questo veramente prometto, e spero di mantenerlo in tutta la spiegaturaLI del presente Ricordo, quale distinguerò in quattro CapiLII, e ciascun Capo in vari Quesiti. Nel Capo 1. ricorderò la dottrinad’alcuni intorno alle Azioni, e Commedie illecite, e oscene. Nel 2. Capo proporrò parimenteLIII la dottrina di altri intorno alla comparsa delle Comiche ordinarie, lascive,  e parlanti d’amore in pubblico Teatro. Nel Capo 3. pondererò le ragioni, per le quali si fanno comparire tali Comiche pubblicamente. E nel 4. Capo risponderò ad alcune difficoltà, che si fanno per difendere, come lecita, la suddetta comparsa. Ora qui caliamo il velo, e cominciamo la dichiarazione dei proposti Capi. Io vorrei che fossero luminosi raggi del cielo per scacciare i tenebrosi orrori del peccato.

Capo Primo

Della Dottrina intorno alle Azioni, e Commedie illecite e oscene. §

Il tempo non si perde in fabbricare, quando l’Architetto appoggia la mole del suo lavoro sopra la sodezza di un buon fondamento. E io sulle buone Dottrine scolastiche, e morali bramo di ben fondare la fabbrichetta del presente Ricordo, ricordando, e dichiarando ad altri ciò, che i Dottori sentono intorno alle drammatiche Rappresentazioni del Theatro. E questo farò, proponendo varietà di nodi con vari Quesiti, e disciogliendoli con varie risposte : e giovami di sperare, che questa fatica non sarà un fabbricar sopra le arene con infruttuosa perdita di molto tempo. Chi procura, come può, servire allo spirituale giovamento di molti, non è fabbricator di vanità, né perde con l’opera gli anni, {p. 5}le ore, e i momenti. « Dio Scrut ator cordium », vede la buona intenzione, e corona la buona volontà.

Quesito Primo

Le moderne Azioni si recitano da mercenari Comici secondo la debita, e cristiana moderazione ? §

Voglio porre su questo principio, quello che pongo nel fine di un’altra Opera detta l’Istanza, cioè la descrizione della Commedia oscena, la quale è contraria per l’oscenità alla debita moderazione: e dico in tal modo, formando una lunga proposizione.

Commedia oscena è quella, la quale notabilmente, e efficacemente eccita alla disonestà. E questo eccitamento ella può fare in molti modi. 1. O per natura sua, essendo tale, cioè eccitativa efficacemente alla disonestà. 2. O per accidente, essendo udita da persone deboli di spirito. 3. O con l’argomento impuro. 4. O con una impura parte dell’azione. 5. O con un Intermedio turpe. 6. O con alcune parole, ovvero con alcuni fatti, ovvero con modo d’impurità mortale. 7. O con la comparsa di Donna vera, Comica di professione, ornata lascivamente, e parlante d’amore in pubblico Auditorio, ove sa, che sono molti deboli di virtù, e ne conosce alcuni in particolare.

Alla prova di tutte le parti di questa lunga proposizione mirano tutti i Capi, e tutti i Quesiti del presente Ricordo. Ora poniamo le torcie nella scena, per mirar i mercenari Rappresen tanti: e ricordiamoci qui in breve ciò, che con lunga dichiarazione siamo per considerare nel 2. Capo del Ricordo detto l’Istanza ; ove con la risposta moltiplicata a molti Quesiti da noi si concluderà, che le moderne Azioni non si recitano da molti secondo la debitaLIV, e cristiana moderazione.

È vero, che il Comico Cecchio, e Beltrame, e l’Andreino, e altri Comici valenti, e principali, suppongono il contrario in modo, che pare una perdita di tempo il ragionare di questo punto : e Beltrame dice. Dubito,    che talvolta si scriva più per fare un bel volumeCap. 29., che per lo stimolo, che faccia l’urgente necessità. Ma io spero di non perdere il tempo ragionando, e scrivendo {p. 6}perché il supposto loro è molto falso ; e questo bisognava, non supporre, ma provare : o provare almeno più efficacemente ; che essi non provano. Voglio dire, che l’incendio Comico, e osceno aveva bisogno, che acqua più copiosa si portasse, per dichiararlo estinto. E perché ciò non s’è fatto, si seguita diLV suonare, al fuoco, al fuoco, contro il suo divorante accendimentoLVI : anzi sarà necessario seguitareLVII, finchè in tutto s’estingua perfettamente. Qui torna per acconcioLVIII lo scritto delLIX Filosofo Seneca, a cui dissero alcuni. « Quosque eadem ? » E egli rispose. « Ego debeo dicere. Quosque eadem peccabitis ? Remedia ante vultis, quam vitia desinere ? Dicam etiam invitis profutura. »LX Cioè. Voi mi dite. E fino a quando sentiremo da te le medesime cose ? E io vi debbo dire. E fino a quando voi vi renderete reiLXI dei medesimi peccati ? volete forse, che l’applicazione dei rimedi cessi prima, che non si veggaLXII cessata la Pestilenza dei vizi ? io seguiròLXIII a dire con disegno di giovare a coloro, che anche contro voglia ricevono giovamento.

Seneca già così disse : ma io ora dico. Questo stesso è il nostro bisogno ; e però la cristiana lingua, o la penna di cessar non deve dall’ufficio di giovevole avviso, finchè non cessa il Teatro dalla nocevole oscenità. E a questo impiego ammaestrati siamo dal zelantissimo Crisostomo; ove intuona con Apostolica libertà ai suoi auditori. « Nunquam dicere cessabo ; sic enim eos, huic morbo obnoxii sunt, admonebimus : et qui sani sunt ; confirmabimus  »LXIV. Mai cesserò dalla predicatoria funzione ; perché con essa curerò il morbo dei viziosi, e confermerò la santità dei virtuosi. Questo medesimo Santo altrove usa certe parole, che noi parimente usar possiamo, dicendo. « Si perseveraveritis, acutiore ferro discindam : nec quiescam, quoadusque diabolicum dispergam Teatrum »LXV. Cioè. Se voi o Comici osceni sarete perseveranti delle oscenità, io mi servirò di più pungente, e penetrante spada ; né mi poserò, fin tanto che non mandi in dispersione affatto le diaboliche dissoluzioni teatrali. Io volentieri concedo, come verissimo, che le azioni dell’antico Teatro erano molto più mostruosamente, disoneste, e illecite, che le Rappresentazioni del nostro tempo. Onde con ragione Clemente Alessandrino scrisse contro quelle : « Deorum nuptias, e liberorum procreazione s et puerperia {p. 7} et adulteria, quæ canuntur, et convivia, que a Comicis recitantur, et rifus, aui in potu inducuntur, incitant me, ut vociferer, etiam si nolim tacere. O impietatem ; scenam celum fecistis : et Deus vobis factus est actus : et quod sanctum est, Demonius personis in Comedia a ludificati estis : verum Dei cultum, ac religionem Demonum superstizione libidinose inquietantes. » 

Ma non posso già, né devo concedere, che queste moderne azioni si recitino secondo i termini sufficienti alla moderazione, e che sono prescritti dai cristiani Dottori : perché se ciò concedessi, e affermassi, veggoLXVI chiarissimamente, che farei, o di menzogna rinfacciato, o di grandissima ignoranza, non solo dalla dottrina degli Scrittori, e dalla relazione dei zelanti, ma anche dalla cognizione dei pratici, e dalla voce dei Predicatori, e molto più dalla giornaleLXVII esperienza del fatto : onde concludo il Quesito, e dico insieme con Giovanni Nider. « Hac luce sunt clarior avidentibus : cæcis vero nihil est lucidum. »Tr. de lapsu Religionis c. 11. Cioè, che le moderne azioni non si recitino secondo la debita, e cristiana moderazione, è un lampo di verità si certa ; a chi bene vede, che sembra chiaritore più chiaro della luce stessa : ma colui, che vive in cecità, non è vagheggiator di alcun lucente oggetto ; e stima le tenebre sue non tenebrose.

Quesito Secondo

Quali Dottori dobbiamo leggere, per saper distinguere la Commedia lecita dalla illecita. §

Prudentemente si governa, chiunque nella gravezza di negozio concernente la salute delle anime, fa ricorso, per ottener buona, e sicura intelligenza, al cristiano Oracolo dei cristiani Dottori, dei sacri Teologi, e dei Santi Padri. Che però io lodo la prudenza del Comico Cecchino per quel poco, che nel principio dei suoi Discorsi intorno alle Commedie scrive ai Lettori con questo avviso.

Parendomi, che nei dubbi l’aver ricorso ai più dotti, e intendenti, sia il vero, e sicuro modo per risolverli, deliberai perciò in negozio tanto importante, come è quello dell’anima, e dell’onore, d’andar con ogni spirito alla dottrina dei sacrosanti {p. 8} Dottori, e quiviLXVIII far opera di riposar la mente, e assicurare la coscienza circa la diversità dei pareri, e varietà dei discorsi intorno l’Arte Comica ; e molto oculatamente vedere, e sensatamente conoscere : se si può esercitare, e di essa legittimamente vivere : e trovai, che non solo chi l’esercita, ma chi la permette, e ascolta, pecca di peccato mortale, quando però la Commedia non abbia quei requisiti, che S. Tommaso, S. Antonino, e altri Sacri Dottori hanno ad universale intelligenza lasciato scritto.

Discorre con senno questo Comico : e io aggiungo, che per discacciare con agevolezza le cieche tenebre di buia notte ; e per viaggiare acconciamenteLXIX tra le nere caligini di un oscuro tallone, prudentemente si risolve, chi non si contenta dell’uso di un semplice lanternino; ma fa accendere la torcia di campagna, e fa avanti se fiammeggiar un grosso doppiereLXX, quasi risplendente stella, o bella luna : voglio dire, che per sgombrare, non che distinguere, le illecite tenebre del Teatro, chiaro lume ci recano gli illuminati Dottori, Teologi, e santi Padri : da libri di questi, come da luminosi corpi si spiccano moltiplicati raggi, per illuminare tutti noi nel dubbio cammino delle drammatiche oscurità. E S.Tommaso è quello, che nel primo luogo c’illumina grandemente ; e io di lui suppongo, che secondo Silvestro lasciò scritti i fondamenti di tutta la materia giocosa. « Script fundamenta totius materia ludica  »v . Ludus a. 1.. Piantò la base di questa colonna, e mostrò le radici di questo monte. Egli scrive. « Iocandit genus secundum Tullium dicitur esse liberale, petulans flagitiosum, obscenum ; quando scilicet utitur aliquis causa ludi turpibus verbis, vel factis, vel etiam his, quæ vergunt in proximi nocum entum ; quæ de se sunt peccata mortalia : et sic patet, quod excessus in ludo est peccatum mortale.  ».2. q. 168. a. 3.C. E aggiunge. « Officium Histionionum, quod ordinatur ad solatium hominibus exibendum, non est secundum se illicitul, nec sunt in statu peccati ; dummodo moderate ludo utantur, idest on utendo aliquibus illicitis verbis, vel factis ad ludum : et non adhibendo ludum negotiis, et temporibus indebitis.  »q. cit. a. 3. ad. 3. Il senso di S. Tommaso è, che il gioco scenico, e teatrale all’ora è peccaminoso, e osceno, quando il Comico si vale di detti turpi, o disonesti fatti, oppure di quello, che per essere peccato mortale, reca al prossimo grave nocumento. E l’ufficio {p. 9} degli Istrioni, ordinato all’umano sollazzo, non è illecito ; purché essi l’usino moderatamente. Posso io lasciar altri luoghi di questo S. Dottore, perché i due della citata questione bastano, come due belli lampi della sua luce, per schiarire le nostre tenebre, e per investigare il senso di lui con il rigore scolastico, e per cavarne la cognizione, con che possiam distinguere la Commedia lecita dalla illecita, e la modesta dalla oscena. Non occorre moltiplicar i lampi, ove luce si sparge a sufficienza : pure per accrescimento di maggior chiarezza dichiariamo una difficoltà.

Quesito Terzo

Le Commedie sono lecite a nostro tempo, secondo la Dottrina di S. Tommaso ? §

Chi tiene fra le mani un vago fiore di odor soave, può consolarsi con piacere soavemente. Noi abbiamo in pronto il fiore delle soavi, e Angeliche dottrine dell’Angelo Scolastico S. Tommaso : dunque consoliamoci soavemente, e diciamo, rispondendo al Quesito. Si che le Commedie sono lecite a nostro tempo secondo la dottrina di S. Tommaso : e la ragione si è ; perché sono ordinate all’umano sollazzo. « Officium Istrionum, quod ordinatur ad solatium hominibus exhibendum, non es secundum se illicitum »,q. cit. a. 3. ad. 3. dice egli. Cioè l’ufficio dei Comici, indirizzato all’umana ricreazione, non è di sua natura illecito. E lo prova dissusamentecon la ragione e con l’esempioa. 2. c. ; e questo esempio prende dalla 24 Collazione dei Padri, ove si narra quel volgarissimo caso di S. Giovanni, e quel su detto, che non si puòC. 21. tenere sempre l’arco teso ; incoccato, e lanciar saette. La ragione poi Tommaso riconosce nella dottrina del Filosofo, perché nella conversazione della vita presente è necessario qualche alleviamento4. Ethic. c. 8. di quiete, e qualche gioconda ricreazione. « Et ideo, scrive questo Teologo, circa ludos potest esse aliqua virtus, quam Philosophus Eutrapeliam nominat ; et in quantum per hanc virtutem homo refrenatur ab immoderatntia ludorum, sub modestia continetur. » Cioè la virtù, nomata Eutrapelia, può impiegarsi nell’uso dei giochi, e in quanto prescrive in quelli all’uomo la {p. 10} moderazione, appartiene al grazioso ornamento della modestia. E invero alla conversazione umana qualche ricreazione si giudica necesaria : onde avvisa Agostino Santo. « Volo tandem tibi oarcas: nam sapientem decet interdum remittere aciem rebus agendis inventam. » Voglio, che tu ti ricrei un poco: perché decevole al Savio si è il ricrearsi alle volte. Aggiungo, che non tutte le persone gustano del ritiramento; anzi, come non sono tutte della stessa complessione, così non vogliono tutte lo stesso tenor di vita: uno gusta delle penitenze; e un altro delle armi; quello vuole consumarsi negli studi; e questo vuole ricrearsi ne’ sollazzi, e tra sollazzevoli trattenimenti elegge il godimento della Commedia, la quale da modesti Comici rappresentata ricrea con dolcezza, e senz’affanno gli spettatori: imperochè, come scrive il Comico Beltrame, tra passatempi questo della Commedia è il più lontano daiLXXI pericoli; poiché l’uomo no adopra l’armi, né cavalli: non s’intriga con cani: non s’arrischia nell’acque: non s’incontra con fiere: non ischerzaLXXII con fuochi artificiatiLXXIII: non danza con dame da por gelosia: fugge i rumori, e spende poco.

Taccio il resto scritto da Beltrame, per aggiungere un poco scritto dal Comico Cecchino. Concludono con S. Tommaso tutti gli altri sacri Espositori, dice egli, che la Commedia si possa fare come gioco necessario per ricreazione della vita umana, osservate però le debite circostanze di luogo, tempo, persone, e materia, e poco dopo conclude. Onde non peccandosi in niunaLXXIV di quelle parti, non veggo, come si possa parlar contro le Commedia.

Dice bene questo Comico, volendo inferire, che le Comiche azioni sono lecite secondo la dottrina di S. Tommaso. E io dico lo stesso: e professo, che il giudizio Tomistico serve a me diLXXV porto sicuro in questo mare.

Quesito Quarto

I Superiori possono secondo S. Tommaso dar licenza di recitare le commedie a mercenari Commedianti ? §

Ricalcherò qui brevemente il chiodo battuto da me altrove in questa materia: e ora solamente ricordo, che un’Arte {p. 11} da tristi esercitata pregiudica bene spesso alla fama dei sui buoni professori: e il merito di un virtuoso, benché splenda a modo di chiaro sole, nondimeno perde non so chè del buio di una nuvolosa opposizione. Io credo, che vi siano molti Comici di buona intenzione, e di virtuosi costumi: ma credo ancor, che siano gigli tra molte spie, e che sia vero il detto di Beltrame, cioè che sempre vi sono stati Comici buoni e rei. Inoltre mi persuado, che i rei del nostro tempo siano di molto pregiudizio all’utile, all’onore, e al merito dei buoni: E però i Superiori nel dar licenza di recitare le Commedie ai mercenari Commedianti devono procedere molto cautelatamenteLXXVI.

Possono darla secondo S. Tommaso: ma deve essere con la debita moderazione: perché il Santo a questo fine prescrive i termini moderativi, dicendo degli Istrioni. « Non sunt in statu peccati, dummodo moderate ludo utantur; idest on utendo aliquibus illicitis verbis, vel factis ad ludum; et non ahibendo ludum negotiis, et temporibus indebitis. » E vuol significare, che non è stato peccaminoso quello degli Istrioni, che sono moderati, non usando parole, o fatti illeciti, né giudicando in negozi, e tempi indebiti.

E sotto questi termini, e con questo modo prescritto da San Tommaso fu data una volta la licenza ad alcuni Comici virtuosi da S. Carlo Borromeo con un pubblico Decreto autenticamente pubblicato l’anno 1583 e formato con questa occasione.

Andò a Milano una Compagnia di Comici invitati dall’Eccelletiss. Sig. Governatore, il quale, fatta la prima Commedia, diede loro licenza, che partissero, di che essi attoniti la supplicarono, per intendere la ragione: e egli disse loro. Certi m’hanno detto che la Commedia è azione di peccato mortale e m’hanno fatto vedere quello, che ne scrive il Sig. Cardinale Arcivescovo : però andate a lui, e aggiustatevi; che poi avrò gusto di servirvi qualche volta: tra tanto non voglio mortalmente peccare. Andarono i Comici, furono sentiti benignamente dall’amorevole Pastore : e nel seguente giorno si disputò il caso, e all’ultimo il Sig. Cardinale decretò, che si potessero recitar Commedie nella, sua Diocedi, osservando il modo, che prescrive S. Tommaso : e impose ai Comici, che mostrassero gli scenari giorno per giorno {p. 12}al suo foro. Questo caso narra diffusamente Beltrame, e con esso si avvera, che i Superiori possono secondo S. Tommaso dare licenza di recitar le Commedie ai mercenari Commedianti: non però liberamente, e senza termini ristrettivi, ma con la debita e necessaria moderazione. Ad un corsiero sperimentato più volte troppo libero, e sboccato, fa di mestiere un gagliardo freno, e un forte cavezzone.

Quesito Quinto

E secondo la dottrina di S. Tommaso un altro Decreto, fatto da S. Carlo contro i Commedianti, e Ciarlatani ? §

La rettitudine, e prudenza del buon Giudice vuole, che egli oda le ragioni delle parti, bilanci il valore di ciascuna, e poi formi la sentenza di assoluzione per gl’innocenti, e di condannazioneLXXVII per i rei. Non è nuovo che diversi effetti procedano dallo stesso Agente secondo le diverse qualità dei soggetti : la viltà del loto s’indura col vigore del raggio solare, e con lo stesso si liquefa la morbidezza della cera: la forza del fuoco ripurga la bellezza dell’oro, e consuma la sostanza del piombo : Anche Beltrame dice. Quella neve, che travaglia il verno col freddo, è la stessa, che rifioraLXXVIII togliendo il caldo alle bevande l’Estate: tutta è neve ma varia gl’aiuti nel variar stagione.

S. Carlo con la sua rettitudine  e prudenza regolando loLXXIX zelo, pubblicò il suddetto Decreto a favore de’ Comici, ma de’ Comici moderati e virtuosi: le ragioni de’ quali egli ascoltò, e approvò per buone, e degne del suo favore. Il medesimo Santo pubblicò contro i Comici  ma Comici turpi, e viziosi un altro Decreto, e è Sinodale, e io l’ho posto qui con le sue parole,  che sono queste.

« Principes, et Mgistratus commonendos esse duximus, ut Istriones, et Mimos, cæterosq Circulatores, et eius generis perditos homines eius generis perditos homines eius sinibus esciant et in Caupones, et qlios, quicumq, cosreceprint, acriter animadvertant. » Cioè. Noi abbiamo giudicato avvisare i Principi, e i Magistrati, che di scaccino dai loro confini gli Istrioni, i Mimi, i Circolatori e gli uomini tristi di cotal fatta; e castighino aspramente i ricevitori loro. {p. 13}

E qui io dico, che questo Decreto è secondo la dottrina di S. Tommaso; perché dal S. Dottore santamente sono condannati quei Comici, che non osservano la debita moderazione, e tali sono i viziosi degni di essere discacciati da tutti, e castigati. Non merita goder buona raccolta nel campo, chi nel campo sparge semenza di messeLXXX viziosa, e pestilente.

Quesito Sesto

Perché S. Carlo nel Decreto Sinodale de’ Comici parla senza distinzione de’ buoni dai rei ? §

Alla proposta di questo dubbio non mancano varie risposte : Beltrame Comico ne porta due nel c. 38. del suo discorso, e dice nel primo luogo, che il benedetto Prelato non scrisse contro i Comici virtuosi : ecco le sue parole.

« Alcuni mostrano, ove S. Carlo Borromeo ha detto un non so che contro le Commedie : ma non dicono, che l’Autore dice. Commedianti, Mimi, e Buffoni e che nel viluppo di questi esercizi ha inteso parlar della schiuma, ho riassunto delle persone vili, e non de’ Comici virtuosi. Anche a dir Corsari, Ladri, e Assassini, par che si dica uomini del Diavolo : ma in tal viluppo nn si rinchiudono quei Corsari Illustri, che sgombrano il mare da Ladroni Pirati, e che suppongono ai nemici dellaLXXXI nostra fede: che vi è differenza da chi ha per arte il furto, a chi ha per fineg guerriero l’onore. Così vi sono Comici tanto lontani dall’esercizio de’ Mimi, e Buffoni, quanto i Corsari Illustri da Pirati. »

Questa risposta di Beltrame non mi dispiace; né mi par un suono stonato, né ingrato all’orecchio;  tuttoché venga da un Comico Cantore, e non da uno scolastico Pressore: perché veramente par,  che S. Carlo ristringa il largo, e comune significato dei nomi d’Istrione, Mimo, e Circulatore ad essere equivalente al titolo di gente rea, e perduta, dicendo. « Ejus generis perditas homines. » E però secondo questa risposta, e esplicazione non fu necessario che si parlasse con distinzione de’ Comici buoni da cattivi nel Decreto Sinodale; perché fu formato precisamente contro i tristi, e viziosi Attori, e non contro interi Comici indistintamente. Merita dunque lode d’ingegno Beltrame con la {p. 14}prima risposta: così vorrei, la meritasse ancora con la seconda: forse il Lettore della seguente Nota non lo stimerà i tutto degno della sua lode.

Nota Prima

Della seconda Risposta di Beltrame circa il Sinodale Decreto di S. Carlo contro i Commedianti. §

Debito si è spettante ad ogni saggio Scrittore, e dicitore parlar con gran cautela di tutti i professori delle science: e massimamente di quei santi Pastori, che professano di saper molto bene le cose, che decretano pubblicamente nelle Sinodali radunanze per giovamento delle anime commesse alla loro dotta, e zelante sollecitudine. Quindi è, che io stimo non doversi lodare, né approvare la seconda risposta, che il Comico Beltrame reca per mostrare, che il Sinodal Decreto, pubblicato dal sollecitissimo Pastore, e Arcivescovo S. Carlo contro gli Attori delle Commedie, non è cosa di gran momento. Egli si ripara contro la forza di tal DecretoCap. 38., dicendo così.

« Forse il benedetto Pastore non aveva piena cognizione dell’Arte Comica. Anche quel buon Religioso, che i costumi, e la dottrina lo facevano nominare dai suoi propri Fratri l’Apostolo de’ Fiorentini, diceva male de’ Comici, e delle Commedie prima che egli sapesse, qual modo tengono i Comici virtuosi, e la diversità de’ pareri degli Autori, ma dopo visto quello, che il suo proprio maestro in ciò aveva scritto, disse a Cavalieri principali (e quelli l’hanno riferito a me) che rimaneva mortificato non poco d’aver mal trattato pubblico l’Arte Comica, e i professori di quella: e che se non fosse stato per non generar confusione nel popolo, si avrebbe disdetto di molte cose, amando più la verità che il suo credito. E così può essere stato S. Carlo. Tutti non sono obbligati a saper ogni cosa ; molti descrivono una fortuna di Mare, che forse non hanno veduto un lago ; tanti ragionano di Commedia, che mai forse non avranno veduto una scena ; ma commentano quello, che trovano scritto. Quando la dottrina non è soprannaturale, ogni uomo è sottoposto a suoi affetti: i continuati studi, e le praticate esperienze non gioverebbero, quando {p. 15}col tempo l’ingegno non s’avanzasse. Che il benedetto Prelato non scrivesse contro i Comici virtuosi: o che o fosse ben capace dell’arte Comica, io lo cavoLXXXII da questo avvenimento. » Sin qui Beltrame.

E qui parimente noti il benigno, e giudizioso Lettore, che l’avvenimento, spiegato ivi diffusænte dal Comico, fu quello, che occorse in Milano; quando i Comici, fatta la prima Commedia, furono licenziati dall’Eccellentiss. Sig. Governatore, e per lo quale S. Carlo fece il Decreto a favore delle Commedie, cole io ho detto nel Quesito Quarto. Onde Beltrame stima discorrere fondatamente inserendo, che il S. Arcivescovo col 2. Decreto favorevole mostrasse co’ fatti, che il primo fu da lui stabilito senza aver piena contezza dell’Arte Comica. Discorso veramente mal fondato, e pregiudiziale alla dottrina del Santo, e de’ suoi Consultori, e Dottori Sinodali, o famigliari. Beltræ congiunge molte cose insieme; noi ponderiamone alcune.

Dice 1. Forse il benedetto Pastore non aveva piena cognizione dell’Arte comica. E questo medesimo replica di poi senza modificarlo con la particella, forse, stimando, che il benedetto Prelato non fosse ben capace dell’arte Comica. Ma io rispondo, che Il detto Beltrame è privo di probabilità. Prima perché S. Carlo manteneva nella sua famiglia gran numero di persone virtuose pratiche, zelanti, e dotte, delle quali si serviva continuamente per addottrinare se stesso nelle cose toccanti all’ufficio di vigilante Pastore: e a questo ufficio s’appartiene saper quello, che lecito si è nell’Arte Comica, e quello, che non è lecito; per poter poi concedere le licenze, o negarle, o moderate, quando si fa l’istanza da Commedianti per ottenerle. Dunque non è probabile, che S. Carlo forse nona vesse, o senza forse, piena cognizione dell’Arte Comica nel tempo, che formò quel Decreto contro i Comici.

2. Non è probabile, perché tal Decreto non fu provvisionale per un poco di tempo: ma fu Sinodale, per dover praticarsi nello spazio di molti anni. E chi tra Comici stessi può negare, che San Carlo non facesse, come si sogliono; e si devono fare, i Sinodali Decreti ? Cioè con la consulta, e approvazione di molti, e consumati Dottori, e Teologi, che si trovano presenti ne’ principali {p. 16}Sinodi congregati per la riforma de costumi, per lo stabilimento delle virtù, e per altri bisogni delle popolazioni Diocesane. Io stimerei me stesso dicitor temerario, se dicessi, che l’Arcivescovo di Milano S. Carlo non faceva i suoi sinodali Decreti con grandissima diligenza, con molto studio, e col consiglio di uomini letterati, i quali nel particolare delle Commedie dovevano aver letto, e molto bene inteso più volte alle Commedie di quel tempo: o almeno n’avevano avuta piena cognizione dell’arte Comica: e che il Prelato decretante non fosse ben capace di quella.

Aggiungo. Quel Decreto non fu contro l’Arte, ma contro i viziosi, che peccano nell’Arte, e meritano di essere cacciati. E chi dichiara per vizioso un professore di un’Arte lecita, mostra, che ha piena cognizione di quell’Arte. E chi potrà pubblicamente dire ad un Soldato. Tu viziosamente guerreggi, se non conosce pienamente l’Arte del guerreggiare ? La riprensione dell’errore suppone la debita cognizione nel riprensore.

Devo io pregar inoltre il Lettore a far riflessione, che i due Decreti fatti dal Santo Borromeo non sono contrari tra loro; ne uniti insieme sono repugnanti alla cognizione del Prelato, scopro in lui diverse perfezioni, e si appoggiano a diversi fondamenti.

Il Decreto di Milano è effetto di giustizia, che « secundum allegata, et probata » sentenza a favore de’ virtuosi: e così sentenziò S. Carlo. Il Decreto Sinodale è effetto di carità, che con sollecita vigilanza avvisa, che si caccino i tristi; e così avvisò S. Carlo. E questo Decreto si fonda almeno nella convenienza: perché conveniente si è, che i Principi, e i Magistrati caccino da sé le persone sospette, e perlopiù perniciose: e tali sono per ordinario i Comici secondo il grido, e fama universale. Quell’altro Decreto si fonda nella necessità, perché il Superiore dando licenza ai Comici, è necessitato di darla con la debita moderazione, per soddisfar all’obbligo della sua coscienza: e così fu data in Milano a quei Comici virtuosi, i quali non credo, provarono al Prelato, {p. 17}come al personaggio privo di piena cognizione dell’Arte Comica, che era Arte lecita: perché questo può provare ancora un Comico vizioso, ne per tal prova merita la licenza; ma credo, provarono, che essi, come virtuosi, la esercitavano lecitamente e con modestia, e però ottennero la facoltà di esercitarla, ma con la debita moderazione. E chi negherà, che tutto questo non supponga nel Superior, che concede tal facoltà, una piena cognizione ? Dica ciò, che vuole Beltrame, il suo primo detto, come improbabile, non merita esser creduto dal prudente, pratico, e dotto Lettore.

Nota Seconda

Intorno alla medesima Risposta di Beltrame. §

Chi brama conciliare l’assenso altrui ai detti suoi, procura di farli comparire guarniti saggiamente con buone prove, e fortificati gagliardamente con efficaci ragioni. Dunque non si sdegni il Comico Beltrame, se non resta conciliato l’assenso di molti al detto suo, con che nega, col forse, la piena cognizione dell’arte Comica a S. Carlo : perché le prove, e le ragioni, con le quali guarnisce e fa comparire tal detto, non sono efficaci: non rimbombano a modo di tuono, ne feriscono a modo diLXXXIII saetta. La prima prova si fonda nella cavalleresca relazione data intorno ad un Predicatore, soprannominatoLXXXIV l’Apostolo de’ Fiorentini, il quale non sapendo il modo tenuto dai virtuosi Comici, né sapendo i vari pareri degli Autori, e accertato della modestia de’ Recitanti per relazione di altri, e vista la dottrina del suo maestro, si mortificò d’aver predicato contro l’Arte Comica e contro i professori suoi.

Io a questa prova rispondo, che non sono astrettoLXXXV alla giustificazione di quel Religioso; quale credo si possa giustificare senza molta fatica, e con sua lode, ma attendo alla difesa della piena cognizione, e capacità di S. Carlo intorno all’Arte Comica: e però dico, che le 4. condizioni di non sapere, attribuite a quel Predicatore, non si devono attribuire al Santo Prelato : anzi si deve dire francamente che egli sapeva, e il modo usato dai Comici virtuosi, e la varietà de’ pareri dottrinali, e la immodestia {p. 18}degli Istrioni, Mimi, e Ciarlatani del suo tempo, e la soda dottrina de’ santi Padri, e de’ buoni Politici, che condannano le teatrali indecenze, e però sapendo pienamente il tutto secondo il debito dell’ufficio pastorale, formò il Decreto Sinodale, e il monitorio contro i viziosi Rappresentanti. Non dica dunque, Beltrame. « Come fu di quel Religioso, così può esser stato di San Carlo », perché ove manca il confronto delle condizioni premesse, e presupposte nel paragone di due soggetti, non si deriva, se non a capriccio, la conclusione.

Altre prove soggiunge brevemente Beltrame: e io altresì brevemente rispondo. Egli dice. « Tutti non sono obbligati a sapere ogni cosa. » E io dico. Per aver piena cognizione, e esser ben capace dell’Arte Comica, non vi è obbligo di saper ogni cosa.

Egli dice. « Quando la dottrina non è soprannaturale, ogni uomo è sottoposto ai suoi affetti. » E io dico. La dottrina Comica non è soprannaturale: quella ebbe con piena cognizione S. Carlo : e fu sottoposto ai suoi affetti, ma regolati, ma virtuosi, ma santi; e non inclinati a decretare ammonizioni ingiuste, e nocive ai virtuosi.

Egli dice. « Gli studi, e le esperienze giovano, acciocché col tempo l’ingegno s’avanzi. » Et io dico. S Carlo s’era già avanzato col tempo, collo studio, e colla pratica alla piena cognizione, e buona capacità degli affari Comici, quando col suo ingegno, prudenza, e zelo stabilì il Sinodal Decreto contro gli Scenici viziosi. Onde io pregherei Beltrame, se vivesse, a rimuovere quanto prima dal suo pulito, e ingegnoso Discorso questa censura, che fa alla pratica cognizione di S. Carlo: la qual censura come non può servire a me di probabile risposta al presente Quesito;  così volentieri la tralascio, e mi volgo altrove, per trovar lume con che io accenda la fiaccola mia, e vinca il buio di questa difficoltà.

Nota Terza

L’autore risponde al Quesito. §

Chi tutto intento fatica nel ripurgar il grano, getta lungi dall’aia le mondiglie ; né stima necessario alzar la voce; e dire. {p. 19}Io distinguo le pagliuzze dai granelli, il soggetto vano dal sodo, il reo dal buono. Così dir possiamo di S. Carlo: egli fatto Padre Spirituale de’ popoli; e quasi Agricoltore di copiosa messe, attendeva di tempo in tempo nell’aia Sinodale a ripurgare il grano de’ buoni costumi, lungi mandando le immondizie de’ peccaminosi abusi, e decretando spesso contro le persone viziose, e perniciose. Questo santo zelo dimostrò egli nel Decreto contro gli Istrioni, Mimi, e Circolatori, nel quale non stimò necessario parlare con distinzione de’ buoni dai rei per più rispetti.

Prima, perché mirò alla fama comune, la quale vola intorno molto cattiva, e pregiudiziale a’ Commedianti, quasi presupponendo, che siano una gente molto viziosa, e di vita perduta.

Secondo, perché mirò alla pratica di recitare da Comici usata nel suo tempo, la quale era tanto rea, che alcune Città si risolsero di cacciare tutti i Commedianti.

Terzo, perché mirò al modo di parlar, e scrivere usato quasi da tutti i Dottori, che trattano della Comica : pochi Dottori fanno questa distinzione de’ Comici buoni dai rei ; se bene si può fare ; e io per me stimo debito mio di farla, e di replicarla più volte in questa mia poca, e debole fatica della moderazione del Teatro. E invero siccome l’arte Comica è lecitissima secondo la sua natura, così l’Artefice Scenico, e il Comico può essere virtuoso e degno di riporsi nel numero di quelli, che « non sunt in statu peccati », non sono nell’infelice stato del peccato. E può essere, che in alcuni Comici moderni, e forse in molti si avverino quelle parole di S. Tommaso. « Quamvis in rebus humanis non utantur alio officio per comparationem ad alios homines, tamen per comparationem ad se ipsos, et ad Deum alias habent seriosas, et virtuosas operationes componant ; putandum orant, et suas passiones, et operationes componant: et quandoque, etiam pauperibus elemosinas largiuntur. »

Significa il Santo Dottore, che si trovano Comici, i quali sebbene non hanno altra occupazione , chela drammatica azione rispetto agli uomini, nondimeno rispetto alla maestà di Dio s’impiegano in altre opere serie, e virtuose, come di far orazione, di comporre i propri affetti, e di dar ancora talvolta elemosine ai poveri di Cristo.

Un Autore innominato dice appresso Beltrame, che i Comici {p. 20}udiranno la Messa, e qualche predica, almeno per curiosità, dai valenti uomini, e faranno pur qualche elemosinaLXXXVI. Ma Beltrame nel medesimo luogo si fa sentire più canoro, e lungo rimbombo alla gloria dei virtuosi Comici, e dice cosi. « Io dico, e lo dico con verità, che pochi Comici si trovano, che non vadano alla Messe ogni giorno, che non dicano orazioni nell’andar a letto, e nel levarsi; e così fanno fare ai loro figliuoli ; anzi che molti avvezzano le loro creature a dire le Litanie di nostra Signora ogni sera, e chieder perdono a Dio, e  al Padre, e Madre degli errori commessi quel giorno, a non uscir di casa senza la benedizione, a dir il Rosario il Venerdì, e altre devozioni. Molte Compagnie fanno dir una Messa ogni giorno del pubblico, oltre alle particolari. Molti di loro, Femmine, e uomini recitano l’Officio della Vergine ogni giorno : enon vi è Comico, o Comica, che non faccia una vigilia la settimana, oltre le comandate. Potrei dir di più con verità;  ma perché mi stringerei in pochi, mi taccio; parendomi, che la figura Sinedoche confinasse con l’ipocrisia ; basta, che Comici sono Cristiani. »

Così discorre Beltrame, tessendo una fiorita ghirlanda di virtuose operazioni, per adornar le tempie de’ virtuosi professori dell’arte sua: tutto bene : ma quella conclusione. « Basta, che i Comici sono Cristiani, non basta per provar, che sono virtuosi. »

E io pregherei Beltrame, se fosse vivo, come ora prego tutti i suoi fautori, a considerare solamente un luogo dei molti, che si leggono ne’ libri de’ Santi Padri. Il luogo è di Agostino, ove scrive.

« Scire debetis Frates, quoniam ideo christiani facti sumus, ut semper de futuro seculo, etde eterno premio cogitemus; et plus pro anima, quam pro corpore laboremus : quoniam caro nostra paucis anmis erit in mundo; anima autem nostra, si bene agimus, sine fine regnabit in celo. Si vero, quod Deus non patiatur mala opera exerceamus, et plus pro carnis luxuria, quam pro salute anima laboremus, timeo, ne, quando boni christiani cum Angelis accipiuntur in vita m æternam, nos, quod absit, præcipitemur in gehennam. Non nobis sufficit, quod christianum nomen accepimus, si bona opera christiana mon fecerimus.Set. 216 de temp. » Seguita poi il Santo a dichiarare, che il nome du cristiano giova a quel fedele, che abbraccia le {p. 21}sante virtù, e fugge dai vizi, e dai peccati. E conclude alla fine così «  Ecce audistis, Fratres, quales sint christiani boni : et ideo quantum possumus, cum Dei adiutorio laboremus, ut nomen christianum non fit falsum in nobis; nec in nobis Christi sacramenta patiantur injuriam : sed semper opera christiana, et cogitemus in corde, et impleamus in opere. » E qui io replico alle parole della conclusione di Beltrame. Non basta dire i Comici sono Cristiani. Aggiungo di più. Non basta, che faccino delle opere buone e dicano delle sante Orazioni: bisogna, che si astengano da tutti i peccati mortali, se vogliono la salute. Ô quante spine accerchiano le rose: ô quante zizzanie crescono col grano : ô quanti vizi possono ritrovarsi insieme con qualche opera buona in un soggetto cristiano. Ma come quel numeroso racconto di tante virtù, poste ne’ Comici da Beltrame, non scacciaLXXXVII lungi da sé l’abito vizioso del parlar disonestamente in scena, e del gestire indecentemente  ? Perché tra tanti beni, e tra tante gioie, non risplende il bene, e la gioia dell’onesto recitamento ? Una candida veste fregiata con bel ricamo deve sporcarsi col lezzo di cose brutte ? Orsù voglio accettar per vero ciò, che il galant’uomo Beltrame scrive de’ Comici ; ma non posso negare, che quelle tante perfezioni per ordinario sono manifeste a poche persone, e da poche credute: ove all’incontro le imperfezioni Teatrali usate da’ Comici, le oscenità de’ loro detti, e fatti, i modi turpi, e disonesti, e le altre numerose indecenze del rappresentare sono palesiLXXXVIII a tutti, si odono, e si veggono dalla moltitudine spettatrice, la quale crede a quel cheLXXXIX vede, e ode; e vedendo, e udendo nel teatro molti mali, detti, e fatti da’ Comici, concepisce di loro fondatamente un’opinione, che siano persone indegne, disoneste, e vituperose. E questa voce si sparge per le Città: questo grido rimbomba per le piazze e per le strade; e questa relazione giunge all’orecchio de’ zelanti Superiori, i quali con ragione formano concetto reo, e universale di tutti i Comici : e se per ventura alcuni sono conosciuti , e creduti per buoni, veramente son pochi, e del poco non si tien conto, e si seppellisce nella tomba del nulla. Ma i Comici creduti rei, e scandalosi sono moltissimi; onde al giudizio universale de’ Savi si giudicano simili a quelli, de’ quali S. Bonaventura citato da Beltrame fa un {p. 22}presupposto tale, come se fossero dannati. Ora dico io, che San Carlo mirò a questa opinione universale de’ Comici, e a questa maniera di ragionar intorno alla vita loro e però fondatamente, e saggiamente formò il Decreto Sinodale contro i tristi, e parlò degli Istrioni, Mimi, e Circolatori senza distinzione de’ buoni dai rei, e dei modesti dai viziosi, e disonesti. Credo, che il detto fin qui basti per rispondere al Quesito : dunque non corrano più i voti, se il partito è vinto !

Quesito Settimo

Quando sono illecite le Azioni, e le Commedie moderne secondo S. Tommaso ? §

Dolce ristoro porta all’umana conversazione l’Arte Comica praticata col modo convenevole alla puritàXC dei cristianesimo. Ella è un’Arte genitrice di gioconde, e utili Azioni; mentre i parti suoi non sono resi deformi con qualche bruttezza, e illeciti i recitamenti per qualche men buona condizione. San Tommaso giudica illecite le Azioni, e le Commedie all’ora, quando il Comico si serve per cagione del gioco di brutte parole, o di fatti brutti, ovvero di nocumenti al prossimo, le quali tre particolarità siano di lor natura peccati mortali; e di più quando il Comico usa il gioco in negozi, in luoghi, e in tempi indebiti; e non secondo la convenienza della persona. Ècco le sue parole2.2 q. 168 a. 3.6.. « Quando uditur aliquis causa ludi turpibus verbis, vel factis; aut etiam his, que vergunt in proximi nocumentum, quæ de se sunt peccata mortalia. » E aggiunge. « Cum aliqui utantur ludo vel temporibus, vel locis indebitis ; aut etiam preter conventiam negotii, seu personæ. » Tocca il Santo Dottore sette Capi, da quali possiamo prendere la ragione dell’Azione illecita secondo la sua dottrina.

1. Parole turpi di lor natura mortali. 2. Brutti fatti di lor natura mortali. 3 Nocumenti al prossimo di lor natura mortali; 4. Tempo indebito. 5. Luogo indebito. 6. Disconvenienza di negozio. 7. Disconvenienza di persona.

Sono sette note sconcertate, che sconcertano l’armonioso concerto della dilettevole, e utile Rappresentazione teatrale. {p. 23}

Ma se alcuno dimanda. Quali sono parole turpi di lor natura mortali ? Io rispondo con Caietano nel Commento di quel luogo di S. Tommaso. « Invitatoria verba da mortalem lasciviam. » Come se un Comico nella scena, non per fornicare veramente, ma per far ridere, e per dar diletto all’Auditorio, invitasse una Donna alla fornicazione, quelle parole d’ ? ??uito sarebero mortali di lor natura, e renderebbero l’Attore colpevoledi mortale oscenità, e illecita l’azione. « Si quis, scrive Caiet, ut aliis delectationem ingerat, muliere invitet ad fornicationem, ludus peccatum mortale esset. »

Ora vediamo un poco il Teatro del nostro tempo. Nelle Azioni, e nelle Commedie moderne i Comici invitano mai con parole alla fornicazione le Donne ? Rispondano gli spettatori medesimi ; io non voglio altri Areopagisti in questo Comico Areopago. Credo, che forse, e senza forse, diranno indubitatamente, e sentiranno così. Poche Azioni moderne, e mercenarie si recitano senza mortali bruttezze di parole. Dunque, inserisco io, poche sono lecite secondo la dottrina di S. Tommaso per rispetto delle parole mortali di lor natura, le quali corrono purtroppo nelle moderne Commedie con grave offesa del Sig. Iddio. E quante parole brutte mortali sentiva Beltrame, proferite dai Comici suoi compagni ; poiché faceva loro la correzione di quando in quando ? La lingua del Comico osceno serve di spada micidiale contro l’utile, dell’onesta, e dilettevole Rappresentazione. A tal lingua si deve il taglio, o almeno il freno.

Quesito Ottavo

Le parole brutte dette dal Comico, e non mortali di lor natura, possono esser mortali per qualche ragione, e rendere l’Azione, e la Commedia illecita, secondo la dottrina de’ Dottori, e di S. Tommaso ? §

Non è legge di prudente ragione, che l’uso di un giocoso detto cagioni un lacrimoso effetto. Chi brama dare con dolcezza diletto, deve darlo senza verunaXCI amarezza. Non è vero dolce in quel liquore, che si sente grato al palato, ma poi al cuore arreca la morte. Alcune brutte parole giocose, dette nella scena per diletto, e per sollazzo,  recano alle volte la morte spiritule {p. 24}agli Ascoltanti; non perché siano mortali di lor natura; ma perché diventano mortali per accidente, cioè per ragione dello scandalo, che apportano ai deboli di Spirito, mentre le ricevono con gusto del corpo per ilXCII senso, ma con disgusto dell’anima per ilXCIII consenso: onde come scandalose sono parole omicide del cuore; tuttoche siano dette per solo dilettamento dell’orecchio. Così dicono i Dottori; i detti de’ quali devono essere stimoli per abominare cotali errori « Vanus sermo cito polluit mentem, et facile agitur, quod libenter auditur », scrive S. Bernardo.

Sanchiez diceIn modo bene vivendi c. 30. . « Monverim verba illa turpia posse per accidens esse peccata mortalia ratione scandali adstantium; quia loquens credere debuit, audientes inde inducendos ad culpam luxuriæ saltem desiderii. » Cioè. Avverto, che quelle parole brutte possono per accidente e esser peccati mortali per ragion dello scandalo, che si dà alle persone presenti deboli di spirito; e la ragione si è, perché chi parla, deve credere, che gli Uditori s’indurranno col motivo delle parole sue a commettere peccato di lascivia almeno col desiderio.

Fillucci diceTr. 30 nu. 207.. « Ex scandalo turpia verba possunt esse mortalia, et scandalum in adstantibus oriri posse, quando audientes sunt infirmiores spiritu. » Cioè. Colpe mortali possono essere le parole turpi per rispetto dello scandalo, il quale nascer può negli Uditori, quando lo spirito loro non ha ferma sodezza di virtù.

Laiman avvisaL. 3. Theat.Mor. 5.4. de Temp. n. 13.. « Turpiloquium, turpis cantio ratione scandali frequenter mortalia esse solent. » Cioè. Un parlar disonesto, una canzonaXCIV turpe sogliono essere spesse volte peccati mortali secondo la ragione della scandolosa circonstanza.

Bonancina scriveDe Matr. q. 4. p. 9, n. 18.« Turpiloquium est peccatum mortale ex circumstantia, que sit causa mortalis peccati ; qualis est circunstantia scandali adstantium; ut accidit, quando audientes non sunt probata virtutis. » Cioè. Macchia mortale arreca all’anima il turpiloquio per rispetto della circonstanza, che sia cagione di mortal pcccato ; quale si è la circonstanza dello scandalo cagionato negli astanti ; come avviene quando gli Uditori non sono, a modo di vigorosa pianta, ben radicati nel suolo della virtù.

Lessio, diceL. 4. 6. 3. d. 8. n. 63.« Si turpiloquium fiat animo excitandi se vel alios ad turpia, vel cum periculo in illa consentiendi, et si animus iste {p. 25}desit. » Se si usa il parlar disonesto con animo di eccitare a cose brutte se, ovvero gli altri. Oppure si usa con pericolo di dare consenso alle bruttezze, benché animo tale non vi sia, è peccato mortale. E io dico, che pericolo tale spessissimo nasce almeno ai deboli di spirito dai ragionamenti brutti usati dai moderni Comici nelle Commedie; dunque sono peccaminose, e illecite per sentenza di Lessio.

Baldelli notaT. 1. l. 3. d. 33. n. 3.. « Qui ex levitate profert scurrilia, e directe solum intendit risum monere, si rationabiliter posset timere, quot aliquis ex tali scurrilitate provocaretur ad libidinem, idque adverteret, non esset excusandus a mortali: ut notat Antoninus, quia daret illi occasionem ruine spiritualis: et qui causam damni dat, damnum dedisse videtur. C. Si culpa. de injur. et dam. Dat. »

Cioè. Chi per leggerezza proferisce buffonescamente disonestà, e solo direttamente pretende muover il riso, se egli ragionevolmente potesse temere, che tal buffoneria provocasse alcuno ai libidinosi affetti, e di ciò s’accorgesse, non si dovrebbe scusare dal mortal peccato; come nota S. Antonino; perché darebbe a quello occasione di ruina spirituale, e chi porge l’occasione del danno, parXCV che sia il dannificatore.

Battista Fragoso, scriveIn Reg. Reip. p. 1 l. 1. d. 2 § 6 4. n. 188.« Idem dico de loquentibus surpia ex quadam levitate, vel ob aliam unam causam, seu solatium, et nullo modo propter delectationem veneram, in quo eventu est tantam veniale, cum non detur, nec videatur gravis inordinatio; eo quod hæc delectation remote disponit ad turpia: nisi detur circunstantia aliqua, quæ tannquam causa mortalis peccati appareat: videlicet quando verba sunt valde turpia et cantilene sunt ad modum lasciva: et audientes non sunt probate vite: tunc datur circunstantia scandali: vel saltem credi potest, vel timeri probabiliter, ex hujusmodi rebus scandalum sconsurgere. Ita Rebel. Azor. Sanchez. Lessio. »

Ma che occorre citare altri Scolastici moderni, e trasportare nell’Italico sermone le sentenze loro, se l’istessoXCVI Comico Beltrame afferma chiaramente questa verità ? benché le parole oscene, dice egli, non siano di peccato mortale, quando sono dette senza mal fine ; nulla di meno in Commedia, per esser luogo pubblico si fa peccato per la sfacciataggine, e per lo mal esempio, quale ai {p. 26}molti serve per scellerato documento. Parla christiatiamcte questo Comico; e piacesse a Dio, che il detto suo fosse praticato da tutti i Comici cristianamente; ma nella pratica si vede affatto il contrario. E Beltr. con ragione riprendeva alle volte, come ha detto, alcuno de’ suoi Compagni per le parole brutte. Dunque noi ora appoggiamo alla verità della sua dottrina un’altra verità di certissima esperienza, cioè che nell’Auditorio Teatrale si ritrovano moltissime persone deboli di spirito e lo sanno certo i Comici, e ne conoscono molte in particolare; e quindi inferiamo che le parole brutte dette da loro, non mortali di lor natura, diventano mortali per ragione dello scandalo de’ deboli ; e come tali sono illecite, e rendono illecita la Commedia secondo i Dottori. Aggiungo. E anche illecita la rendono secondo S. Tommaso: perché egli scrive cosi2.2 q. 43. a. 7. c.« Quandoque scandalum procedit ex infirmitate, vel ignorantia, et hujusmodi est scandalum pusillorum, propter quod sunt spiritualia bona, vel occultanda, vel etiam interdum nos sumus Domini, dimittere quandoque debemus. » Cioè. Dobbiamo noi per avviso di S. Tommaso, lasciare tal volta i beni temporali, e anche gli spirituali, che sono di consiglio, per fuggire lo scandalo de’ deboli, ovvero degli ignoranti. Che diremo dunque delle parole brutte, benché non mortali di lor natura ? Si vede tanto chiaro l’obbligo di lasciarle, come scandalose, che il provarlo con argomenti è una prova di superfluità, è un imbiancar i fiocchi di neve con il candor di lana. Basta per noi dire con Caietano, che il servirsi delle scandaloso Turpiloquio, benché semplice sia, e solo per dilettare, è colpa di qualche gravezza ; e è meritevole di esser molto fuggita, e abominata.In 2.2 q. 168. § Ad evidentiam. « Uti ad turpiloquio simplici, ut aliis delectationem ingerat, grave est, et fugiendum valde. » E però molti Comici osceni meritano, che contro di loro si vibri la spada dell’Apostolica lingua, che già disse8 Tit. c. 11.« Sunt multi vaniloqui, et seductores, quos oportet redargui, qui universas domos subvertunt, docentes, que non oportet, turpis lucri gratia. » Molti vani Ciarloni, e ingannatori si devono riprendere ; perché pongono sossopraXCVII il tutto, insegnando per brutto interesse di lucro quelle cose, che non sono di necessità ; possono chiamarsi maestri di dottrina, che imparata cagiona una nocevole {p. 27}ignoranza, e disimparata serve di neccessario ammæastramento.

Appendice
Al presente Quesito. §

Voglio aggiungere questo dubbio. Un nobile Accademico mi domandò un giorno. Nell’Azione teatrale, e drammatica di Commedia, o d’altro recitamento, non si può usare qualche equivoco osceno, almeno coperto con parole belle, e noi inteso da tutti ? come una Cortigiana comparisce amantataXCVIII coi una bella, e graziosa veste ?

E di più mi dimandò. Quali oscenità, e quante si devono escludere dalla Commedia ? perché l’escluderle tutte; e in tutto, pare troppo rigore; e mostra, che non si vogliaXCIX concedere materia alcuna da ridere agli spettatori, che alla fine vanno alla Commedia per ricrearsi, e per ridere consolatamente.

Io risposi allora dicendo il mio parere con brevità: ora lo dico più spiegatamente così. La oscenità di parole, o di gesti, è indegna di ogni persona, cristiana, e anche di ogni altra, benché gentile sia, e infedele: mentre voglia procedere secondo le regole della virtuosa moralita, e come richiede la natura dell’uomo di cui scrive CrisostomoHo, 23 in Genes.« Tunc homo est, quando virtutem colit. » (E vero, che può darsi caso, come dichiarerò nel Ricordo detto le Ammonizioni, nel quale per qualche buona ragione e circostanza sia lecito usare qualche equivoco osceno.) Adunque ogni oscenità, come viziosa madre, e ogni equivoco osceno, come vizioso figliuolo, si deve escludere dalla dramatica, e virtuosa Azione. Il coprire poi questo brutto equivoco, e quasi vestirlo con belle parole, acciocché non sia inteso da tutti, non toglie, che non sia in se stesso vizioso: come la Cortigiana, guarnita con belle vesti, non cessa di essere in se stessa una personaccia di viziosa, e infame professione. Venere impudica, vestita secondo l’uso della casta Diana, rimane Venere per realtà, se ben da tutti talvolta non è conosciuta.

Non voglio tacere, che l’equivoco osceno coperto con parole modeste, cagiona libertà di usarlo più francamente senza {p. 28}vergognarsi e così riesce più nocivo; massimamente che alle volte le persore semplici, non lo intendendo bene, si lascionoC persuader di poterlo udire, e udito usare, e replicare ; e lo usano, e replicano senza scrupolo proprio, e con riso di altri che odono, e intendono, onde quando poi soni avvertite del coperto, e brutto significato, si vergognano grandemente della propria semplicità, e di essere state ingannate; ma intanto rimane loro nella mente il disonesto concetto dell’equivoco osceno.

Circa l’ultima particella del dubbio. Cioè. Quante oscenità si devono escludere dalla Commedia ? Si dichiarerà ne’ Quesiti seguenti. In quanto poi al ricrearli, e ridere consolatamente, ora dico, che Giacomo Mazzoni discorre con molta erudizione a prova, che il Ridicolo non fu sempre essenziale alla Commedia: e conclude, che Dante elesse una Favola Comica, la quale in tutto manca del Ridicolo ; benché in questo non si conformi alle Regole di AristotileCI, ma di quei Poeti che cangiarono la Commedia vecchia, non in quella di mezzo, ma nella nuova, nella quale la favola ridicola si mutò in un’altra maniera di favola, che era più tosto sopra qualche negozio verisimile de’ Cittadin privati, che fatto ridicolo: al che pare alludesse Robertello, quando scrissep. 41.« Comedia imitatur homines quasi negotiantes, et agentes. » Nondimeno concede, che il Ridicolo è cosa molto propria della Comica Rappresentazione: ma bisogna usarlo giudiziosamente, e con scelta, e arte tale che tutti i ridicoli rechino gusto agli Auditori, e lode meritata ai virtuosi Recitanti: e niun ridicolo deve cagionare, che si trasgrediscano le buone leggi del civil decoro; il quale nell’Azioni Teatrali prescrive agli Attori, che abbiano riguardo alle qualità  e grado delle persone, che vi concorrono : vuole, che considerino la disposizione degli animi degli Uditori, e Uditrici : che mirino il luogo, ove parlano: il tempo, in cui recitano: e le altre circostanze annesse alla modesta Commedia: e insegna, che secondo la convenienza di questi particolari usino i ridicoli a proposito, e convenevoli: perché chi gliCII usasse fuori di proposito, e senza il termine di convenienza, recherebbe noia al giuditioso Auditorio, e farebbe se stesso un ridicoloso Recitante. Sanno i Dotti, che le cose dette, ovvero Udite, intanto piacciono per ordinario agli Audotori, in quanto sono cornforme {p. 29}ai loro costumi: onde posto, che la moltitudine, concorsa per udire la Commedia, sia di persone virtuose, e oneste : come i Comici, che fanno, e vogliono, servare il necessario decoro di vera Arte, e piacere, potranno mai dire oscenità in presenza di tale moltitudine ? Certo, che niuna proporzione si trova tra la puritàCIII degli animi virtuosi, e l’impurità de’ detti, e de’ fatti osceni. Dunque tali Comici viziosi non piaceranno, anzi dispiaceranno: non meriteranno amore, anzi odio ; e non riporteranno lode, anzi vitupero. E di più aggiungo; che si mostreranno, o disonesti, o almeno ignoranti dell’Arte buona, che professano di bene esercitare ; poiché possono cavare i ridicoli, per muovere diletto, e riso onestamente da molti capi onesti ; come insegnano i maestri, per esempio dall’ignoanza, dalla mutazione, dall’acutezza del parlare, dall’iperbole, dalla metafora, dall’interpretazione, e da altri capi : senza che dica dalle persone, quali sono i vecchi, i servitori, i parassiti, e altri personaggi moderatamente aggiunti alle scene; come sono i Zanni, Covielli, Pantaloni, Graziani, e simili : essi vogliono cavare il ridicolo dalla oscenità, che è un capo bassissimo, trivialissimo, e lontanissimo da ogni buona, e consumata civiltà poiché a parere di Pontano il vocabolo, osceno, si derivò già dagli Osci, popoli antichi di Campania, detta terra di lavoro: ove i Vendemmiatori usavano, e usano anche oggidì, a tempo delle vendemmie, dire con ogni libertà molte brutte indecenze, e immondezze. « Sunt, quibus cure sit oscenitas, dice Pontano, hoc est dicta parum modesta, eaque, nec verecunda, nec proba, quæque impudentiam preseferant, et a modestis Auditoribus non sine rubore audiantur, oculorumque demissione: cum verba ipsa sint oscena; ac res ipse osceniores. Quod vitium ab oscis; idest antiquissimis Campaniæ populis manasse volunt: unde hodie quoque vindemiarum temporibus hoc ipsum vitium, ipsaque oscenitas regnare apud Campanis videtur. »L. 3 de sermone. De altero extremo, hoc est, scurrilitate.Io tengoCIV, che i Commedianti immodesti con i ridicoli osceni facciano un grave oltraggio alla Commedia: poiché essendo ella indirizzata al beneficio delle Città; per far buone le persone cattive, e migliori le buone. « Ubi boni meliores fiant », dice Plauto; essi la usano per infettare di mille bruttezze i popoli spettatori: e constringono la Commedia a comparire nel cristiano Teatro {p. 30}con maniere, e costumi di sfacciata Meretrice; ove vi doverebbe comparire secondo il decoro con qualità, e portamenti di modesta, e onorata Cittadina: acciocché tutti gli Auditori godessero di sentire da lei onesti, e ingegnosi ridicoli, e non brutti e vituperosi equivoci pieni di sconvenevole, e immonda oscenità.

Quesito Nono

Quante parole brutte mortali rendono illecita l’azione al Comico secondo S. Tommaso, e i Dottori ? §

La finezza penetrativa, e mortale di un veleno poco si cura di numerose vivande : anche un banchetto riceve il titolo di abominevole, tutto che solo pochi piatti siano degni di abominazione; e la qualità della virtù nociva non si fonda sulla quantità de’ nocenti soggetti: ancora in pochi, anzi in un solo si mostra ella potente, efficace per generar malori, e produrre gravissimi nocumenti. Non v’è dubbio, che molte parole oscene, e laide mortali infettano di mortale nefandezza l’Azione del cristiano Teatro: ma v’è ben dubbio, quante parole bastino per rendere illecito il teatrale recitamento. Noi ora per iscacciare l’ombra di cotal dubbio, accostiamoci alla luce degli illuminati Dottori. S. Tommaso favella con il numero del più, dicendo. « Turpibus verbis, illicitis verbis. » Ma egli non ispiega ; ne io ho letto sin ora alcun suo Commentatore, che spieghi minutamente, e precisamente; quante parole mortali faccino, che in sentenza di S.Tommaso l’azione sia peccaminosa. Due bastano, diceva uno; perché qui si deve parlare rigorosamente, trattandosi del pericolo delle anime: e di due parole brutte si dice con verità, che sono « turpia verba, illicita verba » : con tutto ciò mi piace più dire col parere di molti Teologi interrogati da me sopra questo punto, che in semenza di S. Tommaso il numero di 4. ovvero 6. Parole brutte mortali cagionano bruttezza a tutta la Commedia. E vero, che quando una parola sola fosse piena di grandissima, e straordinaria oscenità mortale, e contenesse concetto infamissimo, e sufficiente per se solo a macchiare l’animo d’ogni persona ben nata; io credo, che dal S. Dottore si giudicherebbe potente, abbastanza, per far illecita l’azione ; ma perché non trovo, che la {p. 31}Quistione. « Utrum unum verbum ad hoc sufficiat » : se una parola basti per quello ; sia trattata da S. Tommaso; però volgo il pensiero ad altri Dottori.

S. Antonino diceIn. 2. P. sum. T. 1.6. 23. `1.« Nihil turpe ibi misceatur. » Egli favella nel numero del meno. « Nihil turpe. » Niente di brutto. E quello si avvera anche di una sola parola oscena mortale.

Caietano scriveIn sum. V. Spect. « Impudica spectacula absque peccato non fiunt: et si notabiliter admixtum horum aliquid habent, mortale peccatum fine dubio incurritur a facientibus. » NotisiCV, che quello, « Aliquid », qualche cosa, si verifica ancora di un solo detto impuro mortale.

Dunque per sentenza di Caietano, e di S. Antonino basta una sola parola turpe mortale per rendere peccaminoso il Recitamento. Ma che ? Beltrame stesso par, che sia di questo senso. « Non dico, scrive egli,che in Commedia si nomini peccato da far’ arrossir i Giovani puri, o le semplici Fanciulle, che in noi sarebbe errore. »C. 16.

Io noto, che favella nel numero del meno ; quasi che un solo grave errore di una parola renda tutta la Commedia illecita, e in degna di onorato recitamento.

Ho udito da un Comico, che vide, e è buon testimonio in questo, che l’anno 1640 un Principe fece battere con scorno il viso, e ferirlo alquanto ad un Giovane ballerino: perché in presenza dell’Auditorio disse, e forse lenza molta avvertenza, e per abito cattivo, una sola parolaccia, quasi accennando, che una sola parola indegna comunica l’indegnità a tutta l’Azione. Ma non occorre, che io tratti più diffusamente questa Questione; perché « ago actum », pongo la falce, ove gia si è mietuto: e io tratto un Dubbio già trattato dal dotto Casano, il quale nel libretto grazioso, e utile intitolato. Il Giovane Cristiano composto dal moralissimo, devotissimo Franciotti; nel c. 15 della 3. Parte tratta diligentemente, e dottamente in rigore di scuola questa difficoltà : e risolve, che alle volte una sola parola può essere bastevoleCVI per l’infezione di tutto un teatrale componimento.

Legga chi vuole le ragioni, di quella ben fondata sentenza appresso lui: e se gli pare alquanto duretta, si ricordi, che facilissimo {p. 32}è il rimedio per far lecita l’azione, cioè levare quella parola, che la rende impura, restando ella nel rimanente con la sua purezzaCVII. Chi può facilmente fuggire le cagioni delle giuste censure, e non le fugge, giustamente non si querela de’ Censori la facilità del rimedio è opportuno scampo al vitupero. Ma noi passiamo ormai dalle parole ai fatti, seguendo in questo passaggio la figura guida di S. Tommaso.

Quesito Decimo

Quali sono i fatti brutti, che rendono illecita l’Azione secondo San Tommaso. E quanti di numero ciò fanno ? §

Nel tenore di una virtuosa vita i fatti si devono accompagnare con le parole. « Ne dicta factis deficientibus erubescant », scrive con garbo l’ingegnoso Tertulliano; iacciocché le buone parole non prendano rossore di vergogna, quando manca loro la compagnia de fatti buoni. Il pennelleggiare con la lingua graziosi tratti, è soggetto degno di lode: ma il formare con i fatti sparutte figure, e deformi sbozziCVIII, è oggetto meritevole di biasimo. Voglio dire, che l’officio istrionico esercitato con parole modeste richiede fatti parimente modesti; e l’Istrione viene astettoCIX a non servirsi per cagion del gioco di turpi parole, ovvero fatti, « causa ludi turpibus verbis, vel factis », come scrive S. Tommaso. E Caietano commenta per fatti turpi quelli, che di lor natura sono peccati mortali. « Multa enim sunt turpia facta, que non sunt secundum se mortalia » ; perché molti fatti sono turpi, e non sono mortali per se stessi; ne tali diventano per la precisa, e final cagione del gioco : « cum finis iste non dicat secundum se speciem mortalis peccati, sed potius alleviet ». Essendo che tal fine non dica secondo sé specie di colpa mortalmente grave, anzi piuttosto l’alleggerisca.

Ma chiedera taluno. Equali sono i fatti turpi, mortali di lor natura ? Io rispondo, che Caietano dà questo esempio. Se uno per dar sollazzo ad altri, commette una fornicazione, sarebbe un gioco di peccato mortale. « Si quis ut aliis delectationem ingerat, fornicationem committeret, ludus peccatum mortale esset. » E fatto turpe sarebbe se una Commedia si terminasse con una {p. 33}fornicazione. Io per desiderio di meglio dichiarare il mio senso in questo punto dei fatti turpi, discorro in cotal guisa. La turpitudine presa viziosa è di due sorti: una è leggera, e l’altra grave; una è venial peccato, e l’altra mortale. E la turpitudine presa con questi termini consiste in « deformitate actus volontatii »2.2 q. 144. a. 2.c., secondo San Tommaso, nella deformità del volontario. Prendesi anche la voce, turpitudine, nel significato di oscenità: che però in S. Paolo Ephes. 5. La SiriacaCX legge « Obscenitates », ove la VulgataCXI mostra, « Turpido ». Ma quale si è la turpitudine mortale, e oscena ? Quella che efficacemente infiamma, e provoca alla disonestà: come si fa co’ baci lascivi, e con gli abbracciamenti. « Turpido est, qua mens inflammatur ad libidinem », dice S. Anselmo. E S. Tommaso dice « Quidam ludi sunt, qui ex se ipsis turpidimen hanent, et tales ludi ab omnibus vitandis sunt sicut ludi, qui in theatris agebantur, ad luxuriam provocantes. » Cioè. Si fanno alcuni giochi, ne’ quali si trova la turpitudine, e giochi antichi teatrali, che provocavano ll disonesto amore. Ne mi dica alcuno, che sono leggerezze veneree, turpitudini leggieru, e non mortali; perché rispondo, che io so l’opinione di coloro che concedono « levitatem materie in venereis excusantem a mortali » ; ma la stimo falsa e tengo verissima la contraria. E se i toccamenti soo affatto brutti, sono peccati mortali per sentenza di Sanchez; benché siano fatti per gioco, per vanità, o per leggerezza senza venereo dilettamento. « Etiam facti per joco, causa vanitatis, vel levitatis absque delectatione venerea. »CXIICome se uno toccasse il viso ad una Donna in presenza di molti; ovvero l’abbracciasse per segno di poco modesto amore; non provocherebbe egli, non infiammerebbe alla disonestà con questi fatti gli affetti degli spettatori ? Lo dicano quei Giovani, che tutto dìCXIII lo sperimentano, quando stanno alle Commedie; e essi con non pochi altri dell’Auditorio moltiplicano quei finti baci, e quei riti lascivi, per far pubblico applauso alla conclusione della favola terminata con un finto matrimonio di due persone amanti: io mi riporto al detto loro, e rispondo in breve alla prima parte del Quesito. Cioè. Quali fatti turpi rendono l’Azione illecita secondo S. Tommaso ? E dico. I turpi, mortali, secondo la lor natura. E tali sono {p. 34}quelli che provocano efficacemente alla disonestà. Aggiungo. La rendono anche illecita quei fatti, che sono mortali per ragione dello scandali, che ne ricevono gli spettatori deboli di spirito; perché le ragioni poste nell’ottavo Quesito, e che provano delle parole turpi, vaglionoCXIV ancora per prova de’ fatti turpi; e lo scandalo consiste ancora ne’ fatti: come avvisa Girolamo Santo, dicendo. « Scandalum est dictum, vel factum minus rectum, quod ex se alteri occasionem prabet ruinæ. » Lo scandalo è un detto, ovvero un fatto men buono, che porge ad altri occasione di spiritual ruina. Resta la seconda parte del Quesito: dichiaramola brevemente.

Nota Unica

Si dichiara, quanti fatti turpi prendono l’Azione illecita. §

Poche ferrite talora sono sufficienti a priivar della vita un gran Colosso : anzi una sola basta per far inalberare lo stendardo della morte sul fronce di un’animoso Guerriere. E verità troppo certa; dunque noi non la spieghiamo troppo ; ma diciamo, che la vita onesta de’ drammatici Reccitamenti resta alle volte estinta con le ferite de’ fatti osceni, e disonesti ; intorno al che si questiona dimandando. Quanti fatti bastano  per rendere colpevole di oóscenità, e morta alla virtù, e illecita un’Azione teatrale  ? E si risponde, che qualche volta è avvenuto, che un Santo, e zelante Principe non ha permesso il recitamento di un’ Azione; perché v’interveniva un solo bacio ; quasi che la regola del suo giùdizio fosse legge proibitiva della Commedia per un sol fatto stimato osceno. Io non scrivo cosa formata nella mia immaginazione, ma ricevuta da persona di molto credito, e degna di gran fede. Il savio, e zelante Principe fu l’Austriaco, piissimo, e zelantissimo Ferdiriando II Imperatore ; la cui maestà seppe, che in una Commedia, che recitar li doveva nel suo cospetto pubblicamente, interveniva un sol bacio per segno, e per pegno di una modesta conclusione di Matrimonio, trattato senza veruna apparenza di altra oscenità : e subito ordinò, che si restasse affatto da tal recitamento: onde l’Autore della composizione avvisato prese accortamente partito di mutar quell’atto stimato impuro in un altro {p. 35}giudicato modesto, cioè in un leggerissimo tocco di mano e così la Commedia fu recitata, e stimata fatta con la debita moderazione. Dunque un sol fatto rende la Commedia oscena per sentenza di un saggio, zelante, e moderno Imperatore. Ma che diremo noi teologi ? S. Tommaso si serve del numero di moltitudine « Aliquibus turpibus factis ». Onde secondo lui non basta un solo fatto; quando però non fosse tale, che contenesse una molto aperta oscenità; perché allora io credo, che ancor’uno solo basterebbe.

L’Anno 1635 io stavaCXV nella Clarissima Catania, Città tra le principali del ricco, fiorito, e bel regno di Sicilia. Vi vennero i Commedianti, si fecero le zioni. Un giorno da un Comico fu fatto, per far ridere notabimente gli spettatori, un gesto di tanta indegnità, così fu riferito da chi era presente, che tutti, e tra tutti anche i più licenziosi, di modo si vergognarono, che calarono unitamente gli occhi alla terra, oppressi da gran vergogna, e niuno rise. Or qui, chi legge questo, negherà, che gesto di tal fatta, benché unico, bastasse per rendere oscena, e illecita, quell’Azione ? è cosa troppo chiara, e troppo ardito sarebbe, chi ciò  negasse ?

Ma quello fu gesto, e fatto di un Comico: questo, che aggiungo, fu d’un Ciarlatano. Nellaa bella e gran Città di Palermo sul piano della Marina un Ciarlatano trastullando in banco, fece per allettare, e dilettare il popolo, un atto molto osceno con gesti di grandissima impurità. Ciò fu riferito al vecchio grave, e zelante Predicatore, P. Gio. Battista Carminata della Compagnia di Gesù : e lo commosse molto: e però egli molto lo ponderò sul pergamo alla presenza del Sig. Presidente di Giustitia Rau, il quale informatosi di tutto, e trovato verissimo, subito fece pigliar il colpevole, e condannollo alla galera. Giusta condannazione, la quale serve a noi per giudicare, che quel Ciarlatano era tutto osceno per quel fatto solo di tanta oscenità.

Concludo la presente Nota, e rispondo alla proposta parte del Quesito. Un solo fatto oscenissimo, e turpissimo ; ovvero 4 o 6 fatti di ordinaria, e mortale oscenità, bastano, per rendere illecita l’Azione, e farla oscena. Lo scritto di sopra intorno al numero delle parole turpi può qui servir di buona regola per {p. 36}giudicar de’ fatti. Corra il giudizio stesso, ive corre la stessa proporzione.

Quesito Undicesimo

Nelle moderne Azioni, e Commedie mercenarie sono parole, e fatti impuri, osceni, illeciti, e morali ? §

Questa è comoda occasione per ritoccare alquanto i tasti già toccati: e far qui sentire un poco di quel suono, che altrove si forma con la nostra debolezza; voglio dire. Nel nostro Ricordo detto l’Istanza al Capo 2. Si discorre diffusamente, per dmostrare la necessità della moderazione del Teatro, la qual necessità almeno in parte richiedendo la riforma delle parole, e de’ fatti illeciti, bastar si potrebbe per dare risposta al presente Quesito. Con tutto ciò aggiungeremo qui qualche cosa, ma supporremo per vero il detto in quel Ricordo. Non spiace la replica del suono, quando è di gioamento, e di consolazione.

Il Casano nel moderno negozio dell’Arte Comica diceAppresso il Franciotti nel Giovane cristiano p.3 c. 15.. Le commedie sono, come è pubblica voce, e fama, fuori del termine dell’onestà. Or và tu a pensare, che parole, e che fatti si veggono, e si odono in tali Commedie.

Cellotio diceNell’Orat. Gra. Contra Histriones. . Sono tali le moderne Commedie, che a pena una si recita senza lascivie. « Ut vixi am sine Veneris illecebris ulla peragatur. » E questo gran male procede dalla malvagità de’ Comici, e da malvagi tempi. « Istrionum improbitare, e perditorum temporum consuetudine. »

Gambacorta in un Trattato manuscritto, veduto da me in Palermo, dice delle Commedie correnti del suo tempo; in cui scrisse, che fu l’anno 1585. Concorrono Ruffiani; e il Zanni con la Serva è la falsa del Diavolo. Che farà vedere, che un Adultero chiede un bacio, e l’ottiene ? Che farà, che la donna fingendosi pazza, comparisce mezzo spogliata, o con vesti trasparenti in presenza d’uomini, e di donne ? Lascio il resto di questo Autore, e dimando.

Questi gesti non sono osceni ? questi fatti non sono impuri, illeciti e mortali ? E quali le parole compagne loro, se non {p. 36}sporche, e ammorbate ? Fore taluno risponderà. Questi sono fatti indegni: ma non si fanno ora nelle Commedie; perché nello spazio di questi ultimi cinquanta, e più anni la Commedia si è riformata perfettamente da queste imperfezioni. Io replico. Piacesse alla Divina maestà, che così fosse. Sarebbe un bel sereno dopo un ruinoso temporale. Forse può esere, che sia così rispetto di qualche buona, modesta e virtuosa Comagnia di Comici onorati: , a certissimo si è, che tal riforma non si è fatta universalmente nelle compagnie tutte del nostro tempo.

L’anno 1626 un famoso, dotto, e eloquente Predicatore della compagnia di Gesù, in una Città di Lombardia fu pregato da un gran Signor Ecclesìastic a fare una gagliarda passata contro la licenziona immodestia delle Commedie. Rispose egli dimandando. Sono veramente oscene, e troppo licenziose ? Ma sentì ben tostoCXVI replicarsi con questo tenore. Può ella giudiziosamente, e indubitamente raccogliere, e concludere, che sono oscene, da questo solo accidente, che narro, tacendo gli altri. Nel pubblico Teatro alla presenza di molti Cavalieri, Dame, e Fanciulle i Comidi rappresentarono un disonesto tentativo di un ardito Amante, che si sforzava di assalire una bramata Donna, la quale però, calando per una finestra, sen fuggiva ingnuda, e cercava di coprirsi con un candido, e grande lino: ma onfatti il coprimento non riusciva, e ella restava oggetto ignudo, e svergognato agli occhi degli spettatori con una corporale, manifesta, e lasciva nudità, e si poté dire con S. Girolamo. « De industria diffusa sit tunica, ut aliquid intus appareat, operiatque quod sedum est; et aperiat, quod formosum. »Ep. 47. 6. 3 e.Ovvero quell’altro detto del medesimo Santo. « Polliolim interdum cadit, ut candidos nudet humeros: et quasi videri noluerit, celat festina, quod volens detexerat. »Ep. 47.E che stimate per cotal fatto, o Padre ? Sono Commedie oscene  ? Si per certo rispose quello, e risolse di predicare: e lo fecero tonando, e fulminando in modo, che le sue parole, e i concetti suoi furono saette di morte all’osceno mostro della turpitudine teatrale in quella Città per qualche tempo. Così non vi fossero mai rinati i serpenti di quello incadaverito, e diabolico mostro. Ma diciamo cosa più vicina a nostri giorni.

L’anno 1638. Certi Comici famosi recitavano regalatamente {p. 38}con le loro Comiche in una pricipalissima Città di un Regno nel cospetto di molti Cavalieri e molte Dame; e usavano fatti tali d’amore, che molte di quelle Dame dissero liberamente poi a certi amici. Non si può negare, che la persona non si senta muovere, e affezionare. E erano Signore di spirito, e vi andavano controvoglia loro. Or che diremo delle persone poco virtuose ? In oltre, diremo noi, che le moderne Commedie sono riformate, quanto conviene ? Dico, che no, e lo provo di puù con questo fatto di Comica autorità, che vale non poco per questo punto.

Pochi anni sono, che una Comica bella, modesta ; di buona volontà, e maritata, deplorò molto dolorosamente la sua vita infelice con un Padre spirituale dicendo . Io fò quest’arte, perché sono astrettaCXVII di seguitar mio marito, (non era obbligata di seguitarlo, come io proverò nel c. 3. q. 9.) il quale vuole, che io comparisca in scena facendo l’innamorata, e che alle volte mostri il petto nudo, coprendolo con un sottilissimo velo bianco trasparente ; e faccia altri atti, secondo richiede l’Azione, che recitiamo. Or qui noi di grazia argomentiamo da questo fatto ; se quel Comico, e quella Comica erano modesti, o no, le facevano Rappresentazioni abbastanza moderate, o no; se peccavano, o non peccavano. Io credo, che dica bene il Bonacina, ove dice. « Femine utentes veste ita tenui, ut pectora, et mamilla solum conspiciantur, excusari possunt a mortali, si hoc safiant juxta consuetudinem patia absque prava intentione. »CXVIIICioè. Le Donne che coprono il petto con un velo si trasparente, che non è riparo bastevole alla penetrante acutezza dell’occhio vagheggiatore, possono essere scusate da colpa mortale; quando ciò sia conforme all’uso della patria, e senza difetto di viziosa intenzione. Ma non credo già, che quella Comica sia accomodasse all’uso della sua Patria, dalla quale vagando altrove, si allontanava: ma si accomodava all’indegno abuso del suo Consorte, e alla cattiva consuetudine dell’osceno teatro: l’intenzione poi del Comico era pestilente, e quella della Comica non era sincera ; perché piegava, benche mal volentieri, all’oscenità, e al disonesto piacere: e non era obbligata di osservare il comandamento del Marito: perché « ut obbligatio, et actio mandatioriaturL. 3 tr. 4 c. 26 n. 4., dice Laiman, debet {p. 39}esse dere onesta, et licita. » E però avvisa la legge: « Rei turpis nullum mandatum est. »l. si remonerandi § si passus ff. mandat.Dunque infieriamo noi, che non è riformata abbastanza, e secondo la moderazione di S. Tommaso la Commedia del nostro tempo. Forse è vero, che qualche Azione si vede recitata moderatamente; un a un lampo non scalda un formo, direbbe un Comico: e io dico, che un giglio, e una rosa nata in un bosco, non fanno, che la boscaglia nomar si debba grazioso, e ben coltivato giardino. La fama avvisa, e l’esperienza conferma, che poche Compagnie de’ Comici moderni recitano nell’Italia con una piena, totale, e necessaria riforma nelle parole turpi, e ne’ turpi fatti. Che occorre dunque sonar le trombe a festa per segno di una perfetta moderazione introdotta nel Teatro ? Siamo ancor nella vigilia della festa, e però piangiamo con desiderio di presto per festeggiare per l’utili, e oneste Rappresentazioni. Ma consideriamo gli altri capi tocchi da S. Tommaso, e che appartengono all’uso moderato dell’Arte Comica, e del Teatro.  

Quesito Duodecimo

Che nocumento al prossimo, che tempo, che luogo, che negozio, e che persona rende illecita la Commedia, secondo la dottrina di S. Tommaso ? §

L’umana vita è bisognevole di qualche giocoso dilettamento: onde S. Ambrogio non esclude universalmente il gioco della conversazione humana : « unde Ambrosius non excludit universaliter jocum a conversatione humana »2 2. q. 168. a. 2. ad. I., scrive S. Tommaso. Ma conviene, che il gioco sia, come una bella rosa, che si gode odorosa senza spina fastidiosa: cioè deve dilettare, e non contristare : deve far gioire con giovamento, e non languire con nocumento, « In ludo abstinendum est a nocivis proximo », dice un Teologo, e lo piglia da S. Tommaso, il quale scrive, che l’ufficio Istrionico è illecito, quando si serve di nocumenti al prossimo. « His quæ vergunt in proximi nocumentum. » Mi di che nocumenti ragiona ? Egli lo spiega subito aggiungendo. « Qua de sunt se peccata mortalia » ; ragiona di nocumenti mortalmente peccaminosi. Dunque chi come Comico in scena, o come Ciarlatano in {p. 40}banco, dice parole, o forma gesti, o fa altra cosa nociva mortalmente al profumo della fama, nell’onore, nella persona, ovvero in altro bene, tanto corporale, quanto spirituale, rende illecita l’Azione secondo S. Tommaso. Così è: perché « nocua dicuntur, quae sunt nocumentum fame, honoris, persona; vel alteribus boni, tam corporalis, quam spiritualis », scrive un Teologo appresso Beltrame; o pur Beltrame stesso tologando, nel c. 59 del suo bel Discorso. E è conforme alla comune de’ Dottori.

Ma dimanderà uno. In quali beni mortalmente noco al prossimo i Comici, e i Ciarlatani con le loro ordinarie Azioni ? Io rispondo. Non penso, che nocano mortalmente ne’ beni temporali: perché non rubano le facoltà altrui: e il prezzo de’ Comici è molto moderato; e quello de’ Ciarlatani per le loro buone mercanzie è prezzo giusto. Ma temo bene, che nocano mortalmente ne’ beni spirituali dell’anima a molti; perché molti peccano mortalmente, andnando al Teatro de’ Comici, e molti frequentano il banco de’ Ciarlatani.

De’ Comici basti quel poco, che scrive Cellotio dicendo. Ora i nostri giochi sono giunti a termine tanto ignominioso per difetto degli infami Attori, che in lor presenza appena si può far un sorriso senza peccato. « Nunc infamium Joculatorum potervia in eam ignominiam lusus nostri devenerunt, ut pene sine scelere apud eos ridere nemo possit. »In Orat.

De’ Ciarlatani poi con brevità ci avvisa il Giardino de’ Sommisti nel c. 321 che peccano per le parole disoneste, gesti, e scandalo; e per li cattivi costumi, che insegnano. Tutto è vero, ne mancano in prova i casi seguiti : basti questo.

L’anno 1640 un Sacerdote grave, e uomo di belle lettere e dotto nella Filosofia, e Teologia mi disse con molto sentimento di cuore così. « Io, pochi giorni sono, mi fermai, non so per qual sventura, a sentir un ragazzo in banco, il qual diceva sfacciatamente tante, e tali indegnità, che pareva una bocca del postribolo: e io me ne confusi: onde partito risolsi d’andarmi subito a confessare di due gravi errori : il primo di aver applicato l’animo ad udire quelle indegnità: il secondo di aver scandalizzato le persone, che mi conoscevano, e mi vedevano perder il tempo in attendere ad oggetti tanto sconvenevoli alla mia profession {p. 41}Ecclesiastica, e Sacerdotale. » Ma se quel virtuoso Sacerdote sentì pungersi il cuore da giusto rimorso; pensiamo noi, che tutti ciò sentano nel cuore ? Non lo pensa, credo il pratico, anzi stima, che moltissimi gustano di quelle bruttteze, e diventano discepoli infami di maestri infamissimi: moltissimi tristi, massimamente plebei, fanno in breve gran profitto nell’iniquità: bevono come cristallina onda di fresco fronte, mille pensieri peccaminosi, e mortali, che sono poi tante ferite alle loro anime infelici.

Non voglio dir altro de nocumentiCXIX: e  voglio anche tacere il tempo, che da S.Tommaso è chiamato indebito; perché basta quel poco, che noterò nel Ricordo detto l’Instanza al Capo Quarto, Quesito undecimo: acciocché s’intenda, in che tempo si possa, o non si possa,  lecitamente usare la Comica Rappresentazione: rimetto il benigno Lettore a quel luogo senza gravarlo di nuove, e più lunghe considerazioni.

S. Tommaso tocca, come quinta di numerò, la circonstanza locale, la quale essendo sconvenevole, e indebita, rende illecita l’Azione. Silvestro dichiara per lungo indebito la Chiesa, dicendo. « Esset peccatum etiam mortale, si fiant similia a in Ecclesia. » S. Antonino dice lo stesso. Altri vogliono, che luogo illecito per le Comedie, e per le Azioni profane sia il Cortile, o Claustro sacrato. E Beltrame riferisce, che così fu stabilito col Decreto di S. Carlo. Anche il Comico Cecchino conferma il medesimo ne’ suoi Discorsi intorno alle Commedie, trattando della circostanza del luogo per recitarle. E è sentenza comunemente ricevuta, e praticata per vera: e però noi lasciamo di provarla più lungamente.

Tocchiamo coti brevità le due ultime circonstanze, che sono di negozio, e di persona, delle quali dice S. Tommaso, che l’Azione istrionica non sia « præter convenientiam negotii, et personæ ». Cioè fuor di quello, che si convenga al negozio, e alla persona.

Silvestro dice che non si facci con negoziato d’incantesimi, né da persone Ecclesiastiche. « A personis Ecclesiasticis, aut cum incantationibus »loco cit.. S. Antonino avvisa per la persona. « Non decet Clericum talia exercere. » Il decoro non comporta, che tali Azioni siano esercitate da personaggi Clericali. E aggiunge. Illecita {p. 42}è quell’arte, quando si fa con mesciglio di cose superstiziose, ovvero con pericolo della vita. « Cum miscentur ibi superstitiones, vel periculum vitæ, illicita est Ars. »

Viguerio nota. « Hujusmodi Ars non exerceantur a Sacerdotibus seu Religiosis, nec in Ecclesia, nec tempore Quadragesima. »De Tem. Cit. de Eutropelia.Esercitar non si deve cotal’Arte da Sacerdoti, né da Religiosi, né in Chiesa, né in tempo del sacro digiuno Quaresimale.

Caietano diceSun. V. Histrio.Peccano gli Istrioni secondo il luogo, il tempo, i negozi, e le persone, mentre le considerano bene, o poco le prezzano. « Peccant secundum locum , tempus negotia, et personas : dum horum aliquid non considerant, aut parvi faciunt. »

Il Comico Cecchino ne’ Discorsi dice. Alle persone chiericate, e molto meno alle sacre, non lecito, anzi in tutto è vietato l’esercitarsi in tal’Arte. E Beltrame scrive.C. 38.Che se persone non siano religiose, Vergini, Monache, e Sacerdoti. E reca in prova l’autorità del Concilio 4 Coloniense cap. 17. e del Concilio Senonevese cap. 25. E questo può bastare per dichiarazione dei  sette punti accennati da S. Tommaso intorno all’uso lecito dell’officio Istrionico : dal che pare che possa alcuno inferire. Dunque non sa cosa repugnante alla dottrina dell’Angelico Dottore, né cosa illecita quel nobilissimo Cavaliere, o quel vecchio Senatore, o quel soprano Principe, che alle volte si compiace di esercitarsi nella scena e di comparire Attore nel Teatro.

Io rispondo. S. Tommaso vuole che l’Azione non sia « præter convenentiam persone », sconvenevole alla persona. I Dottori poi considenando questa convenienza, in quanto illecita « moraliter et peccaminose », in ragion di peccato, dicono, che non è lecita alle persone sacre, o Religiose. In quanto dunque alla ragione politica, e al decoro civile, e cavalleresco, se la convenienza di persona recitante tra Comici nel Teatro convenga, o non convenga a personaggi non sacri, né religiosi,  io mi rimetto in tutto alla prudente considerazione de’ pratici negli affari della politica che prescinde dal peccato. Forse posso dire con Riccardo di San Vittorel. 5 de Arca Mystica c.19.. « Hunc locum, plenius explanandum, melius est eruditioribus ingeniis relinquere; quam de tanta materia super vires nostras {p. 43} aliquid temere præfumere. » Meglio si è, che io Conceda esplicazione di questo punto ad Autore più ingegnoso, e più erudito : e mi ritiri dalla presunzione temeraria di trattar materia sopravanzante la debolezza delle forze mie.

So, che Svetonio nella vita di Nerone scriveC 10.« Recitavit carmina in Theatro tanta universorum lætitia, ut ob recit ationem supplicatio decreta sit, eaque pars carminum aureis litteris Iovi Capitolino dicata. »C 28.Cioè. Nerone Imperatore recitò versi nel pubblico Teatro con applauso così grande di tutti, che ne fu decretata una supplicazione agliCXX Dei, come ringraziatoria per tale recitamento; e quei versi recitati furono scritti con lettere d’oro, e dedicati a Giove in Campidoglio. Il medesimo Nerone esercitò l’arte degli spettacoli tra Commedianti: e mascherato cantò anche i Tragici componimenti.

Di questo esempio di Nerone si serve il moderno Comico Beltrame per provare gli onori fatti ai Comici antichi. Se Giustiniano, dice egli, assegnò agli Istrioni poco onore, altri Imperatori con tanta molteplicità di favori liCXXI hanno onorati, che non solamente sono del pari, ma che sono in avanzo; poiché se un giocatore perde cento scudi con uno, e poi con altri ne vince trecento, non può dire d’aver perduto al gioco, ma d’avere vinto. Nerone ebbe la Commedia tanto in pregio, che la onorò fino col recitar egli stesso nelle pubbliche scene.

Beltrame nello capo 8. s’ingegna di provare gli onori fatti ai Comici anche moderni, e un argçomento è questo. Molti Principi, Re, e Imperatori hanno recitato pubblicamente ne’ loro Teatri: e a nostri tempi io ho veduto i Sereniss. duchi di Mantova Francesco e Ferdinando, e Vincenzo recitar con de’ nostri Comici: e molte volte ciò han fatto altri viventi, i quali tralascio.

Lodo Beltrame, che tralascia di nomareCXXII i Princìpi viventi, che hanno recitato: e poteva anche tralasciare i morti nominati ; ma forse il galant’uomo suppone per verissimo, che qualsivoglia personaggio illustre, recitando pubblicamente in scena, non oscuri in qualche parte la chiarezza della sua fama. E io temo assai di accettar per vero ciò, che egli suppone per verissimo. {p. 44}

Scrive Tacito, che Nerone « scenam inscendit, multa cura tentans citharam, et premeditans, assistentibus familiaribus; accesserat cohors militum, centuriones, tribunique et marens Burrhus, ac laudans ». Comparve nella scena con una Cetera in mano, sonando alla presenza de’ quoi famigliari, de’ Soldati, de’ Capitani, e de’ Colonnelli ; e vi era ancora l’onorato Gentiluomo nomatoCXXIII Burrho, il quale per essere stato AioCXXIV di Nerone giovanetto, lo mirava con gran cordoglio, vedendolo impiegato in quella pazza, e vituperosa azione ; e lodandolo per ilCXXV timore, e all’uso de’ Cortigiani adulatori. « Burrhus merebat tacitus, scrive un Moderno,tantam eius Principis insaniam, quem ipse severitate morum otium aliter intutuisset, sed quod Aulicorum ingenium est, infami adulatione propudiosam cantus harmontam laudabat: et amerente pectore assentatorias laudes avellebat. »Velázquez t. 2 in Ep. Ad Philip. C. 3 ver. 8 Annot. II n. 3. Pag 375.

Aggiungo un argomento preso dal parere del Sig. Fabio Albergatil. c. 7. II., il quale nella Repubblica Regia trattando questo dubbio. Se il Re deve intravenire ne’ pubblici spettacoli, con esercitare in essi la propia persona, dice degli spettacoli rappresentanti azioni di guerra, che molte ragioni persuadono che il Re non vi si debba intromettere; perciò che ciò non gli è decevole, né per l’essenza, né per l’apparenza. Per l’essenza, perché le operazioni del Re sono riposte nelle cose davvero, e non in quelle da burla; e volendo egli con la propria persona porger diletto ai sudditi in cose da gioco, di fine, che egli è de’ popoli suoi, si fa instrumentoCXXVI di essi in azioni accidentali dello stato suo. Oltre di ciò in siffatti giochi può facilmente perder la vita : come l’esempio di Enrico II Re di Francia ha dimostrato: e questo è cosa contraria al fine del Re, che deve la vita sua alla pubblica salute riservare.

Per l’apparenza poi non è azione dicevole al Re: perché dovendosi egli abbassare in simil giochi, e fare prova di sé, avvilisce la sua persona. Appresso potendosi ritrovare molti, che con maggior eccellenza di lui facciano cotali azioni, verrebbe a perder di quell’ammirazione appresso de’ popoli, per la quale in ogni genere tengono, che egli sopra tutti sia eminentissimo. E con ciò sia che la maestà reale non significa altro, che somiglianza di Deità, da essa il Re grandemente si scosterebbe, se in azioni ordinarie, e da burla travagliasseCXXVII, e massimamente potendo in esse {p. 45}facilmente rimaner superato: dalla qual cosa verrebbe finalmente a perdere di reputazione: e benché fosse in cose di burla; tuttavia il poco rispetto, cominciando dalle cose piccole, spesso con danno del Principe finisce nelle grandi. Degno documento fu dal Magno Alessandro in ciò dato; perché mentre era giovanetto, e ben disposto a correre, dimandato seCXXVIII volentieri sarebbe corso nello Stadio Olimpio, rispose, che volentieri, se vi fossero de’ Re che facessero a correr secoCXXIX. Onde venne a dimostrare, che le azioni, e giochi popolari a Re sono disdicevoli, non essendo con gli altri Re esercitati. Non dovrà dunque il Re, né per l’essenza, né per l’apparenza con la persona sua ne’ pubblici spettacoli maneggiarli. Sin qui l’Albergati.

Dal quale io argomento, e dico. Questo savio politico ragiona di spettacoli militari; come si è il correre lancie, maneggiare armi, e cavalli, e fare altri eserciti, ne’ quali s’impiegano i Soldati, e Caalieri: e egli non consente, che il Principe v’intervenga, esercitando insieme con altri la sua persona: quando però il costume del paese; o il pericolo di non disgustare i popoli altro non prescrivesse. Ma che avrebbe detto del comparire nella pubblica scenadel Teatro in compagnia de’ Mimi, Pantomini, e altri Commedianti: e ivi cantando, o sonando, o atteggiando trattenere con diletto, e con riso la moltitudine popolare e spettatrice ? Questa è macchia disdicevole grandemente, non solo al paludamentoCXXX Reale, ma anche al manto di un virtuoso, e nobile Cavaliere.

Crinito racconta, che Decio Laberio Cavalier Romano, e grave di età fu pregato da Cesare, che, non solo componesse una Commedia, essendo poeta di famoso grido, ma che di più la recitasse nello scenico atteggiamento. Obbedì l’onorato Vecchio ma nella guisa migliore, che poté, scusò il fatto dicendo nel Prologo.

« Ego bis trigenis annis actis fine nota
Eques Romanus lare digressus meo
Domum revertar Mimus ? Nimirum hoc die
Uno plus vixi mihi, quam vivendum fuit. »

Cioè.

Quell’io che sessant’anni senza nota
Stato son Cavalier tra miei Romani, {p. 46}
Comico tornerò al tetto mio ?
Ahi infelice vita: questo giorno
Alunga il viver mio più dell’onesto.

Ognuno può molto ben credere, che questo savio Gentiluomo stimò, « præter convenientiam am personæ suæ », convenienza sconvenevole al politico decoro, e alla gravezza degli anni suoi il pubblico recitamento, e se ne risentì tacitamente con quei versi del prologo, alludendo al Principe, che gli aveva comandato cosa indegna di un vecchio, e Cavalier Romano. « Suggilans Cesare, qui rem Equiti Romano, e tanto seni indignam imperasset, cuius non parere votis, eque periculosum est, atque mandata spenere »De mentis descensu ad hominia nihilum par. 1. C. 9 n. 70. , scrive Lodovico Busti Veneziano, e Religioso della nostra Compagnia. Ne io qui voglio aggiungere altro, ma solo pregare il prudente, e benigno Lettore; che nella bilancia della prudenza sua ponderi il decoro, e la gravità di un personaggio principalissimo, e la vanità de’ teatrali Mimi, e scenici Recitanti; e sentenzi, se tra questi può frapporsi una politica convenienza di gran persona, e una lodevole decevolezza del proprio e signorile stato;  benché il tutto si passi senza macchia veruna di peccato mortale, e senza spirituale ruina dell’AnimaCXXXI cristiana.

Quesito Decimo terzo

Che si deve giudicare delle Azioni de’ moderni Comici, e Ciarlatani secondo gli altri Dottori oltre S. Tommaso ? §

Il Comico Cecchino ne’ Discorspag. xi.i ragiona de’ Dottori di santa vita, e di sana dotttina, confessando, che non si può far di meno, di non credere che, santo zelo, e non mondana ambizione muovi la penna di questi tali a scrivcre per l’appunto, quanto comprendono esser necessario intorno all’estirpazione de’ i vizi, e introduzione de’ buoni costumi; onde non solo con puro affetto, ma con tutta riserva scrivono sempre condizionatamente, e parlano. Questi Dottori hanno mostrato, che si può non solo esercitare, ma vivere dell’esercizio della Commedia. Però S. Tommaso, e gli altri ampiamente dissero. « De illa Arte vivere non est prohibitum, ita tamen quod fiat observatis debitis circumstantiis. » E con tutto ciò non mancano alcuni di mettere ogni loro spirito {p. 47}per far credere, che quei Dottori intesero di parlare solo di quelle Commedie che dagli Accademici si recitano nelle Città.

Dal parere di costoro si dilunga il Cecchino; e io credo, che con ragione si possa dilungare; perché i Dottori ragionano dell’Arte Comica, e della Commedia « secundum se » con astrazione dai mercenari, dagli Accademici recitanti; e escludono gli illeciti modi di rappresentare : e mostrano le maniere, con le quali si possa recitando fuggir ogni vizioso intoppo, e ogni errore : e di più conseguire un’abbondante lode. « L’onore, dice Tommaso2.2. q. 144. a. 2. f., si deve alla virtù, il vitupero al vizio. » « Vituperium propre debetur vitio, honor virtuti. » Un Comico valente  che è virtuoso, merita onorata lode, e merita di esser trattato con rispetto da ogni saggio Scrittore; né si può giustamente aggregare all’infame ciurmaglia di quelli, che sotto il manto dell’Arte Comica, lecita, e onesta, rappresentano i loroteatrali mostri, cioè le Azioni illecite, e disoneste, che però sono degni di vitupero grande, e di gran castigo e, ancora di totale sterminio, e di eterno bando.

Replico io dunque che molti Dottori antichi, moderni oltre S. Tommaso dicono, e provano, che l’officio istrionico, e l’Arte Comica è lecita, e si può esercitare con virtù, e con merito di onore, e di mercedeCXXXII ; quando però si usi con il debito modo e moderazione prescritto distintamente dai medesimi Dottori. Io potrò qui detto modo, acciocchè secondo quello si giudichi delle Azioni teatrali de’ moderni mercenari; Commedianti, e de’ Ciarlatani, se sono lecite veramente, ovvero illecite. Questi Dottori sono i cristallini fonti, dai quali si può attingere l’onda di perfetto giudizio, e di giudiziosa determinazione.

Quesito Decimo quarto

I moderni Comici servono degli Antichi Dottori, per giustificar se stesse, e l’uso moderno dell’Arte loro ? §

I Fiori delle teologiche Dottrine si veggonoCXXXIII talora trapiantati ne’ giardini de’ Comici dotti, onorati e virtuosi ; e con quelli compongono odorosi mazzetti per difenderli dall’ingrato odore, che esala dal disonesto  e immoderato uso dell’Arte {p. 48}Comica, praticata viziosamente da non pochi nella cristianità. Il Comico Cecchino ha fatto una bella raccolta di questi fiori nel giardinetto de’ suoi Discorsi intorno alle Commedie: ma copia maggiore si vede nell’amenissimo giardino della Supplica del Comico Beltrame, il quale nel c. 59 dopo lunga citazione, e ponderazione di Teologi, e dottrine Teologali dice così.

« Queste poche autorità dovrebbero acquietar l’animo de’ contravversori, e accertarli, che questo caso è stato ventilato da persone di santa speculazione, e zelanti più dell’anime altrui, che del loro umano applauso. »

A Beltrame io concedo, che dice bene, volendo dire, che la Commedia è caso lecito, e che l’Arte Comica è medesimamente lecita secondo i Dottori di Teologia; né io ho trovato alcuno di essi, che sono questi termini controverti dell’uso Comico. E se egli ha trovato contravversori, i quali si oppongono con scritture, o con ragionamenti fatti senza distinzione, a me non pesa molto perché si vede chiaro da quello, che io scrivo, che non mi si confà cotal livrea. Dico dunque, rispondendo al presente Quesito, che i Comici moderni, professori di virtù, e di dottrina, si servono degli antichi Dottori, per giustificar se stessi, e l’uso moderno dell’Arte loro, e per provare in conseguenza, che le mercenarie azioni, e Commedie d’oggigiorno sono lecite, e moderate bastevolmenteCXXXIV. Noi qui vediamo, se dai Dottori antichi, citati da Beltrame, si prova efficacemente l’intento della conseguenza; oppure se resta provato il contrario gagliardamente.

S. Antonino dice. « Cum Histriones utuntur exercitio ad representandum turpia, illicita est Ars. » Illecita sì è l’Arte, quando gli Istrioni rappresentano cose brutte. Io dico, che secondo l’assenso de’ dotti un conosciuto ruffianesimo, un trattato d’impurità, un ragionamento amoroso in pubblica presenza di deboli di spirito, e fatto da due persone innamorate, sono cose brutte. E aggiungo, che cose tali si rappresentano nelle mercenarie Azioni : come rettificano gli spettatori, e lo confessano ancor Beltrame, l’Andreino, Aurelio, e altri Comici d’oggigiorno. Dunque secondo S. Antonino l’Arte Comica è illecita, non in sé, ma nel modo usato dai moderni, e mercenari Commedianti.

Il medesimo S. Antonino scrive. « Scenicus ludus pertinet ad {p. 49}virtutem Eutrapelle. » Il gioco della scena, appartiene alla virtù nomata da’ Greci « Eutrapelia », dai Latini « Jucundias », e dagli Italiani si può nomare virtù di piacevole conversazione, ovvero onesto intrattenimento. Aggiunge il Santo. « Ita tamen, quod nihil turpe ibi misceantur. » Ma però con patto, che non si frapponga in quel gioco turpitudine verunaCXXXV. Io dico, che non è osservato comunemente dai moderni Comici, e Ciarlatani; dunque le loro Azioni sono illecite per sentenza di S. Antonino.

Il Cardinale a Turrecremata cerca. « Ad Histriones sintin via damnationis ». Se gli Istrioni siano nella strada dell’eterna dannazione. E risponde, « quod uon omnes sunt in statu peccati, sine damnationis: puta illi, qui poderate ludis utuntur ». Non tutti camminano per l’infelice sentiero del peccato, ovvero dannazione: perché lungi da quel sen vanno coloro che si servono de’ giochi moderatamente. Io dico, che i moderni Comici, e Ciarlatano non si servono per lo più moderatamente dell’Arte, né de’ giochi teatrali; perché ho inteso più volte, e da più personaggi degnissimi di fede, che vi frappongono innamoramenti, ruffianesimi, tocchi inonestiCXXXVI, baci, fornicazioni finte, e altre oscenità per dilettare. Dunque essi sono nello stato del peccato, e nella via della dannazione per sentenza di questo Dottore, e Cardinale.

Ranerio Pisano avvisa. « Officium Histrionum non est secundum se illicitum, nec sunt in statu peccati, qui moderate illo utuntur. » L’officio istrionico usato con moderazione, non è illecito, né peccaminoso. Giovanni Viguerio dice lo stesso con queste parole. « Histrionum officium non est secundum se illicitum: dummodo non utantur aliquibus illicitis. » Io dico, alludendo a Ranerio, che gli Istrioni moderni non fanno per ordinario l’officio loro moderatamente. E aggiungo, aludendo a Viguerio, ce si servono comunemente di parole, di gesti e di altre particolarità illecite. Dunque secondo questi due Dottori gli Istrioni moderni comunemente fanno Rappresentazioni illecite.

Caietano insegna, che il peccato de’ Comici non consiste in « exercition Histrionatus » nell’esercizio istrionico; ma in altri capi; e particolarmente dell’uso di atti, e di parole disoneste, « precipue in materia inhonesta, utendo actibus, aut verbis inhonestis ». Io dico, che questi atti, e queste parole secondo la comune relazione {p. 50}oggidì non mancano per lo più nelle moderne, e mercenarie Azioni. Dunque sono peccaminose per sentenza di Caietano.

L’Armilla dichiara. « Histrionum Ars si debitis circunstantiis exerceatur, non est peccatum secundum D. Thomam: bene potest esse peccatum respectu materiæ. » L’Arte scenica non è peccato, se sia esercitata con le debite circonstanze: ma può essere peccato per rispetto della materia.

Io dico, che la materia peccaminosa con le parole e con i gesti disonesti si ritrova comunemente per voce universale de’ pratici nelle moderne, e mercenarie Azioni. Dunque sono illecite per sentenza di detta Somma Armilla. E anche sono illecite per sentenza della Tabiena; perché ella precisamente replica le cose dette da S. Tommaso, e con le quali si mostra l’illecita indegnità delle moderne, e ordinarie Rappresentazioni.

Giovanni Medina nota. « Histrionatus non est de se illicitus; nec Histriones ob id condemnandi sunt : modo suo officio utantur moderate. » Non è illecito l’officio Istrionico; né gli Istrioni si devono condannare: purché l’usino moderatamente.

Silvestro spiega, « Artem Histrionum ordinari, ad solatium necessarium, ac proinde licitam, si moderate fiat. » L’arte Comica è ordinata alla necessità del sollazzo; e però è lecita, se si pratica ordinata alla necessità del sollazzo ; e però è lecita, se si pratica con moderazione. Io dico, che l’esperienza convince, che la moderazione bastevoleCXXXVII non si trova per lo più nelle moderne Azioni. Dunque sono illecite ai Comici, e ai Ciarlatani, per sentenza di Medina, e di Silvestro, citati da Beltrame insieme con i soprallegati Dottori, e portati qui da me secondo l’ordine col quale il Comico li porta nel suo Trattato dell’Arte Comica cavato dalle Opere di S. Tommaso, e d’altri Sommisti.

Ivi egli ai Dottori antichi aggiunge alcuni moderni del nostro tempo, quasi con duplicata trincera voglia munire, e render inespugnabile il posto del suo Comico parere. Vediamo noi i detti, e le sentenze di questi moderni; forse troveremo che toccano tamburo, spiegano bandiera per combattere non contro di noi, ma per favore nostro, per aiutarci coraggiosamente. {p. 51}

Quesito Decimo quinto

I moderni dottori s’accordano con gli Antichi nel giudicare dell’Azioni de’ Comici moderni ? §

Quando una ragione sta ben fondata, le autorita degli scrittori le servono più per ornamento, che per sostentamento : la vera gioia scopre per se medesima il suo valore: la verità suona la tromba sìCXXXVIII forte, che risveglia, non solo gli antichi a salutarla, ma anche i moderni ad onorarla con i suffragi delle loro sentenze.

Che l’Arte Comica sia lecita, e che l’officio Istrionico illecito non sia, è verità, non di rugosa fronte, e difficile ; ma facile, certa, potente, e quello, che più importa, ben fondata sopra la ragione della dilettevole, e utile ricreazione, neccflaria alla conversazione della vita umana. Quindi con gli antichi Dottori, che l’approvano, si accordano i moderni, che non la riprovano quando però si eserciti dentro i termini della debita, e cristiana moderazione. Beltr. dopo aver citato alcuni Dottori antichi, seguita la citazione di alcuni moderni: e noi dunque seguitiamo parimenteCXXXIX a giudicare col giudizio di questi. Se illecite siano le moderne Azioni de’ Comici, e de’ Ciarlatani del nostro tempo.

« Paulus Comitulus docet, non peccare mortaliter Histriones, nisi turpes, et impudicas Comedias, spectatores ad luxuriam povocantes, recitent. »l. 5. resp. moral. q. 11.Cioè, Paolo Comitolo insegna, che gli Istrioni non peccano mortalmente, se non recitano le Commedie turpi, e impudiche, con le quali provocano gli spettatori a peccati lussuriosi.

Così precisamente dice Beltrame intorno alla dottrina di Comitolo: ma io lo pregherei, se vivesse, a considerare un poco per sé le parole di S. Ilario. « Optimus lector est, qui dictorum intelligentia expectet ex dictis potius, quam imponat; retulerit lagis, quam attulerit; neque cogat, id videri dictis contineri, quod ante lectionem presumpserit intelligendum. »L. 1. De Trinitate.Quasi voglia significar il S. che non è buon gioco far dire da un Autore ciò, che non si contiene nei detti suoi : voler esprimere la cera, d’onde esprimere si doveva il mele. Io ho letto più volte, e riletto il luogo di Comitolo e sono astrettoCXL a dire, che non dice, come lo cita {p. 52} Beltrame ; e se così dicesse, direbbe errore perché la moderazione, di che ha necessità l’Istrione, non è la sola mancanza della turpitudine. S. Tommaso, e i Dottori dicono, che l’Istrione pecca mortalmente, quando « utitur his, que vergunt in proximi nocumentum, quæ de se sunt peccata mortalia ». Quando si serve di cose nocive, che siano di lor natura mortalmente peccaminose, benché non si serva di turpitudini ; senza le quali ancor pecca secondo S. Tommaso, quando non osserva le debite circotanze di luogo, di tempo, di negozio, e di persona. Dunque Comitolo direbbe errore dicendo, come vuol Beltrame, che gli Istrioni non peccano mortalmente, se non recitino le Commedie turpi.

Che se alcuono mi chiede la sostanza del detto da Comitolo. Rispondo. Egli suppone, che la Commedia secondo la sua natura sia lecita; e tratta della Commedia secondo la oscenità, e usa il Titolo De Comediis obscenis. E propone la Questione con queste parole. « Utrum earum Actores, et spectatores sint mortiferi criminis rei. » Se gli Attori delle Commedie oscene, e gli Spettatori siano rei di colpa mortale. E egli risponde così.

« Plenus libellus extat in secundo volumine nostrorum Responsorum moralium q. 260 ubi quinque viis ostendimus, tum eos, qui agunt, tum qui audiunt impudicas Comedias, culpam lethalem non effugere. » E vuol dire, che altrove ha mostrato, che gli Attori, e gli Spettatori delle impudiche Commedie sono rei di peccato mortale ; e che ha provato il tutto con cinque maniere ; le quali di nuovo spiega in quella Questione, fatta, non contro le Commedie antiche  ma contro le moderne del suo tempo. E infine conclude, che i Comici moderni osceni meritano d’essere cacciati dalle Città, e sterminati dai confini dell’umana generazione. Or posto questo, diremmo noi, che le moderne, e ordinarie azioni de’ Commedianti e de’ Ciarlatani, siano lecite per sentenza di Comitolo ? E troppo chiara la negativa: né fa mestier, di prova per questa prova; e ove il sol risplende, la fiaccola non s’accende. {p. 53}

Nota unica

Si continua la ponderazione di quelli moderni Dottori, che Beltrame allega. §

Con la gagliarda autorità di altri moderni il valente Beltrame si sforza di conciliar credito grande al suo Discorso, e con ragione; perché avvertimento saggio di buon Padre si è l’accrescere il matrimonio al sui Figliolo, Questo Comico cessa alquanto di portar le dottrine ; e porta i nomi di altri moderni Dottori con la semplice allegazione de’ luoghi loro. Nomina in una tirata questi : Filliucci, Marcello Megalio, Henriquez, Sanchez, Emmanuel Sa, e Scarsella. E a tutti questi premette queste parole. « Eamdem sententiam amplectuntur. » Abbracciano la stessa sentenza. E se vuol dire, che, come Paolo Comitolo insegna, che gli Istrioni non peccano mortalmente, se non recitano le Commedie turpi, provocative alla lussuria ; così insegna Fillucci, e gli altri citati. Io rispondo, che, come Comitolo non insegna nel modo scritto da Beltrame, così non insegna Filliucci, le cui parole sono queste. « Quaero de representantibus Comoedias turpes, Respondeo, si Comoedia res turoes repræsentent, vel eo modo, ut ad venerem, ut plurimum excitent, peccare mortaliter eas representantes. »Tr. 30 n. 210.Il che vale. Se le Comiche Azioni rappresentino brutti oggetti, ovvero con modo tale, che perlopiù recitino alla disonestà, gli attori peccano mortalmente. E questo è i verissimo, né contiene errore alcuno; ma non fa il senso scritto da Beltrame nell’allegar Comitolo: perché ogn’uno intende, che il dire. Titio non pecca mortalmente, se non fa questo, è assai diverso dal dire. Titio pecca mortalmente facendo questo. La prima proposizione con la negativa restringe il peccato ad una sola ragione, escludendo le altre. La seconda proposizione con l’affermativa mostra una ragione del peccato, non escludendo le altre, se vi possono essere.

Ma forse Beltrame dicendo. « Eamdem sententiam amplectuntur. » Allude ai Dottori Antichi citati avantiCXLI Comitolo, e significa, che ancor Filliucci, e gli altri nomatiCXLII sentenziano, che l’Arte Comica e la Commedia è lecita. E se egli intende questo, io approvo la sua intelligenza, e passo alla citazione di Marcello Megalio, {p. 54}

Citato da Beltrame così. « Tomo primo. Variatur resolutionum, resolutione 26. E Tomo primo Promptuarii. Verba Commoedia, numero 2. »

Ma Francesco Maria del Monaco, Religioso della medesima Religione de’ Chierici Regolari Teatini, della quale è Marcello,  lo cita così.In Parene si Class. 4. pag. 20. « In Epitome sue Institutionis n. 16 pagin. 166. Editionis Mutinen. » E aggiunge, che dica. « Mortaliter peccat, qui in Comoedias, aut alibi verba dixerit ad lasciviam, et fornicationem incitantia, licet ludicre, et tantum ad animi relationem : mortalis etiam criminis rei sunt, qui voluntarie ea audiunt quavis ea audiant absque sensuali delectatione, et tantum animi gratia. »

E si deve notare, che Francesco Maria pone Marcello nella classe di quei principali Teologi Scolatici, che insegnano, essere rei di peccato mortale gli Attori, e gli spettatori delle Commedie correnti. Onde Beltrame non lo poteva allegare, come favorevole alle sue, che per molti capi sono illecite.

Dello stesso parere si è Girolamo Fiorentino, il quale nella Commediocrisi porta alla lunga l’autorita di Marcello, e la pondera per minuto paratamente, e ne conclude, che egli « non favet Comoediis, quoniam sequitur sententiam S. Thomæ »n. 18 pag. 41., non favorisce alle Commedie di Beltrame, perché segue la sentenza di S. Tommaso, con la dottrina di cui restano condannate per le loro oscenità; ancorché Beltrame non se lo persuada.

Veniamo alla considerattone delle parole di Henriquez, le quali lanciate da Beltrame sono queste. « Inter publicos peccatores numeratur Histrio, nempe ille, qui recenset ex officio turpes Comedias, et spectantes provocat ad peccatum, qui non, nisi dimisso officio, absoluendus est, multo minus admittendus publice ad communionem. »8. Sum. c. 56. n. 4.Il senso del qual luogo è questo. Tra pubblici peccatori si numeraCXLIII l’Istrione, cioè quello, che per officio recita le Commedie turpi, e prouocative alla turpitudine del peccato : il quale Istrione, se non lascia l’officio, non deve essere assoluto, e molto meno ammesso alla santa, e pubblica Comunione. Io dico, che le Commedie moderne per ordinario sono turpi per le lascivie degli amanti, per iCXLIV lenocinii, e per altre ragioni molto ben fondate. Dunque i Comici, che sono tali, si devono numerare tra pubblici peccatori per sentenza di Henriquez.

Ponderiamo le parole di Sanchez nel luogo citato da Beltramel. 9 de matr. d. 16 u 42.. « Componentes, aut representantes Comoedias, quæ res valderupes, ac ad Venerem excitantes continent, peccare mortaliter: quia sunt multis causa ruina. » Et aggiunge con un altrro Dottore. « Licet componens, nel representas id non intendat: quia ex se præbet sufficientem ruina causam. » E significa, che il Compositore, e l’Attore della Commedia brutta, pecca moralmente; perché cagiona la ruina di molti ; benché ciò egli non pretenda.

Or qui domandera taluno. Si trovano cose molto brutte, e eccitative allaCXLV disonestà nelle Commedie del nostro tempo ? Risponde la fama con l’affermativa: lo confermano gli Spettatori e io noi posso negare in riguardo della maggior parte di tali Commedie. Dunque le più sono illecite per sentenza di Sanchez; al quale aggiungo secondo l’ordine della citazione di Beltrame Emmanuel Sà, ove dice. « Histrionum ludi non condemnandi, si modeste agant. »v. Ludus n. 10.I Giochi Istrionici non sono illeciti, se son fatti modestamente. Io dico, che moderni Istrioni non servano perlopiù la modestia ne’ loro Comici giochi ; perché usan impurità mortali con le parole, con i gesti, e col modo ; come piena bocca i Savi lo rettificano della maggior parte di loro. Dunque i giochi Istrionici, e le Commedie correnti per la maggior parte sono illecite per sentenza del Sà.

Il Bonacina si legge ancora tra i Dottori allegati dal Comico a suo favore; ma io credo, che noi siamo i favoriti da lui, e non Beltrame. Propone il Bonancina, non le parole precise, che usa Beltrame, ma queste segnatamenteq. 4 de matr. p. 9 n. 21.. « Utrum interesse Comoediis sit peccatum mortale: nam si Comoedie turpia præsentent, est peccatum mortale illis interesse cum delectatione rerum narratum, vel cum periculo delectationis, vel alterius peccatis gravis. Non est vero peccatum mortale interesse Comedii ob solam delectationem in verbis, quæ ob solam vanam curiositatem audiuntur. » E nel n. 22 dice degli Ecclesiastici, che mentre « assistunt Comoediis Comadys secluso scandalo, vel alio periculo peccati, non peccant mortaliter verum tamen est, Ecclesiasticos debere ad huiusmodi nugis abstinere: nam prohibitum est illis: nihilominus prohibitiones non obbligant sub mortali. »

Io qui considero che il Bonacina parla delle Commedie turpi, {p. 56}come provano quelle sue parole « Si turpia repræsentent ». E tali egli, almeno implicitamente, dichiara illecite; come suppone lecitissime le oneste. Considero inoltre, che le moderne de’ Comici mercenari sono ordinariamente turpi per le ragioni dette di sopra, e replicate più volte. Dunque sono illecite per sentenza del Bonancina.

Dopo il quale Beltrame citando l’ultimo Autore dice. « Dominus Ultricus in sua Summa. Aliqui suint Comici potius ex necessitate, quam ex voluptate; quia nullo ludos turpes, sed liberales, scilicet tales, qui in dictis, et factis nullum faciunt præjudicium virtuti: et tamen afferunt jjucundicatem, et illos non credo ex hoc in malo statu. » Cioè. Alcuni sono Comici, piuttosto astrettiCXLVI dalla necessità, che mossi dal piacere; perché con altro artificio non sanno procacciare il vitto per sé, né per i suoi: né esercitano giochi turpi, ma liberali, cioè tali, che non fanno con i detti né con i fatti pregiudizio alcuno alla virtù; e non dimeno apportano un consolativo diretto. E questi io non credo, che per tale esercizio vivano in cattivo stato.

Questo Autore discorre bene, e io approvo la sentenza sua, la quale in sostanza è favorevole ai Comici modesti, e prego il misericordioso Iddio, che tutti gli altri moderni professori dell’Arte Comica seguano l’esempio di questi onorati, e virtuosi, e non faccinoCXLVII disoneste Rappresentazioni acciocché non vivano in stato di malvagità, ma in stato di grazia con speranza di molta gloria: onde si possa verificar di loro ancora quello, che di un Giocolatore fu rivelato al B. Pafnuzio; cioè che doveva essere suo Compagno nella celeste beatitudine, come si legge nelle vite de’ Santi Padri, e lo porta S. Tommaso nella Somma della sua Teologia2.2 q. 168. a. 3 ad. 3.. Pensino i moderni Comici, esser verissimo, ch’ogni stato dell’umana vita ha avuto i suoi virtuosi Professori, e che il sole risplende per ogni clima; e cavino da questa verità frutto copioso di cristiana santità; e si ricordino, che, chi chiude gli occhi, non gode il lume, e camminando in tenebre, s’incammina a precipizio dell’eterna ruina, e sempiternaCXLVIII morte. {p. 57}

Quesito Decimo sesto

Oltre gli allegati Dottori Moderrni ve ne sono altri parimente Moderni, per giudicare delle Azioni de’ Moderni Comici ? §

La moltitudine delle voci, accordate secondo la buona legge della musica, non toglie la soavità dell’armonia ; anzi la rende ancora più soave, e più gradita: né una bella pittura comparisceCXLIX men graziosa al lime di molte torcie; anzi par, che acquisti non so che di leggiadria, e di splendore, per più graziosamente comarire, e dilettare glli occhi de’ vagheggiatori. Sono voci risonanti, e torcie risplendenti le autorità de’ molti Scrittori, che si allegano per favore della Commedia, e dell’Arte Comica; per ragione delle quali autorità si ode più dolce, e più armonioso il comico concentoCL; e più vivamente spicca la graziosa, e Comica pittura. Dunque noi portiamo nuove autorità di altri moderni Dottori, non portare da Beltrame, il quale saggiamente dice, non aver dubbio, che non vi siano altre autorità da lui non vedute. Io ho vedute quelle, che qui porrò distintamente con il solito fine; cioè accicché possiamo giudicare, se le moderne Azioni, e Commedie siano lecite, o no secondo le sentenze de’ sacri Teologi, e de’ valenti Dottori.

Tommaso Boninsegni Domenicano, e pubblico professore di Teologia nell’Accademia Fiorentina diceTr. 21 de ludo c. 2.. « Histrionatus Ars de sui natura non est illicita. Et Augustinus vituperans eos, qui Histrionibus donant, non propterea Histrionatis Artem illicitam facit, si pravis circunstantiis, quæ illicitam reddunt, spolietur. » Cioè. L’Arte Istrionica non è illecita di sua natura. E Agostino vituperando quelli, che fanno donativi agli Istrioni, non perciò fa illecita l’Arte loro, quando sia priva di quelle cattive circostanze, che la rendono illecita. Io dico, che quest’Arte a nostro tempo non è priva ordinariamente di molte cattive circostanze di detti e fatti osceni: dunque è illecita per sentenza del Boninsegni, e illecitamente praticata dai Commedianti.

Bonacina scriveDe Matr. q. 4. p. 9 n. 23.. « Patet, Componentes, et Repræsentantes Comoedias, que continent valde turpes, et excitantes ad libidinem, peccare mortaliter, quia dant causam ruine, quamvis illam {p. 58} non indendant. » E punto di verità patente, che i Compositori, e gli Attori delle Commedie, che contendono cose molto brute, e eccitative alla libidine, peccano mortalmente; perché danno la cagione della ruina; benché essi non pretendano di darla. Io dico, che cose molto brutte, e provocative alla disonestà sono le rappresentate fornicazioni e aulteri. E aggiungo, che queste non mancano alle volte nelle Commedie del nostro tempo; come in quella sporchissima intitolata con il vituperoso nome dei Tre BECCHI, e fatta nella presenza di un gran popolo, e di molta nobiltà; che così appunto mi confessò, pochi anni orsono, un Comico principale, e che fu Attore in quella. Dunque a nostro tempo si fanno Commedie illecite per sentenza di Bonancina, e necessaria moderazione.

Il medesimo Dottore dice. « Quæres. Utum ludi Histrionum sint liciti ? Respondeo, licitos esse, si honeste fiant: secus, si turpiter et inhoneste; aut cum representatione turpidum exerceantur. »De Restit. in partic. d. 2 q. 3 p. 1 n. 16.Alla domanda. Se i giochi Istrionici siano leciti, questo Autor risponde, che leciti sono, se onestamente si fanno e illeciti, se son fatti bruttamente, e con disonestà, ovvero se esercitano con Rappresentazione di cose turpi. Io dico, che le burle, e i giochi fatti bruttamente, e disonestamente; e la rappresentazione di cose turpi, purtroppo si adattano per la maggior parte, secondo la comune testimonianza de’ savi, alle Commedie d’oggigiorno: dunque sono illecite secondo il Bonancina.

Sanchez tieneCLI illecita la Commedia, « quando miscenturres directe, ac per se provocantes ad luxuriam »T. 1. Oper. Mitr. T. 1. c. 8. d. 35., quando ha miscuglio di cos ponocative direttamente, e di sua natura alla disonestà, come farebbe un amoroso, e pubblico invito alla fornicazione. Né queste bruttezze mancano per la maggior parte nelle correnti Commedie: dunque sono illecite per sentenza di Sanchez.

II medesimo scrive nel citato capo, che sarebbe peccato mortale mirare i giochi Scenici con probabile pericolo di mortalmente peccare. « Inspicere Ludos, quando ob id exponeret quis sed periculo probabili peccandi mortaliter: ut si represententur turpia, ex quibus ipse incitetur ad veneroa. »l. 30 n. 3.Come se si rappresentassero cose turpi, dalle quali lo spettatore si muovesse alle disonestà. E io credo che oggetto sarebbe, se un Giovane {p. 59}debole di spirito vedesse, e udisse due persone innamorate a ragionar secretamente insieme, e a sfogare i loro affetti con parole ardenti, e con focose brame di venire a cose disoneste. E affermo per certissimo, che i moderni Comici, per la maggior parte, non si astengono da tali rappresentazioni: dunque sono illecite per sentenza di Sanchez.

Reginaldo avvisa. « Illicitus est ludus, qui tailis sit, qui soleat ludentem indicere ad peccatum mortale. »L. x. n. 384.Giudicar si deve illecito quel gioco, il quale sia tale, che sognia indurre il Giocatore al commetter colpa mortale ; e di tal condizione sono molte Commedie del nostro tempo : dunque sono giochi illeciti per giudizio di Reginaldo.

Baldelli dichiara illecita quella Commedia, che è molto brutta, e molto eccita alle sozzure di Venere, « valde turpis, e multim excitat ad res veneras »l. 3 d. 18. n. 2.. Come sarebbe il condurre chiaramente a fine una fornicazione. E tali sporchezze si usano per ordinario per imbrattare a nostro tempo la scena, e il Teatro: dunque sono illecite le Commedie mortne de’ mercenari Comici per sentenza di Baldelli.

Viguerio nota. « In ludis cavendum primum, e priìncipaliter est, quod delectatio non quæratur in turpibus factis, vel verbis ad lasciviam provocantibus; quia tales ludi dicuntur diabolici. »Instit. De Virt. Temp. Per. c. 7 § 9.Cioè. Nei Giochi prima, e principalmente si avverta, che non si cerchi il diletto ne’ fatti turpi, o nelle parole disoneste; perché giochi tali si appellano diabolici. E pure molti moderni Comici, e Ciarlatani, par che non sappiano dilettar, se non usano parole, o fatti rutpi: dunque i loro scenici giochi sono diabolici, non che illeciti, per sentenza di Viguerio.

Azor parlando delle oscenità Teatrali, dice, che rare volte gli spettatori le mirano senza peccatp mortale, attesa l’umana fragilità. « Raro in aspectu similium rerum deerit peccatum mortale propter hominum fragilitatem. »3. Institit. Mor. l. 5 c. 27 q. 9.Dunque molti de’ moderni Commedianti sono cagione di peccato mortale a loro spettatori fragili di virtù, che certo non mancano: perché si sa, e vede, che spesso rappresentano loro molti lenocinii, molte ruineCLII di caste persone, e altre cose formite di simili, o peggiori oscenità; e per conseguenza tali rappresentazioni moderne sono illecite per sentenza di Azor. {p. 60}

Potrei lasciare lo scritto da altri moderni Dottori; perché basta il notato sin qui per dichiarare, che illecitissime sono moltissime Azioni del moderno Teatro; con tutto ciò voglio aggiungere qualche altra autorità; acciocché quei, che hanno spirito di vera cristianità, fuggano più volentieri, e più velocemente ogni pericolo di oscenità, ricordevoli, che, chi troppo si assicura, spesso trascura il suo bene, e che malamente giunge al fiorito, e delizionso colle della virtù, chi non s’allontana presto dal lezzo del peccato.

Nota unica

Seguita all’allegazione di altri Dottori. §

La musica a due Cori serve di duplicata consolazion al nostro udito; perché quelle graziose vidende musicali rinnovano il diletto agli Uditori. Io bramo consolare, e dilettare i virtuosi, e zelanti Censori delle Comiche oscenità: e per ciò fare, voglio allegare altri Dottori, che formino un nuovo Coro, e col canto delle loro sentenze raddoppino l concento dottrinale a favore della necessaria moderazione del cristiano Teatro, e a condannazione delle indegnità de’ moderni Comici, e Ciarlatani. Ecco il primo personaggio di questo Coro.

Piero de Gusman tratta delle moderne, e Comiche RappresentazioniL. dell’onesto travaglio. Disc. 6., e mostra molto bene, che sono peggiori, che non erano gli antichi giochi Gladiatori, e pure quei giochi erano certamente illeciti, e come tali furono levati per comandamento di Onorio, e di Arcadio Imperatori: dunque molte moderne Comiche Rappresentazioni sono illecite per sentenza di Piero de’ Gusman.

Francesco Maria del Monaco nella sua Parenesi approva prima le Commedie lecite, e poi dichiara per illecite quelle del nostro tempo, dicendoPag. 271..

« Certissimum remanet, nec a quoquam in controversiam renoncatur: honestis nempe repræsentationibus, et iocis non esse illicitum interdum interesse: et qui sic interdum lodunt, etiam licite sustentari posse: illosque aliquando audire ad Eutrepeliam, que est modeste species, pertinere. {p. 61}

Turpe Comoediæ eæ sunt; quæ fædissimas hominum, mulierumur coram exhibent actiones; puta oscula, amplexus, saltationesque, illas, lascivasque; cantilenas, quibus aut Venus saltatur, aut cantatur, aut exprimitur. Turpes Comoediæ eæ sunt, in quibus de amantium furtis de coniugum adulteriis, de Meretricum, Lænonum, Puellarum, Adolescentum clandestinis artibus, veneficiis, amoribus agitur: utque distinctius loquar. Turpes, fædeque æ sunt, in quibus viri, et feminæ de amoribus ludunt, agunt, colloquuntur. Cum ergo in nostri temporis Comediis quæ a venalibus hisce meretricalis, et histrionibus exibentur, et viri, et mulieres in scenam prodeant, de amoribus huiuscemodi agant, et proscena colloquantur, saltent, ludant ; id etiam certissimum, atque evidens remanet, omnes nostri temporis Comoedias obscænas esse, atque in honestas, et turpes. Quis namque las fabulas, quas hi in scena agunt, non turpes nocet : quando quidem eodem extra scenam non essent sine ingenti turpitudine, non essent sive crimine, non sine sceleres. Quam queso maiorem honestatem in scena acquirunt stupra, incestus, adulteria, quæ illic verbis, gestibus, fabulis, saltationibus, scurrilitatibus adornantur, so forent extra scenam tam inhonesta ? an minus peccaminosa, quia publica ? an minus deda, quia coram omnium oculis ? quia in Theatro ?

Ego sic de finio. Nostri temporis Comedias neminem honestas appellantem audivi, nisi autores turpitudinum, nel fautores. Eos dumtaxat, qui ut fædissima crimina maiori immanitate exequantur, et iterent, ficto honestatis velo obtergunt, prave licentiæ nomine implicant, aut seculorum consuetudine innolunt, aiuntque licere id, neque inhonestum. »

Lodovico Cellotio nelle Orazioni sue latine stampate in Parigi l’anno 1631 condanna con molte ragioni, e autorità; e riprova efficacemente la troppo smoderata libertà de’ tnoderni Comedianti, dicendo in sostanza, che sono molto cattivi; poiché nell’arte loro egli trova malizia, nelle favole oscenità, nelle persone infamia, per tutto turpitudine, e in luogo niunoCLIII un pelo di bontà. « In Arte nequitiam, infabulis oscenitatem, in personis infamiam, ubiquem turpitudinem, nullibi pilum probitatis. » E aggiunge, che questi mercenari Attori sogliono imbrattar la scena con molte ordure, quali sono i giochi di parassiyo, i motti di Meretrice {p. 62}, e i trattati d’impudico amore. « Iocis parasiticis, salibu meretriiis, amatoriis pulmentis scenam conspergere solent. »

Ma chi può negare che oggigiorno quelle bruttezze non veggano, e non si odano  ordinariamente nelle moderne Azioni de’ Comici, e de’ Ciarlatani ? dunque sono illecite per sentenza di Cellotio.

Gio. Mariana citato dal Monaco scrivel. 3 de Rege, et Regis instiuti c. de spect.. « An maior corrupte la morum excogitari potest ? Quæ enim in scena per imaginem aguntu per acta fabula cum risu commemoratur; sine pudore deinde fiunt, voluptatis cupiditate animum titillante qui sunt velunt gradus ad suscipiendam pravitatem; cum sit facilis a iocis ad seria transitus. Censeo ergo moribus christianis certissimam per tenafferre Theatri licentiam. »

Pietro Casano nell’Operetta bella, e fruttuosa del Fanciotti detta il Giovane Cristiano, dicec. 15. 3 p. , che le Commedie d’oggi contengono sempre cose lascive, atti, parole, trattamenti, e discorsi disonesti; insegnando, come si possa conseguire un sui intento; come ingannare il marito di una giovane; come fare ingiuria all’onore di una famiglia: le quali cose sono provocative alla disonestà, e di lor natura peccati mortali.

Il medesimo Autore dice in ordine a giovani. Dalle Commedie d’oggi escono in danno della misera gioventù; come da fornace di Babilonia, fiamme ardentissime di libidine, e d’altri infiniti vizi, dunque le moderne Commedie sono illecite per sentenza del Casano.

Gambacorta in un Trattato manuscritto, veduto da me in Palermo l’anno 1638 discorre dottamente, e domanda.

Onde saprò, se la Commedia sia buona, o mala ? Rispondo la Commedia consiste in detti, e fatti, ordinati ad una ragionevole ricreazione dell’animo: come si cava da Aristotile nel 4 dell’Etica. E tali detti, e fatti si esamineranno in due mdi: prima che non repugnino alla retta ragione con disonestà: secondo che non dissolvano i costumi. Questo è quanto al soggetto della Commedia: in quanto poi alle circostanze si deve osservare il tempo, il luogo, e la qualità delle persone: cioè che i detti, e fatto fianco convenienti al tempo, al luogo, e alle persone : Aggiunge di poi questo Teologo il suo senso intorno alle correnti Commedie dicendo {p. 63} così. Le Commedie, che vanno per l’Italia, sono comunemente pessime, e pregiudicano incredibilmente ai costumi; e come peste dovranno essere sterminate dal Cristianesimo.

Io credo, che niunCLIV Savio, e pratico della moderna, e mercenaria scena vorrà negare, che l’Azioni de’ nostri Commedianti non siano illecite per sentenza di Gambacorta, e degnissima della sua riprensione. Dunque notiamo in gran difetto della maggior partedegli Istrioni nostri con lo sfregio del nostro riprensivo affetto, e vituperiamo anche con la lingua quelli, che per cagione della lingua si rendono degnissimi di ogni vitupero; ne ricopriamo col manto di tollerabile ricreazione quel trattenimento teatrale, che per verità si è una intollerabile dissoluzione. Bernardino de Vigliegas della Compagnia di Gesù nell’Esercizio spirituale dedicato alla Regina di Spagna chiama le Commedie moderne una profanità, le quali mandano in rovina i buoni costumi: dove si rappresentano amori lascivi: e dove sono tanti Demoni, che stanno investigando con maleCLV suggestioni, quante sono le persone, che vi dimorano.

Nota Girolamo Fiorentino nella sua dotta Commediocrisi, parlando delle Commedie disonesteCLVI, licenzione e illecite che le correnti sono illecite, se si deve credere a personaggi degni di fede: « Si viris fide dignis adhibenda est fides, tales ut plurimum esse suspicior », dubito, che per lo più tali, cioè illecite, siamo quelle del nostro tempo. E è chiara la sentenza condannatoria di questo buon Teologo, il quale professa non usare esagerare; ma scrivere con tutto rigore scolastico a fine, che si distinguano giudiziosamente le lecite dalle illecite Rappresentaizoni.

Pio Rossi nel suo Convito morale stampato l’anno 1639 nella parola doppia, Passatempo pubblico, dice. Le materie Comiche sono ordinariamente tali, che l’onestà non v’ha parte alcuna: e i Comici fanno più presto l’officio di Ruffiani, che d’Istrioni.Dunque le moderne Commedie furono ordinariamente illecite per sentenza di Pio Rossi.

Battista Fragoso scrive. « Sit prima conclusio. Actores, sine Re præsentatores rerum admodum turpium, et Comediarum, qua continent res, vel modos, valde turpes, et ad Venerem excitantes, peccant mortaliter, quia dant causam, seu occasionem ruinæ. »In Reg.Re ip. p. 1, l. 8 disp. 2 9.4 n. 185. {p. 64}Cioè. Sia la prima conclusione. Peccano mortalmente gli Attori, ovvero i Rappresentatori delle cose molto brutte, e delle Commedie le quali contengono cose, ovvero modi di molta turpitudine, e che eccitano alla disonestà; e la ragione si è, perché danno cagione, ovvero occasione di ruina. Cita molti Dottori, e poi soggiungeCLVII. « Quamvis Actores, seu Rapresentantes non intendant nocere Spectatoribus. Scous si Comedie, seu modus repræsentandi sint leniter turpes tunc enim non erit mortale, sed veniale, eo quod non proxime, sed remote ad Venerem incitant, ac disponnunt. » Cioè gli attori peccano mortalmente, benché non pretendano recare nocumentoCLVIII agli Spettatori. Di altra maniera si giudica, se le Commedie, ovvero il modo di rappresentare siano macchiati leggermente di bruttezza; perché allora non sarà colpa mortale, ma veniale; atteso che non eccitano, né dispongono alla disonestà da vicino, ma da lontano. Nelle moderne Commedie sono spesse volkte mostri di bruttissima disonestà, dunque sono spesse volte illecite per sentenza di Fragoso, il quale ha stampato l’anno 1641.

Ma dove lasciamo l’autorità degli stessi modici moderni ? Parlo di quelli, che professano di essere Attori onorati, virtuosi, molti il Comico Cecchino, e Beltrame. Il Cecchino dice ne’ suoi Discorsi, che i Santi Dottori non vogliono, che la materia della Commedia attenda alla distruzione de’ buoni costumi, all’offesa del prossimo. E io approvo il detto di questo Comico: ma non posso approvare quello, che vi aggunge dicendo. Cose, che ogginon si costumano. Perché io veggo, e lo veggono tutti quelli, che vogliono aprire gli occhi, che oggi molte Compagnie di Comici con le loro oscenità offendono gravemente il prossimo, e precipitandolo in molti peccati, e « in actu exercito alla destructione » de' virtuosi, e onesti costumi: dunque le Azioni di questi Comici sono illecite per sentenza del Cecchino, il quale anche confessa candidamente, che a nostro tempo non mancano Professori dell’Arte comica, i quali non la esercitano con la debita moderazione.

Beltrame favella più chiaro, e più spesso a nostro favore contro le illecite Rappresentazioni. E vero, che egli nel c. 58 dice. « La Commedia è oggi mai passata per la trafila: e se già fuCLIX, chi la {p. 65}biasimò; o che non la conobbe, o che non era simile alla nostra. » E nel c. 59 propone il teologico Trattato dell’Arte Comica cavato da S. Tommaso, e da altri Sommisti, con che prova, che la Commedia è lecita. Ma è verissimo ancora, che il medesimo Beltrame concede in più luoghi, che tra Comici modesti se ne trovano degli osceni, e se ne son trovati parimente ne’ tempi andati. Dice nel c. 19. « Non tutti i Comici sono stati modesti : sempre vi sono stati buoni, e rei: troppo farebbe, che tutti i Comici fossero uomini dabbene. »

E nel c. 56 parla così d’alcuni. « Certi Comici segregati dalla civiltà, eretici all’onore, e fedeli all’ignoranza ». E poco dopo aggiunge. Troppo farebbe, che fra tante persone libere, e comode a poter far male, non se ne trovasse più d’una spropositata, e forse manigolda: : io ho gran dolore, che vi siano Comici mal costumati.

Beltrame ha ragione di aver gran dolore; perché certamemente vi sono oggi molti Commedianti, che fanno Azioni tali, che, per sentenza d’ogni Comico virtuoso, dotto, e onorato, sono illecite. Ma per qual ragione ? Io lo spiegherò nel seguente Quesito; e sarà nuovo beveraggio per la nostra sete; e io procurerò d’attinger l’acqua da salutifero, e cristallina fonte.

Quesito Decimo settimo

Per quale ragione le Azioni di molti Comici moderni sono illecite ? §

La sola faccia della disonestà, che mostrano le Azioni, e le Commedie di molti mercenari, e moderni Attori, basta in luogo di mille motivi per fuggirle, a chi desidera di buon cuore la salvezza. Nondimeno la dichiarazione dì alcune ragioni può servire per meglio stabilire il desiderio di fuga ne’ virtuosi. Dico dunque, che la Commedia poco onesta è illecita per molte ragioni : due sole n’accennoCLX con brevità: e la prima si legge nell’Antidoto contro le Commdie, ove il Teologo Autore dice. « La Commedia poco onesta induce al peccato con un modo facilissimo, e accomodatissimo alla natura, e capacità d’ogni uomo: che è presentare alla natura corrotta, e al male inclinatissima, il piacere sensuale per la via quasi di tutti i sensi, e insegnare all’uomo {p. 66} le maniere; e i modi, che tener, dove, per facilmente e presto conseguire ogni sui intento, benché il disordinatissimo: di modo che la Rappresentazione disonesta è come un’avvicinare il fuoco all’esca del nostro senso, il quale ancor che sia lontano dall’oggetto, molte volte però s’accende, arde, e si consuma, che sarà poi vicino ? Di più è come una scola aperta all’intelletto confederato col senso, per imparare ogni male: onde non è occasione sola di peccato la Rappresentazione brutta; ma è insieme maestra; ne solamente ti provoca al male ; ma te lo insegna; ne te lo insegna in un modo poco efficace ; ma con l’esempìo, che è modo, e mezzo efficacissimo, per apprendere ogni cosa benché difficile; quanto più poi il peccato, che è tanto stretto amico della nostra guasta natura ? » Ne con l’esempio solamente; ma con le parole ancora, che sole, semplicemente prounciate, come tante scintille bastano per accendere dentro di te ogni gran fuoco di concupiscenza: che faranno dunque moltissime insieme, tanto artificiosamente fra di loro concatenate, e recitate con tanta energia, e vaghezza, con tanta variazione di voci pronunciate, accompagnate poi con gli atti vivi, inventati con industria, per eccitare in te disonesti affetti, e pensieri; e pervertire i tuoi costumi ? Perché se bene sono favle, e finzioni poetiche quelle, che si rappresentano; nondimeno è sempre vero il detto di Lattanzio. « Docent adulteria, dum figuunt. » I Comici insegnano a fare gli adulteri, mentre con finzioni li rappresentano nel Teatro; e quel detto di Arnobio suo maestro. « Histrio amorem, dum fingit; infligis. » L’Istrione impiaga il cuore all’amore, mentre che finge amore.

Credo, che quella prima ragione, quasi acceso doppiere, facci comparire la bruttissima forma, e lo sformato viso della Commedia oscena, e illecita; onde ogni saggio lettore la giudichi degna di questa fuga, e di perseverare abominazione.

Vengo alla seconda ragione, che è quella, che alcuni innominati portano appresso Beltrame, e de’ quali egli nel c. 19 così discorse. Alcuni zelanti della salute umana si muovono a biasimare le sceniche Azioni, volendo fare argomento, che essendo la Commedia un passatempo, composto di parole, e di gesti, le parole e gesti non possono essere tanto aggiustati, che non {p. 67}abbiano partecipazione con le oscenità; e però stimando le Commedie licenziose, e disoneste, presuppongono vicinitaCLXI di peccato mortale.

Questa ragione non piace a Beltrame: con tutto ciò non la riprova efficacemente: perché ella è buona, e fa la Commedia illecita in riguardo di molti Comici moderni, i quali non vivono tanto aggiustamente, quanto si richiede alla cristiana moderazione; e però spesso escono in brutte, e indegne oscenità, o per vizio volontariamente, o per inavvertenza colpevolmente, atteso l’abito cattivo, e invecchiato in queste sordidezze.

Mi ricordo quello, che, molti anni sono, occorseCLXII nel Seminario Romano. Il P. Gio. Paolo Navarola Rettore, per trattenere quella numerosa Gioventù ne’ giorni di Carnevale con qualche necessaria, e onesta ricreazione, fece venire i Comici Mercenari; mi diede loro espresso, e replicato ordine, che non dicessero, né facessero cosa di veruna oscenità: promisero quei galant’uomini, e fecero le Azioni per qualche spazio di tempo con la debita moderazione, e necessaria modestia; ma alla fine l’abito loro osceno si smascherò, e fecero delle sconvenevolezze: onde tosto il zelante vecchio, e ottimo Superiore, alzandosi nel mezzo dell’Auditorio, liCLXIII sgridò aspramente, e li constrinse a ritirarsi dentro dellaCLXIV scena pieni di molta confusione, e grave scornoCLXV. Questo racconto ho io inteso da personaggio vecchio: religioso e gravissimo, che allora giovanetto si trovava presente in seminario. Ecco che la forza dell’abito cattivo esceno fa sdrucciolare i poco virtuosi Commedianti : malamente si sta in piedi alla lunga nel lubrico della viziosa, e abituale oscenità. Ma con un altro breve Quesito veniamo alla fine di questo primo Capo.

Quesito Decimo ottavo

Perché si è dichiarata con tante autirità di sacri Dottori, e d’altri Scrittori la Qualità della Commedia oscena, e illecita ? §

Sembra un perdimento dell’opera, e della fatica l’’impresa di faticar, e discrivere la risposta del proposto Quesito. Beltrame del c. 53 dice, che si ricercano le autorità alle cose dubbiose, le. quali non si possono provare con altro mezzo, per {p. 68}essere, o lontane, o passate, o sconosciute; ma della Commedia che occorre, che un Savio mi dica, che sia buona, o rea: se io mi posso chiarire, quando voglio ? Ridico, che sono tutte stiracchiature: una buona coscienza vale per mille testimonianze: il ricercare scritture contro le Commedie è un ricercar il coraggio tra gli Arsenali.

Io rispondo a Beltrame, che si ricerca il coraggio, e il cuore per opporsi coraggiosamente alle oscenità, e ai peccati, che provano l’anima della vita spirituale. E si è dichiarato con tante autorità di sacri Dottori, e d’altri scrittori, quali siano le Commedie oscene, e illecite; perché quelle de’ nostri moderni Commedianti mercenari hanno per ordinario delle oscenità mortali in modo, che il Teologo Bresciano nell’AntidotoC. 1 p. 3. le chiama Commedie nefande, che di natura loro sono incitative al peccato. E queste oscenità di queste Commedie non sono conosciute da molte persone, per altro pratiche, e giudiziose, le quali non le approverebbero in modo alcuno, se le conoscessero per mortali. Ponderiamo per acconcio del mio dire un caso.

Io mi trovai d’Estate per predicare in una Città l’anno 1639 quand un amico gentiluomo mi avvisò, che certi mercenari Commedianti dovevano venire, e che di grazia io non predicassi come aveva predicato, due anni prima, un altro, contro le Comiche Rappresentazioni; perché era cosa irragionevole: e l’Auditorio non ne faceva frutto, anzi fieramente se ne sdegnava.

Risposi. Io non predicherò contro le Commedie, ma contro le oscenità, le quali al certo sono fonti di mille, e mille peccati mortali per le persone deboli di spirito, e poco fondate nella virtù. Noi, ripigliò l’Amico, non vogliamo le oscenità; e espressamente pribiamo ai Commedianti, che non usino certi gesti osceni, né certi equivoci brutti; no no, noi certo non vigliamo le oscenità. Ma o Sig. replicai io, V.S.CLXVI stima di sapere, quali, e quante generalmente siano le oscenità mortali delle Commwdie ? Io per verità dopo molti anni di studio scolastico fatto molto accuratamente su questa materia, e dopo la lettura di moltissimi Dottori antichi, e moderni, non sono ancora pienamente determinato intorno a tutte le specie delle mortali oscenità de’ moderni Commedianti; questa è difficoltà più grave di quello, che ella per avventura si persuade. {p. 69}

Il cortese gentiluomo non rispose a questa mia istanza, ma si compiacque di offrirmi per legger la Supplica di Nicolò Barbieri, detto Beltrame, diretta a quelli, che scrivendo, o parlando, trattano de’ Comici, trascurando i meriti delle Azioni virtuose. E l’Amico mio mi parve; che volesse dire. Le Commedie fatte secondo le regole di questo Discorso non contengono oscenità. E tali per noi lecite, e oneste approviamo. Io volentieri accettai l’Opera di Beltrame; la lessi subito, e notai, che cristianamente l’Autore condannava a tutta forza di spada tratta la Commedia oscena: ma non dichiarava pienamente, quali siano le commedie illecite per le mortali oscenità: anzi supponeva, che alcune cose, pubblicamente rappresentate, non facciano la Commedia mortalmente oscena, e illecita: per atto di esempio una pubblica comparsa di un Ruffiano, che col pubblico negoziato del suo ruffianesimo ruina una Donzella. Un ragionamento amoroso di Donna lascivamente ornata fatto col suo favorito in presenza di un Auditorio, nel quale sono Giovani maleCLXVII inclinati, e persone deboli di virtù, che per tali rappresentazioni commettono almen col pensiero mille peccati mortali. E altre cose simili.

Ora per avvertire i Fedeli virtuosi, e i medesimi Comici professori di modestia, si sono portate tante autorità, e si è dichiarata con tanti Autori la qualità della Commedia oscena, e illecita. Il Savio avvertito di un pericolo, che prima non conosceva, subito lo fugge; e se non loCLXVIII fugge, fa torto manifesto al suo accorgimento. Chi ha vero zelo di promuovere la virtù, e di cacciare il vizio, non disdegna l’ammaestramento di molti savi scrittori, e di molti sacri Dottori. La Dottrina moltiplicata serve di lampada più chiara, per fuggir le tenebre degli errori. Non erra facilmente, chi segue pridentemente la scorta di molti pratici, e dotti condottieri. « Salus, ubi multa consilia », scrisse la real penna del savio Salomone. E io questa scrittura addito come breve, e ottima istruzione del nostro cominciato cammino per il sentiero della drammatica campagna con desiderio di proseguirlo per mooderazione della scena, per emendazione degli scenici vizionsi, e per consolazione de’ Comici onorati, e virtuosi. {p. 70}

Capo Secondo

Del Ricordo,
detto la Qualità.

Si porta la dottrina intorno alla Comparsa delle vere Donne, Comiche ordinarie, in Scena, ovvero in Banco. §

Da un vago giardino, abbondante, e pieno di molti, belli, e odorosi fiori, il levarne uno, che sia di nocivo odore, non è dar materia di giusta ammonizione; ma è fare un’opera degna di molta lode, e di molto onore. Il cristiano Teatro, e la Scena, usata con la debita moderazione, si può nomareCLXIX con paragone un bel giardino; dove si veggonoCLXX, e si colgono gli odorosi fiori di molti onesti intrattenimenti, e virtuose ricreazioni: ma la Comparsa di vera Donna in scena, Comica ordinaria, e parlante lascivamente in presenza di persone conosciute in particolare deboli di spirito, sembra un fiore molto nocivo; però vediamo, se si deve levare, o no, secondo le sentenze dei Dottori. Questi sono i Giardinieri della cristiana onestà, e i Regolatori dei buoni costumi; dai detti dei quali noi possiamo imparare le vere massime, e i santi Assiomi della virtù, e vera perfezione.

Quesito Primo

La comparsa di vera Donna in Scena è illecita ? §

Mostra di faticar invano, chi consuma vari medicamenti, quando egli poco, o niente malore scorge in un soggetto. Le Donne, che non sono Comiche di professione, comparisconoCLXXI di raro nella scena alla presenza di uomini; onde tal comparsa {p. 71}non porge molta materia di ragionare, come di cosa che rechi ai Fedeli qualche pericolosa infezione. Con tutto ciò possiamo dire di tali Donne quello, che alcuni dicono delle Comiche ordinarie appresso Beltrame. « Alcuni vorrebbero, scrive egli, che si recitassero le Commedie senza introdurre Donne nella scena: e dicono, che certi gesti talvolta lascivi possono lasciare; e che certi equivoci scandalosi si possono rendere onestiCLXXII ma che, non levando le Donne, l’occasione non si leva; e che le sensualità corre al naturale difetto, come a sua sfera: ove che si può peccare dispositivamente: ma se invece di femmina recitassero fanciulli, che sarebbe levato il periglioCLXXIII, e anche lo scandalo. Questi tali hanno la loro opinione, e io ho la mia. » Beltrame fin qui.

Ma io considero, che egli non dichiara, chi siano questi, Alcuni, o Questi tali: lo dichiarerò dunque io dicendo, che sono tutti quei prudenti, che mirano alla pratica del mercenario Teatro, nel quale vedono per esperienza, che la comparsa di vera Donna in scena è manifesta cagione di moltissimi peccati ai deboli di spirito: onde stimo l’opinione di questi tali molto ben fondata, e l’opinione di Beltrame molto mal fondata, e molto pericolosa, e perniciosa nella pratica dei nostri tempi: e credo, si possa formar prudentemente questa Proposizione, e con essa rispondere al Quesito.

La comparsa di vera Donna in scena, che non sia Comica di professione, ne facciaCLXXIV Rappresentazione oscena, non è per se stessa illecita; onde Laiman la concede. Ma per ordinario è molto pericolosa di rovinaCLXXV spirituale ai molti deboli di spiritoal. 2. tr. 3. c. 13. n. 11. .

Proviamo solamente l’ordinario pericolo cagionato da questa femminile, e scenica comparsa, per essere veduta, e sentita. L’ecclesiastico nota. « Speciem muliebri aliena multi admirati reprobi facti sunt. »c. 9. 11. Molti si sono rovinatiCLXXVI col mirare la beltà dell’altrui Donna.

S. Nilo dice. « Mulieris aspectus sagitta veneno illica, quæ scrit animam, et venenum immittit; et quo diutius manet, eo magis vulnus computrescit. Qui vitare cupit eiusmodi vulnera, is a publicis spectaculis abstinebit.apud Didacuin Mensa pag. 539. Or. 2. adversus Ultia. » S. Giovanni Crisostomo scrive d’aver inteso dire, che alcuni nel vedere solamente certe Statue di marmo rappresentanti bellissime Donnecontra Concub., sentivano acuti stimoli di {p. 72} e soggiunge. « O se tanta forza aveva un’effige dura, insensibile, e morta, che impeto avrà un’effige viva, baldanzosa, colorita, e lascivamente ornata ? » 

Questo luogo di Crisostomo è portato con il suddetto tenore dal Franciotti nel Libretto della Giovane cristiana. Ed io qui vi aggiungo in ordine al sentir la Donna l’autorità di S. Tommaso, il quale avvisa, che « verba muliebri sunt in flammantia »L. 5. c. 15. n. 6., le parole della Donna sono infiammative a modo di scintille, e si conferma con la scrittura; ove si legge, che il femminile parlare è quasi uno sfavillare per accendereCLXXVII i cuori degli Uditori. « Colloquium illis quasi ignis exardescit. »Eccles. 9. 11.Che però S. Paolo scrive al suo Timoteo. « Mulieris in silentio discat: docere mulieri non permitto. »

Voglio che la Donna taccia come discepola, e non che parli come maestra1. c. 2. XI.. E a Corinti scrive. « Mulieres in Ecclesiis taceant; non enim permittitur eis loqui. »1. c. 14. 34.Le Donne servino il silenzio nei sacri Templi; perché non è permesso loro il favellare. Ma se S. Paolo non voleva, che le Donne a suo tempo parlassero in Chiesa, neanche per insegnare, che direbbe ora, che scriverebbe, che comanderebbe, se intendesse una Donna cristiana comparire in scena, e volere con finte Rappresentazioni ammaestrare, e dilettare gli spettatori ? Io credo, che infiammato di Apostolico zelo scriverebbe, e predicherebbe con molte minacce, e con gran spavento contro cosa tanto pericolosa.

Dalla dottrina di S. Paolo restò, penso io, persuaso un vecchio Predicatore, e uomo dottissimo, di dover risentirsi, come si risentì l’anno 1628 in una Città, nel Duomo di cui egli predicava la QuadragesimaCLXXVIII.

Alcuni nobili Signore disegnarono di fare dopo la Pasquale Solennità una Rappresentazione di sole Donne, Attrici onestissime: il disegno fu, non so come riferito allo zelante, e savio Predicatore, il quale con i termini di riverenza dovuta alla nobiltà, e alla virtù dell’Auditorio, parlò in modo, che in sostanza non temé di nominare pubblicamente quella degenerata Rappresentazione un seminario di fornicazioni, di adulteri, e di omicidi: e fece colpo tale predicando, che da quelle pudiche Signore fu lasciato il disegno, e cangiatoCLXXIX in altri migliori, e memo pericolosi trattenimenti. E {p. 73} o piacesse a Dio, che così avessero fatto in altro luogo alcune Dame, e non si fossero accordate di fare certe Azioni Teatrali: le fecero, ma ne seguirono dicerie, formate da lingue imprudenti, per non dire malvagie, e serpentine quello che fu di peggior rilievo, molti poi col tempo restarono privi della reputazione e della vita. Questi germogli spuntano nel terreno teatrale quando la Donna, quasi Agricoltrice, vi comparisse ad atteggiare per apportar diletto anche virtuoso.

Saggiamente in una principalissima Città del bel Regno di Sicilia fu risoluto, pochi anni orsono, che, volendo fare un’Azione alcune Donne nobili, e oneste, non vi potessero assistere Spettatori gli uomini, se non alcuni pochi, e parenti, e di molta virtù; perché, infatti, quella femminile comparsa in scena, e quel ragionarmi pubblicamente, è cosa tanto pericolosa di cagionarCLXXX peccato nei poco virtuosi, che par si possa nominare Trappola di Satanasso, alludendo al concetto, che S. Agostino ebbe degli Spettatori, quando scrisse: « Diabolus muscipulum spectaculorum proponit, ut capiat, quos amiserat. »L. de Synodo tr. 2. t. 9. Il Diavolo propone gli spettacoli massimamente delle Donne, per trappolarCLXXXI di nuovo, quelle anime che vede esser fuggite dagli inganni suoi, e dalla tirannia della sua crudeltà.

Quesito Secondo

La comparsa di una vera Donna, o Comica ordinaria è illecita ? §

Se nel vorace seno del mare non si facessero mai naufragi, ognuno vi si potrebbe ingolafarCLXXXII animosamente con ferma speranza di sicura navigazione; ma le spesse fortune, e i moltiplicati sommergimenti, che occorrono ai naviganti, fanno star con timore chiunque si confida a quell’infido elemento. Mare tempestoso, e abbondante di mille spirituali naufragi sembramiCLXXXIII il moderno, e mercenario Teatro della Scena, o del Banco, quando in esso la Donna, Comica ordinaria, quasi mostruosa Fortuna comparisceCLXXXIV ad eccitar mille spirituali tempeste alle anime dei poco virtuosi Spettatori.Nell’Appendice della Predica di Ferie. 4. della Domenica. 4. di Quaresima.

Vuole il Giraldi, e ce lo ricorda Raffaello delle Colombe che il primo, che conducesseCLXXXV Donne in scena, fosse quel disonesto Frinico {p. 74}, di cui fa menzione Platone in Minoe: quasi volesse, credo io, che la femminile comparsa fosse praticamente un efficace invito alla disonestà: da che io stimo di poter affermare, che cotal comparsa è illecita almeno nella pratica: formo questa Proposizione.

La comparsa di vera Donna, e Comica ordinaria, in Scena, o in Banco, e parlante di lascivo amore nel pubblico Auditorio, ove sa, che sono, almeno alcuni conosciuti da lei in particolare, deboli di spirito, e che peccheranno, è un’oscenità scandalosa, e però è illecita almeno praticamente.

Io intendo per Comica ordinaria una di quelle Donne, che vagando se ne vanno per molti, e vari paesi, unite con le Compagnie dei Mercenari Comici, o Ciarlatani; le quali Donne, o sono Fanciulle, che si allenano per il Teatro o sono mogli degli stessi Comici, ovvero Meretrici e tutte per ordinario sono molto pronte, molto astute, e molto esercitate nei trattati dello scenico innamoramento: e comparisono nelle scene molto sicure, baldanzose, e anche talora sfacciate.

Un AmicoPag. 18 de Discorsi intorno alle Comedie. al Comico Cecchino scrive delle Donne moderne d’alcune Compagnie di Commedianti così. « Non avete mai incontrato per strada femmine vestite da cavalle di giostra, cariche di pennacchi, cimieri, zuffi, ricci, e ventagli, con vesti ricamate, e code fuori d’ogni misura ? Per oppressione della temerarietàCLXXXVI di queste sfacciate femmine ho voluto molte volte cacciare i Comici dai Templi con quei modi, che la loro sfacciataggine ricercava. »

Questo concetto intorno alle Comiche spiega quel pratico del mondo. Ma io non credo tanto di tutte; che forse ve ne sono delle buone in realtà: ma dico, che una Comica di professione, qualsiasi sia, o di rea vita, o di buona, comparendo ornata per allettare, per dilettare, e parlando d’amore per dar diletto, è moralmente impossibile, che non faccia cadere in peccato chi la mira, e sta a sentirla con poco capitale di virtù, anzi con molta inclinazione alla disonestà. E quindi inserisco, che questa comparsa è un’oscenità scandalosa, condannata con la Dottrina di S. Tommaso, e d’ogni altro antico Teologo, e santo Padre; i quali tutti, se ora vivessero, la condannerebbero efficacissimamente.

Luca a PennaIn l. si quam C. de Spect. Scenic. parla contro la comparsa di queste Donne; e poi domanda {p. 75} :

« Quid dixissens Sancti Patres, quid pii Actores, qui omni sæculo contra Histrionatus Arte proclamarunt, si nostrp tempore feminas ipsas, cum viris permixtim agere in Theatro viderene ? »  Che cosa avrebbero detto, e con che nervo di zelante eloquenza avrebbero favellato quegli antichi S. Padri, e quei Dottori, forniti di celeste pietà, i quali in ogni secolo andato scrissero, predicarono, e proclamarono contro l’Arte degli istrioni ? Che cosa, dico, avrebbero detto, se fosse loro stato concesso di vedere al tempo nostro, che nel Teatro con gli uomini compaiono ad atteggiar ancor le Donne, e Donne tali che senza nota di temerarietà si possono giudicare impudiche ?

Questo Autore così richiede; ma non risponde alla richiesta: dunque noi possiamo rispondere, dicendo, che S. Cipriano avrebbe affermato, che la comparsa femminile in scena « expugnat boni pectoris conscientiam sortiorem », espugna ogni forte riparo di una coscienza buona, e virtuosa.

E Clemente Alessandrino avrebbe detto. « Lasciviunt oculi, calescunt appetitiones. » Negli Spettatori per tale comparsa gli occhi si riempiono di lascivia, e gli affetti di calor disonesto. E Lattanzio. « ætas, quæ scenari, ac regi debit, ad vitia, et peccata craditur ». Con tale comparsa l’età degna di freno, e di reggimento, si ammaestra, e si spinge al corso dei vizi, e al precipizio dei peccati.

E Crisostomo con la solita sua eloquenza, e fervoroso zelo avrebbe ripreso con questo ardore. « Mulieris nudo, atquæ aperto capite populum absqu; rubare alloquuntur, tantaque premeditatione impudentiam asciscunt, tantamquæ; lasciviam in audientium, atquæ videntium animos infundunt, ut uno omnes animo radicitas modestiam e menti bus suis exelbere, perniciosa voluptate cupiditates suas implere, conari videantur. » . Le Donne senza maschera al viso, e senza velo, al capo, e senza vergogna all’animo, ragionano al popolo con tanta sfacciataggine, e accendono nei cuori degli Ascoltatori le fiamme di tanta lascivia, che tutte paiono d’essersi accordate di spiantar dalle proprie menti ogni germoglio di virtuosa modestia, e di sforzarsi di dar pasto a piena, e satollata voglia a tutti i loro disonesti, bestiali, e ruinanti appetiti. O misere {p. 76} Donne, vero danno a molti, e a se stesse; anzi numeroso oggetto d’innumerevoli sventure, e gran calamità al cristianesimo. Segue Crisostomo, e dopo aver dette altre cose, domanda all’Auditore suo. (e io dichiaro all’Auditore, e Spettatore delle Comiche moderne) « Dic ergo, quando a tanta fonicationis immunda cupidine, quam tibi Diabolus infudit, te ipsum recipies, atque refipisces ? Non enim ignoramus, quoti bi fornicationes peragantur; quot adulteriis matrimonia maculentur, quot viri muliebra patiantur: quot iuvenes effeminentur: cuncta iniquitatis summa, cuncta impudentia plena sunt; quas ob res non cachinnis difluere ridentes, sed lacrimis gemere, ac dolere oportes. » Vuol dire il Santo. O spettatore dimmi per tua fedeCLXXXVII. Quando farai bastevole penitenza per tanti peccati commessi col pensiero, e desiderio nel Teatro ? O quante fornicazioni ivi si commettono; o quanti adulteri; o quante bruttezze ahi troppo indegne d’essere npmonate: tutto quel negozio teatrale è un seminario d’iniquità, e d’impudicizia; onde con dolorose lacrime si dovrebbeCLXXXVIII lavare tanta bruttezza, e non assaporarsi con riso, con diletto, e con gusto. Lascio altri luoghi dei S. Padri; e a questi allegati no dica alcunoCLXXXIX che sono contro le oscenissime oscenità dell’antico teatro, e non del moderno: perché io ho presi questi pochi dal numero dei molti, che Teofilo Rainaudo, Teologo del nostro tempo ha raccolti, come efficaci contro le moderne oscenità. « Ita adversus Theatra urgent, ut æque possant urgere contra usum nunc plenumq: urgentem »L. 6. 5. 2. c. 10. t de virtutibus et virtiis pag. 676., dice egli.

Ma noi consideriamo il senso degli enormi Autori circa questa materia della Comica comparsa femminile. Non v’è dubbio, che le cose più vicine al nostro tempo sogliono muoverci più vigorosamente: anche le pitture grandi, e i grandi colossi da vicino empionoCXC lo sguardo dei vagheggiatori, che gli stessi da lontano.

Quesito Terzo

La comparsa di Donna, Comica ordinaria è illecita secondo la fatta Proposizione a parere dei Moderni Dottori ? §

L’evidenza di un grave morbo, e la strage, con che ruina molti, cagiona bene spesso, che si supponga certissima la sua pestilenza {p. 77}. Questo si avvera nell’evidente danno spirituale, che reca alle anime cristiane poco virtuose la comparsa di Donna Comica sul Banco, o sulla scena a parlare di lascivo amore: e però molti Dottori la suppongono illecitissima, ne travagliano molto in riprovarla con l’efficacia di molte ragioni.

Francesco Labata scrive. « Solent Mulieres reprasentare, et pulsare cytharas, et saltare: quæ omnia scandalis plena sunt. »T. Stampato l’Anno 1614. v. Comed. Prop. 2.

Adamo Contez dice: « Nulla scenam Mulieri ingrediatur »L. 3. c. 13. et 7. della Politica. niuna femminil comparsa si vegga in scena.

Mazarino avvisa per i Superiori. Non permettano, che Donne recitinoRag. 110..

Reginaldo dice, che il Confessore deve interrogare il Superiore. « An permettat, ut in Comediis, et Ludorum spectaculis, lascivia Mulieres in Scenam prodeant: quæ est corruptela morum nomine Christiano indigna. »De prudentia Confes. P. 3. sez. 8.

Ribera supplica i Signori Padroni, « ut Comediarum Actores, Actricesque procul relegent »Quod Gubernatore et Prefectum. In c. 1. Mich., che caccino i Commedianti, e le Comiche loro.

Baldelli scrive, che i Comici peccano mortalmente, se la Commedia è molto brutta, e eccita molto la disonestàT. 2. l. 3. d. 18. n. 2.. E porta per esempio quelle, nelle quali compaiono le Donne parlatrici di simili materie. « Et maxime huius generis videntur esse illa, in quibus Mulieres interloquuntur. » Dalle quali parole io inferisco. Dunque la sola comparsa in banco, o in scena, di queste Donne parlatrici di materie amorose, e brutte, è illecita per sentenza di questo Teologo, il quale ha Stamapto, pochi anni orsono; e è buono praticissimo, dottissimo, e stimatissimo in Roma, col quale conferendo io questo conseguenza l’anno 1639, l’approvò giudicandola verissima.

Raffaello delle Colombe, dice. « Se al Buffone si aggiungono per recitanti le Donne, ecco rovinata un’infinità di anime.  »Nell’Appendice di fer. 4. della Dom. 4. di Quaresima.

Diana, scrive, « peccare feminam, quando verba facit coram amatore, quibus ille sit accendendus, si potest absquæ specie inurbanitatis tacere »p. 5. trat. De scandalo Res. 31.. Cioè Pecca quella Femmina, che in preferenza dell’Amante forma parole, con le quali egli resta infiammato, se però essa può tacere senza apparenza di mala creanza. Dunque, dico io, la Comica parlante d’amore in preferenza di deboli di spirito {p. 78}, pecca: perché essi per le parole di lei s’infiammano alla disonestà, e molti ne danno segno nel pubblico Teatro con atti, e con parole disoneste. E ella col tacere, e col ritirarsi dalle scene, non merita censura di mal creata, ma è degna di lode per la prudente, e modesta ritirata.

Francesco Maria del Monaco scrive. « Honesti ludi sunt, in quibus nulla omnini Mulier: quia ubicumquæ ea sit, presertim si venustare, et gratia polleat, (quales at plurimum ec sunt, quæ in Theatris inducuntur) semper libidinis incitamentum, et ad mores corrumpendos potentissima. »In Paren. p. 30.

Il Casano appesso il Franciotti dice. Se altro non fosse nelle Commedie, che la mostra sconcia, che fanno di loro le donne per altro impudicissime, i gesti, le parole, i canti delle stesse basterebbero per infettare il mondoC. 15. della 3. par. del Giovane Cristiano..

Gambarotta in un trattato manoscritto intorno alle Commedie nota. Compare vera Donna, giovane bella, ornata lascivamente, la quale essendo con attenzione mirata, senza che vi fosse altro, questo solo è manifesto pericolo di rovina alla Gioventù: il sangue bolle; gli anni son verdi; la carne è viva; le passioni ardenti; e i Diavoli pronti.

Girolamo Fiorentino nella sua Commediocrisi, stampata non per scrivere esagerate, ma per mostrare il vero con tutto rigore scolastico, dice, che sono affatto illecite quelle Commedie, nelle quali le Donne abbellite parlano d’amore con i loro Favoriti; e le quali per lo più sono; o furono Meretrici, ovvero Adultere. « In quibus Mulieres compte de amori bus, et cum Amasiis. colloquentes »  compaiono: « et quæ ut plurimum vel sunt, vel fuerunt Meretrices, aut Adultere ».

Francesco Arias, scrive. Si congiunge con questo abuso di questi tempi; che inqueste Commedie recitano le Donne tra gli uominiNella 3. p. del profilo spiritus nel trat. della Mortific. al c. 35.. Ci avvisaCXCI la Sacra Scrittura, che la veduta della donna acconcia scandalizza, e uccide i cuori di molti: che il suo ragionar piacevole è come il fuoco, che accende i cuori d’amore disonesto, e che è, come coltello di due tagli, che ferisce, e ammazza l’anima con morte di colpa, e di pena eterna.

Aggiungo il sentimento di un moderno personaggio, che satireggiando ha scritto. {p. 79}

« Ma per colmar la pubblica sciagura, Sopra i Teatri ancor la gente pazza Ode il garrir di Meretrice impura: Quivi efficacemente ella sollazza, E da celle, e caverne oscure, e chiuse Viene il postribol a trasferir in Piazza. O promulgate invan leggi deluse: Ecco s’ammettono le Calpurnie in scena, Che furono già dai tribunali escluse. »

Ma che occorre aggiungere altri moderni ? Non bastano questi per provar con l’autorità, che la Comica comparsa di Donna è illecitissima ? Con tutto ciò rendiamone ragione: che così meglio conficcheremo il chiodo; e il nostro intendimento resterà più soddisfatto nel punto di questa dottrinale verità.

Quesito Quarto

Per qual ragione la comparsa di Comica ordinaria è illecita ? §

I Valenti Guerrieri non si armano solamente di corazza, ma usano anche la spada, e talvolta impugnano la mazza, per offendere il nemicoCXCII, e atterrarlo: I sacri Dottori, e gli Scrittori cristiani professano guerra contro l’oscenità del teatro: e quindi si coprono armati non solamente di grande autorità, quasi di fortissima corazza; ma di efficace ragion ancora, quasi di forbita spada, e di forte mazza, e questa mostrano contro la comparsa delle Comiche ordinarie, che ragionano d’amor in banco, o in scena nell’Auditorio.

Il Casano con le parole citate sopra porta prima una ragione dicendo: Queste Donne basterebbero per infettar il mondo: ma poi aggiunge più diffusamente con questo tenore.

Della Donna in generale si legge, che il peccatore sarà preso da lei, « Peccator capietur ab illa. »CXCIII Che dovremmo credere noi di Donne tanto impudiche, e procaci, che oltre l’adornarsi con ornamenti di Meretrici, compaiono in scena con gesti tanto effeminati, e molli; e dicono parole così ardenti, e piene di fiamma infernale, che bastano, per far ardere i più Savi del mondo ? Che effetto dunque possiamo credere, che facciano, quando {p. 80} a bello studio, con artificio istrionico per infiammare ? E di cose poi, che da per loro stesse possano far ardere d’impudica fiamma ancheCXCIV la neve ? Con le parole si congiungono anche i movimenti della persona, gli sguardi, gli sdegni, e quel che non si può dire senza rossore, gli abbracciCXCV, e altro di peggiore, che da questi infernali furie in pubblica scena si vede fare.

Io taccio il resto, che dice il Casano, bastando il poco suddetto per accennar molte ragioni contro la comparsa della Comiche; e passo alle ragioni, che si possono apprendere dal detto altrui.

Ribaldineria si fa sentir dicendo. Al sicuro che quelle cose rappresentate dagli uomini, e FemminelleL. 1. della Tribolat. C. 11. infami, cose lascive, e amorose, sono la rovina, e la distruzione delle Repubbliche. Chi vuol presumere di essere sicuro in così manifesto pericolo, e senza lesione in mezzo di tanto infernali fiamme ? Poiché queste Femminelle ordinariamente sono belle, lascive, e hanno venduta l’onestà, e con i movimenti, e gesti di tutto il corpo, e con la voce molle, e soave, con il vestito, e leggiadria a guisaCXCVI di Sirene incantano, e trasformano gli uomini in bestie.

Francesco Arias condanna questa comparsa delle Comiche con la ragione fondata sulla dottrina di S. Paolo2. par. del Profi. Spir. Trat. della Mortifica. C. 25.; quale di sopra ho portata. E dice così.

I movimenti, e gesti delle moderne Comiche tutti spirano disonestà; e però che effetti hanno a seguire nei cuori deboli che le guardano, e odono, se non quello, che succedette ad Olofrone dal guardar l’andare diGiudit, che, come dice la Scrittura, rimase prigione, e schiavo di disonesto amore, che gli fu cagione della morte temporale, e eterna ? Dice l’Apostolo Paolo, che non permette, che la Donna per savia che sia, insegni in pubblico; perché parlando la Donna, dice Anselmo, provoca coloro, che l’odono, ad amore disonesto. Che farà il veder Donne attillatamente vestite rappresentare con opere, e parole cose lascive ? Certo è, che il Demonio le piglierà per strumento per uccidere le anime: come testimonianoCXCVII gli esempi, che di ciò vengono ogni dì.

Raffaello delle Colombe si serve della stessa dottrina di S. Paolo contro le Comiche, e la spiega con tal guisaCXCVIII. San Paolo non vuole {p. 81}, che nelle Chiese predichino le Donne. E S. Anselmo dice; perché il vederle, e udirle provoca ad amor disonesto. Ma se muovono nella Chiesa, dove è santo il luogo, dove è Dio, e quando sono vestite onestamente; e parlano di cose sante: come muoveranno nel Teatro profano, dove suole stare il Demonio, e vestite da uomo, o lascivamente, e parlano impudicamenteNell’Appendice alla Predica di Fer. IV. Dom. IV. di Quaresim. ? Se S. Paolo proibì loro la predica, molto più per la ragione di S. Anselmo proibisce la Commedia. Così argomenta questo Predicatore. Noi aggiungiamo un’altra ragione presa dal Bonacina. Egli domanda. Se pecca gravemente una Giovanetta, la quale si fa vedere da un Giovane, da cui crede, che sarà desiderata disonestamente. E risponde, che sì. E che pecca mortalmente di peccatoDe matr. q. IV. p. 9. n. 17. generale di scandalo, quando apposta si mostra a colui senza alcuna necessità, o piuttosto per certa vanità, sapendo il di lui disonesto amore.

Diana scrive. « Dico, quod quando femina timat, ne a persona particolari amatur lascivè, teneri camere publico, et abstinere ab actione occasionant alicui ruinam, quando potest absquæ; gravi propositionato damno; quia teneman vitare aliarum pecata, quando commodè pessumus. » Cioè. Dico, che la Donna, quando teme d’essere amata lascivamente, da qualcuno particolare, è obbligata di non comparire in pubblico, e astenersi dall’azione, che da occasione alla rovina altrui; quando può senza suo grave danno: perché siano obbligati di schivare i peccati degli altri, quando possiamo comodamente. Ed io dico, che si avvera questa Dottrina di una Comica ordinaria, anzi di molte Comiche, poiché molte si mostrano lascivamente ornate ai molti spettatori deboli di virtù, licenziosi, e lascivi, e se ne possono astenere senza loro grave danno: dunque per lo scandalo è illecita la comparsa della Comica ordinaria per sentenza di Bonacina, e del Diana, e per sentenza ancora d’altri, che appresso dichiarerò, bramando, che i loro detti siano soccorsi nuovi alla mia debolezza, per convincere altri, e per servire al giovamento loro. {p. 82}

 

Nota unica

Si continua la stessa materia. §

Io non ho difficoltà di credere, che tra le molte, e mostruose Sirene del Comito Mare non tutte le Comiche sono mostri viziosi: forse alcune tra quelle ondose amarezze di oscenità trovano materia di gustar solamente la dolcezza della purità. Ma infelice, e sventurata si è la loro condizione; poiché i moderni Dottori, trattando delle moderne Comiche, trattano per ordinario con dottrine, massime, e presupposti tali, che sono di riprensione, e di condannaCXCIX a tutte le Comiche universalmente.

Battista Fragolo dice. « Exdictis infertur, quod dicendam sit de Comediis, vulgari idiomate exhibitis, ubi multa impudica, et obscena miscentur, et ubi introducuntur feminæ adolescentiores ad psallendum, et saltandum, qua gesta, et incessu, et procaci gesticulatione auditores; et spectatores ad amorum curpem inducat. Respondeo, de se esse peccatum mortale, et actoresesse, in stam damnationis, spectatoresquæ; ut plurimum peccare mortaliter. Deducitur ex D. Tho. Idem ait Crist. Sylvest. Navar. Sot. Alens. »Region. Rex. Ip. Christ. 9. 1. l. 1. disp. 2. et. 4. u. 181.Cioè Dalle cose dette s’inserisce. Che cosa dir si deve intorno alle commedie rappresentate nel volgare idioma, nelle quali si frappongono molte cose impudiche, e oscene; e s’introducono femmine giovani per cantar e per ballare, le quali col portamento della persona, e con l’ardire licenzioso dei gesti inducono all’affetto del turpe amore gli animi degli uditori, e spettatori. Io rispondo, che di sua natura è peccato mortale; e gli spettatori il più delle volteCC si fanno rei di colpa grave e mortale. Tutto questo si deduce dalla dottrina evangelica di San Tommaso; e dello stesso parere sono Caietano, Silvestro, Navarro, Soto, e Alense.

Ma Hurtado basti per ora in luogo di molti, che provano il mio senso. Egli nel Vol. 2. de 3. Virtut. Theol. Chiama con le parole di Crisostomo le compagnie dei Comici, e Comiche diaboliche, « Diabolicas societates »dis. 173. sec. 28. susec. 3., e le femmine loro scorta, e gli uomini perditos. Prova, che vivono in peccato mortale, e in pericolo di moltiplicare via sempre più i peccati per ragione del loro vivere insieme. Spiega, che sono persone, le quali giorno, e notte {p. 83} meditano disonesti amori: « die et nocte meditantur amores ». Mandano alla memoria versi lascivi: « carmina amatoria ». Le Femmine sempre, o quasi sempre sono impudiche; « Feminæ, semper aut ferè semper sunt impudicæ ». La casa, ove alloggiano, mentre stanno in città, è libera, e le libertà , serve d’invito ai visitatori: gli uomini delle Compagnia vedono le donne quotidianamente vestirsi, spogliarsi. Ornarsi, e le vedono alle volte nel letto mezzo nude; « seminudas » : e le odono parlar di cose lascive. « loquentes lasciva ». I mariti sono uomini vili, e le femmine sono avide del guadagno: « dedita quæstui ». Alle volte in scena un uomo si spoglia, e veste una donna: « homo nudat feminam, vestit ». Altre volte un Giovane vicino al letto allaccia le scarpette, e le calzette ad una Femmina: « Femina calceorum stringit ligulas, ac vincit suras. » Di poi comparendo per recitare nel pubblico Teatro; spiegano gli amori, i quali spiegati servono di focosi dardi per ferire; si abbracciano, si stringono le mani, e se le baciano; disegnano il luogo, e tempo comodo per colloquiare segretamente; onde moralmente è quasi impossibile, che con tal vita non si commettano adulteri. « Referunt amoros, qui dicti inter viram, et feminam sunt iacula ignea: se amplexantur, manus prensant, osculantur, contrectant præsignant locum, et tempus secreto colloquio est fere nor alicer impossibile uitare alduleteriam. » Aggiunge di più questo Autore, che le Donne sono belle, ornate, dicaci, cantatrici, sonatrici, lascive, e molto esercitate, e pratiche degli scenici trattenimenti, e dei giuochi istrionici. « Pulcra, ornata, dicaces, salaces, musica, psaltria perite ludi scenici ». E però Donne tali sono amate da molti, che fanno loro molti, e preziosi donativi. Queste, e i Mariti loro hanno bisogno, e vogliono mangiar bene, e vivere allegramente tra canti, tra suoni, tra balli, e tra salti di gente molto amica dell’ozio, e della dissoluzione.

Questo è parte di quello, che Hurtado scolasticamente disputando, dice dei moderni Comici, e Comiche loro Compagnie: e porge fondata ragione a noi di replicare che la pubblica comparsa di Femmine tali in Teatro è affatto illecita, e perniciosa.

Francesco Ribera dopo aver citato S. Cipriano, che deplorava le misere Teatrali del suo tempo, aggiunge. « Quid faceretin c. 1. Mich. n. 63., si nunc in christianorum Theatris sederet, si Comedias, qua agunt {p. 84}, spectaret ? Non iam evirantur mares, sed faminæ ipsa viri sunt: non frangitur in faminam vir, sed fæmina in virum roboratur. Non satis fuit humani generis hosti, fictas turpitudines agi, veras profert; famina prodit in scenam, et faminam agit qua a viro agi solebat, et minus movebat. Nunc compta, atq ornata procedit in medium pulcra mima corpore, sed moribus turpissima, ut incendia maiora excitentur. Agit etiam eadem virum, aut amore captu adolescentulum; luget; deperit; exhibet oculis, quæ cælari in fæminis debucrant: et quæ honestè dici non possunt, inhonestè cogitantur: saltant, corpora lasciviè inflectunt: dumque ea et peiora fortasse, avari mariti, patresque patiuntur, non maioribus Etna incendiis astuat, quam corum pectora qui spectas et audiunt. »

Nè dica contro Hurtado, o di Ribera alcuno ciò, che Beltr. Scrive, per volere persuadere, che nelle compagnie dei Comici le comiche servono ogni buona legge di onestà: e che tra loro l’emulazione cagiona molto più odio, che amore, e che un Comico onorato marito, sa custodire la moglie tra i compagni: e che l’interesse proprio mantiene illeso l’onore altrui; e che l’uso di udire ragionamenti di amore fa spezzatrici d’amore le medesime Comiche; e che la piccola dimora nei luoghi non porge comodità alle lascivie con i cittadini: e altre ragioni, che forse valevano per giudicare i Comici, e le Comiche della Beltramesca compagnia. Ma in ordine alle altre compagnie tutte, o quasi tutte la pubblica fama non le accetta per buone ragioni; la sentenza comune dei Dottori le condanna; e non si fonda sopra i falsi presupposti, ma sopra la realtà dei frequenti casi seguiti, e nella relazione di personaggi degnissimi di fede. E Hurtado nel citato luogo professa, che ciò, che scrive, l’ha saputo per fedele relazione di quelle stesse persone, che seguono le compagnie dei Comici moderni, onde se gli può da noi prestare ampissima fede, e giudicarlo verissimo; e per conseguenza inferire: dunque la condotta, e la comparsa delle Comiche ordinarie in banco, o in scena, è un seminario di oscenità; e molto illecita procurandoCCI infiniti mali, e gran peccati; come l’esperienza quotidiana testimoniaCCII: ne occorre moltiplicar Dottori, che con moltitudine di ragioni provino una verità così patente, e manifesta.

Ma {p. 85} qui dirà qualche Amico di Beltrame le parole scritte da lui nel c. 34. Poco male possono far le Donne delle scene coi loro discorsi: io dubiterei i più d’un occhio lusinghiero, d’un riso vezzoso, d’un portamento leggiadro d’una bella Dama, che quanti discorsi si facessero mai nelle scene.

Ed io rispondo, che i discorsi delle Comiche in scena non sono vivande senza questi intingoli: elle banchettano i convitati loro con simili saporetti di efficaci lusinghe, di risi amorosi, di potenti vezzi, e di graziose leggiadrie; e condiscono poi il tutto con una certa malizietta tanto sagace, e artificiosa, che divenute Maghe di Venere feriscono sì, che pochi si fanno schermire, che non restino in qualche maniera malamente piagati.

L’anno 1640. disse un Gentiluomo ad un amico. Gran cosa; io sono stato ad una Commedia, ove le Comiche erano vecchie, e brutte; ma comparivano, e atteggiavano con maniera tanto bella, che non potei ritenermi, che non dicesti. O guarda tu di grazia, con che garbo si mostrano: paiono qualche bella cosa; eppure sono brutte; ma con che leggiadria, e artificio piacciono mirabilmente, e fanno peccare con il consenso nel Teatro, e fuori del Teatro ancora con il ricordoCCIII. Quasi volesse dire. Le donne teatrali sono Amazzoni infernali, armate di spada, e di saette; per ferire i vicini con la spada; e per impiagare i lontani con le saette. Ma qui sorge una gagliarda obiezione da ponderarsi nel seguente Capo, e nei suoi Quesiti: non credo però, che sia per essere nodo tale, che richieggia il ferro di qualche Alessandro per tagliarlo. Io mi sforzerò di scioglierlo, e però concludo questo Capo con il sentimento, e con il detto di un praticone del mondo, che ancora vive, e è Grande di Spagna. Egli mi disse l’anno 1638. Veramente queste Donne Teatrali, che compaiono in scena, sono perniciose, o per essere di vita rea; o perché si adornano con molti vezzi; o perché alle cose, che dicono di onesta ricreazione, aggiungono poi altre cose malinconiche, e detti perniciosi; e guastano il tutto con dissoluzione. Aggiungo, che un gran Card. Personaggio prudente, e d’Arcivescoval giurisdizione, mi dichiarò lo stessoCCIV anno il concetto delle donne, che salgono in banco, dicendo. Veramente sono perniciose; bisogna levarle. Ora i detti di tal persone sono voti favorevoli alla mia sentenza, e passo ad altro. {p. 86}

Capo Terzo

Del Ricordo
detto la Qualità

Si trattano le Ragioni, per le quali le Comiche ordinarie compaionoCCV in Scena, ovvero in Banco del pubblico Teatro. §

Il vero professore della cristiana modestia procede avvedutamente nei suoi affari; acciocchè non resti macchiata ragionevolmente la sua coscienza: echi vuole di vero vivere da virtuoso, deve operare in modo, che la sua vita non meriti il giusto monito dei savi, e zelanti ammonitori.

Si vedono nelle cristiane Città Commedianti, che sono professori di moderati costumi, e però non fanno una vita confederata con la morte, né come gente perduta corrono alla perdizione; anzi quotidianamente esercitano molte opere di compagnie una, o due, ovvero tre, o più donne; e le fanno comparire nelle pubbliche scene in faccia dei Teatrali Spettatori; ma con quanto ben fondate ragioni ciò facciano, non lo dichiarano in modo, che possano tenerli in coscienza sicuri, seguitando il tenore di cotal vita. Io qui proporrò per loro alcune Ragioni, quali ho inteso o dai Comici stessi, ovvero da altri molto ben informati; e le pondererò al modo solito per via di Quesiti; e spero, che le troverò fiacche di forze, e Ragioni pigmee, ove alcuni le stimano forti di vigore e gigantesse di grandissima robustezza {p. 87}.

Quesito Primo

La licenza ottenuta dai Superiori di fare le Azioni basta, perché i Comici introducano le Comiche ordinarie al pubblico Auditorio ? §

Tra gli scudi degli antichi combattentiCCVI uno se ne usava che copriva, e difendeva tutta la persona: ed io ne ho veduti molti di tal fatta, e molto antichi nelle fortezze del bel Regno di Sicilia. A questo scudo pare, che i Comici vogliano, che sia simile la licenza, con la quale pretendono difendere le Azioni loro, e tutte le parti di esse, una delle quali si è la femminile comparsa in Teatro: e dicono francamente. Noi domandiamo licenza, e l’otteniamo dai Signori Superiori di fare le nostre Rappresentazioni, nelle quali entrano le nostre Donne a parlare d’amore; ma parlano modestamente, e non dicono oscenità. Noi non siamo Teologi, né Casisti; e però con tal licenza camminiamo con fede nel nostro esercizio, per guadagnare quei pochi soldi, che sono la mercede per le fatiche nostre, e sono necessarie al nostro sostentamento.

L’anno 1638. un Commediante, che era il capo di una Compagnia mi disse a questo proposito. Perché i Superiori non proibiscono il condurre perla Scena le Donne; che così nessunoCCVII le farebbe comparire, e troverebbe altre invenzioni per allettare, dilettare, e guadagnare ?

Questo galantuomo stimava, che la comparsa femminile non rendesse immodesta la Commedia, supposta la licenza di rappresentarla. E questo anche stima il Comico Cecchino, poiché dice nei suoi Discorsi. Senz’altro è mal costume il mettere in dubbio, che i Prelati, Inquisitori, e Governatori tollerassero cose cos’ esorbitanti, cioè la destituzione dei buoni costumi, e offense del prossimo. E perché gli fu scritto in questo punto, che i Superiori concedono le licenze con le debite condizioni, le quali se sono abusate, è senza loro saputa, e non ne hanno colpa. Egli risponde d’aver voluto intendere, che in generale non sarebbero comportate persone, che con modo scandaloso, e proibito facessero Commedie.

Il Comico Beltrame corre lo stesso arringo per difesa della comparsa {p. 88} femminile; poiché scrive, che le Commedie si recitano con l’approvazioneC. 60. dei Superiori Ecclesiastici, e Secolari. E prima dice a quelli, che scrivono contro le oscenitàC. 29. dei Comici moderni. Io giuro a questi Signori, se la metà solamente di quello, che scrivono, io scorgessi esser vero, che lascerei or ora l’Arte: ancorché io non mi ritrovi comodità senza di questa per vivere. Il voler dichiarar per peccato quello, che non è, è un voler levar la giurisdizione dal Cielo, per darla all’Inferno.

Così discorre questo Comico, professore di modestia; perché giudica lecita la pubblica comparsa delle Donne in scena, massimamente ottenuta la licenza dai Superiori di poter fare le solite Rappresentazioni:

Ora io, per rispondere a questa prima ragione, fondata sulla licenza dei Superiori, voglio formare alcuni detti, e poi provarli come veri.

Dico 1. La pubblica comparsa di Donna tristeCCVIII, quali sono spesso, o sono giudicate di essere, le Comiche ordinarie, è un grande allettamento al male, e è un manifesto pericolo di peccare ai molti deboli di virtù secondo il parere degli zelanti, e giudiziosi amatori della pubblica onestà; uno dei quali l’anno 1600. in S. Lorenzo di Lucina in Roma si trovava soprastante ad uno spirituale Recitamento, che si doveva fare, per ragion di cui si era gran popolo radunato; quand’ecco tra molti comparve, per udire, e per vedere una Femmina tristaCCIX molto bene ornata, e si pose a vedere in via molto rilevata sedia sopra tutto l’Auditorio di modo, che restava comune oggetto per gli occhi di tutti gli Spettatori. Quel soprastante virtuoso ciò vedendo, subito disse ad alcuni. O là fate levare quella Donna da quell’alto posto. Ma subito si sentì rispondersi. Non è possibile. Onde egli risolse di prendersi per propria cura l’andar a lei: vi andò, e francamente le disse. Donna o partitemi subito di qua: o calate giù, riponendovi nella posturaCCX comune agli altri. Ella, credo sbigottita, subito ubbidì prontamente, e calando levò quell’occasione scandalosa, e pericolosa di peccare per molti nel vagheggiarla. Ora che avrebbe giudicato, e fatto quel servo di Dio, se colei fosse salita sul palco dei Recitanti, per farsi vedere, e per allettare, e dilettare ? Eppure fa questo la Comica ordinaria dei nostri tempi: dunque {p. 89} la sua comparsa è una manifesta oscenità, infatti, a giudizio dei virtuosi.

L’anno 1639. fu interrogato da me un Teologo molto vecchio dottissimo, e praticissimo del mondo, e di Roma. Se giudicava, che la comparsa di una di queste femmine, ordinarie Comiche, in banco per allettare, fosse un’oscenità. E mi rispose, che era oscenità in fatto, e degna di essere proibita dai Superiori: e aggiunse, che egli non aveva fatto proibire una in un luogo, ove poco prima si era trattenuto alcuni giorni. Ma che avrebbe egli risposto, quando alla femminile comparsa si aggiungonoCCXI i ragionamenti di cose amorose ? Avrebbe detto saggiamente, che è un’oscenità « in facto, e in verbis », con il fatto, e con le parole, e che è uno zucchero avvelenato per arrecar la morte.

Dico 2. Il pubblico ragionamento di donna con l’innamorato, benché sia con parole modeste, è cosa lasciva. « Venus honeste habitu est Venus », dice un Savio; e aggiunge, che le Commedie si riprendono giustamente, « non solum propter verbo turpia, sed etiam propter facta »  secondo la dottrina in S. Tommaso, e degli Scolastici. E quella pubblica comparsa di Donna con l’Amante, se modesta nelle parole, immodesta si è nei fatti, che molte volte si usano illeciti, e però è illecita perché cagiona scandalo, e rovina spirituale ai molti deboli di virtù.

Dico 3. I superiori buoni, timorosi di Dio, e veramente zelanti e desiderosi di soddisfare all’obbligo loro, danno licenza in questa materia Comica, come nelle altre sospette e pericolose: cioè « servatio, servandis », e con la debita moderazione , della quale io ragiono altrove distintamente. E quando sono informati, che non si può dar licenza di far comparire le Donne, la negano; benché ricevano lettere di raccomandazione da personaggi grandi; benché siano caldamente pregati da molti; e benché i Comici testimonino; e sia vero, che le donne sono figliuole loro onestissime, ovvero pudicissime Mogli. Così io più e più volte ho sperimentato, avendo proposto a molti Superiori le ragioni, e le dottrine, che in questi ultimi anni gli Scrittori moderni più diffusamente, che gli antichi, hanno posto in luce sopra questa materia. Non racconto molti casi seguiti, come potrei, bastando quest’uno occorso l’anno 1638. Io supplicai un gran Superiore {p. 90} Ecclesiastico, presentandogli una scrittura composta di ragioni, fondate parte sulla convenienza, e parte sulla necessità dell’obbligo Episcopale di non dare positiva licenza ai Comici, o Ciarlatani di far comparire le Donne loro nel pubblico Teatro. Quel Signore mi fece prima alcune buone istanze contro: ma poi udite le risposte, e credo, soddisfatto, quando poco dopo vennero due compagnie con una lettera di favore di un gran personaggio, e di più pregato gagliardamente da molti suoi amici, che gli allegavano ancor l’esempio del Vescovo Anteoessore, mai si lasciò piegare a dar licenza « in scriptis » secondo il solito delle altre volte: e pure se non fosse stato di soddisfare alla loro obbligazione, e negando la licenza solita da autentificarsi « in scriptis ». Quando si vedono con chiarezza i pericoliCCXII, non si apre la strada ai precipizi.

Dico 4. Se i Comici non sono Teologi, né Casisti, almeno molti di loro sono, credo io, forniti di buono ingegno, e possono leggere, e intendere i Teologi, e i Casisti, ovvero possono interrogare i più dotti, e tra i più dotti i più virtuosi Teologi, e Casisti di molte Città, ove vanno, e così non stare in buona fede per la licenza mendicata, oppure ottenuta. Dia sa come: possono chiarirsi della verità intorno al punto, della comparsa delle Donne parlanti d’amore al pubblico Auditorio, abbondante di molti deboli di virtù. S. Agostino scrive. « Non omnis ignoransdis. 37. §. II. immunis est a culpa: illis ergo ignosco non paterit, qui, a quo discorent, habentes, operam non dederunt. » Cioè. Non si scusa da colpa ogni uomo ignorante: dunque non potrà perdonarsi a quelli, che non impararono, avendo i maestri.

E S. Tommaso dice. Ciascuno è obbligato2. 2. 9. 76. a. 2. di saper quelle cose, che appartengono allo stato, e officio suo, per potersi preservar dai peccati, nei quali facilmente cade, essendo ignorante. Il Comico Beltrame propone, come suo, e io non replico, un Trattato dell’Arte Comica cavato dalle Opere di S. TommasoC. 29., e da altri Dottori, e Sommisti; e lo porta acciocché si veda, che egli avendo detto molte ragioni in difesa della moderna Commedia, non ha difeso l’ingiusto.

Tutto {p. 91}questo può passare; ma io considero, che Beltrame poteva leggere almeno alcuni di quegli Autori, che trattano il punto della pubblica, e femminile comparsa; e che erano stampati; quando egli l’anno 1634. scrisse dalla Serenissima Città di Venezia stampando, e consacrando il suo Discorso alla Cristianissima maestà del Gran RE di Francia: e poi mostrare, se le pareva giusto, che tale comparsa non faccia immodesta la Commedia: egli suppone, che sia modesta, benché abbondi con il miscuglio di così fatte cose amorose: ma contro di lui sentono, e portano molte, e molto potenti ragioni gli Autori da me citati, quali se leggeranno i moderni Comici, professori di modestia, spero, che leveranno dal banco, e dalla scena le Donne loro; ne rideranno. Noi camminiamo in buona fede, perché leggendo concepiranno al clero un dubbio fondato: e questo basta per levare la buona fede. « Dubium tollit bonam sidem »  scrive Reginaldo. Nemmeno diranno. E perché non proibiscono i Superiori la comparsa delle DonneDe prudenza Confess. C. 4. sect. 1. n. 8. pa. 91. ? Chi conosce la bruttezza del peccato mortale, e non lo vuol commettere, non aspetta la proibizione degli uomini; gli basta quella di Dio. I moderni, e gli ultimi Scrittori trattano a tutto rigore scolastico, e condannano esplicitamente questa comparsa: gli antichi, e gli altri non tanto moderni, la riprovano implicitamente; e così da tutti è condannata; e si suonano le campane a doppio contro le vampe del suo focoso incendio.

Quesito Secondo

Il gusto degli Spettatori è ragione sufficiente per far onesta la Comparsa delle ordinarie Comiche nel pubblico Teatro ? §

Possiamo nominar la terrena dilettazione un dolce alimento dei virtuosi affetti, e diremo benedicendo di lei con Crisostomo. « Male desideratur, quod in damnaum salatis assumitur. »T. 1. scrt.de Iac.et Es.Non ci dilungheremo dal pensiero di Platone, non che significo, che i piaceri della terra sono l’esca dei vizi. E tal esca molto abbondantemente si prepara nel moderno Teatro per innescare gli animi dei poco virtuosi Spettatori, quando vi compareCCXIII la Donna ad atteggiare; e vi compare, per dar diletto, per recar gusto, e per consolare {p. 92}: voglio dire. L’appetito sregolato e la carnale eventualità di molti virtuosi Spettatori cagiona, che molti Commedianti, poco solleciti di ben sapere l’obbligo loro cristiano, s’adducono a condurre le donne, e a farle comparire per dar gusto con le sceniche, o bancarie Rappresentazioni: e quella comparsa femminile serve di dolce favo, o di canna miele al palato popolare. Pochi anni sono, che un Commediante, Capo di una Compagnia, mi disse chiaro. I popoli così vogliono. Quando noi arriviamo alle porte delle Città, subito sentiamo da molti quella inchiesta. E bè conducete voi Donne ? E se talvolta rispondiamo di no, replicano con riso, e con disprezzo. Voi non farete faccende, non avrete plauso: non guadagnerete soldi: darete loro nulla. Perché ? oh i popoli vogliono la comparsa, e la vita e la voce delle vere Donne. Là corre il mondo: là vanno i popoli a gara, ove la Donna versa dai suoi cestelli fioriti gusti, e traboccanti gioie. Non è molto, che un Signor Titolare domandò ad un Comico. Che Donne sono nella Compagnia ? E dopo aver udita la risposta, replicò, la tale è vecchia, e la tale val poco, quell’altra può passare: quasi che la Compagnia senza Donne graziose e Giovanette non fosse per recar gusto agli Spettatori.

Cosa maggiore udii già da un altro, non Commediante, ma personaggio di reputazione, e pratico del mondo, il quale con gran senso, e dolore disse di certi Superiori. Essi vogliono le Commedie; e non piacciono loro, se non sono grasse, e però i Commedianti usano la comparsa delle Donne, e intrecciano gli innamoramenti, e altre oscenità per arrecare gusto. E Beltrame scrive. Che per dar diletto, i Comici studiano, e si muniscono la memoria di gran farraggine CCXIV di cose; come sentenze, concetti, discorsi d’amore; per averli pronti all’occasione.

Ma io dico, che questa ragione di gusto osceno si scopre da se stessa per iniquia, e per irragionevole; atteso che si fonda nella sensualità, e nell’appetito sregolato, al quale, come rovinoso all’anima, chi coopera, fa male, e rende se medesimo reo di peccato: dunque i Commedianti cooperandovi con la comparsa Femminile peccano mortalmente: e però dovrebbero ingegnarsi per ritrovare altre maniere di dar gusto. I o credo; ch egli ingegnosi Comici, e buoni cristiani studiano, e studiando rendono gustose {p. 9} {p. 3} le fatiche loro, senza far comparire le Donne in scena.

Non vi è buon libro, testificaCCXV BeltrameC. 15., che da loro non sia letto; né bel concetto, ch e non sia da essi tolto; né descrizione di cosa, che non sia imitata; né bella sentenza, che non sia colta: perché molto leggono, e sfiorano i libri; molti di loro traducono i discorsi delle lingue straniere, e se ne adornano; molti inventano, imitano, amplificano; basta che tutti studiano; come si può vedere dalle cose, che essi hanno, alle stampe. Rime, Discorsi, Commedie, Soggetti di Commedie, Lettere. Prologhi, Dialoghi, Tragedie, Pastorali, e altre cosette che per i Comici non sono disprezzabiliCCXVI: e si trovano quasi tutti, se non pieno l’ingegno di scienze, almeno adorni in superficie di molte virtù. Così discorre il Comico Beltramee a favore degli studiosi e ingegnosi professori dell’Arte sua. E io quindi inferisco stante che sia vero il detto suo, dunque i Comici possono, studiando, trovar modi di dar gusto senza peccato, di piacere all’onesto appetito dei virtuosi, senza compiacere alla disonesta sensualità dei viziosi; di rendere gustoso il Teatro con purità, senza macchiare le scene con l’oscenità e senza svergognare l’Arte loro pudica con le vergogne di Venere impudica. In oltre tali comici possono rallegrare con tali termini la brigata, che da nessunoCCXVII siano tenuti malinconici senza che, « nihil venereum preferant » ; preferiscano nessuna immondizia. E possono procedere di modo che siano stimate sempre allegri, gioviali, galantuomini e benemeriti dell’onesto Teatro; perché vi compaiono per dar gusto onestamente con fatti, e con parole ingegnose e virtuose.

Non mi dispiace quello, che il medesimo Beltrame nota, cioè che le parole sporche possono discreditare tra galantuominiC. 60. un Comico; poiché si mostra così povero di spirito, che non sa, come dar gusto, senza mendicare parole di chiasso, e gesti da Mimi. Ed io dico a Beltrame, che quel Comico si discredita tra gli studiosi, e ingegnosi e si mostra povero di concetti, e mendico d’invenzione, il quale non sa dar gusto, ne dilettare, ne far ridere senza la comparsa delle Donne.

Io mi ricordo di un galantuomo che solo saliva in banco, e vendeva certe sue mercanziole di poca utilità, ma narrava alcune favole sue modeste, e tanto ingegnose, e ridicole, che al suo primo comparir {p. 94} nel banco, e far cenno, con il girare il fazzoletto, subito gli Spettatori, che nella piazza attendevano alle Azioni rappresentate con le Donne da Commedianti, le lasciavano, e andavano quasi di corsa da lui, per fargli cerchio, e per ricevere il solito gusto, e udir la favola ridendo molto sconsolatamente. Insomma il Comico, e Ciarlatano modesto, ingegnoso e giudizioso sa guadagnare i soldi, e dar diletto, e gusto senza infettar il Teatro, e senza rovinar la sua coscienza, quella dei suoi Auditori, con la comparsa delle Comiche. Sa egli, che, se vuole, può imitar tanti onorati personaggi Accademici, e di altra nobile condizione, i quali fanno tante volte senza comparsa di vere Donne le Azioni. E porgono gusto grande agli Ascoltanti.

Non sono molti anni che in Roma abili virtuosi Giovani fecero una Rappresentazione di tanto gusto, che bisognò rifarla cinque volte, e sempre con sommo plauso, e concorso di moltissimi Spettatori; e vi fu persona, che ricevetteCCXVIII tanto piacere, che non poté ritenersi di non dire con grazia. Deh venga il cancro a chi dice male di quelli, che insegnano a questi Giovani di fare Azioni di tanta consolazione, e tanto gusto. Eppure in quelle scene mai comparve Donna, né Giovane vestito da Donna. Or questi sa imitare il Comico virtuoso, e ingegnoso, e con l’imitazione sa dilettare in scena senza deturpar la scena. Sa, che molte sono le maniere, con le quali un bell’umore può ricrear grandemente la brigata, ora con argutezza di facezie, ora con meraviglia d’imitazione, ora con stravaganza di nuovo ritrovamento, ora con altre maniere onde praticar gusto.

A chi non è noto quell’augustissimo, e frequentissimo detto, chiamato da S. Agostino « urbanitas facetissima »  e con il quale un Comico promise di dire a tutti i suoi Autori quello, che era l’oggetto bramato dalle loro volontà: impresa certo delle meno ardite; e vanto di riuscita difficile, e non pensata, e parte quel grazioso galantuomo colpì nel proprio disegno dicendo all’Auditorio. Voi tutti volete, e bramate questo. Vender caro, o donare a buon mercato. E cotale detto fu all’ora, C’è ancora di presenza celebrato, come faccenda di graziosissima vetustà: e poi in ragione di cui tutti gli fecero un favorevole, e meraviglioso applauso. « Admirabili favore plausorans »  nota S. Agostino; giudiziosa lavate {p. 95}, poiché un lume di acuto, e modello ingegno fa spesso, comparire vivacitàCCXIX degnissime di plauso, e molto graziose. A simili virtù si addestrino i Comici del nostro tempo, e alle invenzioni di facezie modeste, e ingegnose: che così recheranno gusto all’Auditorio senza la comparsa femminile: e saranno Api fabbricatrici di miele dolcissimo al palato dei virtuosi.

Quesito Terzo

L’allettamento efficace, che nasce dalla Femminile comparsa, è ragione valevole per renderla convenevole ? §

La Prudenza prescrive, che per colpire felicemente in un disegno, si usi il mezzo molto sicuro, e certo; e si tralasci l’incerto, e poco sicuro. Se il Capitano può servirsi della bombarda, e del cannone per l’espugnazione di una piazza, che tratto di militar prudenza farà, che egli v’impieghi la moschetteria ? Il disegno dei Professori dell’arte Comica e dei Ciarlatani, si è l’allettare il popolo al concorso; per guadagnare e per mantenersi con lo sforzo delle sceniche fatiche, e con lo spaccio di quei segreti e di quei rimedi, che sogliono proporre ai loro compratori. Dunque i Comici, e i Ciarlatani con prudenza usano la pubblica, e femminile comparsa per allettare; perché sanno per esperienza, che la Donna vista, e udita alletta più efficacemente, che gli altri dilettevoli oggetti del banco, o della scena.

L’anno 1638. comparvero in una città principale del fecondo, e bellissimo Regno di Sicilia due Compagnie unite di Commedianti i quali a modo di Ciarlatani volevano spacciare con vendita il segreto del Moretto, e far dopo lo spaccio la commedia in una pubblica piazza: e per tal fine conducevano due Femmine. Subito fu avvisato, e pregato il capo principale tra loro, che per grazia si astenesse di usare la femminile comparsa. Ma egli mezzo turbato rispose. E come posso far di meno ? Bisogna allettare; e l’efficace allettamento vien cagionato dalla comparsa delle donne; io devo mantenere dodici compagni: senza questo allettamento non sarà buono, e numeroso il concorso al banco: onde alla fine io non guadagnerò, quanto ci basti. Così rispose, quasi serpe, non incantato con efficaci detti; onde l’avviso fu {p. 96} sparso al vento, e il prego, se non fu disprezzata, certo non fu esaudita: ma con altra maniera il Signor Iddio vi pose presto, e efficace provvedimento.

Io so di un altro Ciarlatano, che essendo caldamente pregato da un Religioso a lasciare la femminile comparsa nel banco, e allettare il popolo con altre dilettevoli invenzioni, rispose da galantuomo chiaramente. Io, per dirvela Padre, ho provato, e riprovato più, e più volte altre invenzioni; ma insomma sperimento, che la Femmina veduta è quella, che più allerta, e che fa più presto, e maggior concorso, quasi volesse dire. Questa è l’esca sicura, e di prestissimaCCXX cattura al comico Pescatore.

I Comici conducono le Donne per allettare; e per questo ne eleggono le più graziose, che possono avere. « Quodque dita sit, dice un dottoFrancesco Maria del Monaco in Parenes., liquet, quando non nisi has inter reliquas deligunt Histriones, ut multitudinem allietant: quippe sciunt, earum verbis, et pluchritudine potissimum viros capi ? Vit, ait D. Basitius, quotiamo Fæminaml. de Virg., ac suo latere formatam, dirigi, ut proptium membrum, ad eam toto impeturapitur; sue Fæmina in se quadam virtutem habet, miramq perestatem trahendi ad se virum, non seous ac magnes, cum ipse non moveatur, ferrum ad se rapit. »

Orsù noi rispondiamo a questa ragione di allettamento, dicendo, che egli è illecito; perché cagiona rovina spirituale a molti deboli di spirito, e disertosi. Ad altri pur forti, e virtuosi cagiona fastidio, tentazione, e qualche pericolo di caduta: onde saviamente un savio Gentiluomo, alludendo ad alcune Commedie, che in una Città facevano l’anno 1639. certi Commedianti, che professavano modestia, ma secondo il solito facevano comparire le Donne ornate, e parlanti d’amore: un savio, dico, affermò. A sentire sempre, Carne, Carne, Carne, bisognerebbe, che l’uomo fosse di ferro. Eppure le Comiche erano brutte, e si diceva, che fossero Mogli vere dei Comici: e chi affermò quel detto; era uomo di virtù, e accasato. Ora giudicate voi, che cosa patirà un uomo di animo fiacco, senza Moglie, e vizioso; al veder comparire in scena lascivamente una bella, e vezzosa Dona. L’allettamento nuoce a tutti. « A quoFrancesco Maria del Monaco, diceva un Teologo, non aliquem facilè exciperem, non adolescentem, non virum, non puellam, non madironam {p. 97}, non senem, difficilè enim eiusmodi illecebre, sensusq destini menta, et anime pericula evaduntur, etiam post spectata spectacula. » Deh dunque per suo bene entri in se stesso ogni Giovane, e ogni altro poco ben inclinato: che spero pronuncerà se stesso la Perentoria; e sentenzierà, che la comparsa femminile in banco, e in scena, è un osceno, e illecito allettamento per la sua rovina. Concludo con ricordare alla Donna, che ella adornandosi per allettare, non si può abbastanza scusare dicendo. Io son casta di mente, e son pudica di cuore, mentre l’ornato di lei è impudico, e scellerato. Così scrive S. Cipriano, ove alla Donna avvisa. « Si dixe semperDe habitu virg.Apud Cartag. T. 4. l. 15. ho. 3. §. 5. pag. 74. nostus comas, et per publicam notabiliter incedas; oculos in te ivventutis illicias, suspiria adolescentum post te traba concupescendi libidinem nuirias, peccanda, fornicem, succendus, ut, et si ipsa non pereas, alios tamen perdas, et volut gladiu, et vieneman vidoritibus te prabeas; excusari non potes, quasi castamente sis et pudica; redarguit te cultus improbus, et impudicus, senatus. »

Nota Unica

Del modesto Ridicolo dei Comici, e Ciarlatani virtuosi, e ingegnosi per dilettare, e allettare. §

Presso gli Antichi, per eccitar il riso dentro i termini della modestia, fu già inventato un vero giuoco, il quale dalla feccia fu detto, « fecis persecutatio », quasi rivolgimento, e ricerca della feccia; perché come nota Polluce, si praticava in questo modo. Dentro un catino pieno di feccia, s’immergeva qualche cosa; forse, per atto d’esempio, una gioia, un anello, una perla, o altra cosa. E poi chi la volava cavare dal fondo del catino, doveva porsi le mani dopo le spalle, accostar il viso al feccioso umor, immergervelo ben dentro, e con la bocca prender la gioia, e tirarla fuori: dal fatto seguiva, che il viso prima immerso e poi alzato compariva tutto brutto, lordo, e feccioso; onde tosto gli Spettatori si muovevano tutti a riso grandissimo, e giocondissimo. A nostro tempo ancora si è veduto praticato, se non il suddetto giuoco feccioso, almeno altro ridicolo, e modesto; perché non sono mendichi di oneste invenzioni, per cagionar allettamento, i virtuosi, e ingegnosi Comici, e Ciarlatani {p. 98}; sanno servirsi della scena; e del banco per campo da seminar dolci carote, e graziose burle, da far ridere insinoCCXXI i severissimi Catoni, e i lacrimosi Eracliti; sanno comporre Commedie, e sanno trovar modi, e anche all’improvviso, coi quali vittoriosi nella scena, e vittoriosi nel banco, trionfino ingegnosamente, e dilettevolmente degli animi, dei cuori, e degli affetti dei loro Spettatori. Bastino per prova di questo, in luogo di molte ragioni, alcuni avvenimenti succeduti a nostro tempo. Il primo occorse in Roma, ed è narrato con graziosa, e fiorita eloquenza di latinoL. 2. Pref. 2. idioma dal giudiziosissimo Famiano Strada. Io lo stringo in breve, e mal composta spiegazioneCCXXII italiana secondo la mia debolezza.

Due di questi galantuomini Ciarlatani avevano necessità di numeroso circolo, e buon concorso, per far il solito spaccio delle palotte, e per guadagnar con la vendita delle mercanzie i soldi necessari al proprio sostentamento. Però uno di loro comincia l’istrionico artificio di allettare, chiunque per colà se ne passava: ma l’artificio riesce vano; riesce uno sforzo di lingua propria, senza recar forza all’udito altrui, riesce un’Arte di dire senza l’efficacia di capire. Ma non per questo egli si perde d’animo ne rimette lo spirito; anzi pensa, e pensando inventa, e inventate usa tosto nuove, e più ingegnose maniere per allettare, ma senza sortir l’effetto di efficace allettamento; vede, che l’Auditorio non cresce numeroso: si accorge, che egli non sembra un emulo dell’antico Ansione, atto a rapir con la voce gli uomini, come animate pietre, e vivi macigni, per fabbricarsi un muro coronante intorno intorno. Sdegnato qui dunque, e stupito cessa d’allettare; da segno di partenza al suo compagno; colgono le tatare, e se ne vanno del pari: ma che ? Quindi poco lontano fermano il passo; si miranoCCXXIII alterati nel viso; l’uno con parole incolpa l’altro, come cagione della mal sortita impresa di allettare: vengono da parole villane ad oltraggiosi fatti; e uno fa sembiante di voler ferir l’altro con il ferro, e dargli morte: ma l’altro si ritira tremante, e ritirato si gridaCCXXIV, che si fa sentir da lontani, e da vicini: si muovonoCCXXV molti in un baleno, e molti corrono; e per il concorso restano i due Ciarlatani circondati da numerosa moltitudine di Spettatori. Ed eco all’ora uno di essi dolcemente abbraccia il compagno {p. 99} prima, e poi rivolto al popolo giocondamente esclama. O quanto è numerosa, o Romani, ora la vostra corona intorno a noi: eppure poco avanti ci fuggivate, come persone infette da morbo pestilente: noi non siamo nemici no, ma cari amici: abbiamo fatta un’istrionica ipocrisia: abbiamo finta la rissa per allettarvi a sentirci: il disegno è riuscito a buon segno: voi siete venuti, e venuti in fretta, e di corsa: ora non vi partite, ma sentite, e attenti intendete, che noi desideriamo comunicarvi alcuni segreti nostri giovevoli molto ai bisogni vostri. La moltitudine concorsa del popolo restò con grazia presa da questo inopinato avviso, e gustò non poco dell’invenzione; e quei buoni compagni fecero lo spaccio con effetto felice del preteso, e desiderato emolumento. Questa invenzione, fu lodevole, e efficace per guadagnare, e per allettare senza deturpare il banco con le bancate e oscene Donne; e fu parto ingegnoso di graziosi Ciarlatani.

Quello, che segue, fu opera di un bell’ingegno, di un virtuoso Francese, e di un ottimo Religioso della Compagnia nostra di Gesù, dal quale io intesi in fiorenza l’anno 1642 che stando nella sua gioventù impiegato nel ministero della scuola, e insegnando Retorica, ebbe licenza di far recitare per onesto trattenimento carnevalesco degli Scolari un semplice Dialogo senza molta spesa, e senza i soliti fastidi, che seco reco per ordinario il recita mento di opere drammatiche, e gravi. Egli per ottenere l’intento, e per apportar modestissimo, e gran piacere a tutti, lesse un buon numero di Commedie Italiane, e molta Francesi, e non poche Spagnole, e tutte le latine antiche, e moderne, che poté ritrovare; e da ciascuna ne prese ciò, che di ridicolo modesto vi ritrovò: e finita la raccolta di tutti quei ridicoli pensieri, compose il Dialogo, lo distinse, ordinò, e riempì con tanti ridicoli, che il suo recita mento riuscì ridicolosissimo, e modestissimo. Onde non solo ne sortì l’effetto desiderato di dare un poco di modesto piacere agli Scolari uditori; ma anche si cagionò tanto gusto, e diletto ad altri prudenti, e gravi Persone, che furono costretti ad asserire. Questo Dialogo modesto è una composizione troppo faceta, e troppo ridicolosa.

La memoria di questo racconto mi ha fatto ricordare una simile invenzione {p. 100} di due nobili, e virtuosissimi Personaggi, che per dilettare, e con il diletto allettare, procederono secondo l’uso Comico in una loro Rappresentazione tanto felicemente, che poterono servir di buona regola ad ogni virtuoso Commediante, che brami dilettar con il ridicolo onesto alla scena gli Spettatori.

Erano in Roma l’anno 1618. quei due valenti uomini lessero con riflessiva diligenza, una buona mano di Comiche composizioni cogliendo ciascuna, come da ben coltivato giardino quei fiori nei quali si vedeva scolpito, e ingemmato di bel riso dell’onestà senza il brutto sorriso della disonestà. E con quei fiori insidiarono la sorte, il servo il grembo, e le altre parti di un’Opera loro, fatta senza nessuna laidezza di cose oscene, ma piena di ridicoli d’ogni sorte; e tutti onesti e graziosi. E composta quest’ave la fa cenno comparire nel Teatro per mezzo di buoni, e bene citati Recitanti; onde il recitamento riuscì nobile, gustoso, allettivo, e ridicolo in modo, che cagionò inesplicabile diletto, e fece ridere tanto, che alcuni Auditori gridando. Basta, basta, non più da ridere, non più basta: perché sentiamo mancar la vita per la veemenza del troppo riso. Eppure tra quegli Auditori si numeravano molti Personaggi qualificatissimi per l’età, per la dottrina, e per la virtù; uno dei quali dopo aver riso un pezzo alfino risolse di cacciarsi sotto il palco e chiudersi le orecchie, per non udir quelle voci, e quei motti, che gli portavano un riso, assassino della vita, e micidiale del cuore.

Appendice alla nota con altri casi. §

Io stimerei far torto ai modesti Commedianti, se non prendessi anche dalle loro scene qualche caso seguito in argomento del modesto ridicolo. Beltrame ne spiega due con lunga, e graziosa narrazione: io li spiegherò con brevità.

Il primo successe in Macerata, ove un buon uomo con i continui gridi faceva invettive contro le Commedie. Ciò intendendo l’Illustrissimo Governatore, lo invitò a goder una volta la Comica ricreazione con promessa di voler poi regolarsi con il suo parere.

Egli vi andò; e come l’Orso al miele, gustò tanto la comica dolcezza {p. 101}, e rise tanto che cagionò stupore a quel Signore, con il quale poi si discolpò con mille scuse, e lodò la Commedia sommamente. Ecco che i Comici valenti, quando vogliono guadagnano gli affetti degli zelanti, offrendo loro con modesti ridicoli dolcissima pastura. Se tutti sempre seguissero questo tenore non sentirebbero mai coro di grido alcuno di cristiano e savio Oratorio.

Il secondo caso narrato da Beltrame il quale l’intese dal Comico Dottor Violone; e quello l’ha narrato anche a me come testimone di presenza occorse a Capo d’Orlando, ove da una fortuna di mare sequestrata una Compagnia di Comici trovò che l’albergo era occupato per rispetto dell’arrivo di Monsignor in visita con il quale erano quattro Venerandi Religiosi; il buon Prelato fece stringere la sua Corte, e dar luogo ai Comici; e con parte dei regali presentati a lui sovvenne alla poca previsione. Il tempo con l’asprezza, e il mare con la tempesta tolse la facoltà di viaggiare a tutti. I Comici offrirono un poco di ricreazione al Prelato loro benefattore egli si compiacque d’accettarla: il primo giorno si fece la Commedia così. Monsignor sedeva avanti la porta di una camera: i Religiosi venerandi sedevano dentro con la porta non affatto chiusa: macché ? A mezzo dell’Azione la camera risuonava per l’applauso, e la porta era spalancata. Il giorno seguente quei venerandi sedettero fuori: e il terzo sollecitarono i Comici a dar tosto cominciamento. Non vi aggiungo, scrive Beltrame, e non dico il tutto, per essere creduto: ma è certo che molte furono le lodi, che per l’onesto recitare ai Comici diedero quelle sagge persone: e benedicevano il mal tempo che aveva loro dato occasione di goder si virtuoso trattenimento.

Ed io dico che allora fu lodata un’Azione degna di lode, cioè la Commedia modesta, allettativa con il saporetto del modesto ridicolo, e istruttiva con la vivanda della fruttuosa moralità. E se i Commedianti osceni procedessero con questo accorgimento, nel recitare, non sarebbero biasimati dai dotti, e zelanti Predicatori, e Scrittori; i quali da fedeli relatori sono ragguagliati degli eccessi del Teatro; e sono avvalorati dalle Teologiche dottrine alla riprensione: e quando riprendono, non hanno nell’idea una chimera che mostri loro la Commedia per cosa impudica e {p. 102} i Comici per indiscreti, ma vi hanno il bruttissimo oggetto dell’oscenità, e i bruttissimi ridicoli, con i quali molti Commedianti purtroppo indiscreti vituperano il Teatro.

Lelio Peregrino scrive, come cosa notata da Aristotele, che gli antichi Gentili moderarono le ridicole oscenità della Commedie: con che accortezza dunque devono esser moderate dai cristiani ? « Inveteribus Comediis ridiculares eat verbo rum obscenicas; nec aliunde risus capt abatur: in novis autem sententiapotius, verbis tecta, et obscura inhonesta facta clam significante risus excitatur. »L. 4. de morbus ad Nicem. C. 8.Eppure è vero, che sono dette nelle scene parole brutte da Buffone, e da persone ridicole, le quali vogliono passare con nome di personaggi faceti; ma in realtà sono disonesti Zanni, ai quali conviene lo scritto da Aristotele nel luogo citato. « Scurra ridicoli moderari non potest, vinciturq, cupidi tate ridicula dicendi; quare verisum moneat, nec sibi parcit, nec diis. » Cioè. Il Comico smoderato, e lo Scurra per brama di piacere con il suo ridicolo, non perdona nell’oscenità propria, né alla vergogna altrui.

Orsù vorrei, che questa sentenza d’Aristotele, e ciascuno dei racconti spiegati, fosse ben pensato, e imitato dai nostri moderni Comici, e Ciarlatani, che desiderano l’efficace allettamento del popolo alla scena, e al banco; e lasciassero l’uso della comparsa di Donne parlanti d’amore lascivo; che è mezzo tanto ridicolo, e pernicioso a molti. Voglio dire, che il comico, o il Ciarlatano, facendo comparire una Femmina vana, e ornata lascivamente per allettare, commette grave errore; perché, sebbene egli non pretende, né forse lo pensa, o non vuol pensare, nondimeno pone con reale effetto avanti a molte anime una gran rete diabolica, e infernale, con le funi di cui quelle restano miseramente allacciate, e condotte al fuoco penace dell’eterna dannazione. Dichiaro più vivamente il detto con ricordar la Storia. Che riferisce Giovanni Egidio Religioso Domenicano.

Se ne stava, scrive egli, un servo del Gran Re dell’universo Iddio una volta elevato con altissima contemplazione, quando gli si aprì una bellissima porta della suprema Cittaà; la mirò giulivo, e si rallegrò in colmo, vedendo, che per essa molti passavano alle dorate stanze del celeste riposo. Ma al miele di cotale dolcezza {p. 103} si aggiunse tosto un poco di fiele di non poca amarezza; vide venire due smisurati, e orribili Dragoni, che sospendendo una grandissima rete, chiusero con essa il varco a tutti i desiderosi di far l’entrata in Paradiso. Vide, e vedendo ricevé nel cuore fiamme tali di dolore, che gli occhi di lui si fecero abbondantissimi fonti di lacrimazione, e quindi tosto rivolto con affetto al pietosissimo Padre della misericordie, lo pregòCCXXVI con umilissima caldezza, e con caldissima umiltà a notificarli, che mostra spaventosa, e di che sventura significativa, fossero quei Dragoni con quella rete. Le preghiere non furono vane; né la supplica passò senza essere segnata graziosamente. Comparve un Segretario del Cielo, un Angelico Barone, e avvisò, che nei Dragoni si rappresentavano la vanità, e la disonestà, e che la rete significava l’ornamento femminile, e lascivo, con che le donne chiudono a molti quella porta, e che appena fu tolto il sangue dell’umanato Dio, fatto ostia, e Sacerdote per la salvezza dei suoi fedeli. E nell’ultimo aggiunse un detto, al ricordo di cui mi paventa, e poi trema il cuore cioè che per cagione degli illeciti allettamenti delle Donne, che compaionoCCXXVII vanamente ornate, si dannano persone in numero più copioso, che non è il copiosissimo numero degli spiriti diabolici, e infernali.

E non basta questo avvertimento per sbandeggiare dai nostri cuori ogni brama di femminile allettamento, e d’illecita comparsa delle Donne ? Chi ode il rimbombo del tuono, tema il colpo della saetta: e chi sino a ora non è stato colpito, non abusi le grazie del cielo; acciocchè la divina Giustizia non lo riserbi alla vendetta di maggior rovina. « Differtur ultioScrit. 5. de Quadrag. , scrive S. Leone, « ut tempus possit habere correctio. »

Quesito Quarto

La difficoltà di far Commedie senza la comparsa femminile è cagione sufficiente per l’uso lecito di tal comparsa ? §

Spesso ingannato si trova, chi troppo ardentemente brama conseguir qualche fine delle sue brame: e l’effetto veemente fa spesso travedere: e fa tal’ora ancora stimar impossibile al nostro potere la felice riuscita di un negozio, quando non si tratta {p. 104} secondo il modo giudicato da noi per buono, e desiderato. Molti desiderano, come io da più Gentiluomini, e da Comici ancora ho sentito, che le vere Donne compaiono nelle scene; perché stimano, che il far le commedie senza quelle sia una morale impossibilità: ma credo vivamente essi ingannati, se io non m’inganno. E che io non m’inganni, reco per prova ciò, che della Commedia, scrive non dico un San Tomaso, ovvero qualche Santo Scolastico Dottore, ma Giovani Rosino, il quale cita altri, e dice così. « Est ComediaL. 5. Antiq. Regan. privata, civilisq, fortuna sine periculo uis comprehensio. » La Commedia è una comprensione dichiarata della fortuna, e condizione privata, e civile senza pericolo della vita. E Donato dice. « Comedia est fabula, diversa instituta continens affectum civilium, at privarorum, qua disoitur, quid sit in vita utile, quid contra evitandum. » La Commedia è una Favola, che contiene diversità di affetti civile, e privati, con la quale s’impara quello, che utile serve in vita, e quello che si deve schifare.

E Marco Tullio, avvisa. « Comœdiam esse imitationum vita, spectaculum consuetudinis, immagine veritatis. » La Commedia è un’imitazione dell’umana vita, uno specchio della consuetudine e un’immagine della verità. E Giulio Cesare Scaligero definisce. « quod Comedia sit poema drammaticum, negotiosum, exitu lætum, stylo popularis ». Che la Commedia è un Poema drammatico, pieno di negozi lieto nel fine, e dichiarato con lo stile popolare.

Queste poche definizioni o descrizioni della Commedia porta il Rosino: e io contento di queste poche, e tralasciando le altre di altri antichi, e moderni Scrittori, dico, che nessuno prudente, e dotto affermerà, che tali descrizioni, per avverarsi, ricerchino necessariamente la comparsa di Donne, e vere Donne, e parlanti d’amore pubblicamente. Infine il comico Beltrame, credo sentirà con meCCXXVIII; quando però voglia sentire secondo quello, che ha stampato nel caso del suo gentile Discorso. La Commedia, dice egli, è una tela, in cui le operazioni umane si rappresentano, le quali solamente meritano laude, quando dal drammatico dipintore son effigiate di sentenze vaghe, e profittevoli, di episodi non oziosi, d’ingegnose peripezie, di agnizioniCCXXIX chiare, e soprattuttoCCXXX di buonissimi costumi colorita. E nel c. 16. dice. « La Commedia è una {p. 105} Cronaca popolare: una scrittura parlante: un caso rappresentato al vivo. »

Ora dico io, che conobbe molto bene il giudizioso Beltrame, e con lui ogni altro Savio conosce, ch e molte operazioni umane, e molti casi si possono rappresentare senza donne in scena, come si fanno senza esse nel mondo: dunque la Commedia fare si può senza la femminile comparsa secondo la dottrina di Beltrame.

Di più prego io tutti i Comici, o non Comici, ma fautori della comparsa femminile, che leggano a loro piacere, e considerino; se sia vero o no, ciò, che il nobile Ferrarese, e Comico Cecchino scrive alla pag. 9. dei suoi Discorsi mandati l’anno 1616. al Cardinale Nipote del Papa Regnante Palo V. cioè, che non sono cinquanta anni, che si costumano le Donne in scena. Ed egli parla delle vere Donne, e non degli Istrioni, che rappresentino le Donne. Eppure nessuno dirà, che le Commedie, fatte cinquanta anni prima senza vere Donne, non fossero Commedie: dunque fare si possono senza la comparsa della Donne.

Di più si consideri per grazia, quanto sia vero, che modesta Commedia non è quella, in cui compaionoCCXXXI lascive Femmine, ornate lascivamente, e parlanti d’amore con i loro favoriti in presenza di molti Spettatori. E molto meno quella, ove si rappresentano ruffianesimi, e trattati di fornicazioni: ancorché poi il tutto si concluda con il fine di un apparente Matrimonio: perché tali cose al parere dei virtuosi sono costumi scostumati, e osceni, e non sono i buonissimi costumi, dei quali parla Beltrame; e vuole, che con essi, come con fini colori la Comica tela si dipinga, e abbellisca.

Di più si avverta, che le Commedie, che fanno molti Accademici, e altri Cavalieri, o Cittadini dotti, virtuosi, e timorati di dio, sono Commedie: eppure le fanno senza la comparsa delle vere Donne.

Di più si noti, che i Comici Santi facevano Commedie: ed essi, dice Beltrame, invece di piacevolezze mondane trattavano mai sempre di penitenze, e mortificazioni, di dolcezze delle anime giuste, e di gioie di Paradiso: dunque senza le femminili leggerezze si possono fare le Commedie.

Di più si pensi, che le Commedie spirituali, e sacre sono vere Commedie {p. 106}; eppure non hanno bisogno di pubblica, e femminile comparsa nel Teatro. Non mancano Autori, che hanno composte Rappresentazioni sotto titolo di Commedie spirituali senza miscuglio di vere Donne: se ne vedonoCCXXXII tali recitate da virtuosi: e tali spesso se ne compongono con diligenza dai Dotti.

Legga, chi vuole Pietro de Gusmandis. 6. §. 10., e vedrà, come egli giudiziosamente discorre delle buone, e lecite Rappresentazioni.

Ecco dunque, che senza far comparire Donne innamorate, e parlanti d’amore si possono comporre, e composte recitar vere Commedie con l’arte, e con l’ingegno dei comici virtuosi, e buoni cristiani.

Io per me ho questo concetto del comico dotto, virtuoso, e buon cristiano, che egli partecipi del compositore, rappresentante; e che studi molto, e molto di cuore, e che studiando, e speculando inventi molte, e belle favole piene di utile diletto, e dilettevole utilità: e stimo, che egli in ordine alla recitamento riempia tali favole con filosofici discorsi, con prudenti avvisi, con saggia politica, con dotte sentenze, con graziosi concetti, con argute vivacità, con salati saporetti, e con saporiti sali, inzuccherando poi il tutto con l’onestissima giocondità, e facendo, che l’Azione Comica veramente riesca un gustoso trattenimento; onde il Comico non si curi si usare il pericoloso mezzo della comparsa di vera Donna: ma con la sua composizione ingegnosa, giudiziosa, dilettevole, e gustosa, e con la modesta recitazione colpisca nell’umore del popolo, e si guadagni anche l’applauso dei prudenti, e addottrinati con un cumulo di vero, e meritato onore teatrale. E se io sono errato, mi dispiace dell’errore in questo mio concetto del Comico dotto, virtuoso, e buon cristiano.

Non mi dispiace il detto di Beltrame, che un galantuomo, che sia grazioso nel procedere arguto nelle proposte, pronto nelle risposte, elegante nei Sali, scaltro negli equivoci, e vezzoso nei motti, che sappia come fare con tutti, e pigliare i panni per i loro versi; un tale, benché egli facesse il macellar le persone dalle risa, mai non sarà buffone, ma va bell’intelletto, che spende quei doni, di cui il cielo, e la natura l’ha arricchito. Tali sono i Comici virtuosi, che si sanno valere dell’occasione , dell’Arte.

Ed io aggiungo al detto di Beltrame, che tali Comici non hanno {p. 107} bisogno di comparsa femminile per far le Commedie, e per recar diletto agli Spettatori. Essi possono emulare l’opera, e la fatica di quel nobile ingegno Palermitano, circa l’anno 1630. compose ingegnosamente due Commedie tanto belle, e tanto piene di onestissime grazie, e graziosi ridicoli, che l’Auditorio non si curava degli Intermedi, e bramava, che si finissero prestissimo; in mode che ritornasse ad assaporare le saporitissime parti di ciascuna di quelle due Commedie. Anzi dopo averle recitate ambedue insieme in uno stesso giorno: e fu fatto senza verunaCCXXXIII stanchezza, o fastidio degli Spettatori; anzi con sommo gusto, e con plauso universale. Questo ho saputo da un dotto, il virtuoso Personaggio, oculato testimonio di questo Comico avvenimento. Così credo io, procedono gli ingegnosi Professori dell’Arte scenica, mentre vogliono esercitar la professione cristianamente. Quasi Protei virtuosi cangiansi in mille forme, recando con tutte ingegnoso diletto, e cagionando gustoso riso, e onesta consolazione.

Quesito Quinto

Lo zelo di Padre, o di Marito è buona ragione ai Comici di condor con se le donne, e farle comparir in Teatro ? §

La navigazione non è sicura vicino agli scogli, quando il Timoniere, quasi sonnacchioso Palinuro, non veglia diligente, e pronto per drizzar la prora del natante legno. Prudenza maggiore, che quella di Ulisse, è necessaria per coloro, che solcando le marine campagne, viaggiano con pericolo evidente d’incontrar Sirene, e mostri più formidabili, e più nocivi, che non furono gliCCXXXIV incontrati da quel famoso Greco, e antico Eroe. Voglio dire per senso mio, che difficilissima impresa, è quella di alcuni Comici, e ciarlatani, i quali avendo Figliuole, e essendo paternamente zelosi della loro purità, per non lasciarle esposte all’evidente pericolo si essere, come semplici colombe predate dagli artigli di qualche grifagno sparviere, si adducono di condurre con se; sperando servir loro di ottimi custodi per la conservazione dell’onore, sin tanto, che onestamente le maritino {p. 108}, con qualche galantuomo di buona condizione: e frattanto se ne servono per l’esercizio della scena, o del banco. S. Girolamo, credo, direbbe a ciascuna di quelle Giovinette ciò che già scrisse ad un’altra. « Abscondere: foris vagentur virgines stulta »ad Eusctec.. Fa tu una vita ritirata: e sappi, che le vergini stolte godono d’andar fuori vagando.

Una volta un Ciarlatano, padre di due Giovanette graziose, nella città di Messina non poté ottenere licenza dal Reverendissimo Signor Vicario Generale D. Giacomo Stagno, per farle comparire in pubblico banco ad allettar il popolo con vari intrattenimenti; e quindi tutto lagnoso, e mezzo disperato, si lamentò dicendo. Io pretendo maritare le mie Figliuole con la dote delle loro belle virtù; che però le fo comparire pubblicamente secondo la mia professione.

Quel Ciarlatano si sentiva molto dall’interesse di necessario guadagno; e non mirava, quanto doveva, al manifesto pericolo, che di peccare avrebbero corso molte anime di Spettatori deboli di Virtù. Era buono lo zelo: era buona la custodia delle Figliuole: ma la loro pubblica comparsa era cattiva, per essere manifestamente pericolosa a molti: e a quel pericolo ebbe l’occhio prudente quel superiore, e negò la licenza secondo il retto dettame della sua mente, e secondo il debito del suo buono, e pastorale governo.

Altri Ciarlatani, e molti Comici, conducono con sé le Mogli; perché girando essi per molti, vari, e lontani paesi, farebbero poca, o nessuna dimora con quelle, quando quelle se ne stessero ferme per ordinaria stanza in una città; né forse mancherebbero importuni tentatori, troppo arditi, e bramosi di macchiar il candore del letto matrimoniale con le sozzure libidinose. Quindi si odono spesso quelle voci di alcuni Comici. Questa Donna è mia Moglie. E che ? Volete, che io la lasci lungi dame in abbandono ? Se compaioCCXXXV io nella scena, ella ancora vi può comparire; non essendo decevoleCCXXXVI, né sicuro, che se ne resti soletta nelle stanze dell’albergo, impiegata nel lavoro dell’ago, o del fuso. Lo zelo di buon Marito risveglia la mente, apre gli occhi, e insegna a ben custodire la propria Donna; e per la buona custodia si richiede la personale vicinanza del custode; poiché la separazione, e la lontananza {p. 109} della persona serve talora di potente lenocinio per far trasgredire le pudiche leggi del santo Matrimonio.

Io rispondo a questi Comici, e Ciarlatani, condottieri delle Mogli, che con ragione alla Donna per la sua debolezza si deve molta custodia. « Multa, illi custodia est, dice S. Agostinot. 9. l. d. 10. Chordis c. 9., legis praceptum, diligentia maritali, terror etiam legum publicarum; est etiam verecundia, et pudoris illius magnum munimuentum. Multæ custodiæ faciunt Fæminam castam, virum castum faciat ipsa virilitas; nam ideo mulieri maior custodia, quia maior infirmitas. » Ed aggiungo il detto di S. Girolamo. « Tenerares estEp ad Salutiam. in Fæminis fama pudiettia, et quasi ftos citò ad lenem marcessit auram, lenique flatu corrumpitur; maximè ubi et atas consentit ad vitium, et maritalis deest, anctoritas, cuius umbratutatem uxoris est. » Ma se lo zelo di buon Marito è buona ragione di condurre con se le Mogli, non è buona ragione di farle comparire Attrici lascive, e parlanti d’amore nelle scene, o nei banchi; perché cotal comparsa riesce perniciosa, e scandalosa ai molti Spettatori poco virtuosi: non è custodia della Moglie, ma pubblica mostra, e un tacito invito a comprar la castità della Moglie.

Aggiungo che questa condotta delle Mogli Comiche, e avvezze agli esercizi delle scene, o del banco, è molto pericolosa per la femminile pudicizia; atteso che non sempre giova la diligenza del Marito, anche diligentissimo, per salvar dalla macchia la castità della Moglie.

So di un galantuomo, che conduceva attorno alla sua Consorte, donna di qualche bellezza, ed era graziosa, e modesta saltatrice: né egli voleva in modo alcuno lo scorno disonesto contro l’onore di un onorato Marito: e nondimeno l’infelice fu intrappolato, essendo rimasto persuaso da certi Signori, che poteva sicuramente condor la Moglie, per saltar in un palazzo, ove erano solamente donne principali radunate, per vedere ballare, e saltare la vezzosa forestiera: ve la condusse: e condotta vi ballò, e saltò graziosamente un pezzo: ma infine molto riscaldata, e sudata fu fatta entrare in una camera, con scusa di mutarsi, e ivi sola trovò solo, chi fece a lei oltraggio, e offesa a Dio.

Ecco che la diligentissima diligenza di virtuoso Marito giova nulla, o poco per conservare lungamente illesa, la castità della Moglie {p. 110} tra l’evidenza dei mondani pericoliCCXXXVII, cagionati da lascivi Amanti. Un Argo di cent’occhi perderebbe la vista nella congiuntura di certe circostanze. Senza poi che io dica, che accetto per vero il notato del Comico Beltrame, che dice. Ogni bello è amabile; e molte donne sono vane; e non tutte le guardie sono sufficienti a riparare i colpi d’Amore: poco è rinchiudere una donna in casa, quando ella non rinchiuda in seno onesti pensieri.

Al parere di Beltrame forse aggiungerà un pratico delle mondane iniquità, dicendo. Si io, che quando persone potenti, e sfrenate risolvono di venire a fatti, si è ogni comica donna, tuttoché sia bene, e accuratamente guardata, e custodita. S. Girolamo dice. « Difficile custoditur, quod plures amant. » E nella Scrittura abbiamo, che Abramo corse pericolo della vita per la beltà della Consorte. Ed un moderno attesta. « Pulcritudo Fæminarum est Maritis per sæpe multum nociva. »Carta t. 4. pag. 90.E quante volte succedono casi di grave scandalo ? Lasciamone da parte molti, anche non molto antichi, ricordiamone solamente alcuni assai moderni.

Il primo narrato mi fu l’anno 1641. in Fiorenza da un Comico testimone di presenza. Passava per certo paese una Compagnia di Commedianti, i quali avevano con se le Comiche Moglie loro: furono fermati d’ordine del Signore del luogo; acciocché facevano un’Azione: la fecero: e dopo una di quelle Comiche, senza che il misero Marito potesse dire una parola, fu ritenuta in palazzo per le disoneste voglie dell’impudico Padrone, da cui la mattina fu restituita, con motteggiare di più al Marito, che mostrava nel volto gran dispiacere dello scorno; che non si crucciasse, perché i Signori suoi pari, non levavano l’onore, ma lo accrescevano, domesticandosi con le Mogli altrui.

Il secondo caso è questo. Partì da una città principalissima, pochi anni orsono, una bella, e famosa Comica in compagnia di suo Marito, portata da una carrozza di un nobilissimo Signore. Quando ecco la seguono persone qualificate, e potenti, l’arrivanoCCXXXVIII, la rapiscono con forza, e lasciando l’infelice Marito oltraggiato, e sconsolato, se ne vanno con la donna, quasi vittoriosi Falconi a satollarsi con la desiderata preda. Tosto si sparse il rumore dell’incidente; e tosto la fama con le scintille dello sdegno appicco il {p. 111}fuoco tale, che la prudenza, e autorità di grandi, e supremi Signori non si opponeva, ne sarebbe seguito qualche incendio, da smorzarli, non con l’abbondanza d’acqua, ma con la copia di molto sangue.

Io qui replico: dunque la custodia del Marito non è sempre sicura salvaguardia, bastevole riparo ad una Comica vagante per le città del mondo. Non basta sempre un forte muro, e un grosso terrapieno per la difesa di una piazza, quando la batteria si fa con grossi, e rinforzati cannoni.

Voglio raccontare un altro caso, che ci mostra la poca sicurezza delle Comiche, o siano Mogli, ovvero Figliuole. A nostro tempo occorse in una principale Città di un bellissimo Regno, che vi vennero i Commedianti; avevano nella compagnia due belle commedianti, una Moglie di un Comico, e l’altra Figliuola: ambedue dilettavano molto il popolo con le loro pubbliche comparse, e azioni: d’onde ne seguitò, che da certi Baroni, quasi ladroni di Venere, furono più volte rubate, condotte fuori della Città; trattenute più giorni, e abusate con scandalosa mormorazione dei Cittadini. « Et si accusandus decor non est, dice TertullianoL. de cult. f§. c. 2., ut felicitas corporis, ut divina plastica accessio, ut anime aliqua vestis urbana; timendum tamen, est propter incuriam, et violentam spectatorum. » E aggiunge un dotto. « Qui enim per incuriamPinto de Concepitione Author. 12. n. 811. jactant oculos, avide rapiuntur, ut a violentia manus non contineant. » Tutto serve per argomento, che la diligenza di Padre, e di Marito non è sempre valevole scudo per la castità delle Donne contro le saette degli importuni Amatori. Dunque non si scusino i Comici, né i Ciarlatani dicendo. Noi conduciamo le Donne, perché sono Mogli, o perché sono Figliuole. Io dico, che spesso diventano adultere, o fornicarie degli uomini peccando, e col peccato si fanno Figliuole di Satanasso. E della perdizione. Aggiungo: molte volte patisconoCCXXXIX molto quei mariti, o latri, che conducono con se le Donne; non vogliono acconsentire alle disonestà degli innamorati. Basti per ora questo caso.

Stava l’anno 1640. in una Città molto principale d’Italia una Compagnia di Comici, facendo le loro solite azioni con buon guadagno, e con gran concorso: tra le Comiche una ve n’era assai compita, e graziosa, e legittima Consorte di un Comico, che {p. 112} faceva la parte del Dottore; ed era per altro uomo che attendeva con la debita cautela, e diligenza alla conservazione dell’onore della sua Donna: questa fu da certo personaggio lascivamente amata, e anche sollecitata, per disporla ad acconsentire alle sue disoneste brame: ma incontrò lo scoglio, e le secche, ove stimò trovar libero il passo alla navigazione: non poté goder di colei, come bramava. Giunse la fineCCXL delle Commedie: e partirono i Comici, per andare ad un’altra Città: quando ecco nel viaggio ad un luogo, situato tra certe montagne furono sparate alcune archebusate, con le quali restò non ucciso, ma gravemente ferito il Comico Dottore, e Marito della desiderata Comica: per ilCCXLI quale avvenimento ebbe ragione di dire a me di poi un valente Commediante. Non è credibile, quanto patiscono i poveri Comici, che conducono con se le Donne; e non le vogliono tenere in vendita dell’onestà.

So, che talvolta alcuni giudiziosi, e pratici degli affari del mondo, dicono, che le Comiche, nominateCCXLII mogli, non sono vere mogli dei Commedianti; ma Femmine spensierate: il che se vero è, verissimo si vede, che sopra modo illecita si può giudicare la loro comparsa pubblica nel Teatro. Mas noi che ne diciamo ?

Nota unica

Si risponde alla proposta Interrogazione. §

Beltrame fa una certa domandaC. 29. intorno alle Donne, che esercitano l’Arte Comica, e dice. L’arte è un sospetto non lo nego; e presuppongo, che ve ne siano state in qualche Compagnia di scandalose: e per questo hanno da essere tutte infamate ?

Domanda bene questo Uomo dabbene; e io credo, che rispondo bene, rispondendo, che non tutte hanno da essere infamate; perché non tutte fanno vita meritevole d’infamia. Io stimo, che molti Comici abbiano le Mogli vere, e legittime; e so che ne portano fede scritta in autentica forma, e con la necessaria legalità: e stimo, che molte non siano Donne di postribolo, ma di onore con maritale pudicizia; e lodo quei Mariti, che sanno, e possono felicemente custodire tra i moltissimi pericoli teatrali. {p. 113} Mi piacque già risoluzione di un Comico principale, che mi disse. Io ho fatto gran tempo le Commedie dentro gli stanzoni dei palazzi, ma ora le faccio in mezzo delle piazze; perché così meglio conservo l’onestà della mia Consorte; nessuno sale nella scena di piazza, se non i Comici compagni: ove nella scena dei palazzi sempre alcuni Gentiluomini liberi, a lascivi vogliono salire: stanno qui dentro, e con motti, o con tocchi, o con altre maniere sconce, e disoneste inquietano la castità delle modeste Comiche.

La risoluzione di questo galantuomo buona, per salvare da qualche pericolo di castità il corpo della Moglie: e per rimediare che ella, stando in scena, non peccasse mortalmente, con si porsi avventatamente al pericolo di quei tatti impudichi. Dottrina spiegata dal Lessio, ove così c’insegna proponendo questa domanda.

« Petes. Virum Femina advertens se tangi ab alio affectu libidinoso, sensata sub peccata mortali se retrahere, vel impedire talem contactum. »L. 4. c. 3. d. 8. n. 64.Cioè domanderai. Se la Donna, avvertendo, che è toccata da uno con affetto libidinoso, sia ritenuta sotto pena di peccato mortale di ritirarsi, o d’impedire quel toccamento. E risponde. « Si contactus per se, et spectatis extremis circumstasntiis sit inhonestus, tenetur sub peccata mortali illum vitare, si potest. » Se il toccamento per lo stesso, secondo le esterne circostanze, è disonesto la donna è obbligata sotto pena di mortale colpa a schifarlo se può. E prova il detto con buona ragione fondata nella legge della castità: e dopo la prova soggiunge. « Dicitur no pose vitare, quado sine gravi incomod no potest, quod in comodu debeit esse tale, ut equale; ut si periculum mortio infamia, vel amissionis honoruma. 4. q. i. 54. A, 2 S. The. non permissenti impendeat. Vide Caiet. » Cioè. Si dice che la donna non può schifare quel toccamento, quando non può ciò fare senza grave scomodo, il quale scomodo deve essere tale, che preponderi al patimento di quel tocco; o violazione: ovvero sia almeno uguale: come sarebbe se dal non permettere tal tocco le sovrastasse il pericolo della morte, dell’infamia, o della perdita delle sostanze sue, e dei suoi beni. Nelle quali disavventure non pericola quella Comica, che si ritira dal recitare dentro le stanze {p. 114} dei palazzi, e schifa gli impudichi tocchi di quei lascivi, che si cacciano dentro le scene, per star ivi conversando con i Commedianti, e con le Comiche loro; dunque ella pecca non schifandoli; perché può senza gravezza d’incomodità schifarli. E così gli schifo la Moglie del sopranominato galantuomo: cos’avesse elle schifato l’altro peccato mortale, che commetteva comparendo nella scena della piazza, e parlandovi lascivamente d’amore alla presenza di molti, che sapeva, essere debolissimi di virtù, e ne conosceva alcuni in particolare: ma forse ella insieme con il Marito peccava d’ignoranza colpevole, e non la malizia pienamente conosciuta, con la quale malizia peccano per ordinario quelle, che si fingono vere Mogli, e non sono tali per verità. E Femminelle perdute di questa fatta si trovano talora nelle Compagnie dei Commedianti.

Mi ricordo, che quando Monsignor Ferrucci, Governatore si Farfa al tempo del Signor Alessandro Cardinal Montalvo, volle, che certi Comici mostrassero le fedi, che veramente fossero loro Mogli alcune bellissime Comiche, le quali conducevano nella Compagnia con titolo di Mogli: essi la sera presero tempo di mostrar la mattina tali fedi: ma poi la notte di nascosto se ne fuggirono velocemente: forse perché non trovarono nel fondo dei bauli. Ove dicevano di star riposte, le fedi matrimoniali. O disgrazia grande, se fu disgrazia, ma se fu bugia: o menzogna indegna di Comici virtuosi, e onorati. E casi di tal fatta son mai occorsi in altri luoghi ? Mi rimetto alla ricordanzaCCXLIII dei Santi: né io voglio trattener il Lettore con numerosa narrazione di simili falsità: si contenti di quest’una, che, pochi anni orsono, mi spiegò in Pistoia il Sig. Bartolomeo Celesi, Gentiluomo di molta virtù, e zelantissimo Curato di S. Andrea. Egli una Quaresima s’accorse, che nella sua Parrocchiale giurisdizione s’era ritirata ad abitar un Commediante con la sua Donna: lo chiamò, e disse. Io desidero, che voi mostriate la fede, che la Comica vostra sia vera e legittima Consorte: che poi io penserò, se sarà necessario di richiedervi latro prima d’ammettervi alla partecipazione dei Sacramenti. Il Comico prese tempo, per far venir la fede: e dopo alcuni giorni la portò segnata con il nome di un curato, che stanziava in un castello situato tra Modena, Ferrrara. Lesse il Sig. Celesi, e poi {p. 115} domandò, di dove è la legalità, che mi rechi qualche sicurezza, che quella fede sia veramente fatta da un Curato ? Il Comico di nuovo prese tempo con promessa di farla venire: ma dopo uno o due giorni se ne andò, con la compagna, né mai più comparve: lasciando sospetto molto fondato, che quella Femminella fosse Moglie falsa, e vera Adultera, cioè una di quelle Comiche disoneste, che « thesaurisent sibi iram in diem ira ». Diventano tesoriere dell’ira divina, che sperimenteranno nel giorno spaventoso del Giudizio.

Quesito Sesto

Il gusto delle Donne Comiche in far quest’arte è ragion di senso sufficiente per la pubblica comparsa ? §

L’Appetito di onore è antico, e quasi ereditato morbo delle Donne. Eva fu piegata alla trasgressione del gran precetto più dall’ambiziosa brama di onorata grandezza, che dalla vista del saporoso cibo. « Non Evam cibus inflexit, sed honoris ambitio illecebrosa decepit », scrive S. Ambrogio. Le donne Comiche, comparse del banco, e della scena, sono per ordinario confinate alla fatica dell’ago, e della canocchia, e se la passano in travaglioCCXLIV la vita, guadagnando il vitto con i quotidiani sudori, e con gli stenti. Ma ricevute nelle Compagnie dei Comici hanno la parte migliore, e più sicura, sono accarezzate, e onorate, e si possono pregiare del grazioso titolo di Signora.

O che gusto per una Donna, si è, o che bella cosa l’andar ad una principale città, ed essere talvolta incontrata da nobili cavalcate, e anche da carrozze da 4. o da 6. E vedersi condotta a preparare stanze, e ivi ricevere subito regali di rinfreschi, per far pasti lauti e deliziosi O che bella cosa l’andar a spasso per la città appoggiata sul braccio di un galantuomo con maniera di onorata Dama, o portata con il cocchio di un nobilissimo Signore a maniera di Principessa. O che bella anzi bellissima cosa ricevere onori grandi, e gran presenti di vesti, di collane, di gioie, e di piastre d’argento, e d’oro da qualificati personaggi, e anche da supremi Principi, e alla fine sperare di poter conseguir dopo la morte l’onore di una nobilissima sepoltura, come si legge della famosa {p. 116} Comica Isabella Andreini, e d’altre Comiche molto celebrate. Io al presente Quesito rispondo, che questo gusto non è sufficiente ragione per far lieta la comparsa femminile: perché l’appetito di onore così fatto, e ottenuto con questo mezzo, disonora l’anima delle Comiche con il vituperio dello scandalo peccaminoso e mortale, da cui la Donna resta infetta comparendo, e parlando d’amore nel banco, o nella scena per le ragioni proposte, e esposte alla luce delle quali non aggiungo altro lume; perché non fa di mestiere dar chiarezza maggiore alla luce di mezzogiorno. Il gusto, che alle anime reca morte, è gusto irragionevole, e però degno di fuggirsi con gran gusto. Che le Comiche non lo fuggiranno, gusteranno la sempiterna morte con un disgusto eterno.

Quesito Settimo

La necessità del guadagno, è ragion sufficiente per la comparsa delle Comiche ? §

« Patrimonium paperis est sanitas », disse S. Agostino, accennando, che il patrimonio di un povero Artiere si è la sanità, con che fatica, e faticando guadagna il vino alla giornata. Ed io dico che il patrimonio dei Comici, e dei Ciarlatani suole essere la sanità, e la mercanzia delle favole teatrali, o lo spaccio di alcuni segreti medicinali, e di altre cosette, e galanterie vendibili dal banco agli Spettatori, per far buon guadagno, atteso che questi galantuomini hanno bisogno, non di quattro soldi, ma di buone somme di pecunia; perché fanno per la parte una buona vita, mangiando, e bevendo del buono allegramente: fanno molti, e spessi viaggi nello spazio di ciascun’anno: dalle due alle tre, come scrive il Comico Beltrame, sono in viaggio, in mano di carrozzieri, noleziniCCXLV, barcaioli, osti, dazieri, e simili, dove non si tratta d’altro, che di borsa aperta.

Io aggiungo al detto di Beltrame, che uomini tali vestono onoratamente, e molti di loro stracciano la seta: e le loro Comiche usano vesti pompose, e preziose: insomma hanno bisogno di molta pecunia: dunque sono necessitatiCCXLVI servirsi di tutti quei mezzi, che possono usare per far gran profitto in quell’Arte tanto difficile {p. 117}, e tanto praticata nel mondo, cioè nell’Arte di cavare dalla borsa del compagno il danaro per suo provecchio, e sostentamento: in modo che conseguano il necessario guadagno, al quale la donna è un mezzo potente, e forse tra tutti i mezzi il più efficace; come la quotidiana esperienza ci convince: e però le Donne sono introdotte da Ciarlatani nei banchi, e dai Comici nelle scene. E quindi ancor avviene, che le Comiche stesse, quando in una città trovano qualche fanciulletta, nata da persone loro parenti, o amiche, e povere, ma che sia dotata di qualità, e prontezza buona per le Azioni teatrali, non trascurano l’occasione, non perdono il tempo, non lasciano le diligenze, per ottenerla e condurla con se.

E degno di lacrime dolorose il caso, e la sventura occorsa in una città principale l’anno 1639. ad una Figliuolina di otto anni, che poverella sì, ma virtuosa, recitava le feste ottimamente tutta la dottrina cristiana in una pubblica chiesa principale. La Comare sua, che l’aveva levata dal sacro fonte battesimale, la teneva in casa allevandola negli esercizi di cristiana pietà, e vera devozione. Una Coompagnia di Commedianti venne alla città; la Comica principale era sorella della madre della Fanciulletta; trattò segretamente con detta madre per ottenerla; e l’ottenne non si seppe con che arte, con che promesse, o con che denari: si seppe solo, che un giorno fu chiamata la Figlioletta per ordine della madre, mentre stava in chiesa con la Comare a divini offici, e fu subito condotta via dai commedianti. Questo caso fu scritto a me da un gran personaggio; e v’aggiunse, che il tutto s’era fatto con segretezza: perché se fosse stato presentito dai Superiori la Figliuola sarebbe stata levata dal pericolo, e posta in salvo, come si costuma di fare con altre pericolose. Ed io temo, che la smoderata brama di guadagno persuada qualche volta fatti di cotale fatta, e che l’illecito interesse di animo di levare le spose a Cristo; e esporle alla rete dell’impudica Venere con pericolo molto evidente, che le misere col tempo siano immorali, ovvero adultere meritevoli d’essere precipitate nelle fiamme dell’infernale Vulcano; « ubi cris, et stridor dentium ». Ovvero, sul fine dell’anno1640. quella creatura fu rimandata alla madre d’ordine del Capo di quella Compagnia di Commedianti; e credo che quel buon uomo {p. 118} si muovesse al rimandarla per varie querele, che gli furono dette, e scritte circa quel fatto; come egli medesimo confessò a me l’anno stesso in Fiorenza: ma non tutti i Comici sono di buona pasta; né tutti aprono ben gli occhi alla loro obbligazione; anzi alcuni si formano la coscienza a loro senno senza senno; e dotte mirano qualche partito per far buon guadagno, là scoccano le saette, e la colpiscono allettati, spinti, e animati dalla necessità.

« Histriones , scrive Francesco Maria del MonacoIn Parene § p. 33. , cum omnia per lucrum faciant, et omnia lucro metianour, nil ob Dei timorem praterentur, dammodo lucrum accedat. Inde pulchrieres Mulieres conquiruntur, inde ædem vestibus adorantur; inde stibia, et pur purissimo pinguntur; verba in molliciem, gestus ad lasciviam, nutus ad procacipatum, saltationes, et chorea ad mutam luxariem componuntur, idq quia sciunt, his incantam multitudinem allici; omnes enim pecunie vias norunt, nullas omittuns: ut adolescentes pelliciant, alliciant viros, matronas oblectunt, ivvenes emolliant, senestreddant infanos; ac sic pecunias a singulis suffurentur, et extorqueant. » Questo Teologo vuol dire in sostanza, che i Comici osceni cercano per ogni strada, benché illecita, il guadagno loro senza timor alcuno di Dio, e senza rispetto della virtù cristiana; e però conducono con se le Donne, e procurano, che siano molto virtuose, e molto lascivamente ornate; in modo che allevino, e guadagnino più facilmente ogni sorte di persone e così riportino per mezzo loro guadagno più copioso, e abbondante. E quindi avviene ancora, che essi non poco si risentano, e con parole indegne, e con fatti ingiuriosi, contro quei Religiosi Predicatori, dai quali alle volte meritatamente sono impediti dal fare le Commedie oscene, e per conseguenza dal guadagno, che con quelle, o per occasione di quelle pretendono di conseguire. Due casi spiegheranno il mio pensiero: il primo ci mostrerà il risentimento dei Comici dichiarato con parole. Ed è il seguente.

Nella città di Trapani in Sicilia sul principio dell’anno 1639. andarono due compagnie di Commedianti unite insieme con disegno di far le Commedie in una pubblica piazza per allettare il popolo a sentirle, e a comporre con l’occasione vari segreti; e mercanzie, che vendevano avanti di dar principio alla Commedia. Un {p. 119} giorno due Religiosi, mossi da buon zelo, e con speranza d’impedire molti peccati, andarono in quella piazza in tempo, che numeroso popolo vi era concorso; e il Comico venditore principale stava ragionando tutto attento alla persuasiva, per muovere ciascuno a comprare il portato segreto del Moretto: e compiuto lo spaccio con buon guadagno, si doveva fare la Commedia oscena con la comparsa della Femmina Commediante, la quale a questo fine già era salita in palco, e stava ritirata dietro la scena. Quando i due Religiosi con il Crocifisso, e con le cotte comparvero, e giunti alla scaletta del palco, vi salirono sopra, e ivi, parte predicando a vicenda, e parte dialogando tra loro, fecero si, che il popolo depose il desiderio della Commedia; concepì contrizione dei peccati; e invitato a seguire il Crocifisso, lo seguì con devoto corteggio sino dentro alla chiesa, nella quale, oltre gli atti molti di compunzione, che fece ciascuno, detestando i propri peccati, un grandissimo peccatore, che non s’era voluto confessare per lo spazio di molti anni, fu toccato, e ferito nel cuore dallo strale della divina grazia in modo, che con una perfetta, e dolorosa confessione ritornò a Dio. Ma quando quei Religiosi nel palco cominciarono a predicare, il capo di una di quelle Compagnie si risentì con parole non udite da molti, ma piene di sdegno, e di rabbia tale, che poi il grave rimorso di coscienza lo costrinse d’andare, e andò ad uno di quei Religiosi, e gli chiese umilmente perdono, pregandolo a scusarlo; perché egli aveva dato in quell’eccesso; perché vedeva, che veniva loro impedito il grosso guadagno, che sperava doversi fare nella vendita di quel giorno. Ed il compagno di lui, che era andato con lui, ed era il capo dell’altra Compagnia aggiunse, e propose, con speranza di levar ogni impedimentoCCXLVII al futuro compagno, questo partito dicendo. Padre si accontenti, che noi diamo voce di voler far la Commedia; in modo che il popolo si alletta, e venga alla piazza; ove finita la vendita dei nostri segreti con il guadagno necessario al nostro sostentamento, mostreremo di voler dar principio alla Commedia: e allora ella verrà ad impedire: e così noi resteremo rovinati; e da lei si otterrà l’intento, che non si facciano Commedie con le Donne.

Rispose il Religioso. Io so, che altre volte certi Comici hanno proceduto {p. 120} con questo artificio concertato con altri Religiosi nemici delle oscenità teatrali, ma a me non piace accordo di tale fatta; né lo posso approvare: perché, chi va alla piazza con deliberata volontà di sentire la Commedia disonesta, pecca per quella rea intenzione applicata alla disonestà; benché poi non la senta « ex defectu materie non exihibita », per difetto della materia comica non rappresentata; « non autem ex defectu sua voluntatis cum prompte ad malum ». Ed io potendo impedire anche quel peccato mortale in molti; lo devo fare almeno « ex charitate », per debito di cristiana carità. E voi potete, e gli altri apri vostri possono, o con trattenimenti onesti, o con moderate Commedie, fatte senza comparsa di Femmine lascive, e innamorate, allettare il popolo e spacciare i segreti, raccogliendoneCCXLVIII il guadagno desiderato. E così appunto fu fatto: stettero molti giorni in quella città: allettarono onestamente: venderono felicemente: e mentre i Comici stavano nel palco della piazza, le loro Donne si trattenevano nelle stanze dell’osteria.

Ora spieghiamo il caso occorso in segno, che i Comici si risentono con fatti ingiuriosi contro i Predicatori Religiosi, che si mostrano contrari alle loro oscenità; e per conseguenza impediscono, se non in tutto, almeno in parte il guadagno sperato, e bramato.

L’anno 1637. Un Religioso Predicatore partito da Perugia viaggiava verso la città di Monte Pulciano: la stagione era d’inverno: la strada piena di neve: il tempo non molto buono: ed ecco scopre venirgli incontro una grossa cavalcata di passeggeri (seppe egli poi, che erano Commedianti) uno dei quali si spiccò dagli altri con il suo cavallo, si serrò addosso al Religioso; e l’urtò con impeto tale, e tanto fieramente, che lo fece cadere insieme con il cavallo dentro un gran fosso di neve: ove si vide perso, ed ebbe a restar morto e seppellito. Intanto i compagni di quel Comico indiscreto, e crudele con una risata fecero applauso a quell’indegna azione, e seguirono il loro cammino: ed il Religioso aiutato da certe buone persone uscì alla fine con travaglio, e stento da quel grave pericolo; e si persuase, che quel Comico gli fece quell’affronto per averlo conosciuto essere soggetto di una Religione i cui {p. 121} Teologi, e Predicatori impugnano spesso le comiche oscenità, e impediscono l’osceno guadagno dei poco modesti Commedianti. Ed egli stesso narrò tutto il suddetto a me l’anno 1639. in Monte Pulciano, fermandomi io ivi alquanto in viaggio.

Concludo; e ai Comici osceni ricordo, che non basta la necessità del guadagno, per farlo lecito all’uomo bisognoso; conviene, che non sia illecito il mezzo per acquistarlo. « Damnosa mercantio est, si subas pro cibo impeditur »T.1. ser. De Iac. et Es., scrive Crisostomo.

Anche alla Meretrice è necessario il guadagno; ma la fornicazione è mezzo illecito; così dico dei Commedianti; al loro sostentamento è necessario il guadagno; ma per guadagnare non devono fare mezzi illeciti, e indegni e un mezzo di tal fonte, e affatto illecito, si è da comparsa delle donne parlanti d’amore nelle pubbliche scene; perché è mezzo osceno, scandaloso, e pernicioso a molti deboli di spirito. Chi vuole sa recitando colpire nel bersaglio della virtù, non si serva del vizio nel saettare.

Quesito Ottavo

In che modo le ordinarie Comiche aiutano al guadagno dei Comici, o dei Ciarlatani ? §

Presto si accumula la pecunia, e l’Arte del guadagnar fiorisce, quando i modi del guadagno moltiplicano diligentemente. Io non posso negare, che i Ciarlatani, e i Comici non accumulano presto i loro soldi; poiché sono aiutati diligentemente dalle Commedie ad accumulare in molti modi nel banco, e nella scena, ed inoltre nella domestica conversazione di casa.

Dico nel primo luogo per i Ciarlatani, che la Donna, la quale sale in banco, aiuta nel guadagno bancario in molte maniere.

1. Perché taluno, che non comprerebbe il segreto del Ciarlatano, lo compra per rispetto della Donna: e perché per tirare il fazzoletto con il denaro a lei, e tirandolo mirare al viso, o al seno, per colpire, e per riceverlo di poi dalle sue mani con mille pensieri brutti, e disonesti, non curando punto la qualità del segreto, se buono sia, o no. Così precisamente già di se medesimo uno: ma si potrebbe confermar da molti.

2. La donna guadagna sul banco; perché alle volte fa la venditrice {p. 122}, e propone certe sue galanti mercanzie, o di profumeria, o di saponette, o di moscardini, o di simili cosette, che hanno qualche grazia, e allettamento; né vi è pericolo, che non le spacci con applauso, e prestamente, perché molti vani, e lascivi si danno fretta nel far la parte di compratore.

3. E di guadagno la Donna in banco; perché diletta con il cantar, e con il sonare; e di molte volte ricrea il popolo con vari giuochi corporali, e meravigliosi, alfine dei quali si porta intorno intorno per mezzo degli spettatori una tazza, domandando la mancia per la signora: ne mancano di darla molti prontamente: e vi è ancora di più; perché, come nota Beltrame, le belle Comiche sono sovente lodate, favorite, e talvolta sollecitate sino da personaggi di stima, e quasi violentate con donativi: che senza dubbio, è occasione di molto guadagno a molte.

Ma noi lasciamo il banco, e andiamo alla scena; e dai Ciarlatani volgiamoci ai Commedianti, a proCCXLIX dei quali non poco giovano le donne per far buon guadagno: perché il concorso alla mercenaria Commedia è maggiore, quando le Comiche sono più avvenenti, e graziose, e quando vi è, non solo che sentire; ma che mirar ancora, e mirar con gusto.

Buon guadagno poi si fanno i comici fuor della scena per mezzo delle Comiche in più modi. Prima per i regali di vitto, e di vestito, che spesso fatti loro alle Signore Comiche. Secondo per i giuochi soliti di usarsi nelle conversazioni con le Comiche. Terzo per le grosse offerte pecuniose fatte per arrivare a godere le sozze, e disoneste lordure della carne con le Comiche; e per le quali molti si mostrano pazzamente innamorati; e non dicono quell’antico. « Nolo emere tanto panitere » ; Ma per godere un brevissimo diletto, spendono, e spandono grossissime somme di pecunia; e se fossero tesorieri della ricca Giunone, si farebbero cortigiani mendichi del povero, e nudo Cupido, per diventare poi alla fine vittime d’impudicizia, e consacrate a Venere impudica. O quanti casi antichi, e moderni potrei additare, come vasti grossi vapori usciti da questa laguna, per offuscare il serenissimo cielo dell’Italiana onestà in molte parti. Taccio gli altri accidenti, e dico solo, che alcuni alle volte se ne vanno tanto persi d’affetto verso una Comica, che impegnano infinoCCL le robe di casa,, per trovar {p. 123} il denaro necessario per i loro disonesti disegni.

L’anno 1639. Stavano certe Comiche in una città, facendo con i loro compagni le Commedie: quando un Gentiluomo povero preso restò, e perso per l’impudico amore di una: ma perché egli aveva denaro; che è il cibo saporito al palato di queste Arpie; ne sapeva trovarlo dagli amici, ne poteva, risolse d’impegnar, o di vendere gran quantità di masserizie di casa: l’impegnò o le vendette, e con la ritratta moneta giunse alfine sozzamente desiderato con molto scandalo di chi lo intese.

Ma forse qui qualche buono uomo, retto di mente, e Marito o Padre di Comica Donna, non crede pienamente a quello, che io scrivo; onde ripugna gagliardamente dicendo. Come un Soldato nel mezzo di un campo militare, e pieno di uomini licenziosi, mantiene la sua Cortigiana illesa da tutti, non potrà così mantener illesa la sua Donna un virtuoso Marito, o Padre nelle città cristiane ? Al sicuro potrà. Ed io rispondo. Temo, che al sicuro non potrà: sono tutte favole; o belle speculazioni: noi vediamo infatti, che molti buoni, e virtuosi restano ingannati; e non possono mantener illesa la castità delle loro Donne. Questa verità ho io provata di sopra con casi seguiti: ora qui aggiungo questo solo.

In un paese dimorava una compagnia di Commedianti, professori di onore, i quali non volevano in conto verunoCCLI gettar dopo il dosso la reputazione, ne vendere la pudicizia delle comiche loro. Ma che ? La buona volontà fu debole riparo all’astuzia: e all’inganno, come spesso avviene, trionfo dell’imprudenza, o della troppo sicura semplicità. Molti Giovani compartiti in vari drappelli, si accordavano d’andar a pranzo, ovvero a cena con la Compagnia, e portavano laute, e numerose vivande con vini di ottimo sapore e di molta gagliardezza: si banchettava largamente: e alla fine i buoni Comici, oppressi dal vino, erano astrettiCCLII ad arrendersi al sonno, e addormentarsi. Fatti quasi schiavi di Bacco, e mezzani di Venere: perché, dormendo essi, davano occasione ai Giovani licenziosi di risvegliar le Brame dell’impurità del lascivo disegno, quale comodamente eseguivano domesticandosi con quelle Femmine.

E questo negozio di tanta bruttezza durò molti giorni con grave {p. 124} danno di molta roba d’alcune famiglie: finalmente si scoprì: e quella Compagnia per comando dei Superiori fu cacciata come peste di perniciosa infezione. Un buon volere, benché paia virtuoso, non basta per difesa della femminile castità, quando i colpi degli arieti si raddoppiano con la forza di numerose, e molte braccia di potenti assalitori.

Quesito Nono

Le ordinarie Comiche noccionoCCLIIIpiù con l’azione del Teatro o con la conversazione di casa ? §

Le Comiche poco pudiche mi paiono ambidestre; sono nemiche delle anime, e combattrici con duplicato fuoco; voglio dire, che gravissimo è il danno, che da quella finzione doppiamente, e nel Teatro, e nelle case.

Molte procedono in quella maniera, nella quale procede una Comica principale l’anno 1640. dimorando in una città governata da una Serenissima Principessa. E per prova basti il seguente caso, narratomi da un nostro Predicatore, a cui occorse.

Io avevo predicato, disse egli a me, la Quaresima nel Duomo delle città N. e ivi poi rimasi ancora a predicare l’Estate, e l’InvernoCCLIV, dopo il quale avvicinandosi il Carnevale, con l’occasione di dovere una Domenica dire quattro parole dall’altare prima di benedire il popolo con il Santissimo Sacramento, che stava esposto per comune devozione, mi sentii ispirato da Dio a fare un’invettiva contro i Comici, che già avevano dato principio alle loro oscenità; e parlai, quasi senza sapere, che cosa io mi dicessi, con impeto grandissimo; onde non solo i Cortigiani, e non pochi Gentiluomini, ma i nostri medesimi Padri, se ne mostrarono offesi come che io avessi detto troppo. La Serenissima Principessa mandò a chiamare la Donna principale, che recitava nelle Commedie: e l’avvisò molto gravemente, che dovesse parlare con ogni termine d’onestà. Ed ella promise al solito ogni cautela, e diligenza per non trasgredire l’ordine si Sua Altezza, dalla quale io poi, essendovi per cara occasione andato, intesi, che quei Comici erano molto buoni; e che molti avevano testificato, che tanto frutto si cavava dalle loro Commedie; come se si fosse sentita le Predica {p. 125} di un cristiano, e valente Dicitore. Io non replicai con altra risposta alla Serenissima. Poco dopo me ne partii, andando a predicare altrove la Quaresima del 1641. e finite le fatiche, fui costretto a tornare in quella Città, e vi trovai, che quella scellerata Comica aveva come strumento del Diavolo, cagionato grandissimo danno nei costumi della Gioventù, non solo con la comparsa in palco, e con la pubblica Azione; ma ancora con la conversazione in casa, e con certe Assemblee infernali, chiamate Accademie, per le quali, oltre agli altri, un principale Cavaliere quantunque ammogliato, rimase preso in modo, e danneggiato tanto, che un savissimo Signore, e Prelato, a lui di sangue strettamente congiunto, stimò necessario supplicare S. A. che facesse cacciar dalla Città con bando quella infame, rea, e perniciosa Donna Commediante; dalla quale anche in altre principalissime città erano stati cagionati gravissimi nocumentiCCLV in molti Signori con pubblica e scandalosa mormorazione, querela dei parenti. Replico io dunque, affermando, che molte Comiche malinconiche danneggiano gravemente nel Teatro recitando, e nella casa conversando: al danno ricevuto nel Teatro alluse un buono, giudizioso fedele in Sicilia, il quale vedendo, che alcuni zelanti Religiosi impedivano con pubbliche prediche la pubblica comparsa delle donne in Teatro, disse esclamando. O quanto bene fanno questi servi di Dio; perché moltissime commettono peccati senza numero per rispetto del comparir, che fanno pubblicamente in scena, queste perniciose Femminucce. Disse bene colui, e volle dire, che le Comiche nuocono molto con l’Azione del Teatro, ed io qui lo raffermo e domando inoltre. Nuocono più o meno, con la conversazione di casa ? Voglio rispondere a me stesso con ricordarmi ciò, che già mi significò un degno personaggio, e pratico del mondo, affermando, che il male, che fanno le Comiche al tempo della Commedia nel Teatro, è il minore: perché il maggiore è quello, che fanno nelle case del loro albergo: ivi son visitate; ed esse, quando sono tristeCCLVI ricevono le visite, non solo volentieri, e lascivamente, ma talvolta ancora scandalosamente. Così possiamo dire di quella, che l’anno 1639. dimorando in una città in tempo estivo, fu visitata da un Gentiluomo, e lo ricevette in camicia senza vergogna, e con scandalo di chi lo seppe. In {p. 126} queste visite fatte per la conversazione un Marito ribaldo qualche volta per speranza di guadagno serve « in actu exercito »C. 1. q. 11. pag. 40. effettivamente di lenone agli sfacciati, e impudichi visitatori. Questo volle significare quella Comica modesta, maritata, e bella, della quale ho parlato di sopra, quando, pochi anni orsono, deplorò la sua vita infelice con l’ottimo Religioso, e dopo aver detto. Fò quest’Arte costretta di seguir mio Marito, il quale vuole, che io compaia nella scena facendo l’innamorata, aggiunse. Ma più mi punge, e assai più, che nell’albergo mi vengono a visitare persone lascive, ed egli destramente si ritira, quasi ponendo me volontariamente in manifesto pericolo di essere assalita, e disonorata, o almeno travagliata con sfacciatissimi toccamenti. O quanto volentieri non seguiterei mio Marito. E invero ella non era obbligata di seguirlo, mentre egli vagando se ne andava in diversi paesi per cagione tanto disdicevole, e brutta. E’ vero che Sanchez pone questa conclusione. La Moglie è obbligata di seguire il Marito, che va altrove, per trasferire l’abitazione.

« Uxor tenetur sequi virum alsò migrantem, ut transferat domicilium. »T. 1. de matr.L. 1. d. 41. n. 2.Ed è conclusione di S. Agostino citato nei Canoni « Uxaqueque Mulier sequatur virum suum, suno in vita, sine in morte. »C. Uxaqueq. 12. q.2.Ma s’intende con alcune eccezioni; e una si è, quando il Marito non volesse tirare la Moglie al peccato. « Excipe, dice Sanchez, 5. nisi vir vellet uxorem per trahare ad peccatum: tunc enim uxor astringitur; cum urgeminus sit praceptum abstinendi a peccatis». E poco dopo aggiunge « Tenendumn. 6. est astringi uxorem pracepto comitandi virum, qualitercumq velis transferre domicilium, modo non ex causa turpi, et inhonesta. » E nel caso nostro, è chiaro, che quel Comico triste conduceva la Moglie in vari luoghi per cagione di guadagno disonesto; e però non era tenuta si seguirlo.

Ne vale il dire. Ella lo sapeva, quando lo prese per Consorte, che egli, come Commediante, era per fare una vita vagante per vari paesi, senza avere stabile abitazione in luogo; perché scrive il medesimo Sanchez, che la Moglie è obbligata a seguire un tal Marito, « quandon. 10. ipsius consuetudinem vagandi noverat; sed hoc intelligitur, quando non est inhonesta, et turpis vagandi causa; tunc enim cum vir vagando peccet, non tenerum uxor eius peccato consentire. »  E Fagundez {p. 127} avvisa. « Si a principioT. 1. in Precep. Decal. L. 4. c. 12. n. 19. sciebat, eum esse vadandum, solum eum teneretur sequi, squamai ex modo evagandi nullum sequeretur peccatum. » E cita molti Dottori.

Ma se a questa Comica erano ingrate le viste per la pericolosa conversazione, certo, che a molte altre Comiche sono gratissime, e però molti Giovani di vita licenziosa vi vanno spesso, e volentieri: né si curano molto, o poco delle private, o pubbliche ammonizioni, che fanno gli zelanti servi di Dio; anzi alle volte se ne burlano, e li motteggiano sfacciatamente.

Non è molto, che in una città due Religiosi furono incontrati da certi Giovanotti, che andavano a conversazione in casa di alcune Comiche, e sentirono dirsi da uno di loro con grazia disgraziata. O Reverendi Padri con licenza noi andiamo un poco la conversazione. E con la mano accennò la casa, ove quelle misere Femminelle dimoravano. Tacquero i modesti Religiosi, conoscendo, che tal proposta era degna più di compassione, che di risposta: anzi tacquero anche i compagni di quell’imprudente Giovane, forse vergognandosi per lui, che con tanta sfacciataggine volesse dimostrarsi amico impudico d’un’impudica conversazione, quale ordinario si passa con le Femmine dei Commedianti: e nella quale si fanno di quando in quando certi giochetti graziosi, per favorire, e per guadagno alla Signora Comica graziosa.

Un Gentiluomo disse, poco tempo fa, ad un mio caro amico, che nella città, ove egli abitava, molti, quando vi erano i Comici, andavano a conversazione con la Comica, e facevano vari giuochi di sollazzevole trattenimento: uno dei quali si nomavaCCLVII la Riffa; e si faceva con l’ordine seguente. La Signora pone in tavola qualche cosa di suo; per atto di esempio un anello, acciocchè serva da premio a quello, che tirando le sorti, fa maggiore il punto, e resta di tutti il vincitore: ma prima di cominciar il tiro ciascuno deposita tanto denaro, quanto valor si chiede nell’anello; e per ordinario deposita anche più: e do la somma di tutti quei depositi si presenta alla Signora, alla quale finalmente dopo il giuoco ritorna l’anello ancora; perché il vincitore sarebbe stimato fornito di poca gentilezza, se con esso non regalasse la Comica gentilissimamente. E così l’acqua uscita dalla fonte ritorna con grosso {p. 128} tributo alla sua vena; e le moderne Comiche con i giochetti ritraggono buon guadagno dalla conversazione.

Nota unica

Di un altro guadagno cagionato dalla domestica conversazione con le Comiche. §

L’Avidità del guadagno illecito è come il collo della Gru, molto lungo; non si presige termine: si dilata per ogni verso: purché si guadagni, poco importa, che si scapiti nella coscienza; l’anima si può imbarcarla nella cimbaCCLVIII di Caronte verso l’Inferno; purché il corpo sguazzi con moltiplicato guadagno in questa vita.

Orsù tocchiamo leggermente quel guadagno di alcuni Comici miseri, e virtuosi, il quale da un savio è chiamato guadagno doppio, ma è duplicatamenteCCLIX disonesto, svergognato, e vituperoso. Ed è questo.

Saranno alle volte in una Compagnia di Commedianti una, o due o più Donne, accorte, belle, graziose, e però innamorano al solito gli occhi, e i cuori dei lascivi Amanti: questi tentano l’assalto, per espugnar la rocca della pudicizia con la batteria dell’oro e trovano doppia resistenza, una nella Comica, che resiste come onesta: l’altra in un Comico, che resiste come Marito: se pure egli è tale: ma poniamo, che veramente sia che ne segue ? L’assalto si raddoppia con duplicato donativo, uno alla Moglie, l’altro al Marito: e tosto il doppio, e infame guadagno spiana la strada alla vittoria con moltiplicazione di bruttissimi adulteri. O iniquissima vergogna, o svergognatissima iniquità, o guadagno vituperosissimo, contro del quale non voglio recar le spaventose minacce della Sacra Scrittura, né dei Santi Padri, né dei sacri Teologi, né dei savi Filosofi, né dei prudenti Politici, né degli altri dotti Scrittori antichi, o moderni; ma voglio portare solo quel poco, che il Comico Beltrame pieno di sdegnoso timore scrive con questa forma.

Io temoC. 46, che vi siano Comici, che si servano del palco per crocciolaCCLX, o zimbello, e della Moglie per Civetta, per far cadere gli uccellacci nella rete; questo non è già modo di fare il guadagno {p. 129} lecito; questi tali, se pur ve ne sono, guadagnano infamemente. Nel detto di questo Comico io considero quelle parole. Se pur ve se sono. E dico, che è probabile, che ve ne siano; come ve n’erano l’anno 1623. nel quale trovandomi in una Città, seppi, che passavano certi Comici con alcune Comiche, e un nobilissimo Giovane, pazzamente innamorato di una, viaggiavano con loro; e oltre a grossi donativi, che faceva all’Amica, faceva con grosse mance star cheto, e acconsentir allo scorno dell’onore uno, che si chiamava di colei Marito, il quale, se era, degno della forca, non che della frusta, come reo convinto di gravissimo peccato contro il Sacramento Matrimoniale.

E qui io noto, che molte persone virtuose, per udire casi di questa fama piuttosto, che per sentire i Predicatori a ragionar contro i Comici, ne prendono, e imbevono tanto sinistro concerto, che fanno ogni mala conseguenza della vita, e dei costumi loro. E vi è, dice Beltrame, chi si crede, che tra i Comici non vi sia leggeC.36., né fede; e che tra loro siano fino alle loro Donne in comune: onde noi potremo dire delle tristi Mogli dei Commedianti, quello, che scrive S. Asterio dei personaggi rappresentati dai medesimi. « Histrionum personas proprie, et peculiariter eorum possidet nemo, sed pro re, et argumento promiscue quisque sumit. »De œconomo iniquitatis.

Io mi do a credere, che non manchino altri guadagni fatti dai Commedianti per mezzo delle Comiche loro: ma li tralascio; e bastano per ora gli accennati, coi quali purtroppo spesso si offende Iddio, e si danneggia il prossimo gravemente. Assai si bagna, chi si getta in acqua; ancorché non si tuffiCCLXI in profondissimo gorgo di grosso fiume. Al numeroso danno di questi disordini facilmente possono provvedere i Principi con pubblicare un bando, che non si vada alla conversazione delle Comiche nei loro alberghi.

Così costumò di fare Tiberio Cesare, come scrive Tacito, e lo riferisce Menocchio, dicendo. « PrincipesL. 1. Ant. facile prestabunt si civibus suis mandent, ne eorum ades ingrediantur; queadmodum Tiberiam Cesarem mandasse Senatoribus, né Histrionum domos intrarent, scriptum reliquit Cornelius Tacitus. » L’imitar nel bene un Principe Romano è materia di lode per ogni Principe cristiano. {p. 130}

Quesito Decimo

In quanti, e quali modi le ordinarie Comiche noccionoCCLXII alle anime, comparando in Teatro ? §

Fallisce bene spesso il Mercante Ciarlatano, se il banco suo non ha buono il concorso: e il mercenario Comico sta in pericolo d’impegnar per vivere il vestito all’osteria, se la sua scena non ha moltitudine di spettatori. Quindi si usano gli Zanni, i Trastulli, i CovielliCCLXIII, i Graziani, i Capitani, i PantaloniCCLXIV, e altri Comici personaggi, i quali con l’utile condito del diletto, e con vari, nuovi, e ingegnosi detti morali, e con modi ridicoliCCLXV, graziosi offronoCCLXVI pastura alla brigata, e tirano soavemente il popolo al concorso. Ma tra tutti i personaggi la Donna in banco, o in scena, porta il vanto nell ’allettare: onde io credo, che sia stata invenzione, suggestione del diavolo l’introduzione Comica delle Donne in Azioni Teatrali. Che se tanti dottori han detto fondatamente, che gli spettacoli del Teatro, « sunt Diaboli inventa », sono ritrovamenti di Satanasso: che possiamo dire noi dello spettacolo Femminile, e Teatrale ? Diciamo pure, che con questo il Diavolo inganna i Comici, mentre propone loro la Femminile comparsa, come mezzo importantissimo, necessarissimo, e efficacissimo al far numeroso concorso, e con il concorso guadagnare i soldi necessari all ’umano, e civile sostentamento. E con questa comparsa il medesimo Diavolo muove, allerta, tira, e quasi dissi, rapisce irreparabilmente, e precipita la debolezza spirituale di molti in mille sorti di sozzi pensieri, e disoneste bruttezze; perché insomma nel volto di una Comica non è per ordinari o « castitatis conscientia  » dir ò con S. Ambrogio, ma piuttosto « castitatis violatioSerm. 3. in ps. 118. », il viso di Comica Donna è un invito alla disonestà.

Ora parliamo un poco distintamente, e accenniamo, quanti, e quali sono i modi, con che la comparsa delle ordinarie comiche nuoce alle anime dei Teatrali Spettatori.

Il primo modo si è il farsi vedere bella, ornata, vana, e di apparenza tale, che senza nota di temerarietà si può giudicare essere una Donna impudica. Caietano scrive. « Mulier pulchra, et impudica {p. 131} est vitios è provocativa ad concupiscentiam. » La Donna bella, e impudica provoca viziosamente all ’affetto sensuale.

Ed invero una Femmina, Comica di professione, perita dell ’arte pratica della scena, formosa per natura, speciosa per artificio, e ornata con pompa, e con vanissima diligenza, una tal Femmina, dico, come non recherà gravissimo danno a molte anime deboli nella virtù ? Come on darà gravissima sconfitta all’esercito delle cristiane perfezioni ? Come non accrescer à le vittorie lascive, e i carnali trionfi della disonestà ? Chi debole di spirito la mirerà giammai, senza rimanere miseramente preso, e senza peccare almeno con il pensiero per l’umana fragilità ? « Raro, dice Azor, in aspectum similium rerum decrit pecatum mortale propter hominum fragilitatem.» L ’uomo forte non si assicura di mirare la belt à femminile, e verginale; e come dunque il debole si potrà assicurare ? « Pepigi fædus cum oculis meis, dice il Campione della fortezza Giob, ut non cogitarem de Virgine.»C. 31. 1. E questo patto ponderando Crisostomo scrive. « Iob Diabolum vident accedentem non fugit; Virgine autem visa non stetit in comanda pulebritudine.»T. 1. ser. de Ioseph.

Ricordiamoci, che l ’amore prende la strada degli occhi, per arrivare nell’animo, secondo l’avviso di Quintiliano. « In animumDecl. 1. pro Cæco. per oculos via ». E per ò Nazianzeno dice. « Oculos cor nefarie sequitur »Adu. muli.. E Bonaventura secondo la dottrina di S. Agostino. « Impudicus oculos impudici cordis est nuntius  »Se ornantes.. E Gregorio. « Carnales sensusSpec anim. c. 3. adfluxamentem eternam trahunt ». E Girolamo più brevemente. « Caro deorum trabit. »Mor. l. 21. c. 2.Onde con ragione L ’Ecclesiastico avverte. « Ne respicias Mulierem multivolam; ne forte incidas in laquos illius. »In T. br. C. 3. C. 9.

Nota un Savio, che secondo la filosofica dottrina di Filone la Natura ha concessoSerlog. vol. 3. in cant. agli occhi una gran forza di eccitare le fiamme dell’affetto amoroso: onde l’ottimo rimedio si è il frenare la vista, e non mirare; perché chi mira, si espone al grave pericolo dell’incendio. Crisostomo nota, che chi attende a mirare le belle facce, « sibi fornacem accendit, et captivam facies animam ad apud celariter adducit; propterea non dixit Christus. Qui concupivit ad adulterandum: sed qui viderit ad concupescendumHo. 17. in Mat. ». Ed Ilario scrive, che nel Vangelo di Cristo. « Adulerio motus tantum {p. 132} incidentis oculi equatur.Can. si n. c. 5. S. Mat. » Filone avvisa, che gli occhi hanno una certa naturale parentela con tutti gli affetti, e quindi segue tra loro una scambievole mutazione; da che legge, che lo sguardo degli occhi lascivi eccita subito nell’animo l’affetto lascivo dell’intemperanza. « Omnibus animi affectibus, dice, afficiuntur et oculi, variis mutationibus declarantes naturalem quamdam cognationem.Oper. De special. leg. » E per conseguenza con il mirare le donne si può peccare. « Videtur super omnia, dice Clemente AlessandrinoL. 3. Padag. C. 11., avversandus Mulierum aspectus; non solum enim si tanguntur, sed etiam si spectentur, potest peccari. » Ed aggiunge, che dalla vita di bella donna si accende, come un vorace fuoco, l’amicizia, con la quale si giunge peccando alle eterne fiamme. « Ex ea tanqua ignis accenditur amicitia, que ad ignem numquam cessaturum deducit propter peccatum. »De vera Virginit.S. Efrem. Siro scrive. « Si oculos non custodierisT. 2. tit. De bumit. Com. c. 87. pag. 236., ne distrabantur, firmam castitatem tenera nequibis. Quemadmodum enim aqueductus confractus deperdit aquas; ita et oculorum distractio mete casta destruit. » Ed altrove dice. « Nisi te ab oculorumExhort.De timore. distractione continueris, temperantia; ac pudicitia sulcos non rectos ages. » Ed avrai occasione di patir molti dolori per sentenza del medesimo; poiché « oculus vagusIbidem dolores multos concilias sequenti ipsum » : E così giudica Crisostomo, dicendo. « Propter brevemHo. 13. ad pod. visus voluptatem diunturnum quendam et continium dolorem sustinesum » Dunque bisogna, che ci guardiamo dagli occhi di bella Donna; in modo che non ci feriscano, e ci guardiamo dal mirare con i nostri; in modo che non ci rovinino. Di questi scrisse colui. « Illa fuitQuid. mentis prima ruina mee. Et vidi, et perii, nec notis ignibus arsi. » E di quelli disse un altro. « Non tantum preliatur armatura Martis: non tantum cuspides.

Homines vulnerant: quantum feriunt oculi »Nonnus in Dionis..

Intesi già da un dotto, che Aristotele aveva scritto, che le Donne hanno negli occhi due pupille, nelle quali conservano un veleno molto potente. Ed io noto, che una sola occhiata basta qualche volta per rapire il cuore, e l’effetto di uno spettatore Svetonio scrive, che Tiberio « Agrippinam semelIn Tib. C. 7. omnino ex occursu visam adco contentis, et tumentibus oculis proseq untus est, ut custoditum sit, né unquam in conspectum eius post hac venire. » Aggiunge {p. 133} un Moderno « Timebant enimSerloguis. , né ex visu impotenter illam deperiret. »

Nella storia sacra, e Reale abbiamo il lacrimoso caso del Re David, che essendo uomo di tanta perfezione, rimase preso dalla prima vista di una bella donna. « Vidit mulierem, tulit eam »2. Reg. c. 11. 2..

Alfonso Vigliega per acconcio di questo narra, che un Fanciullo si allevò prima nel deserto, e poi nel Religioso chiostroDisc. 29. es. 19. nel lib. Detto Frutti Maravigl., ove giunto all’età di quindici anni, fu condotto un giorno dal suo Superiore alla città, nella quale vide in una parte alcune Donne, che ballavano; e domandando al Superiore, che cosa erano, udì per risposta. Sono Anatre. Ritornato poi al Convento stava tutto malinconico, e richiesto della cagione; e che cosa lo potrebbe rallegrare, egli con semplice candidezza rispose. Le Anatre vedute mi rallegrerebbero. Di questa risposta volle servirsi l’accorto Superiore a beneficio dei suoi Sudditi Religiosi; e disse loro. Figliuoli diletti ponderate bene, quanto la vista delle Donne sia pericolosa: poiché questo Giovanetto, che mai per avanti non ne vide alcuna, solo per averle una sola volta vedute, si sente ardere tutto con fiamma di lascivo affetto. Ora chi di noi sarà, che di se stesso presuma di poterle mirare frequentemente, e praticare senza danno alcuno ? Gli occhi facilmente escono insieme con il cuore a commettere il peccato; ch però nel Salmo 77.7 ove la volgata dice. « Prodiit quasi ex adipe iniquitas eorum, transieruntin affectum cordis. » Vataldo legge. « Oculis exeunt », quasi che sia una cosa medesima il mirare, e il peccare, attesa la facilità, con che si pecca, rimirando l’aspetto di una bella Donna, e impudica, e provocando la divina giustizia alla vendetta. « Ne respicias, dice S. Ambrogio, memer uxoris LothDe Vir. l. 2. qua naturam suam, quia impudicos licet castis oculis respexit, amisit. »

Eusebio Gallicano considera quelle parole di S. Paolo. « Neque adulteri Ho. de Bea. Latrone.: neque rapaces regnum Dei possidebunt », e dice. « Clamat Apostolus. AbstineamusL. Cor. 6. 10. manus ab alienis: oculos ab aliena. » Quasi voglia significare a parere di un Savio. « Utraq bonaAndr. Pito de Concept. Ant. 12. §. 5. n. 816., divitia scilicet, et uxor, minibus ille, ista ocullis eque raperentur. » Dunque ogni forte, e virtuoso cristiano si astenga dal mirar vanamente la beltà femminile, per non correre il pericolo di peccare gravemente. Socrate dice. L’uomo dabbene deve avere « oculos,> {p. 134} manue, et linguam abstinentesApud. Stob.: et oculi sunt Proxenete peccati. »

Baldesano scrive, che i Martiri Santi di Cristo condotti davanti alle statue degli Idoli; in modo che le adorassero; non solamente non le adoravano, ma neanche le guardavano, se non era per detestarle, o sputacchiarle, e con lo sguardo loro farle cadere a terra miracolosamente: anzi, per non guardarle, talvolta si lasciavano più presto uccidere. Tale dovrebbe essere la risoluzione del vero amatore di Dio, e delle Virtù, cioè più prestoCCLXVII, che ridursi, non dico ad adorare le statue carognose delle creature; come fanno molti insensati, ma solo a rimirarle, correre ogni pericolo, benché grande della vita; massimamente che tanto più si ha da frenare lo sguardo verso tali oggetti, che non guardar a fare verso le immagini degli Idoli; quanto che da guardar quelle non ne veniva più che tanto offesa l’anima, ma dallo sguardo d’oggetti pericolosi saettato bene spesso ne resta il cuore, e ucciso miseramente lo spirito. Concludo con Nazanzeno.

« Quodcumque labem uisui accersit fuge,
Oculos ut ipse virgines serves tuos.Ad Selucu in Tetrast. »

Nota prima

Si risponde ad alcune Obiezioni. §

L’Occhio malevole è traditore del cuore: ma opera con tale dolcezza il tradimento, che l’infelice Spettatore giudica lo sguardo suo un felice trattenimento. Quindi con varie scuse gli impudichi vagheggiatori delle femminili bellezze tentano di giustificare da grave colpa i loro vanissimi, e pericolosissimi vagheggiamenti. Questo errore in specieltàCCLXVIII succede in quelli, che frequentano l’osceno Teatro; ove le Comiche fanno di sé pomposa, e lasciva mostra agli Spettatori.

Dicevano. Io miro per solo gusto, e non per venire all’opera: cioè acconsento solo al diletto del pensiero lascivo; ma non voglio l’infamia della disonesta operazione. Ed io rispondo, che quel consenso al diletto è peccato mortale. S. Ilario scrive. « Cum fornicationis opere punitur illecebrosa transcurrentis uisus affectio. » Questo peccato temeva Giob. Quando scrisse. « Pepigi fedus cum oculis {p. 135} meis, ut non cogitarem de Virgine » : cioè secondo la Glossa « consensa delectationis ». E questo è quel peccato detto nelle scuole Delettazione morosa, di cui Gregorio Sairo nota. « Delectatio morosa est affectio illecebrosa », e allude al detto di S. Ilario. Questo peccato è condannato dalle Scritture in molti luoghi. Basta l’accennarne due. Nella Sapienza. « Perverse cogitationesC. 1. separant a Deo. » In Geremia. « Quousque morabunturC. 4. in te cogitationes noxia ? » 

S. Gregorio scrive. « Mentem nequaquamL. 21. mor. c. 3. cogitatio immunda inquinat, cum pulsat; sed cum hanc sibi per delectationem subiugit. » E commentando quelle parole dette da Dio al Serpente. « Super pectusIbid. c. 2. Gen. c. 3. 14. tuum gradieris, lette da lui,pectore, et ventre repes, dice, Jerpes pectore repit, quado eos quos in opere lux urie non valet, polluit in cogitazione. » Ed esponendo la sentenza di Cristo. « Non machaberisMat. c. 5. 27.: ego autem dico vobis. Quia omnis, qui viderit mulierem ad concupiscendum, et c. »  nota. Per Moysen « luxuria perpetrata: per autorem verò munditia luxuria cogitata damnatur ».

S. Paolo scrive ai Romani, che non regni il peccato di maniera, che si obbedisca ai suoi desideri. « Ut obediatisC.6. 12. concupiscentiis eius. » E per acconcio di questo S. Isidoro riferito nei Canoni dice. « Non solum de commissa§. 2. q. 7. Ca. non solum. Ex l. 2. de. fornicatione peccatum regnat in homine; sed si adhuc delectetur, atque animum teneat, procul dubio regnat. » E’ vero che S. Tommaso dice. « Quidam dixeruntSum. homo cap. 39., quod consensus in delectationem non est peccatum mortale, sed veniale tantum. » Ma egli subito aggiunge. « Alii veroI. 2. q. 7. ½. a. 8. c. dixerunt, quod est peccatum mortale; et hac opinio est communior, et verisimilior. » Ed il Santo interpreta in buon senso la prima opinione: prova la seconda, e conclude così. « Quod aliquis cogitans de fornicatione delectetur de ipso actu cogitato; hoc contingit ex hoc, quod affectio cins inclinata est in hunc actum. Unde quod aliquis consentiat in talem delctationem, hoc nihil aliud est, quam quod ipse consentiat in hoc, quod affectus suus sit inclinatus in fornicationem. Nullus enim delectatur, nisi in co, quod est conforme appetitui eius. Quod autem aliquis ex deliberatione eligat, quod affectus suus con formetur his, que secundum se sunt pecata mortalia, est peccatum mortale: unde talis consensus delectationem peccati mortalis est peccatum mortale. » S. Tommaso fonda la sua dottrina nella comunione {p. 136} degli Scolastici; e nel parere di S. Agostino, ove dice. « Cum sola cogitazione15. Trinit. c. 2. mens oblectatur illecitis, non quidem decernens esse facienda, tenens tanem, et voluens libenter, que statim, ut attigerunt unimum, respui debuerunt; negandum non est, esse peccatum; sed longèminus, quam si opere statuatur implendum. » Né Agostino ragiona di peccato venialeIn Cla. Reg. l. 8. §. 7. n. 9.; come vuole Corduba: ma di mortale: come tiene Sairo; e lo prova con le parole, che aggiunge il medesimo S. Agostino, dicendo, che per tali pensieri l’uomo si danna, se la divina grazia non lo salva, non dal Purgatorio solo, ma dall’Inferno. « Totus homo damnabitur, dice S. Agostino citato da S. Tommaso, nisi hac, qua sine voluntate operandi sed tamen cum voluntate animum tali bus oblectandi solius cogitationis sentiuntur esse peccata, per Mediatoris gratiam remittantur. »

Passiamo alla 2. Obiezione. Dice uno. Io miro le belle Comiche, e ancora le altre Donne: ma non consento al diletto impudico. So, che dicono i dotti con S. Bernardo. « Non nocet sensus, ubi non est consensus. » Non nuoce il sentimento dell’occhio, ove non occorre il consentimento del cuore. Io solo miro con il senso; e non do il consenso: si proibisce il desiderare, e il consentire: non il mirare, e il ricrearsi.

A questa Obiezione rispondo, che non favellano così gli uomini timorosi di Dio; né così procedono nelle congiunture, nelle quali si trovano talvolta contro loro voglia. Mi dichiaro con questo caso.

L’anno 1638. in una Città dell’opulento Regno di Sicilia un Gentiluomo, colà trasferitosi da Messina, andava in cocchio per suoi affari: e giunse ad un pubblico luogo, ove numeroso popolo attendeva a sollazzarsi, bevendo con gli occhi l’acqua fresca del gusto Teatrale, e mirando quegli Spettacoli, che da Comici, e dalle Comiche erano rappresentati. Il Cocchiere si fermò alquanto, per avvisar la gente, che si stringesse, e lasciasse nel mezzo la comodità del passo. FrattantoCCLXIX quel virtuoso Gentiluomo girò gli occhi altrove, e con gli occhi non volle bere nemmeno un minimo sorsetto di quel vano, e osceno diletto, che gli veniva offerto con la tazza della comica, e femminile comparsa, tutta impiegata per quel {p. 137} tempo nel dilettare. Schifò di por le labbra al vaso di quelle Circi teatrali, temendo di essere avvelenato, se avesse preso un tantino di quel beveraggio. Fu notata quell’accortezza, come segno di vera, e saggia spiritualità, da un prudente Sacerdote, che dopo alcuni giorni lo narrò a me con molto gusto. Era quel Sacerdote pratico di Messina: conosceva quel Gentiluomo: vide, e intese quel tiro di Spirito, e di perfezione; e tra sé disse. Va pure, che ben si vede, che tu sei degno figliuolo di quella santissima Congregazione Messinese. Questa Congregazione è una numerosissima radunanza di molte persone di varie condizioni, la quale per lo spazio di molti, e molti anni è stata governata, e retta nella Casa Professa della Compagnia di Gesù dal P. Placido Giunta della medesima Compagnia con tanto copioso frutto delle anime, che con ragione fu chiamata da un Servo di Dio, Predicatore, e uomo pratico del mondo, la Congregazione del gran frutto.

Questo caso, e altri simili dovrebbe considerare da senno, chi dice senza senno. Io miro col senso, ma non do il consenso. Io sono spettatore, ma non Peccatore: l’occhio si pasce, ma non si pasce il cuore. Ed io dico, che quando questo detto non è regola di sicurezza: né così dicono gli Oracoli dei Santi Padri.

S. Ambrogio con uno zelo sfavillante di celeste ardore avvisa, che se tu vedrai in una parte eccitati gli applausi popolari per le sceniche Rappresentazioni, procura di volgere altrove gli occhi, e di conservarli bene, per ripiegare lo sguardo loro in oggetti migliori. Mira di notte, dice, lo stellato padiglione del cielo; mira di giorno la bella luce ardente in fronte al Sole: mira la marina ampiezza del liquefatto argento: che così chiudendo, e moderando gli occhi, la morte non vi entrerà, quasi per aperte finestre, ad involare la vita spirituale all’anima, tesoriera della divina grazia. « Sicubi popularesSer. 5. in ps. 118. cognoveris plausus, sono le parole del Santo, averte oculos ab his; ferva eos, ut erigas melioribus: erige ad Celum: vel nocte stellarum monilia; vel die solem aspice; specta mare. Hec vide: et non intrabit mors per fenestras oculorum tuorum. » 

S. Bernardo considerando lo sguardo, con che Eva mirava il vietato pomo, le dice. « Quid tuam mortemTract. De Grad.Hum. tam intentè intueris ? Quid {p. 138} illo tam erebrò vagantis lumina iacis ? Quid spectare liber quod manducare non licet ? Ocules, inquis, intendo, non manum. Non est interdictum, né videam; sed né comedam. » Quasi voglia dire. Posso mirare; perché non consento al peccato col mirare. Ma quello è inganno del Diavolo, del quale però aggiunge San Bernardo. « Porrigit pomum, et surripit Paradisum. » E S. Gregorio dice di Eva. « Non lignum tetigisset, nisi prius incanto respexisset. » E di più dice per insegnamento di tutti. « Ut munda mens servetur a Lascivia voluptatis rapitore ad culpam. »

Ed io dico insieme con un Savio a chi mi dice. Io miro, e stendo il senso dell’occhio, ma con la mano del consenso. « Fallax presumptioAndr. Pito de Concept. Ant. 12. §. 5. n. 811.: quo tendis oculos, manus extendet. » L’affetto seguirà lo sguardo; e chi mira affettuosamente, facilmente cadrà nel peccato. Silvestro discorrendo secondo il rigore delle scuole, scrive intorno al giudizio di chi tiene, che un virtuoso può mirare senza il consenso di peccare. « Licet sit possibileVer. Delec. q. 7. legioum, id est non implicans contradictionem: numquam tamen, aut rarissime accidit. » Io mi astengo di rispondere a questa Obiezione con una lunga citazione dei S. Padri; quali ho citati altrove, né qui li voglio replicare: solamente aggiungo un poco del molto, che scrive Salvianol. de Prov. pos. medit. in prova, che chi brama custodire la pudicizia della mente, deve custodire gli occhi dagli sguardi impudichi delle Donne. Cristo disse: « Quid viderit mulierem ad concupiscendum, etc. » E Salviano commenta. « Hinc intelligere possumus, quàm castos nos esse Salvator iusserit, qui etiam licenzia visionis abscidit; sciens enim fenestras quodammodo esse nostra rum mentiam lumen oculorum, et omnes improbas cupiditates in coe per oculos, quasi per naturales cunicolo introire; estinguere eas penitus foris voluit, né intus orirentur: et lethaliter crescentibus fibris convelescerent fortasse in animo, si germinassent in visu. Idcirco itaque ait Dominus, petulcos, impudico rum hominum intuitus noxa aduleterii non carere: scilicet ut qui bona side fugeret adulterium, custodire aspectum. » Accenna in ristretto, che chi non custodisce gli occhi, apre il cuore alle piaghe mortali, e si rovina. {p. 139}

Nota seconda

Intorno alla stessaCCLXX materia. §

L’Eloquente, Romano Oratore fu di parere, che il buon Capitano debba essere uomo fornito di molta cautela nel custodire gli occhi dal mirare la bellezza delle Donne. « Si quem habetisOrat.prol. manil., disse egli ai Romani,qui exercitus virgos superare, posse videatur; tamen nisi erit sdem, qui se a pecuniis socio rum, qui ab eorum coniugi bus, manus oculos, animum cohibere posset, non erit idomus. » Ed io stimo, che ogni buon Cristiano, per esser Soldato di Cristo, come dice S. Efrem. « Instar boniT. 2. de pers. Monæbi Militi in certamen cum adversario prodi », debba essere molto diligente nella custodia degli occhi suoi. E qui l’avviso di Salomone di non mirare la beltà Femminile. « Non concupiscatPro. C. 6. 25. pulchritudine eius cor enim; nec capiuris oculis tuis. » E di questo avviso bisognosi sono quelli, che frequentano il Teatro oscenoIn Sixtiam, senza cautela mirano, e rimirano in faccia le belle, e ben vestite Femmine recitanti.

A chi dice la Comica è bella, ma pudica. Io rispondo prima con Giovenale. « Rara est concordia forme. Atque pudicitia. »Sat. 10. Ed è difficile in Donna Teatrale. E poi dico con l’Aresi. Se con la beltàL. 25. c. 24. del viso bontà dei costumi è congiunta, qual cuore da questa gemina faceCCLXXI non sarà vinto, e incenerito ? E a quali pazzie non si ridurrà a credere, o a farer per simile oggetto un uomo ? Gran cosa farà. Se ad adorarla quasi Dea non giunge. Si che Donna bella esser deve quasi velenoso Basilisco fuggito; perché se è cattiva, t’ingannerà; se è buona, ti farà far pazzie; quella qual veleno ti priverà di vita: questa qual fumoso vino ti leverà il cervello: quella accarezzandoti ti distruggerà: questa fuggendoti farà, che da te medesimo ti consumi: quella in un mar di miserie ti farà patir naufragio: questa in un pelago di tormenti ondeggiante ti lascerà; e dal porto da te bramato sempre ti terrà lontano: e finalmente allo stesso termine di disperazione, e di morte, benché per diverse strade, così per l’una, come per l’altra arriverai: e perciò, come molto bene ci consiglia il Savio, « Averte faciemEccl. P. 8. a Muliere compta » : perché gli occhi nostri, noto io con Ugone Cardinale, « limosi {p. 140}, sunt, et citò adharet eis species muliebri ».

Dice uno, (e questa è la 3. Obiezione.) Io miro con franchezza la Comica: perché la miro da lungiCCLXXII: e così non corro pericolo alcunoCCLXXIII di peccare.

Ma io rispondo. Forse voi qualche volta mirate da vicino, e non sempre da lontano; non credo già, che voi siate sempre nello stesso palchetto, posto lontano dalla scena per rimirare da lontano; e però stando alle volte vicino, e mirando, correte pericolo di peccare.

Aggiungo: se la Donna mirata è lontana, la tentazione della vostra libidine è vicina. La bellezza di Bersabea da lontani balenò all’occhio reale dello spettatore: e egli restò preso dal vicino affetto libidinoso. « Mulier de longeIn ps. 50., scrisse Agostino, libido prepe; de longe vidit David, et captus est. »

Aggiungo il giudizio di un Savio, che dice. « Si ad MulieremCartag. T. 4. l. 15. ho. 3. §. 32. non appropinques, sed solum a longè intuearis, experientia compertum est, quantum plerumque neceat. »

Ma S. Cipriano avvisa chiaro, che nessuno, cioè dico io, poco cauto spettatore fugge illeso dai morsi della libidine; perché l’alito suo pestilente infetta anche i lontani. « Nemo libidinisSer. de iciv. et tent. morsus evadit; quia habitus ille pestilens etiam longè positos inficit. » Aggiungo di più. Alle volte è cosa peggiore mirar da lontano, che da vicino: perché da lontano una faccia, abbellita con arte, sembra qualche cosa vaga, e graziosa: ove mirata da vicino, si scopre stibiata, infarinata, incrostata, e simile ad una vera dipinturaCCLXXIV, o mascherone ; con la quale apparenza genera orrore, e non amore. Dunque è mera scusa, e non buona ragione il dire. Io miro da lontano la bella Comica recitante.

Dice finalmente un altro. Orsù confesso il vero. La Comica è brutta: non vi è che mirare: l’occhio può chiudersi al diletto; perché non scorge un bello, e delicato oggetto; ne vede un volto di Elena giovane, e graziosa: ma un visaggioCCLXXV di Ecuba stomacosa, e vecchia; e la vista di donna tale è così brutta, che fa fuggire la tentazione; e serve quasi di potente Basilisco per uccidere il pensiero della fornicazione, e del peccato.

Io rispondo, che quando una Comica è bella, fa impazzire molte volte qualche incauto spettatore. Onde a lui si può accomodare {p. 141} lo scritto dell’antico Comico.

« Ego illic aspicro forma eximiam mulierem;

Quam ego postquam aspexi, non ita amo, ut sani solent

Homines, sede o pacto, ut insani solent » Plaut. l. Mercat..

E così la Comica bella mirata cagiona pazzia: e inoltre cagiona molti, e molto gravi peccati, nei suoi lascivi Spettatori.

Ma quando è brutta, cagiona almeno qualche peccato mortale: poiché ella, tutto che brutta sia, comparendo in un’oscena Rappresentazione, fa peccato mortale; e gli Spettatori, fomentandola in quello stato con la presenza, con l’applauso, con il pagamento, o con altro modo irragionevole, peccano mortalmente.

Rispondo inoltre, che se una Comica è brutta, forse non tutte le Comiche della sua Compagnia sono brutte: e alle volte con una brutta, e vecchia padrona compare una bella, e giovane servente, e qui corre il detto volgatoCCLXXVI. « Contraria iuxta se posita magis elucescunt. » La bruttezza di una fa maggiormente spiccare i lampi di beltà nell’altra. Ma poniamo, che vi sia una Comica sola, e che sia brutta al parere di uno: io dico, che forse non tutti sono dello stesso parere. E forse tal uno vi è, che la stima bella; perché tornando a casa, trova la Moglie sua molto più brutta, più vecchia, e più disgraziata.

Voglio anche inserire, se la Comica è brutta per natura, dunque per malizia si adorna lascivamente con varie diligenze, e con molti belletti, per comparire almeno meno brutta, massimamente al lume delle torce, o da lontano; e comparendo per dilettare, e per allettare gli Spettatori alla frequenza dell’osceno Teatro, e a sentire, e vedere le oscene Azioni. Ed ella per questo cattivo fine ornandosi, e abbellendosi pecca mortalmente. « Mulier, dice il BonaccinaDe matr. q. 4. p. 9. n. 25., e cita altri dottori, fucans faciem, peccat mortaliter, si hoc faciat ex sine mortaliter malo. »

Concludo con ricordare, che molte volte una Femmina anche brutta fa dar nelle pazzie un Gentiluomo, non so, se con forza umana, o con stravedimento diabolico: forse per quella ragione accennata da Platone, ove dice. « Amanti is animus, in suo corpore moriens, in alieno est vivens. » L’animo di chi ama, sta morto nel proprio corpo, che informa, e vive nell’altrui corpo, che l’innamora {p. 142}; e però pare, che non gradisca il vagheggiare altro, che l’amato oggetto.

Tali uomini si trovano alle volte, e di tali S. Crisostomo scrive con questa forma. « Qui turpi amore No. In ps. 42. f. 1. tenentur, et alicuius puelle sape etiam deformis ardore incenduntur; nec parentum minas, nec amico rum convicia, nec aliorum multo rum quidqquam curant reprehensionem, sed ad illam, tanquam ad scopum tendentes et domum despiciunt, et paternam hereditatem, gloriam, et existimationem, et amicorum adhorationes còntennunt, astimantes semagnam habere horum omnium consolationem, si apud Amicum santum in pretio, et honore fuerint: licet sit vilis, licet famosa, et quacumque denique ea fuerit. » Anche Filone attribuisce questo alla pazzia degli Amanti, e dice. « Solonel. 2. log. alleg. sæpe insani Amatores Muliericulas turpissimas deperire » ; o perché « voluptas, non quale est sabiectum, tale agnoscit, sed addis arte mendacium » ; o perché come dice S. Tommaso « delectationes corporalesl. 2. q. 34. a. 1. ad. 1. rationis usum impediente. » Mi sovviene un nobilissimo Signore, il quale pochi anni orsono, seguì da Napoli a Roma, e indi ad un’altra principalissima Città, una Comica, veramente agli occhi dei Savi brutta, ma alla vista di quel misero tanto vaga, che gli sembrava una bellissima Semidea. Insomma non stima brutto l’amato viso, chi l’ama troppo sregolatamente. Ma se di rado avviene, che una Comica brutta piaccia molto; certo è, che spesso occorre, che una bella, e molto piaccia, e molto nuoca alle anime degli Spettatori poco virtuosi. E a tutto questo male, e grave nocumentoCCLXXVII delle anime concorre l’ordinaria Comica col primo modo, che è farsi vedere bella, ornata, e tutta vana nel banco, o nella scena. Oggetto di tal fatta è una Medusa per il danno di molti: e molti si impietriscono per tale aspetto: onde impietriti servono poi al fine per la fabbrica dell’eterna dannazione tra Diavoli dell’Inferno. {p. 143}

Quesito Undicesimo

Le ordinarie Comiche nuocono alle anime nel Teatro con altri modi ? §

Il capo di Medusa era pieno di velenose serpi, onde può servire a noi di simbolo, per avvisarci, che il capo di una teatrale Medusa, cioè di una Comica, e molto più la faccia di lei, e la persona, è piena di serpi, che cagionano a molti deboli di spirito la rovina spirituale, e gli avvelenano con molti modi velenosi, e mortali: due dei quali oltre il già detto, sono la grazia, e il canto; mi dichiaro discorrendo così.

La Donna solita di comparire in banco, ovvero in scena, quando si vede mancante nella naturale beltà, cioè povera di quel capitale e donnesco, che è tanto apprezzatoCCLXXVIII, si avanza, come può, o con i grazia di bellissimi modi nel trattare, o con la dolcezza di soavissima voce nel cantare; finché ella comparendo e graziosa, e cantatrice, non brutta sembra, ma bella; e come bella cagiona grave danno, e rovina a molti; e però l’astuto nemico Satanasso l’ha introdotta nel pubblico Teatro per allettare molti, e per rovinarli.

Nota con avveduto accorgimento S. Cipriano, che se nella Chiesa, che è luogo santo, « periclitatur castitas », si corre gran pericoloCCLXXIX della castità; « ubi DeiDe Sing. Cleric. pracapta nos congregant » ; eppure vi andiamo per ubbidire a divini precetti. « Quid agitur, ubi Dei iussa nos separant ? Et si turbamur illic, ubi Dei voluntate munimur; quantò magis, ubi non solum Diabolum, sed etiam Dominum habemus adversum ? »  Che sarà di noi nel Teatro, dal quale ci separano i divieti sacrosanti, e divini; e ove abbiamo non solo il Diavolo per oppugnatore, ma anche per contrario il Signore ? È dove compare la Donna, bella, ornata, e vana ovvero graziosa, e cantante ?

L’anno 1639. un Giovane molto savio, e pratico del mondo, ragionando con me delle molte, e gravi miserie cagionate dai moderni Comici, che conducono le Donne, mi disse liberamente. Padre la sola vista di Donna suol cagionare nell’animo nostro un subito risentimento contro l’onestà: che ci cagionerà poi la vista di una Comica bella, ornata, e vana; se l’animo nostro farà {p. 144}, come purtroppo è, inclinato al vizio ? O che nocumentiCCLXXX, o che rovine.

Io qui ora aggiungo al sopradetto. Che farà la donna in Teatro, se oltre all’essere bella, ornata, e vana, vi comparirà graziosa nel trattare, dolcissima nel canto ? Farà, credo, ss stessa una rete infernale, per allacciarvi dentro moltissimi Peccatori. Quanto può la grazia; e belli modi di un’accorta, e graziosa Donna contro il bene universale di una Città intera.

Ho sentito raccontare per bocca di un degnissimo Religioso, nobile Messinese, che in una Città principale del fiorentissimo Regno di Sicilia si trovava una famosa comica, la quale, dopo aver posto sottosopra il tutto con scandalo universale, fu alla fine illuminata, e toccata dal Sig. Iddio, onde compunta se ne andò alla Chiesa della Compagnia di Gesù, e domandò un confessore. Le fu assegnato un virtuosissimo vecchio, il quale, prima di andare per udirla, quasi dovesse combattere spiritualmente, si armò con un aspro cilicio, e caldamente si raccomandò a Dio: ma andato, e veduta la Donna esser molto brutta, le domandò con meraviglia. Voi siete quella, che poneva in rovina questa Città ? Si Padre, rispose, io sono quella, che con i miei belli modi, e graziose maniere ponete in rovina la Città, e faceva perdere a moltissimi la divina grazia con evidente pericolo dell’eterna dannazione. Io con le mie grazie ho cagionato una disgraziata infelicità a moltissime anime: che però ora ne piango, e contrita ne chiedoCCLXXXI misericordia umilissimamente al Creatore.

Questa moderna storia è un chiaro specchio, in cui possiamo vedere la forza, ed efficacia, con che una Donna teatrale nuoce a molti con il solo modo grazioso di trattare: nuoce ancora, con altri modi, uno dei quali si fonda sulla dolcezza del cantare, di questo ora intendo quella scrittura d’Isaia. « Post septuagintaC. 23. 15. 16. annos, erit Tyro quasi canticum meretricis. Summe citharam, circui ci, vitatem meritrix oblivioni tradita; bene cane; frequena canticum: ut memoria tui sit. » Cornelio commentando aggiunge. « quasi dicat. Tyrus post septuaginta annos specie, ostentatione, et proclamatione mercium suarum allicet ad se mercatores: sicut meretrix cantu illecebroso allicit Amasios. » E aggiunge di più. « Uti meretrix, Cytharas, cantus, omnesq: illecabras adhibet ad illeciendum {p. 145} ivvenes. » E cotal danno, e allettamento vien cagionato a molti col cnato della donna in banco, o nel teatro. E però sarà bene, che ne diciamo qualche cosa brevemente.

 

Nota unica

Intorno al nocumentoCCLXXXIIcagionato dalle comiche con la dolcezza del canto. §

La mercenaria musica di certe persone vagabonde non sempre sta collegata con la sincerità dei buoni costumi. S. Antonino dice dei Musici. « Videant, ne3. p. sum. C. 8. 6. 4. §. 12., dum blanda vox queritur, congrua vita negligantur, et Deum irritet contra se dum populum delectat, ut ait Gregorius dis. 92. in Santa Communiter tamen tales solent esseleven, et dissoluti. » E però domanda con prudenza Aristotele. Per quale ragione i Musici, che vanno cantando per mercede nelle feste; hanno poi così cattivi costumi. E risponde; che ciò avviene; perché stando a tutte le ore in allegrezze, e conviti; ne ascoltando mai precetto alcuno di buoni avvisi, ne vedendo anche mai alcuno, che tra loro dia buono esempio, non sanno vivere in altro modo; che in quello, che hanno imparato per uso.

Di questa proposta, e risposta Aristotelica si serve il Franciotti, per provare, che le Figliuole non devono imparar di musica. Ma io me ne servo qui, per accennare, che quelle Femmine cantatriciLib. 5. c. 14. n. 6. della Giovane Christiana mercenarie, e vaganti nelle compagnie dei Comici vagabondi, poca fermezza possono trovare i sinceri costumi, e le virtù decevoli ad una cast Donna; onde non sarà temerarietà il giuducare, che comiche di tal fatta per ordinario siano, viziose, e perniciose; e che cagionano gravi mali con i canti loro.

S. Pietro Crisostomo spiega le utilità del canto dicendo. « Omnes, qui ardua operam sublevant, et solantur angustias, probat ad solartium laboris datam nobis naturaliter cantilenam. Hinc Naute cantu superant marina discrimina: hinc immensa pondera adducunt levamine canticorum; hinc viantes colles arduos facit transcendere vox sonora; hinc praliatores ipsos pracedens cantus subire concitat amara bellorum. Ac ne multis omne, quod duri est operis, quod laboris, dulcis, vincit, et efficit cantiolena. » Questo Santo {p. 146} Dottore significaCCLXXXIII il pensiero spiegato anche da S. Crisostomo; cioè, che Iddio, e la natura inclinino grandemente gli uomini al godimento del virtuoso canto; in modo che ricevano un dolce sollevamento nelle fatiche della presente vita. « Deus cum vidisset multos hominius esse socordiores, nec ad legenda spiritualia lucenter avvedere, nec qui in eo capitur, alborem tolerare, volens gratiorem latore efficere, eiusq, sensum prescindere, admiscuit prophetiam melodia, ut omnes, versus cantici numero delectati cum magna animì alacri tate, ac promptitudine sacros ei hymnos emitant. Nihil enim animam aque erigit, et alatam quodammodo efficit, et a terra liberat, et exoluit a vincules corporis, et amore sapientie afficit, et ut res omnes ad hanc vitam pertinentes irrideat, persicit, ut, versus modualtus, divinium, cantium numero compositum. »

E della natura aggiunge. « Nostra Natura usque adeo delectatuim canticis; et carminibus; et cantam cum eis habet necessitudinem, et convensentiam, ut vel Infantes, ab uberibus pendentes, si steat, et eos gectam in uluis, sape abeuntes, et redentes, et quadam puerilia eis carmina de cantantes, supercilia eorum ita sopiunt. » Seguita il Anto a provare il suo detto con l’induzione dei viandanti, degli agricoltori, dei vignaiuoli, dei marinai, e anche delle donne tessitrici, e poi riferisce. « Quoniam ergo hoc genus delctationis est nostra anima valde cognatum, et familiare, ne Damones, lasciva, et meretricia cantica introducentes, omnia everterent, psalmos Deus construxit, ut ex care simul caperetur voluptas et utilitas. » S. Ambrogio con maggior brevità discorre in prova, che il canto è di non poco sollievo alle fatiche. « Habet nox carmina sua, diceT. 1. in Evem. L. 5. c. 24., quibus vigilias hominum mulcere consuevit. Quid de Luscinia dicam, qua percigil custos, cum ona quodam sinu corporis, et gremiofovet, insomnem longe noctis laborem cantilena suavitate solatur. Hanc imitas tennis illa mulier sed pudica incussum mola lapidem brachio trahens, ut possit alimentum panis suis parunlis non deesse, nocturno cantu mastrum paupertatis mulcet affectu et quamuis suavitatem Luscinia non posst inmitari, imitatur tamen eam sedulitate pietatis. » E poco dopo aggiunge. « Est etiam Galli {p. 147} cantus Juanis in noctibus; nec solum suavis, sed etiam utilis, qui quasi bonus cohabitator et dormientem excitat, et solicitum admonet et viatem solatur. » E seguita a raccontare molte altre utilità, che l’uomo riceve dal canto del Gallo; e poi conclude. « Hoc postremo canente ipsa Ecclesie petra culpam suam diluit. » Il canto cagionò la compunzione nel discepolo di Cristo Pietro. E qui io mi ricordo, come il santo, non di un Gallo, ma di un Mimo fece compungereCCLXXXIV anticamente un Giovane mondano in modo, che determinò di lasciare il mondo, e di donarsi tutto a Dio, servendolo con perfezione.

Benedetto Gononi nel Prologo dell’Opera fatta da lui intorno alle vite dei Padri di Occidente narra di S. Aiberto, Monaco racchiuso, e uomo di somma astinenza, che vivendo nella paterna casa Giovanetto di bel tempo, un giorno udì a caso un Mimo, credo un SalimbancoCCLXXXV, il quale cantava una certa storia, che esprimeva la conversione di S. Teobaldo Eremita, l’asprezza della sua vita, e il felicissimo fine, del suo pellegrinaggio tra gli uomini mortali; e quindi in un tratto restò tanto commosso, e addolorato per rispetto dei suoi errori, che con generosa risoluzione, e con un cuore grande abbandonò tutte le vane speranze del mondo, e si consacrò tutto a Dio in perfetto olocausto di vera, e santa penitenza.

Questo effetto di pentimento, e altri simili aspettare si possono dall’udire il canto modesto, e spirituale. Ma che si può aspettare, o temere dall’immodesto, e dall’osceno ? Molti danni alle anime, molti dolori, e grave rovina.

« Onde ebbe ragione di scrivere con forma satirica un nobile Moderno.
Ma se col ragionar l’alme avvelena
Femminea voce: qual sia poscia il rischio,
Quando nel canto, e suon sembra Sirena ?
Come all’occulte panie alletta il fischio
Incauto angel; così l’orecchio ingordo
Træ Cantatrice all’amoroso vischio.
Meglio sarebbe all’uom diventar sordo,
Che damigella udir, quando cantilla
Barzellette d’amor sul Buonacordo.
Un {p. 148} non so che di tenero distilla
Musica Femminil, che l’alme assonna,
E i cuori a suo voler turba, e tranquilla.
E dunque vor, che offende, e mette in bando
La propria castità: come io provo,
Colui, che ode sermon lascivo, e blando. »

S. Agostino piange la miseria di coloro, che si dilettano « manus canticisT. 9. l. de x. Chord. C. 4., nulli rei profuturis, ad tempus dulcibus, in posterum amaris; talibus enim turpitudinibus cantionum animi humani dilecti enervantur, et decidunt a virtute, destuentes in turpitudinem, et propter ipsa turpitudines postea sentiunt dolores; et cum magna amaritudine digerunt, quod cum dulcedine temporali loberunt ».

Di questi perniciosi canti scrive S. Efrem Siro. « Ubi personam Diaboli cantica, et perpetuum va; illic Demonum requies. »

E S. Crisostomo dopo aver detto, che i Demoni con i canti lascivi rovinano il tutto, aggiunge per ragione; « nam, cumNo. In ps. 41., quasunt in his canticis lasciviora, et iniquiora, partibus anima insederint, eam imbecilliorem reddunt, et molliorem ». E poco dopo. « Quemadmodam ubi est canum, eo porci concurrunt: ubi autem sunt aremata, et sussitus, apesillic habitant; ita ubi sunt meretricia cantica, illic congregantur Demones; ubi autem cantica, spiritualia; illuc advolat spiritus gratia; et os sanctificat animam. »

Origene, Cassiano, e altri Dottori antichi sono di parere che a vizi diversi fossero presidenti diversi Demoni; onde ciascun vizio avesse il suo particolare Demonio promotore: e quindi avviene, dice Cornelio Lapide,« alios nos inestareIn Ep. ad Ephes. c. 6. n. 230. ad gulam, alios ad fastum, alios ad iram, etc. Indeq: vacari spiritum superbie, spiritum invidia, spiritum luxuria ». E S. Girolamo fondato su questa probabile opinione disse, che alcuni Diavoli servivano ai canti lascivi; e agli amori. « Sunt quidam Demone amoribus, et amoriis canticis servientes. »In Osee. C. 4. Questo canto osceno dunque, come cosa diabolica, e perniciosa fuggirsi deve con molta diligenza: come avvisa il B. Valeriano, dicendo. « Refugiendus est error iste vocis sonus qui humanis pectoribus dulcedine sua amaritudinem fecit; et persuasionr quadam melliflui cantus frequente rmortifera agris venent commiscuit: isti sunt laquei, quibus famulantibus {p. 149} inter cetera vulnera Diabolus hominum mortes operatur. Nemo insidiosis cantibus credat, nec ad illa libidinosa vocis oblectamenta respiciat: que cum oblectant, seviunt, cum blandiuntur, occidunt. »

Ed il medesimo Beato dice. « Frequenter videmus, blandis sibilis anes decipi, et feras in laqueum mortis dulcedine vocis impelli. Similis est cansa mortalium, quos dulcisoni canuts cura solicitat, ut homo aut capiatur, aut capiat. »

 

Appendice alla passata Nota. §

Contro l’oscenità del canto, in modo che si fuggisse, fugià nel concilio Maguntino formato un Canone con quelle parole.

« Canticum turpeCan. 48., atque luxuriosum circa Ecclesia agere, omnino contradicimus; quod abique vitandum est. »

E nondimenno si trovano molti, i quali quanto negligenti sono nei casi virtuosi, e spirituali, tanto diliegenti si mostrano nell’udire volentieri, e imparare le canzoni vitruose, e carnali. A questi possiamo dire con S. Crisostomo. « Quis vestrumHom. 2. in Math., respondete queso, qui affectitis, anum, si exigatur, psalmum potest memoriter ediscere; aut soriptutaurum ullam aliam portionem ? Nullus omino est: nec tamen solum istus est malum; sed quoniam ad spiritualia desides, ac remissi, ad diabolica porompti, ignem ipsum ardore superatis. Et enim si quis nos de diabolicis, et theatralibus aliquid voluerit interrogare cantacis; et meretricios illos, fractosq: modulos audire; multas, qui ille etiam diligentissimè didicerint, poterit invenire; et qui ea cum maxima etiam pronuntient voluptate. Sed est no horum criminus tandem aliqua defensis ? » 

Lascio molti altri luoghi di Santi Padri, quali sono nella prima Opera mia stampata con titolo di Risposta; e mostrano efficacemente, che il canto Femmnile, e massimamente l’osceno, si deve con molta sollecitudine fuggire. E questo è anche grandemente conforme alla dottrina di Platone, che insegna, che i canti, « cum omnes homines, maximè tamen adolescentes vehement en delectent {p. 150}, facile, si quid vitii continent, id ipsum cum voluptate efficaciter in animos audientium effundunt. » Cioè i canti recano diletto a tutti gli uomini, e molto più ai Giovani; e però se contengono cosa alcuna di vizio, facilemente la spargono, e efficacemente la imprimono per mezzo del diletto negli animi degli Uditori. E la ragione è portata da Nicolò Biesio, ove adduce il luogo di Platone, e poi soggiunge. « Nam animos nosterde Rep. l. 3. n. 3., vel numerus, vel numeris, prasertim harmonicis, simillimus est: quemadmodum gravissimi Philosophi testantu » : perché l’animo nostro, o è numero, o similissimo a numeri, particolarmente armoniosi; come attestano Filosofi di gravissima autorità. Non mi fermo nel bilancio di questa ragione, e passo a riferire un altro luogo di Platone portato da Simanca. « Si voluptuosam Musamlex de Rep. l. 9. de Rep. C. 26. in canticic et carminibus acceptaveris, voluptas, ac dolor in civitate prologe, ac ratione dominabitur. » Se tu riceverai nei canti, e nei versi la piacevole Musa, io ti dico, che nella tua Città in luogo della legge, e della ragione, dominerà il piacere, e il dolore, quasi cge voglia dire: per cagionr del canto vizioso rovineranno le mura dei costumi virtuosi: e la buona cittadinanza diventerà una cattiva abbondanza d’iniquità. Ma se il canto disonesto, vizioso, nuoce tanto; quanto nuocerà quello, che oltre al contenere disonesti, e viziosi concetti, sarò formato con la voce di Donna, e Donna vana, e Comica impudica ? Nuocerà per certo gravemente a molti; e sarà una parte d’infezione molto perniciosa; e la Donna cantatrice diventerà quasi un laccio del nemicoCCLXXXVI per far presa di molte anime. A questa verità alluse S. Efrem, quando scrisse, che un’anima presa dal Diavolo gli serve da mezzana per allacciarne altre: come una pernice dall’uccellatore gli diventa esca e allettamento per prendere delle altre con la voce di quella. « Que primum capta fueritHo. de recta viven. rat., anima ad alis decipiendas fit quasi laquens, ut voluntati inimici obscequantur: sicut perdix comprehensa pro esca illis proponitur, que nondum laquo capte sunt: circa illam auceps alqueos figit, ut voce suaperdix reliquas circumvoliantes ad eos pelliciat. » Ed io penso, che la Donna cantatrice di lascivo canto, e che l’impudica, e ardita Comica sarà bersaglio delle sante punitrici di Dio. A lei; anzi a tutte le Comiche sue pari convengono per certo modo le parole si San Bernardo {p. 151}. « Cantant, ut placeant populo, quam Deo. Si sic cantas, ut ab aliis laudem queras, vocem tuam vendis. Habes in potestate vocem tuam, habeto et animum: frangis vocem, frange et voluntatem; servas consonantiam vocum, serva et concordiam morum, ut concordes Deo. »De Inter. Do. c. 15. Cioè. Le Comiche, dico io, cantano, per lusingar piuttosto gli uomini, che per piacere al Creatore degli uomini. Se tu, o Cantatrice, canti in modo, che ne cerchi la lode, sei piuttosto del canto venditrice, che formatrice. Deh se Padrona tu sei della tua voce, sii altresì padroneggiante Signora dell’animo tuo. Tu moderi le voce, modera parimente la volontà. Tu consrvi la consonanza delle voci; conserva di più la concordia dei costumi, per concordare con essi al voler divino. Ma ahime che molte Comiche cantatrici concordano con i viziosi lor canti al volere diabolico: e qualche volta formano coro con i compagni osceni nel cantare, e così degne si fanno della miseranda morte, e del maledetto plauso, che già ricevette un osceno Cantore da uno Spirito Infernale. Lo narra Tommaso CantipratenseL. 2. Apum. c. 49. p. 21..

Era un Gentiluomo, virtuoso professore della vita militare, aveva un Servo di cattivi costumi, ma di soave talento nel cnataare: ma cantava laidezze, e oscenità, con la lordura delle quali macchiava gli animi dei casti Giovanetti, e delle pudiche Fanciulle. Una sera lo videCCLXXXVII il Padrone tutto attento ai suoi lascivi canti, per dar diletto ad altri: e vide avanti a lui un fiero, grande, peloso, e cornuto Diavolone, che con gli occhi di fuoco, e con la faccia ardente saltava festoso col corpo, e appluadeva sommamente all’indegnissimo impiego dell’osceno Cantore, quale tosto fu avvisato dal pio Signore, che si correggesse dei suoi falli osceni, edai suoi sporcgi canti. Ma l’avviso non gli fu medicina di sanità contro il suo morbo; ne fu potente martello, per spezzare la durezza, e ill diamante della sua ostinazione. E però cacciato fu da quel servizio, e restò dopo lo spazio di pochi giorni colpito dalla falce di morte, infelicemente la vita terminando, e se ne andò a piangere tra i Diavoli eternamente; perché tra gli uomini cantava oscenamente.

Castigo di tale sorte merita la Donna, Cantatrice oscena, massimamente quando alla dolcezza del cantare aggiunge, la grazia del trattare {p. 152}, il vezzo del parlare, e la soavità dell’amorosamente ragionare. « Sermones, cantusqueIn Pron. c. 5. v. 4.; Meretricum per aures in animam penetrantes, eam suo acumine transuerberant, et dissecant », scrive Cornelio. Per le quali cose infine il Comico Beltrame dice chiaro. Senz adubbio potrà far colpo il vezzoso parlare di una bellissima Comica, discorrendo d’amore con l’amante suo. Aggiungo al detto di questo Comico quel poco scritto da un moderno Dottore. Che sarà poi udire la Donna parlare ? E d’amore ? E con l’Innamorato ? E scoprirsi l’uno l’altro gli affetti ? E trattare del modo, e tempo di ritrovarsi ? Che sarà vedere, che l’Adulero chiede un bacio, e l’ottiene ?

Io dico, e concludo, che bisogna aver un corsaletto d’acciaio, per conservarsi illeso da questi dardi. La stessa neve, e il ghiaccio stesso diventerebbe un’ardente fiamma nel mezzo di queste ardentissime fiamme: dunque ciascun Fedele, fornito di senno, stimi debito della sua diligenza l’allontanarsi, et il fuggire lungi dalla Comica Cantatrice, o parlatrice; in modo che incontri la sua spirituale sventura, cagionata con l’efficacia del femminile sermone; e secondo l’avviso di Crisostomo esamini se stesso, per vedere, che cattivo effetto cagioni nel suo cuore l’udire una pestilente, e diabolica cantilena proferita da una Femmina teatrale. « Temet ipsumHom. 2. in Math. t. 2. diligenter examina, qualis efficiaris, cum audis diabolicam cantilenam. »

Quesito Duodecimo

le ordinarie Comiche nuocono alle anime con i balli fatti nel pubblico Teatro ? §

Feconda materia di nocumentiCCLXXXVIII è questa, e direbbe il Nazianzeno. « Malorum feminum mala seges », questa è una raccolta rea da rea semenza.

Ed un nobile Satirico moderno ha scritto.

« O rovina dell’alme empia chorea,
Per te trionfa solo colei, che terra
Furia d’Averno, e non di cipro è Dea. »

perché della Teatrale Femmina ballante seguono mille sorti di rovine spirituali. Io non mi sforzerò si spiegarle tutte; perché sarebbe {p. 153} un faticare per la tela di Penelope; e per tutte ci vorrebbe un gran volume: A chi ha vero zelo di sua salute, basta, per voler fuggirle tutte, l’apprendere vivamente la forza efficacissima, con che cagionano la rovina di molti. Così con vivezza l’apprendeva l’anno 1638. nella Città di Trapani in Sicilia un nobilissimo Cavaliere grævmente infermo, quale io visitai, e ragionammo di cose spirituali un pezzo; e poi si deplorò tra noi la cecità di quelli, che poco stimano il pericolo, che di peccatocorrono coloro, che vanno alle Commedie oscene. E quel saggio Signore, e ottimo fedele con molto senso, ed efficacia mi esortò a predicare, e a stampare, che si pecca mortalmente da chi vi andava. E po aggiunse. O che miseria veder quei licenziosi balli, e quei lascivi gesti: o quanti vi peccano gravemente. Le Comiche ballano nella scena con diletto degli Spettatori; e i Diavoli ballano nella coscienza dei medesimi con rovina loro. O quianti vi peccano. O quanti si rovinano. Ed io dico, che balli di tal fatta, e troppo licenziosi sono viziosi a parere di chiscrisse. « Saltare etiam in vitiis poni. »Emilio Probo in Epaminonda. E sono molyi nocivi, e si devono molto abominare, come degni di vituperio, non solo per sentenza dei Teologi, e dei S. Padri, ma di più per avviso di ogni giudizioso.

Natal Comite scrive di una Donna chiamata Empusa, che si trasformava in varie, e differenti figure di modo, che pareva un Proteo. Ma Luciano afferma, che per verità era una Ballerina triste, che con vari, e impudichi gesti ballando pareva, che si mutasse in più persone. Queste immodeste Ballerine si devono condannare anche per giudizio dei moderno Comici, che professano modestia. Beltrame testifica, che una gran Donna, Signora di santi costumi, dopo aver sentito molti anni le buone Compagnie dei comici, e fra quelle la sua, si distolse dalle scene, per aver certe Comiche non Italiane, fatto certi balli troppo licenziosi. Quelli accessori, dice egli, tanto smascherati danno talvolta occasione di mal trattare l’Arte. Ed io aggiungo con le parole di Bernardino de Vigliegas. I balli, e i suoni tanto scompostiC.44. dell’Esercizio Spirit., che ora si usani nelle Commedie, le azioni, e sboccamenti lascivi, che altro buono effetto hanno da produrre nel cuore, se non pensieri non casti ? E aggiunge poco dopo. Intorno ai balli poco modesti ci dubita, che non siano in essi grandi incentivi, per fare inciampare {p. 154}, non dico persone deboli, ma ancora gente molto pratica, e allevata nella virtù. Anzi si mettaCCLXXXIX ciascuno la mano al petto, e consideri, e faccia riflessione: perché troverà essere quello, che dico; e che prima egli non lo considerava. O piacesse al sovrano Principe dell’universo, Iddio; che tutta la nobiltà Italiana imitasse l’esemplare determinazione di quella gran Donna; e che tutte le moderne Comiche fuggissero lo scandaloso eccesso di quelle Comiche, le quali infettavano le scene, e il Teatro con l’oscenità dei balli disonesti: non tutte si astengono dal recere mortal danno alle anime di molti con i loro balli fatti nel pubblico Teatro.

So, che i dotti insegnano, che i balli sono degni di pubblica letizia; e si ricevono per la consuetudine, che in questa parte non pare, che sia una corruttele; e dai balli si prende occasione di celebrare i Santi Matrimoni, come dicono Silvestro, Angelo, Lopez, Filliucci, e altri appesso il Bonaccina. Ove egli però dice chiaro, che sono peccati mortali, « si fiant modo inhonesto  »T. 1. q. 4. p. 9. n. 24., se sono fatti con modo disonesto. Etali sono quelli, che fanno molte Comiche del nostro tempo in presenza di milti Giovani, onde si può dire con S. Ambrogio. « Spectat coronaL. de Elia, et Iesum. Adolescentum, et fit miserabile Theatrum: terre turpi saltatione polluintur. » Pensino un poco da senno gli spettatori di questi balli, quanto sono riprovati dalle divine Scritture. Isaia. « Pro eo quod FiliaC. 13. 16. composita gradu incedebant, decaluabit. Dominus verticem. » Ezech. « Pro eco quod percussistiC. 25. 6. pede, et gavisæs ex toto, affectu, extenda manum meam super te. » Con le sacre parole di questi due Profeti il Signore minaccia di levare le bella chioma, e di dar percosse a quella Femmina, che nei lascivi balli si scompone. Così fu castigata già colei, che dopo aver un giorno festivo vezzeggiato, e solezzato ballando, e cantando si ritirò all’albergo per riposare; ma nel riposo non trovò riposo; chiuse gli occhi del corpo al sonno, e fu costretta ad aprire quelli dell’animo al dolore. « A duobus Demonibus ad Infernum delata est, et sic combusta, ut nec capillus in corpore ipsius maneret », scrive uno Storico. Da due fieri Demoni, fu portata furiosamente alla gran fornace dei Tartarei fuochi, et ivi fu bruciata di modo, che pur un capello {p. 155} non rimase nel suo corpo; il quale comparve subito tutto gonfiato, e esalante un intollerabile odore. Si aggiunse un altro accidente spaventoso, cioè, che un nero, e infernale Mnistro armò la destra con un tizzone ardente, e cacciandolo nella bocca di quella sventurata, disse. « Hoc habero pro cantilenis, quas impudice sepins cantasti. » Ricevi questo per mercede delle canzoni impudiche, da te spesse volte cantate per diletto.

Si riscosse la misera d aquel misterioso, e spaventoso addormentamento, e atterrita gridando, e lacrimando narrò alla sua Genitrice, e a milti altri il funestissomo argomento di quella Tragedia, in cui ella stessa era stata il soggetto, e la Spettatrice. Qiundi portata alla presenza di un reverendo Sacerdote spiegò le colpe sue, attendendone il perdono, con il Sacramento della PenitenzaSpe. d. 9. 52.. Felice fu questo tocco delle divina mano, che con medicinal percossa ferì talmente la gagliardia del corpo, che risanò le debolezza dell’animo impiagato. « Extendam manum meam super te. »

Il Profeta S. Ezechiele nel citato luogo segue le minacce dell’irato Dio contro la Femmina vana ballatrice, e intuona con gravissimo sdegno. « Tradam te in direptionem, interficiam te, perdam, et conteram. » Cioè. Per mio gusto e volere tu sarai bersaglio della mia vendetta dovuta ai tuoi eccessi: io ti manderò in dispersione, ti ucciderò, ti rovinerò, e ti stritolerò. Pene avverate secondo me in quella Donna Ballerina, sfacciata, e vana di Brabantia, della quale il Coetaneo di S. Tommaso d’Aquino, Tommaso Cantipratense scrive un funesto racconro, narratogli da un soggetto della Religione.

Era, dice, una Femmina di costumi troppo licenziosi; godeva di trastullarsi ogni festivoApum. l. 2. c. 49. giorno con le vane sciocchezze dei lascivi balli. Una fiataCCXC successe, che vicino al luogo, ove ballava, certi Giovani cominciarono un giuoco di palla, che lungi si mandava con la percossa del bastone. Ed ecco caso di gran sventura, e improvviso: sfugge il bastone di mano ad un di quei Giuocatori, e colpisce per dritto il capo della Donna così fortemente, che subito caduta nel suolo diviene moribonda, e poco dopo termina i giorni suoi, spirando l’ultimo fiato di quella vita indegna, che chiamare si poteva degna morte, e morte rea di una meritata pena sempiterna. Tutti gli spettatori di questo miserando accidente restarono {p. 156} persi tra la confusione, e lo spavento: s’impallidì loro il viso; si annodò la lingua; tremò nel petto il cuore; e tutto il corpo, e l’animo tutto sifece vittima dello stupore, edel tremore: infine presero il cadavere dell’estinta Ballatrice, lo portarono alla sua casa, e fatto venire, per letto della morta il feretroCCXCI, ve la collocarono sopra con lacrime di compassione. Poco dopo gli Ecclesiastici personaggi, vengono con la solita pompa per celebrare con sacre cerimonie, e con sante orazioni a proCCXCII della defunta l’ultimo ufficio della cristiana pietà. Ma che ? Ecco, dice lo Storico, « taurus nìgerrimus, imo Demon pessimus, cum mugitu accurens, feretrum cum corpore deiccit, et cornibus illud dissopans membratim confondit; ita ut visceribus hinc inde dispersis, fater intolerabilis spargeretur ». Cioè a dire. Ecco un gran toro di spaventosissima negrezza; anzi ecco un infuriato carnefice infernale, un pessimo Diavolo, che con muggito orrendo se ne corre verso il feretro, lo manda sottosopraCCXCIII, e gettato per terra l’estinto corpo, lo strapazza con le corna, e lo ferisce per ogni parte, e per ogni membro così, che qua, e là si spargono le viscere, e si diffonde un fetore d’insoppostabile gravezza. Nessuno con ferma fronte, ne con saldo coraggio potè ritenersi dalla subita fuga: tutti fuggirono, e l’infelice, lacerato cadavere rimase insepolto, fin tanto che cessò quella puzza intollerabile: e allora i Parenti procurarono, che seppellito fosse lontano dal sacro Cemitero; forse persuasi che quell’anima era per sempre esclusa dalle stanza del Paradiso; e però anche il corpo doveva restare privo dell’albergo nel sacro luogo.

Io posso fare l’Epifonema a questo caso, per utilità delle Comiche Ballatrice nel pubblico Teatro, e posso dire con le parole dell’antico, e S. Padre Efrem Siro. « Ubi citharaT. 1. Serm. Quod ludicris., et chori, ibi Mulieru perditio Diaboli festum. » Dove si sollazza tra suoni lascivi, e disonesti balli; ivi la femminile purità suol far naufragio nell’ondeggiante, e fortunoso mare dela disonestà; che altro non è infine, che preparare un festoso convitto, e un giocondo balletto per il nemico della Anime Satanasso. O Comiche moderne intendete il pericolo dei vostri lascivi balli, e emendatevi dagli eccessi. {p. 157}

Quesito Decimo terzo.

le ordinarie Comiche nuociono alle anime con i falsi fatti nel pubblico Teatro ? §

Ugone Cardinale spiegando in ordine al Teatro quelle parole dell’Ecclesiastico: « Cum SaltatriceC. 9. 4. assiduus sis. » Dice. « Prohibet Auctor assiduitatem Mulierum Theatralium, que miris corporis gestitulationibus, et vocis blande modulationibus multos decipiunt, et capiunt. » Ed un moderno avvisa. « Quis recensereIo. de Pinna in Eccl. c. 1. §. 9. Ev. 107. valebit mala, que ex impudicis saltibus oriri solent, ne du oratione extollere ? Unde tam apud profanos, quam apud sacros vitio dasur Femine ars saltandi. »

Ambrogio, quel grande Arcivescovo, e quel Dottore tanto zelante della purità convenevole alle Donne, scrive « Ibi intuta verecundia, ubi comes deliciarum esr extrema saltatio. Quid dicitis vos sancte Femine ? » 

La vergona ivi non è sicura, dove si sta deliziando, e dove la libertà del salto femmnile si aggiunge per compagnia all’ultimo delle delizie: che dite voi a questo mio dire o Sante Donne ? Credo, che diciate, che non da saggio di Femmina vergognosa, e pudica quella, che gode farsi vedre sul palco Saltatrice nel fine della Commedia fatta dai Comici, o dopo lo spaccio delle mercanzie vendute dai Ciarlatani. Eppure non mancano Femmine di questa fronte tanto sfrontata, e troppo ardita.

Luca a penna, citato da Girolamo Fiorentino, e da altri, pempra la penna per avviso di queste infelici Donne, e scrive: « Quid dicam ? »  Che dirò ? Che le Femmine compaiono con gli uomini; e di più bene spesso vestire da uomo esercitano il salto Gaditano nel fine delle Commedia, « etiam Gaditanam saltationem in fine Comedie virili habitu assumpto ». E D. Francesco Fernandio Canonico della Chiesa Cordubense dice chiaro, che questa sorte di salti è stata causata dalle spelonche tartaree di Flegetonte. « Ab Inferis evocavit nostrum vulgus. » Salti dunque maledetti sono questi, diabolici, e infernali. O che vista disdicevole si offreCCXCIV agli occhi dei risguardanti, quando queste Femminelle, per saltare più speditamente, e per fare molte forze meravigliose {p. 158} leggiadramente, compaiono in scena, o in banco vestite da uomo, in un farsetto lascivo, a arcando, storcendo, e vibrando il corpo con gesti, e posture sconce, e stravaganti cagionano alle menti dei deboli mille libidinosi pensieri, e dimostrano, con rendere deforme molto il proprio corpo, essere maggiore la deformità dell’animo proprio. « Ubi saltus lascivus, ibi Diabolus certè adest. Si corpus deforme fit impudenter saliendo, quantò magis animam fedari, credendum est. » Scrive lo zelante Crisostomo, e ci avvisa, che dove il peccato vince con le armi del lascivo salto, ivi trionfa presenzialmente Satanasso; e se la Donna rende brutto il corpo, saltando sfacciatamente, bene si può credere, che renda l’animo abominevole con maggior bruttezza. Ebbe ragione una volta un Servo di Dio nella Città di Siracusa di dirmi con gran senso a proposito di queste Saltatrici. O quanto tupri, e disonesti quei gesti, che le Femmine vestite da uomo fanno soprale scene, o sopra i banchi saltando pubblicamente. O quanto muovono alla libidine gli Spettatori: non si possono mirare senza lascivia, e senza acconsentire a molti brutti, e peccaminosi pensieri contrari alla purità. Ed io aggiungo. Ebbe ragione uno zelante Predicatore della santa Religione dei Padri Capuccini di risolversi a porre efficiace rimedio allo scandalo che in una Città principale, ove egli l’Avvento predicava, era cagionato da una Comica Saltatrice vestita da uomo; vi rimediò predicando prima gagliardamente contro quello scandalolo eccesso; e poi usando questo modo, narrato a me la un Comico, che era tra i compagni di quella Femminella. Si fece chiamare il Capo, che era tra i compagni; si querelò con zelo del danno che alle anime si derivava dalla vista lasciva di quei salti femminili; e ottenne da lui parola, e promessa, che la Donna non sarebbe più comparsa nel pubblico banco Saltatrice. E o fosse piaciuto a Dio, che l’applicazione del detto rimedio non fosse stata impedita, non già dal comico, ma dal comandamento di un gran personaggio, che venuto a vedere la Donna nel solito impiego dei salti; e intesa la cagione, perché non compariva a saltare, ordinò, che proseguisse il costume scostumato di prima; e così fu fatto con dolore, e pazienza dallo zelante Predicatore, il quale, compatendo alla cecità mondana, dovette, credo, supplicare {p. 159} il grande Padre dei lumi, che degnasse per sua misericordia illuminare le muovenze a vera conversione i peccatori, che viziosamente godevano lo spettacolo di quella Saltatrice, e dei suoi salti, e moltiplicavano almeno con l’animo le loro disonestà.

Io so, che al tempo nostro non mancano diqueste scandalose Saltatrici, e prego gli zelanti a comparire con me alla loro miseria. Ma non so, se il buffone, mentre una di queste salta, e tripudia nel pubblico, egli mai, tripudiando alla zannesca, faccia qualche bruttissimo atto con lei, per far ridere squarciatamente la brigata. So bene di avere già veduto di tal fatta per mia disavventura nel tempo della mia vita secolare; e ora nella Religione con il solo ricordoCCXCV resto addolorato, e convinto pienamente, che era una grandissima oscenità quel tripudio di salti zazzeschi, e femminili. Ma che ho detto; non so ? Debbo dire, che so, che ora se ne fanno tali, perché mentre scrivo quella materia, intendo da testimone di vista, che una Donna, vestita da uomo salta pubblicamente, e balla slla corda, e sempre vi è vicino il Buffone, che fa gesti osceni, e dice parole brutte per muovere a riso il popolo Spettatore, onde contro quei salti, e quei tripudi, si può dire con Crisostomo. « His tripudii Diabolus saltat; his a Demonum ministris homines decipiuntur. »  Ho. 49. in Math.Nella dissoluzione di questi salti tripudianti se ne sta saltando il Diavolo stesso, conforme a quella Scrittura. « Pilosi saltabunt ibi. »Is. c. 23. 21.E con questi giuochi restano gli uomini ingannati dal Ministro dell’Inferno. Temano dunque i Buffoni, e i Trastulli, i Mimi, e Pantomimi, o altro compagno saltante con la Comica Saltatrice: e molto più tema la stessa Comica, che è tanto vana; ed è di tanta rovina alla cristianità, tema, dico, l’ira divina, la quale talvolta non aspetta di castigare le sue iniquità nell’altra vita: le castiga in questa ancora, e aggiunge la spina del gravoso castigo alla rosa del peccaminoso diletto.

Ho saputo da un gravissimo Religioso, testimone di vista, che in Germania fu una Donna di nobilissimo casato, e di riguardevole beltà, ma superba, vana, e molto desiderosa di comparire; ssembrava una capitana della donnesca pompa, e vanità; ballava leggiadramente, e saltava, eccellentemente: un giorno se ne andò baldanzosa ad u concorso, per fare splendida mostra del suo mondo femminile, e per scoprire i tesori dele sue grazie, e per ballenare {p. 160}con i lampi delle sue bellezze: insomma per comparire, e comparendo rapire gli occhi, gli affetti, e i cuori dei vani, e lascivi Spettatori. Macché ? Giunta, che fu colà, tosto comparve all’orecchio suo, né si sa come, né d’onde, un Serpentello, e se le accostò: lo cacciarono subito gli amici, e i sreventi, non porò cis’ subito, che non restasse la Donna offesa, a malamente affetta: onde per la forza di quel serpentino veleno divenne storpiata di modo, che non potè più camminare, se non a maniera di bestia brancolando con le mani, e con i piedi, e saltando qualche volta a foggia di Rospaccio.

Di questa pena, e di molto maggiore sono degne le disoneste Comiche, le quali saltando, e lascivendo compaiono nel Teatro alla rovina spirituale d’innumerevoli Spettatori poco virtuosi. Deh imparino per tempo per loro proCCXCVI ad esempio delle miserie altrui a fuggire le miserie: in modo che non siano esse nell’infernale prigione degli eterni patimenti.

Quesito Decimo quarto

La Comica può vestirsi da uomo per dilettare comparendo a saltar, o a far altri giuochi nel pubblico Teatro ? §

La Comparsa di una lasciva Comica nel pubblico Teatro per dilettare suole apportare tanto evidente danno alle anime poco stabili nella virtù; e suole essere di tanto pregiudizio alla cristiana onestà, che può dirsi di lei il detto di Clemente Alessandrino. « Hac est fornicariaL. 3. Pad. c. 3., et impia insidiarum ratio », questo è un modo disonesto, empio, e insidioso, alle menti dei Fedeli: perché quindi si rovinano innumerevoli persone con infiniti peccati. Ma si accresce questo gran male, quando la Comica, per accrescere il diletto degli Spettatori, usa, oltre l’artificio delle parole, la destrezza di quel salto, che si può chiamare con Agostino. « Saltus in profundum Inferni », salto nel profondo dell’Inferno: quasi che verissimo sia, che il corpo saltando miseramente nel peccato, e si fa reo, di essere costretto a saltare eternamente tra i fuochi della tartarea, e tormentosa fornace.

Ora per cagione di questo salto femminile la Comica si veste {p. 161} da uomo; e io di lei domando con il proposto Quesito. Lo può fare senza nuovo peccato ? Cioè. Alle donne è lecito usare le vestimenta propire degli uomini per saltare ? Sia per risposta l’Oracolo divino ove comanda. « Non indveturDeut. c. 22. 5. mulier veste virili. » Non si ammetterà la Donna con vestimento di uomo. La Glosa ordinaria su questo scrive. « Alia editio. Non erunt vesta viri super Mulierem. Vesta ad ellica voluit intelligi, id est arma. » Cioe. Un’altra lettera, che è l’ebrea, dice. Le armi dell’uomo non guarniranno il petto, né il fianco della Donna per combattere; « quia est indecens Mulieri, et presemptuo sum », nota Lirano, perché è cosa d’indecenza alla donna, e di presunzione; e si può aggiungere, è anche di poca onestà, dicendo quel Poeta.

« Quem prestare potest Mulier galentua pudoram,
Que fugit, a sexu ? »

Non ben si accorda pudica Donna con Donna armata. Ma lasciamo questa esposizione di veste guerriera, e d’armatura: ragioniamo della veste dell’uomo.

Silvestro porta a risposte a questo precettto scritturale con queste parole. « Dico, hoc prohiberi primo ex superstitione Idolatriæ, ne Iudei in sacris imitarentur Gentiles Idolatras.v. Fem. n. 2. » Però Lirano dice. « Gentiles Mulieres, in sacris Mantis portabant arma viri. Secundo ut restringeretur ut libido; ne scilicet Mulier licentius ingradunctor ad viros. » Come comparse (dico io) le Meretrici al tempo di Carnevale si vestono da uomo, per andare liberamente a casa degli Amanti loro a sollazzarsi. « Tertio dico, hoc prohibiri, so modo, que e quadam de felicita ad ministerium; sicut prohibetur amari in bove, et asino in lege Moysi. Vel eo modo est (questa è la quarta risposta,) quo venialia, puta mendacia, vel odiosa verba. »

Voglio aggiungere qui all’autorità di Raffaello delle Colombe: già che egli cita Silvestro. E lo interpreta dicando. I sacri CanoniNell’Appendice: alla Predica di Feb. 4. Dom. 4. di Quares. sotto pena si scominuca, che non si da, se non per il mortale; proibiscono, che la Donna vesta da uomo. Ne mi dite. Il Silvestro le scusa dal mortale: perché le scusa, quiando non hanno quel mal fine. « Facilius Meretricandi »Cap. Si qua mulier. 30. dist., come dice la Glossa, e l’Arcidiacono nel cit. Canone. Ora se hanno quel mal fine molte volte si vede dall’effetto. Lirano avvisa. « Si littera intelligatu {p. 162} de veste communi, prohibetur hic talis usus, vel potius abusus, quia est occasia libidinis, quia Mulier in veste virili posset licentius cum hominibus luxuriam exercere », vuol dire: Per divina proibizione si vieta alla Donna l’uso, o piuttosto l’abuso della virile veste comune; perché porge occasione alla disonestà: e la femmina, vestita a momdo d’uomo, potrebbe con maggiore licenza darsi in preda a licenziosi piaceri. Come l’anno 1634. faceva una Meretrice, la quale vestita da uomo viveva nella compagnia di alcuni Banditi, andando armata, e cavalcando giornalmente con loro a modo di Bandito, e era stimata vero uomo da chi la vedeva, ne sapeva la sua malvagia, e disonesta ipocrisia.

L’avviso di Lirano viene approvato da Cornelio a Lapide, che riprova nella Donna l’uso della veste virile; « tum quia hoc per se indecens est; tum ne occultis libidinibus, et aliis vitiis locus detur » : si perché è disdicevole per se stesso: si anche in modo che non si dia comodità alle segrete libidini, e ad altre scelleratezze. Quindi Erodoto fondatamente scrisse. « Mulier cum veste simul etiam pudorem exuit. » La donna si spoglia del pudico ornamento della vergogna, mentre cambiaCCXCVII la vede sua con la virile. E S. Ambrogio diffusamente impugna questo abuso e poi conclude. « Illic non servaturEp. ad Ige. castimonia, ubi non tenetur sexus distinctio. » Ove con la veste non si tiene la distinzione del sesso Femminile dal virile, ivi si fa scapito della preziosa margherita della pudicizia. Dunque la Donna non può usare il vestimento virile, e usandolo va contro un precetto del divino Legislatore; contro il quale pare, che già peccasse mortalmente la Donna Giudea servendosi della veste d’uomo. « Judea videtur peccasse motaliter, usens veste virili », scrive l’allegato Cornelio.

E’ vero che Caietano dice. « Iudiciale, vel ceremoniale preceptum est, evanuit per Christi gratiam. »In. 2. 2. q. 169. c. 4. Cioè. Questo precetto intorno all’uso delle vesti è precetto giudicale, ovvero cerimoniale, e ora per grazia di Cristo Redentore è svanito. Nondimeno leggo in Cornelio, che detto precetto pare naturale in parte, e in parte cerimoniale. « Videtur hoc preceptum partim esse naturale, partim ceremoniale. » E S. Tommaso dice. « Cultus exterior quamvis2. 2. q. 169. 4. 1. ad 1. non sit a Natura; tamen ad naturalem rationem pertinet {p. 163} ut exteriorem cultum molerietur. » E forse vuol dire questo Commentatore, e questo gran Dottore, che la Donna Cristiana non soggiace alla forza di questo precetto, in quanto fu cerimonia già prescritta da Dio al popolo Ebreo; ma vi soggiace, in quanto è cosa naturale; cioè la Natura, che è lo stesso Dio, detta col lume di ragione alla Donna, che non usi le vesti, delle quali si veste l’uomo. Questo ancora accenna S. Ambrogio, dicendo. « Cur mentirisEp. ad Ire. tu Femina Virum ? Suis unumquemque sexum induit Natura indimentis. »  O Donna perchè, mutando la veste, ti fingi uomo ? La natura ha cinto, e ricoperto il maschio, e la femmina di ciascun sesso con le proprie, e differenti vestimenta: come si vede chiaro negli uccelliCCXCVIII. « In illis enim , dice il medesimo Dottore, sexum naturalia ipsa indumentu discernunt. Pavi mates speciosi; Femina non item pennarum vario pingontur colore. » La Natura ha dato agli uccelli vestimenti distintivi, e propri del sesso loro maschile, e femminile. Tra Pavoni il maschio compare di più, che la femmina, specioso. Apre il ricco teatro della sua sfera; espone il colorito tesoro delle sue piume; tira seco il mobile giardino dei suoi fiori incorruttibili; si veste, si ricopre, e si ammantacon le preziose gemme delle sue occhiute stelle, onde sembra un coronato Sole tra gli uccelli: e questi regi vestimenti, e queste vaghezze di speciosità non di concedono alla femmina compagna del Pavone. « Sexum indumenta discernunt. »

Ora dico, che questa distintiva varietà di vestimenti si deve conservareCCXCIX con proporzione tra soggetti maschili, e femminili del sesso umano per dettame innestatoci nell’animo dalla Natura: dalla quale come procede « diversus color, diversa vires, diversa vox in viro, e Femina », divesro colore, diverse forze, e diversa voce nell’uomo, e nella donna, dice S. Ambrogio: cisì procede dalla stessa Natura, dico io, l’elezione di vesti diverse per l’uomo, e per la Donna. Dunque pecca la Donna « naturaliter seu in genere actionis naturalis », contro il dettame, e precetto naturale, mentre usa il vestito di uomo per saltare in pubblico Teatro.

Ma forse dirano. Questo peccare non s’intende teolocico, con teologica colpa, e in genere « moris prohibiti », come cosa viziosa, illecita, proibita, e contraria alla divina legge, e meritevole {p. 164} di castigo: cioè l’usar la Donna il vestito di uomo non è peccato mortale, né veniale, ma solo al più è un atto sconvenievole, innaturale, che ah dello straordinario, e del mostruoso. Come il Filosofo dice, che la Natura pecca nelle produzione di una cosa, quando non la produce fornita con le sue solite condizioni: così sarebbe un albero di ulivo fatto grande, e vestito con foglie di pero, o di limone: e la ragione si può prendere da S. Tommaso. « cultus exterior2. 2. q. 169. 4. 2. ad. 3. debos composere conditioni persona soc undum communem consuetudinem. »

Rispondo, che questa Obiezione mi porge comodità, e necessità di rispondere meglio, e più distintamente al proposto Quesito, e mostrare, come sia lecito, o no: e di quanta gravezza sia alla Comica l’uso del vestito virile per dilettare pubblicamente saltando: e ciò farò con portare le sentenze dei Dottori bilenciate nel rigore della scolastica disciplina.

 

Nota unica

Si risponde più distintamente al Quesito. §

Non è malagevoleCCC negozio l’imparar cosa rea da un reo Mætro: l’animo del discepolo, a maniera di vaso nuovamente formato, s’imbevera facilmente con il liquore, e con l’odore delle dottrine, che si derivano dalla fonte maestrale. L’artificio del sollazzo coi piedi, ballando, e saltando, fi insegnato dal Dragone Infernale per sentenza del S. Padre Efrem Siro. « Quis talia edocuit ?l. Interrog. et respons. Draco antiquus. Magister omnis impuritatis. » Il maestro di tutta l’impirità ammaæstrò i miseri mortali al ballo, e a salto. E come dunque sarà cosa buona il salto ? Come sarà lecito alla Comica il saltare e per meglio saltar, e dilettare saltando, usare il vestito di uomo ? Io con alcuni punti spiegherò la mia sentenza.

Dico 1. la mutazione della veste femminea non è secondo se o di sua natura peccato mortale alla Donna. Laiman dice. « Feminam util. 2. tr. 3. c. 13. n. 12. vestimento virili, per se non est peccatum; sed cansa insta cohone stari potest. » Così tiene Caietano, e lo prova con buona ragione dicendo. « Mutatio habitusin. 2. 2. q. 169. S. Th. c. 9. Feminici in multis castibus est licita, si enim secundum se esset mortale, nullo usu esset licitum . » {p. 165} In molti casi lecita si è la mutazione dell’abito donnesco: dunque non è peccato mortale secondo se. perché se fosse tale secondo se, in nessun caso sarebbe lecita giammai.

Lessio dice. « Usus vesti alieniL. 4. c. 4. d. 14. n. 114. sexus non est intrisece malus; unde ob causam iustam fieri potest, v. g. si alia desit, vel’opus sit se occultare ab hoste, vel causare prosentatinnis, ut in Comediis. » Silvestro scrive. « Quenitur, Utrum FeminaSum. V. Femina n. 3. peccet, mortaliter intende habitu virili. Dice, de se nonesse peccatum quia aliquando licitè sit. » Si cerca. Se la Donna pecchi mortalmente, usando l’abito di uomo. E dico. Che tal uso noon è peccato di sua natura; perché alle volte si fa lecitamente; come fu fatto da quella Vergine, che stando per forza nel luogo infame, vittima innocente dell’impudica Venere, se ne usci vestita da uomo, persuasa dalle preghiere di quel castissomo Giovane, che a lei se ne era entrato con apparenza di brutta pretensione; e cioè fece la Santa, « no ut vit aret martyrium sed contagium », dice Silvestro, non per fuggire le pene del martirio, ma per allontanarsi dal contagio della disonestà così pensando assicurar le sue preziose margherite con levarle dal ezzo degli animali immondi.

Navarro tiene, che « nulla tenus peccatEnchir. c. 23. n. 22. Femina, que veste virili se vestit iustade causa, velati ab inimitis agnoscatur; vel ob honestansui; aut alterius oblectationem ». Non pecca la Donna, che si veste con l’abito virile per giusta cagione, come farebbe per non essere conosciuta dai nemici; o per mancanza di altro vestito; o per onesta ricreazione di se stessa, o di altra persona. Cornelio Lapide commentando il precetto divino dato in questo particolare, dice. « Videtur hoc preceptumc. 22. Deut. iam abolitum quot enus scilicet oblibat sub peccato mortali: iam enim non esse peccatum mortale, decet D. Thomas. » Pare, che questo precetto già si acancellato, in quanto che obbliga sotto pena di peccato mortale: pechè S. Tommaso insegna, che non è colpa mortale a nostro tempo. Il luogo del S. Dottore dice così.

« Quod mulier2. 2. q. 169. n. 2. ad. 3. ut autm veste virili, ponest quando fieri sine peccato. » Può talvolta avvenire, che senza lordura di peccato la Donna si vesta con l’abito virile. Dunque per sentenza di San Tommaso, oltre gli allegati Dottori, la mutazione della donnesca vestw non è di sua natura peccato mortale alla Donna. Io concedo {p. 166}, che il Santo nel citato luog scrive. « De se vitosum est, quod mulier utatur veste virili. » Ma dico, che quel, « De se vitiosum, s’intendepar. 5. str. 7. de scandalo Res. 32., non quasi sit per se, seu natura sua malum, sicut mendaciam, fornicatio, et alia huiusmodi; sed quia est de numero carum actionum, que absolutè confiderat a nihilominus circunstantiis quisdam advenientibus bone efficiuntur. Est ergo de se vitiosum, quia speciem mali habet, ac nisi per bonam aliquam circumstantiam iustificetur, veri nominis peccatum est. » Così discorre Silvio esplicando S. Tommaso, e lo cita Diana, e vuol significarci, che l’uso della veste virile nella Donna, è un’azione viziosa da se, non quasi che sia per se stessa; o si sua natura cosa malaCCCI; come malevole si è la bugia, la fornicazione, e altre cose di simil fatta; ma pechè è un’azione del numero di quelle, che assolutamente considerate portano con se una certa deformità, ovvero disordine: e nondimeno diventano buone con la congiuntura di alcune circostanze. Tale azione dunque è viziosa da se; perché ha l’apparenza di male, e se non vien giustificata con qualche buona circostanza, è veramente peccato. E però aggiungo io la seguente verità.

Dico 2. Alle volte pecca solo venilamente la Dona, vestendosi da uomo. Tutti i sopra citati Dottori favoriscono questo mio detto nel caso della leggerezza, per cagione della quale una donna alle volte si veste da uomo senza altra circostanza di più grave colpa. Layman scrive: « Si ex levitateloco cit. fiat, est peccatum, sed veniale tantum. »

Caietano dice. « Si ex levitate fiatloco cit., non excedit limites venialium. » Se la Donna iserà il vestimento virile, peccherà solo venialmente. Silvestro dice lo stesso con queste parole. « Si ista fiant ex animi levitate, non est mortale. » E Navarro scrive pure lo stesso dicendo. «Neque plus quam venialiter, si ob levitatem id esse mortale. Si Femina vestes sexus communtes ex levitate. » E Silvio dice. « Si fiat solum ex levitate, peccatum non erit mortale. »

Ed infine S. Tommaso, chiamando questa mutazione di veste femminea azione viziosa, « de se vitiosum est », mostra, che almeno alle volte la Donna pecca venialmente con farla; come avviene {p. 167}, quando non ha altra cagion, che leggerezza.

Dico 3. Pecca mortalmente la Donna vestendosi da uomo con intenzione gravemente viziosa, o con altra circostanza mortale. Layman dice. « Ob circumstantiam mortale fieri potest. » Da sacri Canoni si prova il detto; poichè nella Dist. 30. in c. Si qua Mulier, si dice. « Si qua Mulie, suo proposito utile iudicans, ut virili veste ut atur, et propter hoc virilem habitum imitetur, anathema sit. » Se alcuna Donna si vestirà da uomo, giudicando ciò utile al suo proposito, sia scomunicata.

Silvestro dice, che quella Canonica sentenza si fulmina per rispetto dell’intenzione di attendere più facilemente alla disonestà. « Loquitur, dice egli, quando Mulier hoc facit malo proposito, idest intentione facilius meretricandi; ut patet per Gloss. et Arch. Ibi », come occorse una volta, che di mezzo dì fu veduta una Meretrice uscire, da una porta principale di una Città, ove l’aspettava una carrozza di Giovani lascivi; e giunta si trasse tosto le veste femminile, comparendo vestita da uomo con vestimento colorito, e molto bello, ma dichiarativo dell’animo suo molto brutto, e disonesto. E chi mai la scuserà da colpa mortale per tal vestito usato per più liberamente fornicare.

Navarro nel citato lugo scrive, che la Donna pecca solo venialmente, usando l’abito virile per leggerezza, « absque alio fine, et circumstantia mortali », quando novi sia altro fine mortalmente vizioso, ne altra circostanza mortale: quasi dica, che pecchi mortalmente, quando vi sono.

Cornelio segue un simil teno di dire dicendo, che non pecca mortalmente, « si ab sit scandalum, et intentio, periculumque libidinis », se non vi concorre grave scandalo, e intenzione, e pericolo di lascivia; onde si raccoglie, che concorrendovi tali corcostanze, la Donna pecca mortalmente.

Diana con le parole si Silvio si accordaCCCII chiaramente con Cornelio scrivendo. « Peccatum erit mortale, si sit intentio, vel periculo lascivia, aut alioquin notabile scandalum. » Sarà peccato mortale, se vi si trovi l’intenzione malvagia, ovvero il pericolo di lascivia, oppure lo scandalo di notabile gravezza.

Dico 4. La Comica, vestendosi da uomo per dilettar saltando nella presenza di persone forti di spirito, non pecca mortalmente. perché {p. 168} in quanto all’intenzione di solo dilettare, e di guadagnare saltando, non pecca; dicendo Navarro, che la Femmina non pecca vestendosi da uomo con intenzione di recar danno ad altri onesta delazione, « ob honestam alterins delactionem » ; e l’intenzione della virtuosa Comica riguarda in questo scopo. In quanto poi al perioclo di lascivia, dico, che non vi è; mentre le persone spettatrici sono forti nella virtù, come suppongo. Nemmeno vi è lo scandalo notabile; perché, chi ben sondato siè nello spirito, non si scandalizza notabilemente, ne prende occasione di rovina spirituale da cose per le stesse indifferenti: come sono i salti, e i gesti, che sogliono accompaganrli, tutto che siano fatti da Comica Saltatrice. Ne vedo per ora altra buiona ragione, per la quale si debba condannare la Comica di peccato mortale nel mutar il proprio vestito per dilettar saltando in presenza di virtuosi: dunque non pecca mortalmente.

Dico 5. Pecca mortalmente la Comica, vestendosi da uomo per dilettare comparendo a saltare, o a far altri giuochi nel pubblico Teatro.

Prendo la ragione dalla spirituale debolezzea di molti; che infallibilmente si trovano nella moltitudine teatrale degli Spettatori, i quali molte volte gridano, che esca la Donna a saltare: esca la Donna; perché tarda ? E a quali la comica comparendo così vestita può essere; anzi è, e ella lo sa, cagione prossima, e efficace di mortale lascivia; e però con l’uso di tal vestito pecca mortalmente. Onde io dico a mio senso con S. Tommaso. « De se vitiosum est, precipuè quiu potest esse causa lascivia. » E si sa putroppo dall arelazione dei pratici, dall’esperienza di oggidì, e dall’attestazione dei Giovani poco virtuosi che moltissimi di loro al vagheggiare una bella, e graziosa Comica in farsetto, e che salta sulla scena in Teatro, o sul banco in piazza, e che spiega, e ripiega con vari, mirabili, e artificiosi gesti, e volgimenti quel suo corpicciolo, concepiscono mille pensieri, non solo di onesto diletto, ma di più di libidinoso affetto; onde peccano almeno con il pensiero mortalmente. E la Medea di queste morti spirituali è la Comica vestita da uomo per dilettare saltando.

E come le parole brutte, che non sono di loro natura mortali, diventano tali per accidente, quando sono dette in presenza di persone {p. 169} deboli di spirito; come dico altrove; così ora dico, che i salti, fatti dalla Comica vestita da uomo nel pubblico Teatro, sono peccati mortali almeno per accidente per ragione dello scandalo, e della spirituale rovina, che cagionano a moltissimi deboli nella virtù.

Dirà forse tal’uno, che la Comica con giusta cagione si veste da uomo per saltare; perché nella veste femminile far nno può l’azione saltatoria; e però non pecc, dicendo Navarro. « Non peccat Femina, que veste virili se vestit iusta de causa. » Io rispondo, che se la Comica con giusta cagione si veste da uomo per saltare nella presenza di persone virtuose; non può far lo stesso nella presenza di Giovani deboli di spirito, e facendolo pecca d’azione scandalosa contro la carità del prossimo.

Nè basta il replicare, che ella fa il tutto per necessità; e però l’uso dell’abito virile non è peccato a lei secondo l’autorità di S. Tommaso, che scrive. « Potest quandoque hoc fieri sine peccato propter aliquam necessitatem. » perché io rispondo, che la Comica non fa questo per necessità, ma per avidità di guadagnare in puù maniere. Può ella, se vuole, con altrwe azioni proprie della Donna sovvenire alla sua necessità; senza l’uso del vestito virile, e senza il salto scandaloso. Ha necessità di guadagnarsi il mantenimento di sua vita, ma con l’uso dei mezzi approvati dalle buone leggi della Cristianità. L’interesse è uno Stregone, che fa travedere, e vuole, che si chiami necessità quello, che altro non è per vero dire, che illecita, e peccaminosa utilità. Insomma io stimo verissima la proposizione di S. Tommaso; ma falsissima la sua applicazione; perché la comica può vivere, e mantenersi onoratamente senza vestirsi da uomo per dilettare con il salto, e per conseguenza non ha veramente la pretesa necessità.

E chi mai scuserà da peccatograve quella comica Saltatrice, che lìanno 1641. andando per l’Italia, nel mese d’Aprile si trattenne con i suoi Compagni in una principale Città, per guadagnare saltando, e procedendo così ?

Compariva vestita da uomo con un viso tutto lisciato, e imbellettato; e spesso con scndalo si poneva sulla porta, ricevendo i pagamenti di coloro, che entravano, per vederla saltare, camminare sulla corda, e fare certe forze straordinarie, e meravigliose {p. 170}: dopo le quali tutte fatte, e vedute da tutti, ella scendeva dalla corda, cessava dai salti, prendeva una tazza in mano, e arditamente si cacciava tra la moltitudine popolare domandando la mancia agli Spettatori, e qundi diceva qualche parola ad altri, e molte ne sentiva dette da altri e se, nelle quali, come in valle d’impurità, risonava l’Eco di molta oscenità; e gli equivoci erano tali, che si potevanodichiarare per univoci della libidine; onde contro colei avrebbe detto S. Ambrogio. « Quid ibi verecundie potest esse, ubi saltatur ? »  dove tal Donna salta, può trovarsi vestigio di vergogna ? Non per giudizio dei Savi. Ora di queste Saltatrici, avide di guadagno, che non mancano a nostro tempo, chi dicesse, che sono viziosi nostri d’impurità; io non saprei contraddire;nemmeno, se aggiungesse, che sono animate navicelle di Caronte, per traghettare molte anime alla miserabile, e lacrimosa ripa di Acheronte.

Quesito Decimo quinto

Le Comiche ordinarie, comparendo nel pubblico Teatro nuociono con altro modo oltre i modi sin qua assegnati ? §

La scena oscena si può nominare per verità un arsenale di mille calamitose sventure, e tutte nocive ai miseri Spettatori. E di queste sventure principalissima fabbircstrice si è la Comica lasciva, che compare vezzosa nel pubblico Teatro, nuoce in tanti modi, che sin qui da me sono stati assegnati, e ponderati, ai quali non dubito penso, che altri non pochi, e non poco nocivi si possono aggiungere; ma io di preferenza ne voglio accennare solamente uno; ed è, che non solo la vista attuale di una Comica ferisce l’animo con i peccati nel Teatro; ma anche la sola ricordanzaCCCIII di lei in altro luogo, e dopo qualche tempo lotrafigge, con molte, e gravi punture peccaminose. Questo provasi con l’esperienza di un infelice Giovane, che disse di avere commesso moltissime iniquità per il ricordo di una Comica già veduta nel pubblico banco di una piazza. Il mirar una Donna, molte volte è un succhiar il veleno; e se il veleno subito non si scopre, si scopriràCCCIV ben si con il tempo, cagionando qualche fiorissima tentazione, e forse {p. 171} la morte spirituale. Fu prudente la risposta data dall’Abate Arsenio ad una Donna, che lo pregava a tener memoria di se nelle sue orazioni: a cui egli rispose. « Quinimo rogo Deumapud Cart. t. 4. p. 134., ut tui memoriam auserat è corde meo. » Anzi io prego Dio, che tolga dal mio cuore il ricordo della sua persona.

Non tutti al ricordarsi di una Donna già veduta, e tentati per tal ricordanza, possono usar, o volgiono il rimedio, che praticò quell’antico Romito della Scithia, il quale combattuto dal Demonio con la memoria della bellezza di una Femmina veduta, udendo, che era morta andò al sepolcro, ove il cadavere giaceva infracidito, la portò alla cella, e usò di porsela molto spesso alle narici, dicendo. Ora godi il tuo desideri; ricreati, consolati, e sollazza a tuo piacere, e seguitò la pratica di questo AforismoSp. d. 2. 23., finchè la tentazione restò superata perfettamente e vinta.

Crisostomo scive, che il piacere della vista prestamente s’invola; ma la piaga del cuore non se ne vola prestamente; come succede, quando una Cerva è trafitta con dardo in qualche parte vitale, benché ella fugga le mani dei Cacciatori, non però guadagna la vita così fuggendo; perché alla fine languida rimane dal corso, e languendo se ne muore « Voluptas celriter avolat;vulnus non anolat Cerva consixa iaculo in vitali corporis parte, etiam si venetorum effugerit manus, nihil inde fert lucri. » E come, per altro simile favellando, si può dire del delicato, e gran Pesce spada, che nel Faro di Messina, ovvero altrove, ove si fa la caccia contro di lui, fugge dopo ricevuta la ferita col dardo lanciato, e fugge presto, e veloce quasi natante uccello: ma podo dopo languendo perde le forze, e resta preso, e morto. « Sic anima accepto concupiscentie iaculo e curioso uspectu, etiamsicum iaculo permittiatur abire sine opere, tamen ipsa per se perit. » Nello stesso modo l’anima colpita da una lasciva saetta per la curiosità dello sguardo, benché si parta dal Teatro senza eseguir il male con l’opere, nondimeno da se sola perde la vita della grazia, e mancando se ne muore lontano dai raduniCCCV teatrali.

E se il Grande, e famoso Patriarca S. Benedetto, come scive Gregorio, e tutti lo sanno, fu assalito nella deserta campagna da quella {p. 172} fiera, e tanto gagliarda tentazione di senso, per uno sguardo solo già molto prima dato alla beltà di un viso femminile, che può temere, e che può aspettare un uomo di rea inclinazione, e di mal abito, mirando più, e più volte, e con molta attenzione le belle, ornate, graziose, vane, ballanti, e saltanti Comiche nel Teatro ? Tema pur, e aspetti con fondata probabilità mille ferite; e mille morti all’anima sua infelicissima: sarà bersaglio esposto agli infernali saettatori; sarà preda alle crudeli scorrerie dei diabolici Ladroni: sarà oggetto lamentevole con una più che tragica lacrimazione.

E quante volte occorre, che di passaggio, e casualmente uno mira sul balcone una donna, e qindi, come da fiamma, concepisce faville, che per pericolo spazio di tempo paiono, faville morte, ma po si scoprono tanto ardenti, che ne segue un miserando incendio ?

Ho conosciuto un Gentiluomo, che per una vista casuale, poco avvertita, e meno stimata, si ridusse al peccaminoso consenso, e indi col tempo giunse ad uno stato, che egli tutto dolorosoCCCVI chiamava una quais mortale impossibilità di levarsi dal lezzo della disonestà. E chi potrà dunque stimare se stesso franco, e sicuro, mirando così spesso le comiche Teatrali ? Quelli, che stanno nell Teatro guardando queste Femmine, vi stanno comunemente per diletto, dice Caietano, « delectationis causa »In 2. 2. q. 167. a. 2. ad 2.. Dunque facilissimamente riempiono la mente di brutte immaginazioni, le quali se non deturpano subito il bel candore di un animo ben composto; certo che poi non cessano di offuscarlo, e talora di annerirlo affatto sozzamente con molte sozzure di peccati mortali.

Io per me credo, che posso dire fondatamente, e ridire, che i moderni Comici, e i Ciarlatani, conducono le donne alla scena, o al bacno per invenzione, e suggestione di Satanasso, il quale nella Donna fa comparire tanti, e tanti lacci, e di beltà, e di ornato, e di vanità, e di grazia, e di canto, e di parole amorose, e di balli, e di salti, e di altri allettamenti, che moltissimi Spettatori, almeno fiacchi di virtù, sono presi, allacciati, morti, e rovinati con la vista loro. Praticamente, e mortalmente pare impossibile, che da tali Basilischi non restino molti deboli di spirito miseramente estinti {p. 173}: anzi che talvolta i tuoni di quelle voci Comiche, e i fulmini di quegli occhi balenanti colpiscono la sommità di qualche rilevato, ed eccelso monte; voglio dire, che talvolta un virtuoso, che andò per semplice diletto alla Commedia, resta preso con troppo affetto verso la bellezza, e grazia della Comica. Non è affare di molto insolito avvenimento, che il cuore di un uomo perda la spirituale libertà, quando l’occhio usa troppo la carnale curiosità.

Eccelentemente discorre Crisostomo dicendo. « Si Mulier forteHo. de David, et Saulo. in foro obuia, et neglectus culta, saepe numero curiosius intuentem cepit ipso vultus aspectu; qui non fortuito, sed studio pergunt illuc, ac in infacies Feminarum desixos oculos habent, qua fronte poterunt dicere, quod eas non viderint ad concupiscendum ? Ubi coloribus piste gena, ubi corporis habitus fucorum impostura plenus est, ubi socordia spectantium atque hinc, nascens ad lasciviam exhortatio ? Et si in Ecclesiam ubi divinorum verborum enarratio, ubi Dei metus, mult atq:uereverentia, frequenter, ceu latro quispiam calm obrepit concupiscentia; quamodo qui desident, qui nihil sani neque andiunt, neque vident, qui undique obsidionem patiuntur per aures, per oculos, possint superare concupiscentiam ? » Vuole questo S. Predicatore avvisarci. Se la Femmina adornata con negligenza, e mirata per caso accidentale in una piazza, spesso ferisce il suo troppo curioso vagheggiatore; come potranno schermirsi da colpi dell’affetto lascivo quelli, che studiosamente se ne vanno al Teatro; e ivi stanno mirando, rimirando, e vagheggiando quelle Femminelle, che con la beelzza del viso, e con l’abbellimento della persona, come con due gagliardi mantici eccitano la fiamma della disonestà nella cinta del cuore dei negligenti Spettatori ? E se nel sacro Tempio, ove si ode la divina predicazione, e ove il santo timor di Dio e la riverenza raffrenano l’impeto degli affetti, spesso la concupiscenza si introduce di nascostoa foggia di Ladroncello; come potranno superarla nel Teatro coloro, che lontani dall’udir, e dal veder cosa buona, si trovano assediati dal piacere per gli occhi, per gli orecchi, e per ogni parte ? Gli uomini ordinari non nascono Giganti a queste imprese.

Ora consideriamo, che direbbe Crisostomo, e con esso gli altri Santi Dottori, intorno al mirare in scena, o in banco una Comica {p. 174} ordinaria, e piena di lascivi allettamenti ? Direbbero credo, che è un’evidentissima rovina di innumerevoli persone; e che questa comparsa femminile è uno stratagemma del Diavolo, una rete dell’Inferno, e un manifesto precipizio dell’eterna dannazione. So bene, che i Comici, e i Ciarlatani di buona mente non hanno questo fine speculativamente in « actu signato » ; ma essi miseri hanno praticamente « in actu exercito » ; mentre usano la femminile comparsa nel Teatro.

Veniamo al Capo quarto, e ultimo di questo Ricordo, il quale Capo forse nomarsi puòCCCVII nel Drammatico mare il capo tormentoso, e di buona speranza; tormentoso per le difficoltà, e obiezioni molte, che non mancano nella presente materia: e di buona speranza per le buone risposte, e soluzioni, con le quali tutti i nodi restani sciolti facilemente; e si risponde con fondata ragione a ciascuna obiezione. Non dispera la vittoria, chi alle minime saette oppone un forte scudo. {p. 175}

Capo Quarto

Delle risposte ad alcune Difficoltà, che si fanno per difendere la Comparsa delle Ordinarie Comiche nel pubblico Teatro. §

Chi è stimolato con gli acuti pungoli di ben fondate ragioni alla confessione di qualche verità, merita lode nel confessarla candidamente, ne deve sdegnarsi d’aprir gli occhi, e godere quella luce, che l’acceso doppiere di un buon discorso gli fa vedere chiara, e distintamente. Così, spero, procederanno i virtuosi Comici, e Ciarlatani, quando si compiaceranno di leggere diligentemente, e di bilanciare prudentemente le poche ragioni da me portate con questo Ricordo: contro le quali, è vero, che non mancano Difficoltà; ma nemmeno mancano le Risposte: ne credo, sia impresa da gigante, ne troppo difficile darle buone, chiare, e di soddisfazione a chi vuole appagarsi delle verità. Che se le mie, che sono per di qui, non saranno tali, prego il benigno Lettore di compatir alla povertà del mio minuto, edi supplire al bisogno con le ricchezze del suo tesoro.

 

Quesito Primo

Se le Donne sono per tuttoCCCVIII, perché levarle dal Teatro ? §

Si asserisce nel primo luogo quella difficoltà, che da molti è portata con questa forma. Se le Donne si devono levar dal Banco, dalla Scena, e dal Teatro; dunque bisogna levarle anche dal Mondo. Difficile è fuggire le Donne, dice Beltrame, se non si fugge la cittadinanza: poichè le Donne sono la metà del MondoG. 55.. E queste compaiono, e parlano, e mirano, e allettano efficacemente: e tutto il Mondo è Teatro: e per tutto si fanno le Scene amorose. Non è chiara l’esperienza ? Non convince ? Si può negare ? A questa {p. 176} difficoltà io rispondo, che se non si può negare la proposta esperienza, si può giustificare: perché non per tutto si fanno le scene con oscenità; ne tutto il Mondo, ne tutte le scene hanno bisogno di correzione: ma quelle scene, e quella parte del Mondo si deve correggere, ove si commettonopeccati mortali, qunado non vi sia qualche ragione sufficiente alla tolleranza, e permissione; e perché non vi è ragione sufficiente per tollerare, e permetterela comparsa delle comiche parlanti d’amore in presenza dei poco virtuosi; però si deve usare la prestaCCCIX, ed efficace correzione. La tardanza nell’usareCCCX un buon medicamento nuoce grandemente all’infermo, ove la prestezzaCCCXI suole sbandeggiare ogni tristezza, e cagionar la salute.

So, che Beltrame, a maniera di Cavaliere animoso, e di valente Giostratore nella Drammatica arringa, impugna la lancia per difesa delle sue Comiche Dame, e dice nel c. 34.

I discorsi delle Comiche non sono, come tal uno si crede, tanto lascivi, che abbiano a contaminare le persone; in modo che sono discorsi molte volte studiati, e pieni di nobili concetti; e non di lascive parole: e le Donne di qualche valore non cadono in tali bassezze; che ognuna ha caro gradire per la virtù, e non essere tenuta in poca stima per lascivi detti. E dato Questo; la cagione è lontana: e nno occorre dire. Vi è sempre pericolo; e ve ne sono esmpi chiari di quello, che nelle Commedie talvolta è occros; vi sono esempi di persone, che si sono gettate nei pozzi per amore; e per questo si hanno da chiudere tutti i pozzi ? L’amor è affettonaturale, e mente che sia passivo, e non attivo la colpa è del fragile, e non di chi resiste. Poco male possono far le Donne delle scene, con i loro discorsi: io dubiterei più di un occhio lusinghiero, di un riso vezzoso, di un portamento leggiadro di una bella Dama, che di quanti discorsi si facessero mai nelle scene.

O quante cose tocca brevemente il Beltrame con il suo dire: ma io non resto appagato in tutto delle sue prove: il benigno Lettore sia giusto Giudice: mentre io pondero i suoi detti paritatamente.

Dice. Le Comiche non contaminano con i discorsi; perché sono studiati, concettosi nobilmente, e non lascivi. Io dico. Non taluno crede il contrario; mai popoli interi, vedono il contrario, l’odono nel Teatro: la fama con le sue trombe lo fa risuonare {p. 177} per le Città. E le stampe lo pubblicano a tutto il cristianesimo; lo studio delle Comiche, e i concetti loro anche nobilissimi poche volte si allontanano dall’offrire tributoa Venere modestamente; senza che dica, che spesso l’offerisconoCCCXII sfacciatamente; e però esse contaminanole pesrone con i discorsi in scena.

Aggiunge Beltrame. Le Donne di qualche valore non cadono in bassezze, e hanno caro di essere stimate per la virtù. Ma io domando. E quante sono quelle di qualche valore, che non cadano ? Dirà un pratico: sono poche, e molto poche: e to dico, come dicon tutti, che quel poco non si tien molto conto; perché si riduce al nulla. Di tante Compagnie, che oggidì vanno attorno, le Donne, intendo, dioscorrono amorosamente. Lascivamente, e scandalosamente; perché in presenza di Spettatori deboli di spirito dicono parole tali, e di più fanno gesti talora tanto lascivi con i Comici recitanti, che se non si scusassero con il dire di essere Mogli, e Mariti, darebbero segni di essere sfacciate Meretrici.

Le Donne poi, che non sono di qualche valore nel recitare, cadono spesso in bassezze d’oscenità; perché quanto mancano di grazia, per piacere ai giudiziosi, tanto usano di sforzo, per dare pastura ai disonesti con le loro sporchezze delleparole, e dei gesti indegni. E queste quante sono ? Moltissime: e usano spesso gesti, e parole tanto oscene, che io mi vergogno di scriverle; perché altri al certo si vergognerebbero di leggerle.

Segue Beltrame; e repugnando alla prova delgi esempi, oppone chido a chiodo; e dice, che non si debbono chiudere tutti i pozzi: perché alcuni vi si sono gettati per amore. Egli dice con grazia, e con gentilezza; ma il suo dire non ha grazia di fermezza, ne di persuasiva: perché pochi si gettano nei pozzi, ma molti, anzi moltissimi, e moltissime volte, si gettano nel baratro del peccato mortale udendo le Comiche parlanti con amorosi discorsi. Ed essi medesimi confermano a bocc apiena le proprie e moltiplicate cadute cagionate dall’amore, che sebbene è affetto naturale, nondimeno è peccaminoso nella Donna, quando è scandaloso. E però molto male fanno le Donne discorrendo in scena. « Si Femina sciat, dice Filliucci, ab aliquo se turpiter amari, non peccat, quoties se offert eius conspectui, modo non intendat eum provocare {p. 178} ad turpem sui amorem. » Cioè. Se la Femmina sa di essere amata bruttamente da alcuno, non è rea di peccato, ogni volta che si offre al suo cospetto: purché non abbia intenzione di provocarlo a brutto amore verso di se. Così dice questo Teologo, e poi soggiunge limitando il detto. « Si non adsit causa necessaria, multi dicunt peccare, si se offerat. » Cioè. Se la Femmina non ha qualche necessaria cagione di offrirsi, molti dicono, che elle pecca offrendosi. E Filliucci chiaramente la condanna di peccatoTr. 28. n. 232., se può senza scomodo alcunoCCCXIII ritirarsi dal dar mostra di se al peccatore amante. Ed io dico, esse le Comiche posson senza loro nessuno scomodo ritirarsi dal comparire nelle pubbliche scene, e dal parlarvi con gli amorosi discorsi. Se non vogliono chiamare scomodo loro la privazione del guadagno teatrale; ma questo è guadagno illecito: perché lo meritano con ragioni, e con fatiche illecite, cioè le comaprse lascive, e con i ragionamenti scandalosi a deboli di virtù. Anche la Meretrice, ritirandosi dal peccato, sente lo scomodo della privazione del guadagno disonesto; eppure è lampo di verità solare, che elle è tenuta di ritirarsi.

Ma dato inoltre, che le Comiche non frapponessero lascivi ragionamenti; quante immondezze, e quanto stomacose dicono, a fanno i Buffoni per occasione delle Donne in scena ? E con quanti puzzolenti fioretti di lascivia ammorbano il teatro ? Anzi dal Teatro stesso quante voci disoneste si odono formate dalle bocche di molti lascivi Spettatori, qundo vedono comparir le Comiche belle, e vezzose ?

L’anno 1641. andò una Comapgnia di Comici ad una principalissima Città d’Italia, per farvi le solite Rappresentazioni. Nella prima Commedia comparvero due Donne in scena con titolo di Padrone, e due altre con nome di Serve: le Padrone erano gravi di età, e non molto grate di viso: ove le Serve erano Giovanette, e assai virtuose. Ora che occorse ? Tratto tratto al comparire delle Padrone in scena si sentivano certi sdegnosi motti di alcuni, che dicevano. Ohibò, sono brutte, ohibò; via le Padrone, via; vengano le Serve: escano le Serve, e alcuni con parolacce sconce bruttamente scoprivano le loro impure, e disoneste brame. Queste {p. 179} sono le margherite, che si generano nelle conchilie di Venere, quando le Donne compaiono nel drammatico Mare per ivi atteggiare: dunque l’opinione di Beltrame non merita approvazione.

Quesito Secondo

Se le Donne si levano dal Teatro, perché non bisognerà anche levarle da molti altri luoghi del Mondo ? §

La presente difficoltà è simile alquanto alla già spiegata, e per cagione di cui dicono alcuni per conseguenza. Dunque sarà necessario levare le Donne dai pubblici passeggi, dai corsi, dal vedere le giostre, dalle barere, dalle veglie, dai festini, e ancora dai banchetti: anzi di più dalle sacre Stazioni, e da tanti Tempi; perché la loro comparsa in luoghi tali cagiona rovina nei deboli di spirito, e occasione di peccato; attesa la squisita diligenza, con le Donne si acconciano per andarvi, ed essere mirate, e rimirate. Ne credo, che alcuna voglia spaventare gli occhi degli Spettatori, e parer brutta: ma stimo, che tutt vogliano parer belle, e belle a meraviglia.

Beltrame provando, che è il pericolo maggiore di errare, ove è maggiore occasione, dice a nostro proposito. Ogni creatura s’ingegnaCap. 13. d’esser amabile, e le scuse sono tutte coperte di nascoste vanità. E che ? Diremo forse, che le Dame si adornino con tanto studio, e spesa, per rendersi spiacevoli ai Cavalieri ? Che il danzar con fatica, e studio sia per falri disamare ? Che l’andare vezzeggiando, e studiare i modi, che più le rendono graziose, si faccia per essere disprezzate ? Sono tutte burle: io stimo, che ogni Donna, che giunga chiome al capo, che inanelli i capelli, che imbelletti il viso, che ingrossi i fianchi, e che aggiunga aiutiall’imperfezione della Natura, faccia il tutto col fine di parer bella: e che l’esser bella nno sia per far chiudere gli occhi ai circonstanti: e se ciò fanno per parer belle ai Mariti, perché adornarsi, quando escono di casa ? E più alle feste, che in altro tempo ? Dunque ogno cosa è vanità; e il pericolo è per tutto; e più. Ove è più agiata l’occasione. Così discorre Beltrame da galantuomo.

Ma io rispondo, che le Donne, comparendo nei detti luoghi, o per {p. 180} onesta ricreazione, o per cristiana pietà, secondo la decenza dello stato loro, non peccano; e usano lecitamente quelo, che come lecito è loro concesso dai Dottori. Che poi alcuna Donna fa eccesso, per occasione della sua comparsa nei numerosi luoghi, deve correggersi; come anche qualche uomo vizioso malamente si abusa della vista della Donna, e dei suoi ornamenti, merita biasimo, e correzione. E così la comparsa in banco, o in scena delle Donna ornata per allettare, dilettare, e rappresentare discorsi amorosi, finti, e provocativi efficacemente alla disonestà, è uno scandaloso eccesso, e una manifesta oscenità, prima di sufficiente ragione, e di tal fine, che la possa rendere onesta, secondo il parere dei medesimi Dottori, i quali sanno, che la Comica dice, ovvero può dire. Io con questo comparire mio pretendo giovare, e dilettare rappresentando, e così guadaganrmi il vitto onoratamente con le virtù. E con le fatiche mie; e nondimeno dichiarano tal modo di comparire illecito, osceno, e scandaloso. Che occorre dunque giustificarlo con il paragone di un modo lecito ? Un brutto Mostro non perde la deformità con la vicinanza di un bel soggetto.

Dico poi al luogo di Beltrame, che l’ingegnarsi una Donna di essere amabile non è cosa riprensibile, quando s’ingegna con modo lecito, e approvato dai Dottori. Ne io dico, che le Dame s’adornano, per piacere, ne che danzano, per farsi disamare; ne si rendono graziose, per essere disprezzate: ma stimo, che le viziose possano fare le suddette cose con fine moderato, e onesto, come anche l’acconciarsi il capo, e l’abbellirsi la persona, per piacere ai Mariti, o per uscire di casa alle feste con gli ornamenti decevoli allo stato loro. E stimo così; perché così insegnano i Dottori comunemente, dai quali viene riprovata in tutto e condannata la pubblica Comparsa della Donna in banco, o in scena. Per dilettare con i suoi vani, e aomorosi ragionamenti: onde parimente da me si deve riprovare: e la ragione si è; perché è scandalosa almeno efficacemente ai deboli di spirito: ne ha fine alcuno, o circostanza, che basti per la sua giustificazione; poichè la Comica usa questa comparsa per far buon guadagno, ma il guadagno non è lecito, quando per acquistarlo si reca al prossimola rovina spirituale. {p. 181}

Quesito Terzo

L’uso non basta per giustificare la Comparsa delle Donne nel Teatro ? §

Ecco la terza difficoltà formata da coloro, che così discorrono. Il vedere le Donne in scena, o in banco, e udirle ragionar d’amore, è cosa ricevuta dai popoli senza scandalo per l’uso lungo, e per l’abito invecchiato di tanti secoli, come avviene di molte cose, che in un paese offendono, e in un altro passano senza offesa. E poi quei ragionamenti Comici amorosi sono conosciuti per finti, e si considerano solamente con gusto, come scherzi, e artifici della scena, senza affetto di libidine, anzi con vitalità, distinguendo il diletto del senso dal peccato del consenso.

Beltrame spiega molto bene questa difficoltà, ove mostra con bella intuizione, che l’uso muta i gradi dell’estimazioneCap. 35. alle cose: e poi soggiunge così. L’uso del vedere le Donne in Commedia, e l’udir i loro discorsi amorosi, è un tal abito già fatto per l’uso dell’Arte, che non sollecita così facilmente la concupiscenza, come tali si pensano: e gli Uditori badanoCCCXIV a bei concetti, all’efficace modo di porgere le cose, e si lasciano rapire dall’Arte, e non dalla libidine: come appunto coloro, che mirano quelli, che giuocano di scherma, che hanno gusto di vedere ferire con astuzia, colpire con velocità, e difendersi con grazia: e ciò non nasce dall’odio, ne dall’amore, che gli Schermitori portano, ma dalla vaghezza dell’Arte. Così i discorsi amorosi delle Comiche, sapendo ognuno, che sono finti, non vi concorre il malanimo, ma l’intelletto gode dell’eccellenza dell’Arte. A me piace, che un uomo bencomposto non dovrebbe pensar tanto male, ne far così sinistre conseguenze; ne un imperfetto non dovrebbe misurare altrui con lo stesso.

Per rispondere a questa difficoltà comincio dall’ultimo, che scrive Beltrame; e dico, che l’uomo ben composto, per essere egli dotato d’intelletto, e di giudizio, può intendere, e giudicare di una cosa bene, o male secondo le regole della cristiana prudenza, e secondo gli indizi, che vede, e intende manifestamente. E un imperfetto di virtù ouò misurare anche altri da se medesimo {p. 182}; quando oltre all’imperfezione in se, scorge in altri le ragioni, e gli indizi sufficienti al misurarli.

E certo, che questi indizi, e queste ragioni non mancano, per poter dare giudizio delle Comiche, e di loro discorsi amorosi, e per giudicarli molto perniciosi alla moderazione della cristiana purità. E per ogni ragione basti ora questa sola; che i Giovani Spettatori deboli di virtù dicono, e ridicono costantemente che essi udendo tali discorsi commettono moltissimi peccati mortali, e che difficile si è il non peccare.

In quanto poi all’uso dico, che tale uso sempre è stato stimato dai Dottori, non lecito uso, ma vero, e illecito abuso, degno di correzione, la quale si è fatta con il favor divino in gran parte con levar dal Cristiano Teatro le bruttissime oscenità antiche: ma non basta per la vera, e necessaria modestia prescritta dal Cristianesimo, che però continuarsi deve sino alla totale purga di ogni illecita oscenità.

Ne giova molto il dire, che i discorsi amorosi sono finti, e conosciuti per tali; perché da quella finzione, anche per tale conosciuta, segue la dissoluzione nei costumi di molti, i quali, per essere deboli di vitrtù, considerano con peccaminoso gusto quegli scherzi, e artifici della scena oscena, e risvegliano in sé l’affetto di libidine; onde poi altrove con la rimembranza delle cose finte viste, e udite, si impegnano di compiere opere vere di peccaminose iniquità.

E ancora di poca forza quel detto. L’Uditore degli amorosi discorsi distingue il diletto del senso dal peccato del consenso.

E questo io voglio qui ora provare con quel poco, che appesso aggiungerò, bramando, che sia raggio di chiara luce per il nostro cammino verso la cognizione della Verità. {p. 183}

 

Nota unica

Non tutti gli Uditori sanno, o vogliono distinguere l’artificio dell’Arte dal pericolo di peccato. §

Leviamo presto il velo dalla pittura di questo quadro, e diciamo, che la moderna, e quotidiana esperienza concince che nel tempo, nel quale i mercenari Comici, o i Ciarlatani rappresentano Azioni illecite, immodeste, lascive, e scandalosa per gli amorosi ragionamenti, pochissimi Auditori distinguono, o per non sapere, o per non volere, l’artificio, e la finezza dell’Arte dal pericolo del peccato; e moltissimi alla cieca si danno in preda al maledetto diletto con rovina spirituale, udendo il finto discorso d’amor carnale. Io non ragiono di questa maniera per far un esagerato spaventoCCCXV alle persone di tenerissima coscienza; perché tali non hanno bisogno del mio spavento, per fuggire il pericolo della loro salvezza; ma sono mosso a così ragionar, e scrivere, per trovarmi convinto dalla ragione, e dall’esperienza imperrochèCCCXVI chi non sa, che moltissimi Uditori delle Commedie amorose, sono quasi incapaci si speculativa distinzione, e si appigliano solo a quello, che la loro ordinaria cognizione sa considerare ? Sono simili ad un semplice fanciulletto, che leggendo qualche misteriosa favola digusto, darebbe per un pomo tutto il giovamento nascosto nell’allegoria; perché da lei egli non sa, ne cura di sapere causare per beneficio suo nessuna utilità; ma tutto avido segue solamente la dolcezza, e il diletto di quel favoloso miele.

Beltrame scrive. Quantunque l’intenzioni delle Opere drammatiche siano tutte più all’utilità. Che al dilettamento dirette: nondimeno il maggior capitale, che facciano i vaghi della Commedia è il diletto; ove ne conviene porre l’utile immascherato di giocondità; comecon lo zucchero si coprono gli antidoti per i malori dei fanciulli; in modo che come confetti, e non come medicine, siano da loro inghiottiti; altrimenti facendo, il popolo non avrebbe gusto, e senza il loro gusto ogni piccolo Teatro sarebbe sufficiente all’Auditorio: e ogni piccolaCCCXVII borsa sarebbe capace al nostro guadagno.

Io {p. 184} rispondo a Beltrame, che godo molto della candidezza, con che confessa, che egli, e i Professori dell’Arte sua stimano convenevole l’usare la giocondità per dar gusto: in modo che nel Teatro cresca l’Auditorio, e nella borsa cresca il guadagno; ne io a questo repugno, ne lo condanno: ma dico, che non conviene, ne si deve, né si può con sicurezza di coscienza usare la giocondità oscena, e cagionar con essa l’osceno gusto; perché sono cose di rea natura in se, e di scandalo, e rovina spirituale a moltissimi deboli di virtù, i quali, stando alla Commedia amorosa, non distinguono la moralità giovevole dal diletto osceno, e pernicioso; anzi a modo di ghiotti fanciulli trangugiano il confetto micidiale del piacere, e restano avvelenati, ingannati, e uccisi nella parte loro più bella, e principale, che è l’anima ragionevole. Dico più chiaro, e alludo al pensiero di Beltrame dell’immascherato, che come un uomo copertocon la maschera è conosciuto da pochi; così da pochi è conosciutol’utile immascherato di giocondità; ove all’incontro la giocondità scoperta è conosciuta scopertamente da moltissimi, dai quali è anche affettuosamente amata, e desiderata, e se ella è giocondità oscena, e di peccato, cagiona nei deboli loro affetti di gusto osceno, e peccaminoso.

E chi vide mai, ovvero udì, che quando gli Uditori della Commedia partono dal Teatro, vadano discorrendo, e cercando di conoscere l’utile immascherato di giocondità, per amarlo, e per praticarlo ? Sono bellle chimere, e canori capricci: per ordinario lodano i Comici valenti, e vituperano gli sgraziati, gettando contro di loro qualche detto mordace.

Beltrame scrive, che uscendo egli talvolta con la folla delle persone dal Teatro, ha ineso molte volte dire. O che bella Commedia: o come si è portato bene il tale. E di più scrive, che ha inteso altri dire con altra occasione. Ohibò che cosa sgangherata hanno fatto costoro: se non fanno meglio di questo, io non vi torno più.

Io accetto per vero lo scritto dal Beltrame, e aggiungo, che gli Uditori, non solo uscendo dal Teatro, ma seguitando di ritirarsi alle case loro, seguitano per ordinario a ragionare, e a pensare alla Commedia, nella quale chi ha ricevuto qualche diletto a questo {p. 185} di nuovo pensa, e ripensa, per ricevere moltiplicato diletto col pensare: e se nel Teatro ebbe tal diletto con il consenso di peccato, forse di nuovo col pensiero pecca dilettandosi; perché insomma pochi sono quelli, che vedendo i discorsi amorosi, e dolcemente libidinosi, distinguano il consenso dal senso, e vadano dietro all’intelletto, e alla ragione, per conoscere il vero bene dell’utilità: e non seguano il senso del piacere, per amare il falso bene della carnalità, e acconsentire al peccato.

Il senso ha più seguito nell’umanità, che non ha la ragione, dice Bletrame. Ed io dico, che tutto ciò si avvera nell’udireCap. 3. le Commedie oscene; perché l’uomo debole di virtù udendo gli umani discorsi di lascivo amore resta schiavo del gusto, e malamente pecca fatto seguece del senso, che non attende alle astrazioni, per essere una potenza materiale, e poco sollevata.

Ma forse qui replicherà taluno dicendo. Non posso io dilettarmi solamente della cognizione del comico artificio, e non delle cose oscene rappresentate dai Commedianti, e dalle Comiche loro ? Siccome nel leggere un libro disonesto posso dilettarmi delle belle parole, delle forme nobili, e leggiadre, e della graziosa, e fiorita eloquenza, senza che io nnel’udire i discorsi amorosi, e lascivi può l’intelletto mio, il senso, e l’affetto dilettarsi dell’artificio, e non della disonestà.

A questa replica io rispondo con due Teologi modermi: il primo è il Religioso Teologo Bresciano, il quale nell’Antidoto contro le lezione dei libri poco onesti alc. 5. scrive col tenore seguente. È cosa molto difficile il maneggiare pece senza imbrattarsi: così difficilissima cosa è, che l’intelletto nostro per la corruzione della natura nostra, al male inclinata, possa fare tale astrazione, si che si goda solamente della cognizione delle cose in tali libri contenute; e frattanto la volontà, e l’appetito sensitivo restino sinceri, e nettiCCCXVIII da ogni affetto impuro: con ciò sia anche essendo queste potenze tra di loro per stretta amicizia connesse, ne segue, che quello che una per mezzo della cognizione apprende, e intende per cosa mala, o buona, l’altra lo fugga per odio, o abbracci per amore, massimamente se ha apparenza di qualche bene dilettevole. E così è cosa molto facile, che dalla cognizione {p. 186} speculativa dell’intelletto si passi alla cognizione pratica dell’affetto circa l’oggetto dilettevole, mediante il consenso della volontà. E quando anche ciò non avvenisse, nondimeno p cosa certa, dice S. Cipriano, che quantunque si cacci dalla mente il pensiero brutto, e diabolicoDe icium. et tent. Chris., mediante la repugnanza della volntà, vi lascia però qualche cosa della sua immondizia. Pure se ho da concederti cosa l’astrazione, te la concederò, quando avrai talmente domate le passioni viziose, e staccato talmente l’afftto da queste cose create, che tu possa dire con S. Paolo « Omnia arbiter, ut stercora, ut Christum lucrifaciam. » Ma perché non credo, che tu sia arrivato a questo segno; per questo è cosa più sicura per te il non mettersi a tale pericolo; perché ti sò dire, che se entrerai con mente buona, e sana, ne uscirai poi con la coscienza reprobaCCCXIX, e ferita.

Io credo, che qui il benigno Lettore consideri, che la risposta di questo Teologo è veramente indiretta al caso delle Commedie: però è molto efficace; perché se quella distinzione, e astrazione del diletto dal peccato è difficile da farsi leggendo un libro poco onesto: molto più difficile elle sarà, udendo recitare, e vedendo una Rappresentazione di poca onestà: poichè l’azione viva, e l’attuale recitamento ha maggiore forza, e più vigorosa energia per rapir l’animo al consenso peccaminoso, e per impedire la detta distinzione.

Il 2. Teologo risponde, « directe », direttamente alla Replica, ed è Girolamo Fiorentino, che nella sua bella, breve, e scolastica Commediocrisi dice così. « Intellectus facilè considerat delectationem ex modo artificioso consurgentem, non considerando delectationem ex re turpireprasentata: at verò sensus, quando utraque delectatio simul concurrit, et occurrit potentia sensitiva, non discernit, nec unam separat ab alia, eo quod potentia est materialis, qua non abstrahit; ideo nemo sane mentis negabit, hanc sententiam facilius scribi, et explicari, quam practicari in facto. » L’intelletto, dice questo Teologo, facilmente considere il piacere, che nasce dalla cosa turpe rappresentata. Ma quando l’uno, e l’altro piacere concorre insieme, e si propone alla potenza sensitiva, allora il senso non pone tra loro distinzione, non li {p. 187} scongiunge, né li separa: perché egli è potenza materiale, che non s’impiega nell’astrazione: onde niunCCCXX personaggio di senno negherà, che questa sentenza è molto più facile ad essere scritta, e dichiarata, che con i fatti praticata.

Dunque noi possiamo giudiziosamente inferireCCCXXI, che è punto difficilissimo, e praticamente pericolosissimo il giudicare, che il diletto ci nasca dall’artificio Comico rappresentante, e non dalla cosa brutta rappresentata. Giovanni Salas citato dal Fiorentino dà questa Regola, avvisando, se l’artificio diletta ugualmente nelle cose oneste, e nelle brutte. « Attende, an artificium delectet aquè in honestis, ac in pramis. » Ed egli dice, che così moltissimi sono convinti di acconsentire al diletto delle cose turpi sotto pretesto di artificioso verso, o di soave musica. « Hac ratione convinci plurimos consentire in delectationem turpium sub pratexit artificiosi carminis, aut suavis musica » perché ricusano poi di leggere, o di udire composizioni fatte con pietà, e con artificio ancora maggiore.

Ora così noi diciamo nel caso nostro; poichè si corre ad udire, e si gusta più di una Commedia oscena, e di un ragionamento amoroso, che di un discorso Accademico divirtù morali; o di una predica di santità fatta con grande artificio da un Apostolico Predicatore. Il senso carnale ci gabba, e ci tradisce; egli è un Mago, che ci incanta; e alcuni lo vogliono giustificare con l’apparenza di qualche falsa, o debole ragione; non resta giustificato il senso; ma resta ingannata la coscienza, e lo spirito rovinato.

Al punto di questo tiro aggiusta la Dottrina di Layman.

« Passio facit, dice egli, ut intellectus ponderetl. 3. tr. 2. c. 5. n. 3. §. altera par. magis rationes pro parte, ad quam appetitus sensitivus inclinat. » E questo succede « ob naturalem consensiore, et sympathiam inter potentias sensitivas, et rationales ». E però dice, « Quivis iudicat de rebus, ut affectus est. » E l’uomo appassionato non è buono a giudicare. Anzi in una passione veementissima, dice questo Teologo, l’intelletto si turba§. Tertia. in modo, che propone l’oggetto alla volontà con determinate ragioni « ad passionem », e non con indifferenza. E vuol dire in sostanza questo Dottore, che la passione impedisce l’intelletto dal fare secondo il diritto la distinzione degli oggetti leciti dagli illeciti. Ed io dico, che tal passione per ordinario {p. 188} si trova molto veemente in moltissimi Spettatori deboli di spirito: e però essi frequentano l’osceno Teatro in luogodi usare la distinzione dell’artificio dalla brutta rappresentanza, usano la confusione, e peccano per viziosissima passione.

Quesito Quarto

Non sarà peggio introdurre i Giovani vestiti da Donne nel Teatro ? §

Questa difficoltà una volta propose a me un Comico principale, e da altri è proposta gagliardamente: cioè se non si introducono le Donne vere nelle scene, vi si introdurranno i Giovani vestiti da Donna, donnescamente imbellettati, e adornati; e quindi ne seguiranno peggiori scandali, e più gravi inconvenienti; e per fuggir i lampi, si incontreranno i fulmini.

L’onorato Comico Cecchino scrive, che nelle scene sebbene in luogo delle Donne potevano capir Giovanetti; tuttavia fu concluso, essere assai meglio, e di mancoCCCXXII scandalo la Donna; poichè ben guardata, e dalla propria onestà, e dall’interesse dell’onor del Marito, si sarebbero fuggiti quegli scandali, che possono essere partoriti dalla libertà di quel Garzone, che fuori di casa può incontrarsi in persona, che con parole virtuose lo conduce in luogo, dove si consumassero fatti viziosi: che solo a pensarci patisce l’anima di chi conosce il male, che ne potrebbe succedere.

Io darò varie risposte per questa difficoltà, le quali, almeno « collective »  unitamente considerate, spero, soddisferanno.

Rispondo 1. Beltrame si sforza di mostrare, che è molto più conforme alla natura, che le Femmine rappresentino figliuole da Marito, che travestire Giovanetti da Femmina. Egli sul principio del c. 55. dice con bella induzione, che ognuno s’interessa nei suoi gusti, e po aggiunge. Se i Comici potessero soddisfare tutti gli umori nell’ordine del recitare, saprebbero fare quello, che niun’ancoraCCCXXIII ha mai fatto: il dar gusto a tutti è impossibile. Alcuni vorrebbero, che invece di Femmine recitassero Fanciulli. Io non loderei mai li far recitare quotidianamente i Fanciulli da Donna: atteso che io ho veduto in certe Accademie l’imbroglio {p. 189} di questi Ragazzi: non si sanno vestire in tali abiti da loro stessi; e si fanno addobbare a casa da altri. Ma le Donne sono più nautrali, e si sanno addobbare da loro stesse.

Dal detto di questo Comico io inserisco. Dunque chi introdurrà i Giovanetti vestiti da Femmina, farà cosa non approvata dai medesimi Comici pratici dell’Arte; e in sentenza loro peccherà in ragion di natura. E di più si esporrà al pericolo di peccare ancora in ragione di costume secondo quello, che scrive, il Cecchino.

E certo credo, che sarebbe pericoloso di gravissimi scandali, e bruttissimi inconvenienti, quando in luogo di Donne s’introducessero Giovani, e un Comico Giovane fosse triste di vita, bello di presenza, comparisse ornato, e imbellettato lascivamnete in scena a rappresentare, sotto forma di Donna, lascivi amori; e poi anche fuori del Teatro procedesse con quelle maniere di conversare nelle case, e di allettare, che usano le ordinarie Comiche vane, disoneste, e ingorde di grosso, e di moltiplicato guadagno. Ma questo sarebbe un lasciare il caldo del Sole, e saltare nel fuoco; o per fuggire le brine e andar al ghiaccio. Non corrono così a rompicollo per il sentiero dell’iniquità i Giovanetti Recitanti. Ho saputo da persona grave, e testimone di vista, che nel nobilissimo Regno d’Inghilterra sono molte Compagnie di valenti Commedianti; enon introducono alle scene vere Donne, ma Giovanetti vestiti da Donna, e quindi non seguono gravi, né peggiori inconvenienti.

Anzi tra Cattolici molti Accademici, e molti Gentiluomini, e Cittadini in qualche tempo dell’anno per qualche onesta ricreazione fanno delle Rappresentazioni, nelle quali comaiono alle volte invece di Donne Giovanetti vestiti all’uso di Donna; e sebbene seguono talorafastidi, imbrogli, e disgusti: e di più alcuna volta segue qualche indecenza grave: perché infatti come già mi disse un saggio Gentiluomo praticissimo degli Accademici Recitanti, dove sono i Giovani, e vecchi, non mancano i pericoli; nondimeno mai seguono quei tanti, e così gravi, e scandalosi mali, che nascono, come da seminario d’iniquità, dalla condotta, comparsa, e consuetudine delle Comiche ordinarie. Dunque la proposta difficoltà di sequela peggiore è molto falsa.

Rispondo {p. 190} 2. Bisogna levar dal Teatro la pubblica Rappresentazione dell’illecito, e osceno parlare amoroso, e lascivo tra gli amanti; o ella si faccia con vere Donne, o con Giovanetti vestiti da Donna; perché questa materia in sostanza è scandalosa, e rovina le anime: e se questa si leverà insieme con le vere Donne, non sarà necessariointrodurre Giovanetti rappresentanti Fanciulle, o Donne parlanti lascivamente d’amore con i loro Favoriti; ne per fare buone Commedie si richiede le femminil comparsa: come ho dichiarato nel c. 3. di questo Ricordo al Quest. 4.

E qui solo aggiungo l’esempio dell’antico Scrittore Comico Plauto, che certo può servir di grave rimprovero a quegli impidichi Scrittori, che tra cristiani compongono, e fanno recitare Commedie di poca onestà. Egli in Captius circa il fine del Prologo palra con questa forma intorno alla qualità dell’Azione.

« Profecto expediet fabule huic operam dare:
Non pertractate facta est, nequeitem ut catera:
Neque spurcidici insunt versus immemorabiles:
Hic nequeperiurus leno est, neque Meretrix mala: »: 

A questo gentilesco bersaglio di moderazione comica dovrebbero i Comici Cristiani siffar lo sguardo delle menti loro, per colpire saettando, come valenti Arceri, nel bianco delle loro Rappresentazioni. Ma sentiamo ciò, che lo stesso Plauto dice nel fine.

« Spectatores ad pudicos mores facta hac fabula est,
Nequein hac subagitationes sunt, vilane amatio;
Nec pueri suppositio, nec argenti circumductio:
Neque ubi amans adulescens scortum liberet cla suu patre
Huiusmodi paucas Poete referunt Comedias,
Ubi boni meliores fiant ».

Dice bene questo Comico Scrittore, dicendo, che poche Commedie sono composte da Poeti, nelle quali non si vedanoCCCXXIV i disonesti amori, e con le quali si procuri il miglioramento dei buoni costumi, e l’accrescimento della perfezione per i virtuosi. Ma io dico, che sono poche a nostro tempo, mercè alla negligenza dei Cristiani Compositori, i quali potendo scrivere onestissime favole piene di giocanda, e fruttuosa moralità, scrivono bruttezze {p. 191} indegne dello spirito cristiano. Piaccia a Dio che chi ha spirito di Poesia, sollevi, come buon Fedele, l’animo a conseguire quella lode, che il Lirico spiegò, dicendo.

« Omnes tulit punctum, qui miscuit utile dulci. »

Rispondo 3. Da molti è riprovata la comparsa di Giovane vestito da Donna. Ed io qui potrei cercare dottrinalmente, se il Comico pecchi, o no, vestendosi da Donna, per dilettare comparendo in pubblico Teatro: ma mi ritengo da tal Quesito; si perché si può conoscere la risoluzione per lui da ciò, che ho notato nel c. 3. al Q. 14. parlando della Comica: poichè tutto vale del Comico a proporzione; così anche perché basta poco, che qui ora aggiungo.

Dio, supremo Legislatore nel Deut. c. 22. 5. comanda. « Vir non utetur veste Feminea; abominabilis enim apud Deum est. » L’umo non usi la veste Femminile; pechè si fa abominevole nel copsetto del grande Iddio, e Lirano dice, « che set occasio libidinis », è un’occasione molto rea di cercare pastura per la lidibine: come appunto io intesi una volta in una città fuori d’Italia, che un certo lascivo amante si era vestito da Donna, per andare a favellar sicuramente con l’Amica in un sacro Tempio. Sacrilegio degno di essere punito con le fiamme di Vulcano, già che era sacrificio fatto alla disonesta Venere.

Santamente le Giustizia della Serenissima Repubblica di Venezia l’anno 1641. fece incarcerare un Giovanetto; perché fingendosi Femmina, andava per le Chiese con vesti, con gesti, e con portamenti femminili: e dopo la carcerazione ne seguì la punizione, con che quel reo fu mutilato nel naso, nelle orecchie, e nel labbro. Così merita di essere trasfigurato giustamente con pena, chi procura trasfigurarsi disonestamente con la colpa. E quel caso io seppi da un personaggio Veneziano, che mi mostrò in Fiorenza lettere venute da Venezia con quella relazione.

Legga lo zelante Cristiano a suo agio Clemente Alessandrinol. 3. Pedag. c. 3., ove scrive gravemente, e diffusamente contro coloro, che si adornano a modo delle Donne: io qui noto solo alcuni suoi detti più brevi, e più importanti, e li rimetto alla considerazione, e esplicazione del benigno, e prudente Lettore.

« Hoc {p. 192}est inventum, dice egli,fractorum hominum, et ad libidinem propensarum bestiarum. Hoc prater naturam persequi exercitium, quamodo non est extreme intemperantie ? Qua in publico autem est intemperantia, sostatur eam que est in obscuro, in summa licentia libidinem; qui enim sub solis radiis virum abnegat, clarum est, eum noctu convinci Mulierem. Pueri, docti abnegare naturam, Mulieres simulant. O miserandum spectaculum. O nefandum studiam. Hac ciulis nostra intemperantia ostenduntur triphea. O quanta est hac iniquitas. Suspicio, et admiror veteres Romanorum Legislatores: ii muliebre, et effeminatum vite studium odio habuerunt, et corporis cum Femina consuetudinem preter Natura legem, ut in terra infederetur, ex lege iustitie equu existimarunt. » E prima di finire il suo discorso Clemente contro costoro, che si vestono, e ornano a modo di Donna disse. « Non viri, sed Batali, et Feminelli dicendi sunt. » Non si devono appellare uomini, ma femminelli, e simili a quel Batalo, che fu uomo di effeminatissima condizione.

Considerino da senno queste cose i Giovani Comici, o altri, che vogliono comparire nelle scene vestiti da Donna, che spero se ne asterranno, come da cosa degna di riprensione.

S. Cipriano riprende gravemente un Comico; perché egli recitava con l’abito di Donnal. 3. ep. 10.. E chi può negare, che lancerebbe le medesime saette di riprensione a nostro tempo contro chi recita con tale indecenza ?

Lattanzio biasima quegli Istrioni, « quorum corpora impudicasl. 6. Divin. Instit.Feminas inhonestis gestibus mentiuntur », i quali contraffannocon i turpi gesti le impudiche Donne, e questo biasimo si deve, qualche volta che un Giovanetto vestito da Femmina finge di essere un’impudica Innamorata.

Menocchio condannando i Comici disonesti interpreta il titolo d’Istrione, come di uomo, che vestito da Donna rappresenta disonestà. « Histriones dici illosl. 2. de Arbi. R. Iudic. Q. 5. Cent. 1. cas. 62. n. 34., qui muliebris indumento gestus impudicarum Feminarum exprimmunt. »

Giacomo Mazzoni, cita Ateneo dicendo, che il Comico antico detto, Magodol. 2. della Dises. c. 26., usava il vestito Femminile, e era tutto lascivo, e faceva ogni cosa mollemente, rappresentando ora la persona di Femmina, ora quella di Ruffiano, e ora quella di Adultero.

Mazzarino {p. 193} da per avviso ai Superiori, che non permettano, che Giovanetti recitino vestiti da Donna: dei quali Giovanetti non volgio passare quello, che aggiunge Beltrame, dicendo, che si fanno acconciarC. 55. in casa dalle loro Dame, e forse serve vanerelle, che talora si compiacciono scherzare con detti Fanciulli: e chi non ha il senso mortificato dagli anni, o dalle mordaci cure, può almeno scorrere nella vanità. E poi dopo abbigliati vanno per la città così vestiti facendo la mostra; e quell’abito diverso fa dire molte cose alla brigata. E poi giunti alla scena, molte volte sono scarmigliati, e bisogna, che i loro amici, o loro precettori tornino ad inanellar loro i capelli, rassettar i collari, comporre le vaghezze al collo, e che talvolta li mirino, per assicurarsi, se compaiono a proposito, e lusingandoli li diano animo di farsi onore: cose invero, stimo io, da straccare la pazienza a chi ha tale cura.

Così discorre Beltrame, come di cosa d alui veduta in certe Accademie; e dice con giudizio, dicendo, in certe; perché al sicuro non si vede così in tutte; e atteso che non tutte le Accademie fanno, che i Ragazzi siano acconciati dalle Donne, e che poi facciano mostra di sé per la città, e che giungano alla scena scarmigliati: ma ordinano, che i Giovanetti stessi con l’aiuto di qualche virtuoso Accademico nella casa del Recitamento si assestino senza molto fastidio, e senza molto stancare la pazienza di chicchè sia. E bene vera una cosa, e questa non la tocca Beltrame, la voglio toccare io per spirituale avvertimento dei Sig. Accademici: ed è; che alle volte un virtuoso Accademico si affaticherà diligentemente nel far vestire, e acconciare i Giovani all’uso di Donne; e procurerà, che le conciatureCCCXXV di testa, e gli altri abbigliamenti femminili si adattino alla persona con grazia perfettamente; ne egli per allora sentirà fastidio alcuno contro la purità dell’animo suo; ma forse nel punto di morte sarà tentato gravemente con pericolo della salute per il ricordo di tali abbigliamenti, e acconciature. Un caso non stampa una regola per tutti universale, ma può servire di buono avvertimento a tutti.

Da un grave Religioso, dotto Predicatore, e nobile Veneziano ho saputo un’accidente narrato a lui da quello, a cui successe: e fu tale. {p. 194}

Un Gentiluomo di professione Ecclesiastico, di grado Canonico, di virtù segnalato, e di età ormai senile, e grave, si trovò assalito da una pericolosa infermità, per la quale giunse « ad portas Mortis », alle porte della Morte, ma poi per divino impero fu indi richiamato, e non morì. Stava sull’agonia di quel punto estremo; qundo ecco gli parve di vedere avanti agli occhi suoi più di cento donne, che lo miravano, e dicevano. Vedi un poco, vedi questa mia acconciatura di testa, se ti piace: mirala bene: rimirala: stà a tuo modo ? Ti piace ? E ciascuna diquelle Donne gli cagionava grandissima tentazione: quasi che con gli sguardi balenanti gli scoccasse dagli occhi amorosi dardi, temperati nella fucina di Vulcano secondo il gusto dell’impudica, e sfacciata Venere: fu combattuto con gran pericoloCCCXXVI l’animo di quel Signore, ma non fu abbattuto. Iddio si compiaque d’essergli forte armatura contro la tentazione, e nuova vita contro la vicina Morte: si risanò dal grande morbo, e confessò a gloria del Signore, e a giovamento del prossimo; che quella disonesta tentazione, che tanto lo combattè, era stata cagionata secondo il suo parere da questo; perché nella sua Gioventù laicale si era dilettato di fare rappresentare Commedie, nelle quali comparivano Giovanetti vestiti da Donne con belle, e graziose acconciature da testa. Notino questo accidente i Sig. Accademici; né si curino d’introdurre nelle scene Giovani vanamente, e lascivamente ornati, e abbellti in veceCCCXXVII di vere Donne.non è soverchia accortezza fuggire il pericolo, benché minimo, per assicurarsi nel passo di Morte con eterna salvezza. Io approvo quello, che Adamo Contzen dice. « Absit a Theatrol. 3. Polit. C. 13. §. 7.habitus illius sexus: numquam probavi, Adolescentem femineo habitu simulare Feminam etiam sanctam ». Cioè. Si levi dal Teatro l’abito femminile: mai da me è stato approvato, che un Giovane vestito da Donna rappresenti una Femmina, tutto che buon sia, virtuosa, e santa. Chi teme di sdrucciolare, non si fidi ci camminare sul ghiaccio. {p. 195}

 

Nota unica

Della principale Ragione, per la quale non si approva la comparsa dei Giovanetti vestiti da Donna per le pubbliche scene del Teatro. §

Lo schifare i pericoli è sempre bene; dice Beltrame. Ed io dico, che merita grad lode, chi con provido accorgimento si dilunga da tutte quelle occasioni; che o per malattia umana, o per fragilità, o per ignoranza, o per altra ragione, e accidente servono al Demonio, per indurre le anime al gran pericolo di caduta mortale, e di perdita della divina grazia.

Una di queste occasioni è la comparsa dei Giovanetti vestiti da Donna in scena, la quale da moltiè riprovata, e credo, che la ragione principale sia quella, che accenna il Cecchino, e io la spiego in breve, dicendo; perché alle volte sono seguiti scandalosi inconvenienti, o almeno gravi pericoli di seguire. E qui ricordo con Arias, che S. Basilio lasciò scritto, che gli uomini castiTrat. della mortific. c. 15. nel mezzo. hanno da conservare i loro occhi non solamente dallavista disordinata delle Donne; ma anche dal guardar liberamente la bellezza dei Giovanetti; poichè sappiamo, che per simili occasioni di vedere sono succeduti nel Mondo grandissimi mali a molti uomini: e abbiamo per esperienza , che il Demonio siserve di questo mezzo per fare cadere molte anime.

Ma prendiamo lume dalle accese fiaccole di alcuni casi seguiti a tempo nostro, e degni della nostra riflessione.

A me fu narrato da un principalissimo Signore, e di molta giurisdizione, che si recitò in una città il Pastor fido; comparve sotto nome di Donna un Giovane, fornito di poca beltà naturale, ma adornato dall’Arte in modo, che cagionò incentivi d’amore disonesto in molti, che molto poi lo seguirono scndalosamente. Ecco i puzzolenti fiori, che nascono nel giardino osceno, e Teatrale, quando un Giovane con abito, e ornamento femminile vi compareCCCXXVIII a passeggiare.

Ma non fu meno grave un altro accidente, seguito per una spirituale Rappresentazione. Si facevaCCCXXIX con solennissimo apparato un bel Recitamento per onore, e gloria di una Vergine, Martire gloriosa; {p. 196} ed ecco, che un Giovanetto di fattezze ordinarie, e poco per altro riguardevole, si mostrò ricco, ornato, e vezzoso con tanti abbigliamenti, che prese gli occhi lascivi di alcuni spensierati e sregolati vagheggiatori: onde finita l’Azione, lo cominciarono a molestare con sfacciataggine tanto importuna, che esso, non bastandogliCCCXXX le repulse date più, e più volte, fu costrettoCCCXXXI di partire dalla Città, per non essere intrappolato con perdita della sua purità immacolata. Ecco i triboli, e le spine, che spuntano dal suolo Teatrale, in cui si fa vedere con abito di Donna un Giovanetto, benché sia un nuovo Narciso di pudico affetto, e quasi una verginella Rosa di casto amore. L’occasione apre la strada al lenocinio, per rovinare la bellezza della castità: chi la fugge, combatte sicuro; e senza morte ad Ettore, si può chiamare cristiano Achille.

Voglio aggiungere un altro caso, e basterà in luogo di molti per colorire il nostro quadro secondo la nostra debolezza: e lo narrerò, come narrato mi fu da quel grave, e sacro personaggio, a cui accorse.

Un Religioso, grave di età, persona di molta dottrina, e uomo di consumata, e sperimentata virtù, fi invitato dal suo principale Superiore. Andò a sentire un’Azione sacra, intitolata l’Invenzione della S. Croce; comparve un giovanetto con nome di S. Elena, vestito pomposamente: quel grave servo di Dio, Religioso, e Sacerdote, non sentì punto di fastidio nel tempo del recitare; ma poi per molto tempo, e anni sentì grandissima e fastidiosissima pena, e tentazione, quando si ricordava di quella S. Elena rappresentata.

Ora che impressione, e che colpo farà in un uomo, non religioso, né di virtù, ma di secolare, e debole di spirito la vista di un Giovanotto Comico di professione, e che per guadagnarsi il vitto, vuol dilettare con apparenza di Femmina bella, ben ornata, ed eloquente palratrice di passione amorosa ? Temo che forse potrà cagionar rovina, che la comparsa di una vera Donna; e però potrà rendersi meritevole di più grave castigo, fulminato sopra di lui con il braccio dell’Onnipotente Giudice vendicatore.

Io {p. 197} mi ricordo con gran spavento quello, che già successe in Germania, e mi fu riferito da un grande Religioso, e dotto Teologo in Roma l’anno 1639. Tre nobilissimi Fratelli per allegrezza, per giuoco, e per sollazzo si mascherarono vestiti da Donna, e comparvero con belle maniere, e con graziosi modi: qunado ecco una miseria Teatrale di gran sventura: uno dei tre si accosta al una torcia ardente, per meglio accomodarla e subito gli salta in faccia una quantità di quella fiammante materia così, che gli si attacca tenacemente, e lo comincia a bruciareCCCXXXII: corrono gli altri due tosto all’aiuto; ma il corpo è senza soccorso, anzi con grave danno proprio, econ rovina; perché essi parimente restano assaliti dalla fiamma volante alle loro facce in modo, che non si possono schermire, ma sono arsi tanto miseramente, che cavate con stento le maschere dai loro volti, compaiono gli stessi volti senza la nativa pelle, ed eglinoCCCXXXIII poco dopo terminano la vita infelicemente. Buona è l narrazione, per avvisare i Comici Professori di modestia, che non introducano nelle scene in luogo di Donne Giovanetti donnescamente adornati, e lascivamente abbelliti, e concludo, che è molto ben fatto, che nelle Drammatiche Azioni mai compaiano né vere Donne, né Giovani vestiti da Donna; ma di quelle si faccia solo menzione bisognando; o si introducanoper relazione di altri; o al più si faccia sentire la femminile voce dentro la scena senza la teatrale comparsa agli Spettatori.

Io ho saputo per certissima relazione di un amico, che il Sivelli, quel Comico tanto favorito, e tanto famoso, che fu Padre di Scapino celebre tra i Commedianti, invitava alle volte il popolo alla Commedia con questa invenzione. Saliva in banco in una piazza con far comparire un gran veligione, in cui diceva di tenere riposti due vasi, uno maggiore, che era il suo figliuolino più genade; e poi il minore, che era il più piccolo figliuolino: e diceva con grazia. Questo primo jha bisogno di due minestrine per riempirsi; e questo secondo di una. Orsù Signori pagatemi un bolognino per uno; e venite a sentire la mia Commedia. E il popolo vi andava con gusto: e la sentiva consolatamente. E quel valnte Comico faceva alle volte la Comedia da sé solo, rappresentando {p. 198} vari personaggi (della qual maniera scrisse S. Girolamo. « In Scenis TheatralibusEp. de Hilarione., atque idem Histrio nunc mollis in Venerem frangitur; nunc temulentus in Cibilem) » e quando voleva rappresentare una Donna, non si vestiva da Donna: ma faceva sentir dentro la scena la voce femminile. E così tirando tutta l’attenzione sino alla fine, senza far vedere mai Femmina, o Giovanetto vestito da Femmina, piaceva molto agli Spettatori, e da tutti era lodato, e ammirato. Potrebbero i moderni Commedianti procedere in questo modo; cioè far sentire solamente, e non far comparire la Donna: questo stesso, pochi anni orsono, mi confermò, come convenevole da farsi, un buon Religioso, che nel secolo aveva già praticata l’Arte del Commediante; perché insomma la faccia dibella, e ornata Donna, o vera Donna ella sia, o finta; sempre è calamita potente, per rapire a sè gli occhi, e i cuori, e gli animi di molti, che, essendo troppo amici dell’impudica Venere, si scoprono troppo nemiciCCCXXXIV della casta Diana: o per meglio dire, sono pochissimo inclinati all’amore, e osservanza della cristiana pudicizia, e della vera castità.

Quesito Quinto

Non basta il fine buono per introdurre le Donne, e i discorsi amorosi nel pubblico Teatro ? §

Quando il fine è di ottima condizione, non v’è ragione di biasimare: e chi operando prescrive a se stesso la bellissima luce di un retto fine, non deve restare involto nelle calignose tenebre del vituperio. Con questo principio alcuni discorrono così.

Il fine buono non rende buona l’oparazione ? Sì per verità: dunque i trattati amorosi delle Commedie non sono cattivi: perché hanno un buon fine, che è l’onestissimo, e santo Sacramento del Matrimonio. Agostino dice. « Finis si laudabilisl. 2. de morib. Eccl. et Monich. C. 13. fuerit, etiam sacta nostra laude digna sunt. » Io rispondo. Questa fi la ragione, che l’anno 1638. mi recò un gran Signore; in una principalissima Città, per giustificare, che le Commedie ivi correnti non erano oscene. Ma io proposi alcuni argomenti fondati sopra gli amorosi, e lascivi discorsi di quei Comici, e Comiche: ed egli non sciogliendogliCCCXXXV {p. 199} replicava con grazia. È vero, che discorrrono d’amore, ma il fine è buono, cioè il Matrimonio; è buono il fine.

Ora voglio rispondere alla difficoltà secondo la Dottrina di S. Tommaso, e di altri Dottori, e dico. Peccano mortalmente quelli, che nel recitare usano parole molto brutte, e provocative efficacemente alla disonestà: tutto che le usino con ottimo fine: perché le azioni umane pigliano la bontà, e la malizia loro ontrinseca, ed essenziale, non dal fine sotto ragione precisa di fine; perché questo è estrinseco delle azioni: ma dagli oggetti loro, da quali ricevono l’essere specificativo. « Alio habet specieml. 2. q. 18.c. 2. c. ex objecto: bonitus actus moralis attenditur ex obiecto convenienti », dice S. Tommaso, cioè l’azione ha l’essere suo dell’oggetto: la bontà dell’atto morale si attende dall’oggetto convenevole.

Ed altrove scrive. « Non est bona actio simpliciter, nisi omnes bonitates concurrant; quia quilibet singularis defectus causat malum. » Non è semplicemente buona l’azione, se non concorrono tutte le bontà; perché ciascun difetto singolare cagiona il male. Ed il Dottore per nome di tutte le bontà intende quattro sorti: la prima « secundum genus », la generica: la seconda « secundum speciem », la specifica; la terza « secundum finem », secondo il fine. Si legga il corpo dell’art. 4. e frattanto si inserisca per nostro porposito, che non basta il buon fine solo, cioè la conclusione del matrimonio, per rendere lecite, e buone le azioni dei Comici, e delle Comiche, che rappresentano pubblicamente persone innamorate, lascive, e parlanti d’amore: perché aggiungono circostanze cattive, e perniciose ai deboli di spirito, e fiacchi nelle virtù.

« Si finis sit honestus, dice Suarezt. 4. de relig. L. 9. c. 5. n. 36., magnum iudicium est boni spiritus moventis, non tamen est sufficiens: tum quia, ut actio sit bona, non satis est finis bonus, nisi etiam materia. Seu obiectu aut mediam, ut propositum cum talibus circunstantiis, nec per se malum, nec prohibitum sit: tum etiam quia sub illa specie boni potest non intendi bonitas, sed impediri potius maior bonitas, seu perfectio. »

Il medesimo S. Tommaso scrive. « Non est bonum consilium2. 2. q. 51. a. 1. ad. 1., se alcuno etiam ad bonum finem malas vias adinveniat. » Il consiglio non {p. 200} è buono, se uno anche per fine buono ritrovi strade cattive. Come se tu per fare un altare alla B. Vergine, che è buon fine, ti ponessi a rubare, ovvero a dare ad usura, che è strada, e mezzo cattivo. Così procedono i Commedianti: per fine buono, cioè per rappresentare un Matrimonio, inventano strade inique, e mezzi scandalosi: poichè usano ruffianesimi, parole brutte, gesti lascivi, e la comparsa di persone innamorate, che per rappresentare vivamente, e per riportar applauso, procedono in modo, che veri amanti paiono gli Uomini, e vere innamorate le Donna; e farebbero ardere i cuori di ghiaccio con le fiamme di un lascivo, e ardente affetto. L’acutissimo Scoto dice. « Prima circumstantia est finisin 2. sent. dist. 40. §. de secundo.; nec ista sufficit sine aliis, puta quod debito modo fiut: patet igitur quod sola bonitas finis, etiam cum intenditur secundum rectam ratione, non sufficit ad bonitatem actus; sed requirantur alie circumstantia ad hoc, quod bonitas sit. » Ed in sostanza vuol dire, che non basta il buon fine per la totale bontà di un atto buono.

Un Religioso profesore di belle lettere scrisse. Se il fine è buonoD. Celso. Rosini nel sacro Museo., può qualificare i mezzi, quando non gli siano direttamente opposti, o tatalemente viziosi. Ma aggiungo con il Dottissimo Teologo Suarez. « Sepe erratur in electione medii etiamsi intentio bona sit, propter indispositionem subiecti provenientem ex aliqua alia affectione, que in causa est, ut id, quod eligitur, ut medium, non ut purè medium moveat, sed secundum aliam rationem, qua inefficacem reddit, vel diminuit alteram intentionem. »c. 4. de Rcl. Tr. X. L. 9. c. 7. n. 7.

Leggo parimente in S. Tommaso. « Aliqua sunt peccata2. 2. q. 168. a. 3. ad. 1. propter solam intentione; et in talibus ludus excus ut a peccato, vel peccatum diminuit. Quedam sunt, que secundum suam speciem sunt peccata; sicut fornicatio, et similia: et talia non excusantur per ludum: qui imo ex his ludus redditur flagitiosus, et oscenus. » Vuol dire. Alcune cose sono peccati non per se stesse, ma per l’intenzione, con che si fanno: in cose tali il giuoco, e lo scherzo scusa del peccato, ovvero lo sminuisce. Altre cose, poi sono, le quali di loro natura sono peccati; come è la fornicazione, e cose simili; e queste non ricevono scusa per ragioni del giuoco; anzi il giuoco stesso, e lo scherzo diventa cosa scellerata, e oscena. Dunque, dico io, iCommedianti, mentre per concludere, anche scherzando, e burlando, un finto matrimonio, rappresentano alle {p. 201} volte pubblicamente i ruffianesimi, e spesso i trattati di fornicazioni, peccano per sentenza di S. Tommaso.

Francesco Maria del Monaco nella sua Parenesi fa un’Obiezione a se stesso: e vi risponde: ecco l’obiezione con la risposta.

« Dices, Ideo non turpia, non inhonesta, quia ficta. Verum an non turpes dicuntur imagines, si commistas cum maribus Feminas representent ? Quis turpes illas non appelles ? Quis, si sanus, piusque sit, (cum Christiano loquor) qui protinus oculos non avertat ? Et tamen ea etiam ficta, imò et picta longè a vero remotiores, quam Comica. Rursus falleris, quisquis es, honesta ea appellans, que de turpibus agunt. Falleris, qui bona, ac minimè reprehendenda ea dicis, qua inumeris malis viam faciunt: aut qua ratione bona, honestave, qua, ut ille ait, simulatis criminibus ìnstruunt ad vera, fictis alliciunt, imò impellunt ad peiora ? Si ab scenis obscena, sit Comediis impudicissima, qui honestas eas vocitet ? Impurissimi rivi non nisi sordidissimum fontem arguunt; qui eò perniciosior, quò pluribus obvius, quò communior, quò nocentior; et audebis dicere adulteria, quia in Theatro, qui ficta, ideo honesta ? Planè felix Meretricula, que in Theatris reperis honestate, quam in penetrabilibus amisisti. Sanctissima scena, que honestos, sanctosque afficis Scurras, et Histriones. Unde hac tibi Proscenio sanctitas, quod turpissimos activis in angulis, honestos facis in publico ? Audeo dicere, peins hac fingere, quam peccare: longè quippè criminosius mala docere, quam agere. Utinam mechus, utina adulter, qui pulpita proteris, solem fugeres mechus, qui diem inficis Histrio; tenebras optatres adulter, qui populos facis adulteros; solus decipereris cum sola, non millenos deciperes. Sis leno Histrio. Prostitue te ò quella, ne finge. Sis ipsum verebuntur Pueri, horrebunt senes; nulli addiscent, quamodo facient. » Cioè a dire.

Taluno mi si oppone dicendo. Le cose rappresentate ordinariamente dai mercenari Comici non sono brutte, né disoneste; perché sono cose finte: quasi che la finzione tolga dal soggetto brutto, e disonesto la disonestà. Ma si consideri un poco per verità questo punto nelle immagini. Se esse rappresentano l’addomesticamentoCCCXXXVI di Maschi con Femmine, non si dicono essere brutte, ed impure ? E chi non darà loro il titolo di turpi ? E chi è quel savio {p. 202}, e pio uomo, (parlo con un cristiano) il quale subito non levigli occhi da così fastte cose ? Eppure sono finte; anziche essendo dipinte, si allontanano più dal vero, che allontanate non sono le cose, che l’Arte Comica fingendo rappresenta. Tu poi inganni al sicuro, appellando onesta quella materia, che tratta di un brutto soggetto. T’inganni, mentre affermi, che buoni sono quei discorsi, né degni di ammonizione, i quali aprono la strada ad innumerevoli mali. E con che ragione chiamare si possono buoni, ovvero onesti, mentre, come disse quell’antico, con le simulate iniquità inservisconoCCCXXXVII alle operazioni delle vere ? E mentre con brutte finzioni allettano, anzi spingono a peggiori eccessi ? Se dalle scene si derivano le oscene apparenze, e dalle Commedie per lo più le impudicizie, chi dovrà chiamare oneste le Comiche ordinarie rappresentazioni ? I ruscelli impurissimi nonscoprono la fonte loro se non sordidissima: e questo è tanto più pernicioso, quanto più comune egli è: e sta espisto a maggior numero di persone. E tu dirai di chiamare onesti gli adulteri, perché si rappresentano in Teatro con finzione ? Felice veramente sei o Meretrice; poichè ritrovi nei pubblici Teatri quella candida perla dell’onestà, che tu perdesti nelle private stanze della tua casa. O scena tu sei santissima; perché onesti fai, e fari i Buffoni, e gli Istrioni. O Comico Proscenio, e onde hai trovata questa santità, con la quale ottieni, che onesti siano in pubblico quegli atti, che bruttissimi sono negli angoli ? Io ardisco dire, che questo fingere così è peggiore, che lo stesso peccare: perché si reputa malvagità maggiore l’insegnare le mali operazioni, che il farle. Piacesse a Dio o Commediante, che tu dossi un uomo fornicario, ovvero un adultero; perché, come vero disonesto, fuggiresti la luce; ove ora, come recitante, contamini lo splendore del giorno: se fosti adultero, brameresti le tenebre; ove fingendo in Teatro, rendi adulteri i popolo spettatori: tu solo con una sola Femmina rimarresti ingannato, e non inganneresti le migliaia delle persone. Orsù o comico diventa vero Lenone: e tu o Fanciulla fatti Meretrice: nonsi usi più da voi il fingere. E tu o Teatro, che ti fingi luogo d’impudicizia, sii tale per verità; perché così le Matrone ti fuggiranno i Giovanotti, ti temeranno i Vecchi ti aborriranno; ne alcuno imparerà da {p. 203} te più quelle cose indegne; che poi fra poco faccia un altro luogo dal tuo sito lontano, e remoto. Sin qui ho discorso volgarizzando il passo dell’allegato Scrittore; con l quale si prova, che i brutti giuochi, e le brutte finzioni usate da i Comici non si giustificano, dicendo, che si rappresenta un matrimonio.

E S. Crisostomo direbbe ora, se venisse tra noi, come disse già ai Comici del suotempo. « Honestum coniugiiHo. 6. in 2. Mat. nomen, ac reverendum in illud negotium publicatis », quasi dire volesse. O miseri Commedianti voi meritate gran castigo; perché vi sforzate di onestareCCCXXXVIII pubblicamente le vostre disoneste Rappresentazioni con il venerando; ed onestissimo nome del Matrimonio. Deh che cosa tanto onesta non si deve usar in un negozio burlesco, e Teatrale. « Empietatem, quod sanctum est in Comedia, ludisicati estir », possa dire don Clemente Alessandrino.

S. Cipriano fu già di parere, che gli osceni Istrioni antichi per autorizzare le rappresentante disonestà, da lui chiamate « vitia publicaIn Paran. autoritatis, vitii »  di pubblica autorità, esprimevano quelle bruttezze nella comparsa dei loro stessi Dei: onde poi ne seguiva più facilmente la rovinosa distruzione dei popolari, e buoni costumi. « In Theatris conspicies, scrive il SantoEp.2. l. 1. , quod tibi, et dolori fit, et pudori. Nec de est probi blandientis autoritas, ut auditu melliore pernicies hominibus obrepat. Exprimunt impu. Dicem Venerem, adult erum Martem, Iovem illum suum, non magis regno, quam vitiis principem terrenos amores cum ipsis suis fulminibus ardentem. »

Ora così noi possiamo giudicare, che i nostri Comici osceni, per rendere onesta la disonesta rappresentazione del lascivo innamoramento, usino la finzione del negozio sacramentale del Matrimonio: è una coperta finta, e burlesca, ma tale, che si scopre una vera indecenza del Sacramento.

S. Tommaso vuole, che parte della moderazione, da prescriversi ai Comici, sia, che non pongano in burla i negozi gravi, e importanti, i quali non si devono trattrare con burle. « Non adhibendo2. 2. q. 168. a. 3. ad. 3. ludum negotii indebitis. » Ma si può dubitare, che non sia negozio grave, e importante quello del Matrimonio ? Dunque, non è lecito porlo in giuoco, né trattarlo burlescamente; ancorchè non si faccia per deridere le cose di S. Chiesa; come già facevano {p. 204} nel Teatro gl’Istrioni Gentili con gravissimo peccato di scacrilega derisione.

Cauietano citato anche da Beltrame dice. « Histrionam peccatusum. v. Histrio. C. 59. consistit in materia, vel inhonesta, utendo scilices actubus, aut verbis inhonestes; vel divina, ponendo res fidei, aut Ecclesia in iocum. » Cioè. Il peccato dei Comci consiste nella materia: la quale è disonesta per l’uso degli atti turpi, o delle parole brutte: ovvero è divina, quando si pongono in burla le cose della nostra S. Fede, o della Chiesa.

Notiamo un poco di grazia in quelle parole. « Ponendo in fidei, aut Ecclesiam in iocum » ; e domandiamo ai Comici Cristiani, e professori di modestia. Il S. Sacramento del Matrimonio non è una cosa della Chiesa, e delle Fede ? Si. Voi fingendo, e scherzando in scena, non lo ponete in burla ? Si. Ne basta il dire, che ciò non fate per burlare il Sacramento, che sarebbe vostro sacrilegio; perché a me basta il dire, che voi confessate, che ciò fate buralndo; e le burle non si devono frapporre tra le cose sacre per sentenza del Caietano; dunque a suo parere voi peccate, rappresentando per giuoco un finto Matrimonio.

Ne basta il replicare agli addotti luoghi di S. Tommaso, e di Caietano, dicendo, che i Comici non burlano in scena, per burlare il Matrimonio come cosa della nostra Fede; e come Sacramento di S. Chiesa, il quale ricerca la presenza del Parroco: ma lo rappresentano, come contratto civile: e fingono quei trattati precedenti alla conclusione matrimoniale: i quali né sono Matrimonio, né sono privi di molti avvenimenti burleschi e ridicoli. Il popolo frattanto rimane capacissimo, e ottimamente intende, che i Commedianti non trattano del Matrimonio, in quanto è un Sacramento della Cristianità: e molto meno di lui non trattano, per deriderlo, e porlo in gioco in quella guisaCCCXXXIX, con che già il famoso Comico Genesio, non ancora convertito, deideva la sacramentale funzione del Cristiano Battesimo.

ImperochèCCCXL io rispondo, che volendo i Comici usare quei trattati, e quel contratto civile per scherzo, e per burla, senza verunCCCXLI pensierodi burlare il Sacramento del Matrimonio, devono astenersi dalle loro parole brutte, e dagli attti disonesti, che siano peccati mortali; e sssi per ordinario non se ne astengono; massimamente {p. 205}, che con quegli scherzi Teatrali, con quelle sceniche burle si porge a semplici qualche apparenza di porre in burla il Sacramento del Matrimonio: poichè a lui si ordina la conclusione del civile contratto, e qualche altro antecedente trattato.

Onde sebbene direttamente non si burla il Matrimonio, ma il contratto civile, o qualche antecedente trattato, nondimeno molti semplici, che non sanno la distinzione della ragione Sacramentale da quella del contratto, e del trattato, possono stimare, che si burli, e che si ponga in giuoco lo stesso Matrimonio.

Aggiungo. I Comici per ordinario trattano del Matrimonio, non tanto per trattare di lui, come di negozio civile, quanto per avere occasione d’introdurre nelle scene i lascivi innamoramenti, e i soliti artifici d’impurità, sapendo essi molto bene per esperienza, che tal materia piace universalmente al popolo; che lo alletta efficacemente al Teatro; ed essi parimente discorrono dei soggetti impuri, senza molto straccare l’ingegno in altre invenzioni. E perché il rappresentare quella brutta materia sotto coperta, finzione, e favola di adulterio, o di fornicazione, pare cosa troppo vituperosa, massimamente a cercti Commedianti meno osceni degli altri osceni; però la coprono con il manto Matrimoniale, facendo, che l’Azione oscena si concluda con l’onesto Matrimonio. E quindi Beltrame scrive. « La Commedia, avantiCCCXLII che finisca, ti fa mutare il lascivo, o tristo avviluppamentoCCCXLIII avviluppamento in lodevole Matrimonio. » Ma io dico, che il Matrimonio è lodevole, e onesto in se, e anche nel suo civile trattato: ma dai Comici per lo più non è rappresentato né lodevolementem né onestamente. Essi sono per la maggioor parte impuri attori, e però coprono il viso dell’illecita disonestà con la maschera della modestia; e dopo avere ammorbato il Teatro, e la scena con la puzza di un Recitamento burlesco infame, e disonesto, vogliono rendere il tutto fiorito, e odoroso, aggiungendo, come fiore di soavità il fine Matrimoniale, con che si termina la Commedia. Non basta mutare prima il fine, come dice il Beltrame, il lascivo, o giocoso avviluppamento; bisogna levare le scandalose bruttezze, e le mortali lascivie da ogni comico avviluppamento; in modo che riesca azione da piacere agli uomini, senza che offenda, e spiaccia al Creatore. {p. 206}

Dovrebbero pensare molto bene i Comici, quel poco, che scrive S. Antonino, e lo cita il Comico Beltrame. « Nihil turpe2. p. t. 1. c. 23. 51. C. 59. in ludo scenico, misceatur, vel iniuriosum Deo. » Nel giuoco della scena niente si frapponga di brutto, o d’ingiurioso a Dio. Ma chi può con buona ragione negare, che non si fa ingiuria a Dio, almeno praticamente « in actio exercitio », porre tra le burle, e tra le turpitudini della scena un Sacramento, ovvero il suo contratto civile, e conclude il tutto con i gridi, con i plausi, e con le risate degli Spettatori ? Disse una volta un Gentiuomo intorno a certe Rappresentazioni di alcuni moderni Commedianti. Noi le sentiamo senza consenso di peccato: perché rappresentano un Matrimonio; e il tutto si conclude con una risata grassa grassa. Ed io dico che con quel Matrimonio finto, r disonestamente rappresentato, il Diavolo sperge nelle anime il suo veleno. « Faltias abscenditur, si può dire con S. Vincenzo FerrerioTrat. Vitæ spir. c. 12., sub similitudinè veritatis, et malitia sub similitudine boni; ut Diabolus possit sepe, et melius mortale venenem sine sulpicione, ab offendere. »

Ma dichiariamo ancora più fondatamente questa difficoltà di rappresentare un Matrimonio: perché come disse una volta in Messina: un Professore di Teologia, questa è una delle più principali obiezioni intorno a questo oggetto; e ha grandissima forza presso molti, e molto qualificati personaggi. Con la seguente Nota toccheremo i tasti per questo suono: e spero non sarà stimato grido all’orecchio del benignissimo Auditore.

 

Nota unica

Si continua la Risposta intorno alla Rappresentazione di un Matrimonio §

La circostanza del puogo alle volte serve di legge moderativa per le nostre operazioni: né tutti noi dobbiamo in ogni luogo seguire l’arbitrio del voler nostro. Ove soggiorna con maestà un Principe, noi ivi, non con trascurata libertà, ma con sommo accorgimento di gran riverenza conversiamo: e nel copsetto pubblico di numeroso popolo non stimiamo decevole il fare auuto alcuno, che deroghi punto al decoro di moderatissimi costumi. Questa {p. 207} verità di circostanza locale, e di costumato decoro vale molto a proposito del proposto Quesito, a cui dico, continuando la Risposta, che non basta il buon fine du un Rappresentato Matrimonio, per introdurre le Donne in scena con i discorsi di lascivo, e scandaloso amore; e la ragione si è: perché non tutto quello, che è lecito di fare in segreto, è lecito di imitare, o di rappesentare in pubblico. Dice Sanchez. « Tactus interDe matr. 1 3. l. 9. d. 15. n. 2. coniuges alias liciti, redduntur illiciti quando aliis aspicientibus habentur, quia ad Venerem exortam aspecientes. Qualitas autem culpa personda erit ex tactuum qualitate, et ad stantium fragilitates, si enim tales essent tactus, ut valde ad stantes inducerem ad Venererem, attenta corum fragilitate ? Esset cupla lethalis. Atque Emmanuel SaSum. v. peccatum. vers. facere. ait esse mortale coram aliis efficete id, quod suapte natura ad mortale inducit. » Ed il medesimo Sanchez dice, « Infertur esse mortaleL. 9. d. 46. n. 29. inspicere viri cum Fæmina concubitum, quia est proximum ruina pericilum, et valde adversantur bone statis nautralis. » Caietano scrive, che la negazione del debito coniugale è peccato grave. « Et quia est sub precepto In 2. 2. q. 153. a. 3. in resp. ad 3. affermativo ideo obligat pro circimstantiis concurrent ibus: non enim tenetur in loco incongruo puta publico, quia locus publicus est contra honestatem. » Lecito è l’atto del Santo Matrimonio; e non è lecita la sua pubblica rappresentazione carnale; perché è cosa per se stessa turpe; « in enim per se est turpeT. 3. in 3. p. d. 81. 5. 4. et contra honestatem », scrive Suarez. E Bonaccina tiene per illecito il mirare l’addomesticamento dell’uomo con la Donna, e dice. « Est peccatum mortaleDe matr. q. 4. p. 9. n. 4. cernere concubitum viri cum Femina: etiamsi fiat ex sola curiositate; nam hic aspectus est impudicus, nimisque provocas ad libidinem. » Nello stesso modo lecito non è il mirare, né lecita non è la pubblica rappresentazione dei lascivi, ed affettuosi innamoramenti di persone scambievolmente accese d’amore; tuttocheCCCXLIV lecito sia il fare modestamente l’amore con fine di Matrimonio; perché la pubblicità è scandalosa, eccitando grandemente ai disonesti piaceri gli animi giovanili, e poco virtuosi.

Anzi, oltre all’essere cosa turpe, e di più insolita alle persone onorate. E chi vide mai un Giovane, e una Donzella a paralre insieme d’amore, senza i debiti termini di modestia, alla presenza di un centinaio di persone ? Sogliono comunicar segretamente {p. 208} gli affetti con qualche modesto guardo, o saluto; ovvero con qualche segreta ambasciata. Mi dica un poco per sua bontà sinceramente un erudito, e pratico di molte illecite Commedie antiche, e gentilesche, e massimamente di quelle di Plauto, e di Terenzio; come spesso vi trova, che una Fanciulla onorata si conduca a trattare in pubblica scena lascivamente il suo innamorato, ragionando sola con quello solo, e facendo atti, e altre cose indecenti. E sapendo di essere veduta da molte persone onorate ? E queste bruttezze si vedono per lo più nelle commedie dei nostri Comici Cristiani.

O mi dirai, come già mi disse un nobilissimo e dottissimo personaggio Fiorentino. Gli Attori, e gli Spettatori della Commedia suppongono, che quel negozio d’amore si tratti con segretezza, e non si faccia in pubblico. Ma io rispondo, che quel negozio si tratta con oscenità, e il supposto è falso evedentemente, e serve di vero, ed efficace mezzo per la rovina di molte anime: e però è affatto illecito, e peccaminoso. Un supposto verissimo, e che non punto nuoce, si è, che moltissimi matrimoni si trattano, e si concludoni senza lenocinii, e senza amorosi colloqui tra gli Amanti: e se così nelle scene si rappresentassero, non meriterebbero la nota dell’oscenità: ma i Comici molte volte propongono al popolo vituperosi ruffianesimi, e innamoramenti di persone favellanti con parole tanto affettuose, e ardenti, che accenderebbero un cuore nel mezzo delle nevi: e poi dicono, e professano di onestare il tutto con il fine di un finto Matrimonio. Questa finzione è una vera disposizionepag. 170. al distruggimentoCCCXLV della castità: questa spiana la strada al Meretricco questa, dice Mazar: si fanno le Donne prima Meretrici, che Consorti; e s’insegna ai Giovani di cercare Moglie a loro capriccio contro la volontà dei Padri, l’ordine delle Leggi.

Queste Comiche rappresentando il trattato di un Matrimonio prima si mostrano Meretrice molte volte, poichè fanno vedere in pubblico, come in Giovane ottiene, tatti, e baci, e altre cose peggiori, da una Donna, quale poi alla fine riceve per Moglie. Ma nel rappresentare quelle prime impurità, dico, che la Donna è più sfacciata di un a sfacciatissima Meretrice. Al che ricordo il caso dell’Abate Efrem.

Egli passava un giorno per certa strada, nella quale stava una pubblica {p. 209} Meretrice, che tosto, a persuasione di chi non so chi, le gli si accostò facendogli vezzi, e lusinghe al fine, o di farlo cadere bruttamente nel peccato della fornicazione, o di muoverlo grandemente ad iracondia: poichè nessuno l’aveva giammai veduto adirato. Ma il servo di Dio a lei rivolto le disse. Seguitemi o Donna, e seguitato la condusse in un luogo, ove stava numeroso popolo adunato. E ivi fermatosi le disse. Orsù venita qua, e prendiamoci piacere, come voi desiderate. Allora colei meravigliata rispose. E come possiamo esguir questo in questo luogo, ove siamo veduti da tanta moltitudine di spettatori ? Certo resteremo confusi. Ma se voi, replicò il Santo, vi vergognate di peccare nella presenza degli uomini, come non ci vergogneremo di Dio, che per tutto stà presente, e sempre mira tutti, benché siano tra oscure ombre, e tra le tenebre ? « Illa, conclude lo Storico, confusa, et confutata recesset adsque opere voluptatis sens. » Quella rea Femminaccia si partì confusa, e convinta, e non commise il peccato. Ora io dico, che le Comiche impudiche sono peggiori, e più sfacciate, mentre alla presenza di numeroso popolo spettatore commettono il peccato di rappresentare abbraccaimenti carnali, toccamenti lascivi, baci disonesti, e fornicazioni vituperose.

Io dunque non credo mal giudicare, giudicando, che non sia lecita la pubblica rappresentazione di Donne, e di Giovani, che ragionano d’amore, massimamente nella presenza di molti deboli di virttù, con apportare per scusa il buon fine del matrimonio; perché tale espressione dell’affetto d’Amante, e di materia amorosa, fatta pubblicamente, e lascivamente, è illecita per ragione dello scandalo.

Ma diciamo anche di più, che il fine principale dei Comici, e delle Comiche non è per verità il concludere un Matrimonio, ma il cercare la propria utilità: così dicono tutti, e così confessano; e però indirizzanogli altri lor fini al fine dell’utile; e fanno l’arte Comica per vivere onoratamente con la giusta mercede meritata con le loro fatiche; e se dilettano modestamente, ciò fanno per porre l’esca nell’amo, per allettare, per pescare quei pochi pesciolini, e per gaudagnare quei pochi soldi, che sono necessari al loro sostentamento: insomma l’utilità è il fine dei Commedianti; come {p. 210} anche la stessa è il punto finale, che si prefigge ogni altro Artefice. Nessun Professore dell’Arte Comica si opporrà, credo, al mio pensieroC. 16.; perché lo cinvicerei con l’autorità del fino Beltrame, che scrive con bel garbo così. Chi era con la comune opinione, non merita particolare censura, e che per sorta esperienza, non cammina a capriccio. Il comune fine di chiunque sisia umano operatore è animato dalla speranza dell’utile: e con l’esca dell’utile si corre all’onore, poichè l’avanzarsi nelle virtù è un assicurarsi di maggiore guadagno: e questo comune fine hanno i ComiciC. 54. ancora: e però, come gli altri, indirizzano all’utile i loro fini. E di più dice, che le loro mercenarie Commedie, sono fatte senz’altro fine, che di procurarsi il vitto.

Ora se questo è vero, inserisca pur chi vuole, contro i Comici disonesti, e dica, che essi meritano biasimo, come che si abusino dell’Arte, il cui fine è di giovare con una dilettevole, modesta, e virtuosa Rappresentazione; ed essi per interesse di guadagno, e per piacere, la impiegano in Rappresentazione dilettevole si, ma immodesta, oscena, e perniciosa per gli amorosi, e scandalosi ragionamenti degli Amanti, scusandoli poi col fine di un Matrimonio. E qui vale la dottrina ci Caietano, ove afferma. « Aliquod bonum utileIn 2. q. 34. a. 2. ad. 1. potest esse malum moraliter, v. g. Pascere esurientem potest esse malu moraliter, ut si fiat propter adulteriu; ita multa bona utilia possunt mala fieri, dum ordinarentur ad malum. »

Si può anche aggiungere contro questi Mimi, e Pantomimi, nemici dell’onestà, che essi mostrano di abusarsi della Commedia, la quale, come sanno i Dotti, e lo nota ancora Beltrame, non fu trovata, ed approvataC. 7., per introdurre vizi nel Mondo; ma per correggerlo dai vizi; e per ammaestrare con viva voce, e con apparenza i semplici. E nel fine del Capo conclude così. La Commedia è statat inventata a buon esempio, e non a rovinoso fine: se vi è poi, , chi abusa il suo beneficio, tal sia di chi gira il giovamento in mala parte. Ed io dico, che i Comici osceni lo girano in male;perché la Commedia è una tomba di suono spaventoso ai peccati, e di grazioso invito alle virtù: ma essi con le lor disoneste oscenità invitano, e ammaestrano al brutto amore, rappresentando brutti innamoramenti, per dare spasso, e piacere alla brigata: nel che ricordo quel poco, che scrive S. Tommaso. « Contingit, actui {p. 211} secundum Q. V. de Maco a. 4. se bono adiungi aliquem ordinem; et secundum actum malum bonus dicitur aliquando malisicari; non quod in se ipso sit malus; sicut dare eleemosynam pauperi vel diligere Deum est actus secundum s ebonus; sed referre actum huismodi ad fine aliquem inordinatum, scilicet cupiditatis, aut inanis gloria, est quidam alius actus malus. » Secondo la qual dottrina io dico, che i Comici osceni riferiscono gli atti della Commedia, che in se stessa è buona, o almeno indifferente, ad un atto infame, che è il disonesto piacere, che però io non ripugno, che le loro Azioni siano chiamate, non Commedie, ma Favole indiscrete, buffonesche, sordide, sregolate, e repugnanti alla moderazione del Cristiano teatro: per le quali gli Attori meritano gran vituperio; come già meritò l’antico Menandro, quando per piacere ai Macedoni, dediti alla disonestà, introdusse le oscene bruttezze nel comico Recitamento Teatrale. « Comedia, dice un Commentatore di S. Agostino,amores, nequitias§. 2. de eu. c. 8. , flagitia tractas, que in fabulum indixit Menander, ut Macedonibus eiusmodi rebus deditis, placerat. » Menandro fu quel temerario, che fece svolazzare i neri Corvi delle oscenità tra i candidi Cigni delle modeste scene; quindi la sua fama, per altro onorata, diede un largo sfregio di grande, e perpetuo vituperio; e con l’esborso del piacere altrui comprò a se medesimo una ragione di molto disonore.

Credo, che basti il detto sin qui per prova che per lo più i moderni Comici, e Comiche non hanno per fine la conclusione del Sacramento Matrimoniale, ma il diletto del Teatro, per allettare, e per giovare, e principalmente per guadagnare. Dunque; concludo che i Comici, se non tutti, almeno molti usano gli amorosi discorsi lascivi, per assecondare a sensuali affetti degli Spettatori; ovvero per servire al cenno di qualche Signore con speranza di buon guadagno.

L’anno 1638. mi narrò in Sicilia un Comico, Capo di una Compagnia, che egli una volta con i suoi Compagni si trovava in una principalissima Città d’Italia; ivi fu loro avvisato, che facessero due Azioni, una modesta, l’altra di quelle d’altra fatta. Le fecero: e la seconda fu disonestissima, portando in fronte uno sporco, ed infame titolo, che per vergogna io non riferisco, e nella quale si vide chiaramente la bruttissima faccia dell’adulterio {p. 212}. O miseri Comici, che più gustano di dar gusto ad un personaggio terreno per interesse di guadagno, che di osservare i precetti di Dio, che promette la mercede dell’eterna gloria in Paradiso.

Quesito Terzo

Per la lecita comparsa delle Comiche parlanti d’amore non basta, che si supponga esser lecita nei libri stampati con la pubblica approvazione dei Superiori ? §

Si deve procedere molto posatamente nell’esaminare, se riprovare un giudizio, già supposto per buono dai Savi, e daisacri estimatori: e quando il sentiero si dice luminoso per una, o due lampade accese, vi è bisogno di chiamarsi lampi solari, per fare, che sia giudicato tenebroso. « Lucerna, scrive S. Gregorio, in tenebris fulgere cernitur; sed in Solis radio posita tenebratur. » Io confesso, che il mio luminoso giudizio di ogni buon Teologo, e valente Scrittore: ma non posso far di meno; che non proponga a me stesso qualche volta certe difficoltà, la risposta delle quali vorrei piùttosto sentir dalla sapienza altrui, che andarla investigando con la mia debolezza: mala cosa non avere forza di Gigante, ove pare si riecheggia lo sforzo Gigantesco. Tale mi si rappresenta la proposta difficoltà di questo Quesito.e come posso io deputati dai sacri Tribunali dei Pastori delle anime, e degli Inquisitori ? Mi dichiaro meglio così. Beltrame nell’Opera sua graziosa, concettuosa detta. La Supplica, fa professione di volere difendere solamente la Commedia modesta, e condanna l’oscena; eppure egli dice, ovvero chiaramente suppone, che le Commedie dei nostri tempi non siano oscene, benché abbiano una, o due, e anche tre Donne; e che queste compaiano parlanti d’amore. E quest’Opera è stampata la seconda volta l’anno 1636. in Bologna, Città dottissima, e approvata dai Superiori con questa forma.

« Vidit D. Polycarpus Paganellus; Clericus Regularis S. Pauli, et in Metropolitana Bonom. Panit. Pro Eminent, ac Reverendiss. Imprimatur {p. 213}. Fr. Hieronymus Onuphrius Sacr. Theolog. Doct. Collegiatus, et Sanctiss. Inquisitionis Consultor pro Reverendissimo P. Inquisit. Bonom. »

Dunque la comparsa di Comica in scena, e parlante d’amore non fa la Commedia illecita, e oscena.

Inoltre Pier Maria Cecchini, Comico Acceso, e Gentiluomo di S. M. Cesarea, ha stampato in Venezia l’anno 1621. l’Operetta intitolata. Brevi Discorsi intorno alle Commedie, Commedianti, e Spettatori, dove si comprende, quali Rappresentazioni si possano ascoltare, e permettere; e l’anno 1616. questi Discorsi furono mandati dall’autore al Sig. Cardinale Scipione Burghese, Nipote di Paolo V. Pontefice allora Regnnte. E taleOperetta riceve per lecita la comparsa delle Comiche parlanti d’amore: né mai è stata proibita per ordine dei Speriori. Noi dunque che diremo per rispondere a quella difficoltà fondata sui libri stampati con l’approvazione dei Superiori ?

Io rispondo, che quello, che scrivono quei due Comici, Beltrame e Cecchino, in difesa dell’Arte loro, e della Commedia lecita, merita lorde; e come tali essi professano d’essere Comici Cristiani, modesti, e virtuosi; così dovrebbero essere imitati nella modestia, e virtù da quei Comici del nostro tempo, che non solo con le Femmine, ma con altre oscenità, vituperano l’Arte, e sono degnamente censurati, e vituperati dagli stessi Beltrame, e Cecchino in più luoghi.

I quanto poi dire, ovvero supporre, che la comparsa delle Comiche, palranti lascivamente d’amore in scena, non sia una oscenità, rispondo, che tal detto, ovvero supposto viene riprovato, parte esplicitamente, e parte implicitamente da quanti Santi Dottori, e Scolastici io ho letto sino a questo giorno sopra la presente materia; ma io intendo, che tal comparsa si consideri secondo tutti i termini della mia Proposizione posta nel c. 2. al Que. 2. di questo Libro. E però stimo, che i Superiori, che approvano allora per la stampa la Supplica di Beltrame, e i Discorsi del Cechino, supposero, come lecita, la femminil comparsa; e credo, che ora « ad Instantiam partis nostra », e udite le nostre buone ragioni, che non la supporrebbero; ma vorrebbero, che si provasse, esser lecita {p. 214}, e poi darebbero l’approvazione.

E chi non sa, che molti libri sono stati approvati talvolta da Savi, e dotti uomini; e approvati secondo tutto il loro contenuto, « quod omnia, et singula » : e poi col tempo, buon maestro dei dotti, sono stati stimati per ragione nuova degni di nuova, e più matura considerazione.

Beltrame stesso dice. Molti libri pieni d’erroriC. 5. già si leggevano: poi furono sospesi dalla santa Inquisizione, e per essere in quelli materie profittevoli, si sono corretti; e così spurgati si tornano a leggere.

Ancher un opinione probabile in un tempo è stata giudicata improbabile in un altro. E così io della comparsa delle comiche parlanti d’amore nel pubblico Teatro; stimo, che ora non sia probabile opinione il giudicarla per lecita nell’Arte dei modesti Commedianti: e giudico, che ora quei Signori Superiori, e quei Teologi non riproverebbero il nostro senso; massimamente, che io supplicherei, che si consideri questo negozio Comico, non tanto « secundum naturam rei », secondo la natura della cosa, « quanto, secundum praxim », secondo il costume, e la pratica usata da moltissimi Comici, e Ciarlatani del nostro tempo.

Ed io appunto secondo questi due risguardi alla speculativa, e allapratica, conciglio due luoghi di due Eccelentissimi, e Santissimi Dottori, quali Beltrame propone, come diversi nei loro pareri, e non gli accorda. Uno di questi dottori, è S. Buonaventura il Serafico, e l’altro è S. Tommaso l’angelico. S. Buonaventura, dice Beltrame, fa un tale presupposto dei Comici, come se fossero dannati: e S. Tommaso nello stesso tempo preferisce i termini leciti alle Commedie, e fa capaci dei Sacramenti i Commedianti. Eppure ambedue sono Santi, e furono amici: e con tutto ciò sono i pareri loro diversi. Ed io dico, sono diversi; perché mirano diverse ragioni. S. Buonaventura parla dei Comici osceni. E S. Tommaso dei modesti: il primo considera la pratica disonesta tenuta nel recitare. Ed il 2. la moderata maniera, con la quale si può, e si deve fare ogni Cristiano Recitamento. {p. 215}

Quesito Settimo

Non è lecito che la Donna compaia ornata in Teatro, per far la parte sua nell’Azione, senza parlare amorosamente con oscenità ? §

Alcuni domanadano. Se la comparsa di Donna parlante d’amore oscenamente, non è lecita; sarà lecito almeno, che la Donna compaia ornata in Teatro senza parole amorose, ma parlando d’altra materia, o sonando, o cantando, o ballando, senza frapporre alcuna femmnile oscenità ? perché se sarà lecito, ella così potrà esercitare l’arte Comica, e non restare esclusa dal banco, né dalla scena.

Rispondo. Io non ho ancora trovato presso alcun Dottore la precisa risposta con i suoi termini a questa difficoltà: e però, oltre a quello, che ho detto in altro luogo circa il canto, il ballo, e altre femminili cose, rispondo secondo i principi, e le dottrine comuni: e dico in questo modo.

Prima nelle cose morali considerare si deve quello, che si fa, e probabilmente si farà; e non quello, che si può fare, ma non si farà probabilmente. Ora si considera dai Dottori la comparsa della donna ornata, e parlante d’amore lascivamente: perché da moltissime Commedie mercenerie è proposta ornata lascivamente, e parlante con tale affetto. Che se questa materia amorosa si leverà mai dalla scena, e dal banco, allora si risponderà all’obiezione, e domanda nel mod, che per ora necessario non è di rispondere.

Dico 2. Se si concedesse il caso, che dai Superiori fosse concesso alle Comiche il comparire ornate, e parlare in pubblico, ma con avviso, e precetto, che non usassero alcuna parola d’amorosa oscenità: io temo, che molte non osserverebbero lungo tempo la moderazione; perché le materi eamorose sono quelle, che esse hanno bene impresse, e queste trattano quasi tutto di, o rappresentando nel Teatro, o meditanzo nel cuore, o studiando nei libri: onde poi parlando in pubblico, facilmente « reidrent ad habitum », ritornerebbero all’uso loro: massimamente, che le moralità in {p. 216} bocca femmnile forse parrebbero freddezze senza le calde e amorose grazie della disgraziata Venere impudica.

Ho saputo da un virtuosissimo, e dottissimo Teologo Religioso, che in Palermo fu già stabilito santamente, che s’intimasse alle Donne del banco, che sotto grave pena non usassero nessuna oscenità. Si mandarono segreti Censori ad osservarle; e trovarono, che quelle misere sdruciolavano, rendendosi reedel minaccaito castigo. Insomma un animo invecchiato nelle sordidezze forza è, che sordido anche si mostri nelle moralità; perché lascia presto il tenor di virtù, ch i lungamente in sua vita ha seguitato il vizio.

Dico 3. Se la Donna si adorna secondo la qualità, e uso comune della persona, che rappresenta in una modesta Commedia, Tragedia, Pastorale, o altra Azione; non pecca ornandosi, e comparendo in pubblico: purché abbia qualche buona ragione di ciò fare, e lo faccia senza cattiva intenzione; ancora che sapesse di essere amata bruttamente da alcuni parrticolari, e determinati; perché sarebbe troppo gran peso; e troppo dur acondizione ad una Comica virtuosa, che non potesse esercitare l’arte della sua professione, in quanto è lecita, e secondo quelle qualità, e termini di modestia, che concedono i Dottori; perché alcuni particolari, e determinati si abusano per loro malvagità, e si scandalizzano irragionevolmente della sua diligenza in ornarsi, e comparire in pubblico secondo l’uso, e decenza della persona, che da lei viene rappresentata onestamente in una lecita Azione.

Se l’ornamento della Donna, dice Castro Palao, « est inxoa qualitatem personeT. 1. tr. 6. disp. 6. p. 7., et communem usum nullum est peccatum, se ita ornare, et aspectibus virorum offerre, modo ab sit prava intentio; etiam sciret turpiter ab aliquibus esse amandam ». E prova la sua dottrina con ragione, e autorità, e aggiunge, che secondo i Dottori si richiede qualche onesta cagione, senza la quale la Donna merita di essere condannata per adornarsi, quando sa di essere amata disonestamente da alcuno. « Autores cessante causa honesta eam condemnare debent. Quo circa dicendum est. Si nulla necessitate, vel utilitate, sed solum ducta vanitate, aspectui viri eam turpiter adamantis se offerat, peccat mortaliter. Ita expresse Sanchez. Usaq. Et convenire debent ones Doctor etc. » Baldelli {p. 217} dice della Donna. « Sit studiose et sinerationabili necessitatel. 3. d. 16. n. 12 , aut causa se ostendat aspectibus animatium surpiter; et omnes scillit placere, moraliter peccat; etiam si nihil aliud turpe cum illis intendas, ut loquitur S. Antoninus. Quid est occasio2. q. T. 5. c. i. §. 7. esse ac ruine spiritualis, et damni illerum. Et qui occasionem damni dat, damnum quoq, dedisse videtur C. Si culpa de iniur. Et damn. »

Io dico, che la Comica si adorna secondo la qualità delle Donna rappresentata; ed ella ha il iusCCCXLVI a tale ornamento per rispetto della sua professione di rappresentare onestamente: e per l’esercizio della professione le basta, come cagione onesta, la necessità, o l’utilità del guadagno fatto con il medesimo recitamento, dal quale, quando non può astenersi senza grave danno; non è obbligata di ritirarsi, e di non comparire ornata in pubblico; sempre che alcuni in particolare si scandalizzino; posto che elle non abbia cattiva intenzione di scandalizzarli.

Hurtado, citato dal diana, insegna, che la Donna, quando non può schifare certe occasioni lecite senza grave, e proporzionato danno, « quo tunc P. 5. tr. 7. de scand. reso. 32. non tenetur in publicam non exire, et abbis abstinere; quia tales occasiones sunt valde remote, et generales; ex quibus oritur ut peccatum ex malitia potius scandalizati, quam Feminæ ». Ed io dico a proporzione, che la modesta Comica non può senza grave danno, e proporzionato al suo bisogno lasciare l’arte del recitare; e però non è obbligata sotto pena di peccato mortale astenersi dal farsi vedere pubblicamente ornata, ed abbellita rappresentadno una Fanciulla, una Regina, o altra Femmina secondo la parte, che le toccherà rappresentare. E quei particolari, e determinati, che si scandalizzano assiduamente, attestano la loro spiritual rovina alla propria malvagità per cagione di qui traggono veleno di morte, ove potrebbero godere antidoto di vita.

Dico 4. Se la Donna si adora con animo di essere disonestamente amata; tutto che non segua l’effetto, ella pecca mortalmente per ragion del fine mortale. « Si se ornat eo animoTr. 30. n. 221., ut carnaliter adametur, etiamsi non sequatur effectus, peccat mortaliter ex fine mortali », dice secondo S. Tommaso Filliucci.

Castro Palso scrive. « Est animo certumt. 1. tr. 6. §. 6. p. 7. n. 6., si Puella (dico io, si Comica {p. 218}) se præsentet viro animo extitandi, et roborandi turpem amorem, peccare mortaliter quia finis, a quo actus sumit speciem iniquu est. » Contro questa dottrina porta questo Autore il fatto della S. Vedova Giuditta, la quale pare, che si ornasse con intenzione di prendere nel laccio della disonestà l’animo lascivo del Generale Condottiere dell’esrcito nemico, poichè supplice dell’altissimo Dio dicendo. « Capiatur laqueo oculorum suorum in me. » Nondimeo ammettere non si deve alcun peccato a quell’orazione, che nacque da santa carità, e da attesissima intenzione: né in quell’ornamento a cui il medesimo Iddio aggiunse nuova bellezza di splendore. « Cui Dominus, dice il sacro Testo, contulis splendorem, quoniam omnis ista compositio non ex libidine, sed ex virtute, pendebet. » Dunque la s. Donna pregò Iddio, che Oloferne restasse allacciato nell’amore suo onesto, e non libidinoso: dove spiega la Glossa liberando Giuditta da ogni macchia di calunnia, e di peccato.

Ora io domando. « Quo animo», con che animo, e con che fine la Comica ordinaria si adorna ? Con animo, e fine di piacere «moraliter; vel carnaliter, platonice, vel plutonice ?», moralmente, ovvero carnalmente, alla platonica, o alla plutonica ? Io credo, che molte Comiche virtuose non abbiano fine espresso mortalmente reo; ma non farei già la sicurezzaCCCXLVII per tutte; e l’essere loro mallevadoreCCCXLVIII certo che mi recherebbero un gran terreno.

Ricordiamoci che quel moderno Comico disse. « Io faccio comparire la donna per allettare: dunque è probabilissimo, che molte compaiano ornate, e abbellite per allettare. » Ma che significa questo allettare, se non un tirare volontariamente, scientemente, e avventatamente gli spettatori deboli di virtù ad un manifesto pericolo, e occasione prossima di peccato ? e tæl allettamento come non è scandaloso ? E come si può scusare da peccato mortale ? Massimamente che la comica ha volontà di tirare, e allettare, non solo dieci, o venti persone deboli di spirito, ma avvera le sorti della virtù, e se potesse vorrebbe tirare, e allettare tutte, per accrescere maggiormante il guadagno Teatrale. E di più elle sa molto bene, che più facilemente vengono allettati i giovani, e i meno virtuosi della Città, poichè questi tali sono più pronti a frequentare le amorose Rappresentazioni: dunque essa {p. 219} è meno scusata del peccato di adornarsi per fine di usare quel peccaminoso allettamento. Io credo, che l’ornarsi moderatamente, ovvero anche smoderatamente, ma senza notabile eccesso, per sola vanità, mostrando la bellezza sua, e la gentilezza della persona, senza altro cattivo fine, non sia peccato mortale. « Ornare se moderate, vel etiam immoderatius, modo non sit non abilis excessus, ob solam vanitatem, ostendendo suam puleritudinem, et elegantiam corporis absque alio fine, non est mortale. »cit us 221 tr. 30. Come credono Caietano, Graffio, e Filliucci. Ma poi credo già, il fine di allettare ad udire la Commedia, quale fine la Comica per ordinario, sia fine buono, « finis normalis » ; perché, oltre alle cose dette sopra, egli è fine di allettare al pagamento della Commedia e al pagamento alla fomentazione dei Comici osceni nel loro peccato, e per conseguenza, e un efficace provocazione al male. Forse per dare forza a questo ultimo argomento, suppongo, che l’azione, alla quale la Donna alletta, sia oscena, perché può bene essere tale, sempre che la medesima Donna non vi parli d’amore, masolo vi compaia per allettare, poichè non mancano molte altre oscenità, nelle Commedie dei nostri tempi: oppure diciamo, che sono mostruose Idre dai molti capi, e capi tanto osceni, che possiamo dire senza romorso le parole di S. Amselmo, « Confundor in obscenitate iniquitatis. »Or. ad Vir. Io mi copro di confusione chiamando le inique oscenità delle moderne, e mercenarie Rappresentazioni.

Dico 5. Se la Donna sa, che per l’atto suo, anche cattivo di adornarsi quelli che da vengono comparire, o non si muoveranno a male; o solamente a colpa leggera, ella avrà per questo il solo peccato veniale di scandalo: perché intanto pecca, di questo peccato in quanto è cagione morale del peccatoaltrui: adunque credendo, che gli altri si muovono solo a colpa veniale, essa peccherà solo venialmente. Così espressamente insegna Castro Palao con Sanchez, e Bonaccina, dicendo ad una Donna. « Si tuo facto, quantumuis pravo, scias, videntes, vel non esse movedos ad veniale peccatum, solum peccatum veniale scandali habebis; quia in tantum peccas hos peccato, in quantum causa moralis es peccati aliorum: ergo si solum credis, alios ad veniale tantum {p. 220}peccatum morendos esse, ventaliter tantum peccabis. Et ita docet Sanchez Bonac. »l. 1. in Dec. C. 6. n. 10. d. 2. de pec. §. 4. p. 2. §. vmc. n. 11.

Su questa, e simile dottrina si fondano i Comici, le Comiche e i loro Parteggiani: mentre dicono, che se bene si tratta quelle Commedie una materia lasciva, e disonesta, nondimeno gli Auditori, o non muovono al consenso di peccato mortale; o al più peccano leggermente; finchè tutto si ridurrà a qualche numero di peccati veniali cagionati da i Comici, e dalle Comiche con le loro poco modeste azioni, e vani ornamenti.

Io rispondo. Se questo solo male di leggere colpa succedesse negli Auditori, confesserei che lo scandalo, dato dai Recitanti, fosse parimente leggiero ma l’esperienza, massimamente di molti Giovani, e di molti altri deboli di virtù, costringe a dire, che molti, con l’occasione di trovarsi presenti alle Commedie poco modeste, si muovono al pieno, e moltiplicato consenso di molti peccati mortali, e nel Teatro concepiscono quelle fiamme, che poi altro ne crescono in un grande, e rovinoso incendio. né di questo con me per ora altra prova, che la confessione dei medesimi Auditori, quando parla a noi secondo quella verità, che più volte in se medesimi hanno sperimentato.

Quesito Ottavo

Non basta l’esempio delle Comiche introdotte nella Commedia Comparsa, per introdurle ancor lecitamente nelle recitate ? §

Il cogliere graziosi fiori dai giardini ben coltivati non è argomento, che si voglia comporre da qualche mazzetto penicioso all’odorato di un nobile Cavaliere; anzi è degno di giudicare il contrario, e che si pretende recare diletto, consolazione. Così procedono i Comici professori di modestia si sforzano di scegliere dalle Commedie stampate, come da tanti giardinetti; quei fiori, con i quali stimano di potere comporre le azioni loro, le presentasse come odorosi mazzetti, alle radunanze Teatrali. Onde per giustificazione del propri recitamenti ricorrono talvolta all’autorità dell’altrui Opere nelle stampe.

Beltrame scive a suo favore così. Le nostre CommedieC. 753. sono simili {p. 221} a quelle, che sono stampate con licenza dei Superiori, e molte volte sono le stesse.

E Pier Maria Cecchini afferma nei suoi comici Discorsi, che sono di gran lunga più corrette le Commedie, che si recitano, che quelle, che si stampano: poichè molte parole ho letto, dice egli, che non comporrei, che nelle nostre scene si dicessero.

Ora supposto il suddetto, ecco la difficoltà del presente Quesito. Se nelle Azioni Teatrali stampate si concede la comparsa delle donne; perché non si concederà ancora nel recitamento dei mercenari Commedianti ?

Io rispondo, che le Azioni, stmapte con l’intervento di Done, fanno gran danno ai Lettori deboli di spirito; ma le recitate lo fanno maggiore agli Spettatori poco virtuosi: e la ragione è chiara; perché ognuno sa, che la morta scrittura del Compositore non ha tanta forza, quanto ha la sua Azione del Recitare; massimamente è Comico, e Comico di valore; poichè i buoni Comici, dice Beltrame, nel rappresentare i casi si trasformanoCo. 36. in modo, che essi stessi piangono, e ridono: come se la cosa fosse vera, e chi non ha tale Arte, non conosce il costume dell’esercizio, e non è buon Rappresentante. Dunque se nell’efficacia di azione non si trova nelle Commedie stampate; le recitate « ceteris paribus »  saranno sempre più perniciose, che le stampate. Ma o piacesse a Dio, che ancora quelle, che si leggono in stampa, e sono oscene per le Donne introdotte in esse, o per latra ragione, si proibiscono affatto alla Cristianità: certo che l’arte Comica, e la ricreazione Teatrale non mancherebbe; ma si purgherebbe in gran parte; e di èiù si leverebbe l’occasione a molti innocenti Giovani, e a molte Donzelle di quella gran rovina, che spesse volte dicono di avere ricevuta leggendo tali composizioni stampate.

È vero, scrive il Comico Cecchino, che ogni giorno si restringe la mano; né si vedono iscire quelle Commedie reeCCCXLIX, che altre volte erano l’insegna delle Librerie, e assiduamente dei Librai. E con tutto che sia così, e che la S. Inquisizione vigili tanto intorno le materie disoneste, e che non ne lascia spuntare da nessuno; tuttavia vi è, chi scrive, che il Mondo non è ripieno d’altro, e che i Fanciulli da quelle apprendono ogni vizio, e gli mostrano {p. 222} prima maliziosi, che nati. Eppure sappiamo, che i Libri di buona Poesia non sono intesi da Fanciulli, né ben capiti dai Giovani.

Ma io aggiungo al detto di questo Comico, che i Fanciulli e i Giovani, se non intendono le allegorie nascoste nelle Commedie, intendono purtroppo le scoperte oscenità, che vi leggono, e intendendole servono spiritualmente con gravissimo danno della virtù.

Quindi nel Decreto sono ripresi con le parole di S. Girolamo i Vescovi, e i Sacerdoti, perché lascino leggere i Fanciulli le Commedie disoneste. « Legant Episcopi, dice il Testod. 37. c. legant., eique Presbyteri, qui Fillios suos secularibus litteris erudita et faiunt, illos Comedias legere, et Mimorum turpia scripta cantar.» E conclude nel fine. « Helt Sacerdos sanctus fuit, sed quia Filios suos non erudivit in omni disciplina, et correptione, supinus erudit, et mortales est. » E la Glossa su quel capo dice, che Girolamo riprende quei Sacerdoti, « qui filio suos, et nepotes faciebant legere Comedias de poetica carmina», che facevano leggere le Commedie, e i versi poetici dai figliuoli loro, e dai nepoti. E credo, che con tanto zelo quel Santo Dottore scrisse quell’ammonizione, perché si persuadeva, che la lettura delle Comiche oscenità è un’arsura della giovanile purità in molti, che nei libri turpi, come in accese fornaci, bevono le fiamme dell’impudicizia. Ma ritorndo al nostro Quesito aggiungo. Quando leCommedie stampate si recitano, prima si purgano dalle oscenità; e i Recitanti sono molesti, viziosi, e perdenti cristiani e le vere Donne non si fanno comparire nella Scena, bastando che per relazione d’altri s’intenda il discorso se ha bisogno di lunga spiegatura, o se di breve, basterà che si oda la voce femminile dentro la Scena. Con tutto ciò se alcuni introducessero, massimamente in Azioni sacre, Giovinetti savi, e onesti, vestiti da Donna con non troppo sfoggiate; e pompose vesti, e senza lisci imbelletamenti, e altre cose provocative alla disonestà, io non li condannerei; ma bensì replicherei che è meglio, e più sicuro anzi convenientissimo l’astensione per rispetti degnissimi di gran cautela.

Aggiungo. Molte Commedie stampate con qualche oscenità di Donna, o di altro, si tollerano, o per la bellezza della lingua o per la finezza dell’artificio, o per altra ragione sufficiente al giudizio {p. 223} dei Superiori: ma questa tolleranza non si deve estendere fino all’attuale recitamento quando manca la sufficiente ragione; come invero manca per onestareCCCL la Comparsa delle ordinarie Comiche, parlanti d’amore lascivamente nel cospetto di molti Spettatori deboli di spirito; e malamente inclinati alla distruzione della propria virtù. « Comediam in spectaculis recitari non placei; corrumpit namque hominum mores, eosq: effeminatos reddit, et ad libidinens, luxuriamq, compellit », dice Francesco Patrizio, e poi inserisce. « Exigatur iugitur a Theatris Comedia, et eam di volunt desti, atq, audit viti, in suis penetralibus legant, et verba potius, quam sententias sententur: nec tamen places, populum hiv intentum esse. »De Instit. Reip. l. 2. t. 6. Il senso di questo Autore è, che non si reciti la Commedia; cioè dico io l’oscena perché reca grave danno alla purità dei costumi che se gli uomini dotti se ne compiacciono, la leggano nelle camere loro, e attendano piuttosto alle parole che alle sentenze: ne conviene, che il popolo s’impegni nelle attenzioni di tali Recitamenti.

Aggiungo. Le Commedie stamapte oscene si leggono senza operare, e fomentare nel peccato l’Amore, il quale, quando sono lette, forse è morto, ovvero fa penitenza dei peccati fatti nel comporle: ma chi sta presente alle Commedie oscene recitate, coopera per ordinario, e fomenta nel peccato il Recitante; e però per ordinario pecca, almeno per questo capo, se non per altri capi ancora. Dunque le Commedie stampate son più tollerabili, che le recitate.

Aggiungo. Molte cose lecitamente si stampano, e non si rappresentano lecitamento: e tali sono molte materie del sesto Precetto stamapte minutamente dai Teologi, e dai Casisti per necessaria istruzione dei Padri Spirituali a beneficio dei Penitenti: eppure molte di queste materie non si possono rappresentare in pubblico per la loro oscenità, e per lo scandalo, che ne seguirebbe negli spettatori deboli di virtù. Così dico io nel nostro caso delle Commedie stampate, e delle recitate con la femminile oscenità d’amoroso, e lascivo ragionamento. Dall’altezza del Cielo teatrale cadono i fulmini con violenza maggiore, che dalle parti superbe della stampa: in questa le saette lnaguiscono per difetto di vigorosa azione; ma in quello feriscono con vivezza di rappresentazione {p. 224}. La forza Comica del Teatro grandeggia, come guerriera; ove nella stampa pargoleggia, come bambina.

Quesito Nono

Chi dicesse, che le Comiche parlano d’amore alla Platonica, non giustificherebbe la lor Comparsa ? §

Non è tutto oro quel, che si causa da una miniera d’oro, né tutto è sostanza di perla ciò, che si chiude nella Madre perla. Platone secondo me paragonarsi può ad una ricca vena di aureo metallo per la preziosità del suo sapere; e ad una doviziosa conchiglia per la candidezza dei suoi gentilissimi pensieri ma il perfetto suo non fu senza difetto; e l’oro di lui, si collegò talvolta con il vilissimo piombo, e tra le sue perle si trovò qualche falsa margherita. Voglio dire, che non basta per giustificare presso di noi, un’azione il dire. Elle si fa alla Platonica, perché noi possiamo errare seguendo Platone, che non fu maestro irreprensibile, lontano da ogni errore. Alcuni per difesa delle mercenarie Comiche muovono una difficoltà, che chiamare si può la Platonica, se si forma in questo modo.

È vero, che le Donne dei Commedianti compaiono nel pubblico Teatro a ragionar d’amore, ma è un’amore finto; o seppure è vero amore, fi può dire, che sia un’amor Platonico: e se, veramente egli è tale, non si può scusare da peccato grave ?

Rispondo. Una volta un letterato, tenuto per buon Teologo universalmente da isuio Cittadini, discorse con me nella proposta forma: quasi che con il titolo d’amor Platonico si potesse giustificare dalla mortale oscenità gl’innamoramenti delle Comiche rappresentanti in scena. Ma egli poi non mi portò ragioni suffcienti per tale giustificazione.

Ora io, per rispondere al Quesito, domando. Che significa questo amor Platonico ? È forse un’amore meritorio del Santo Paradiso ? Non credo; perché Platone con tutti i suoi amori non può far salire tanto in alro i suoi innamorati. Significa forse un’amore virtuoso, fondato in una certa buona moralità, e civile credenza ? Ma questo non ha quelle fiamme, né quegli ardenti affetti che si vedono nelle persone inamorate della Commedia, le quali {p. 225} sembrano animati, e piccoli Vesuvi, ovvero Mongibelli. Significa forse un’amore sensuale, ma non vizioso ? Un’amore di senso senza consenso ? Un’amore, col quale l’uomo gusta di amare per amare, non per peccare ? Ma questo così fatto amore quanto è difficile in pratica ? Quanto è pericoloso ? Quanto è raro ? Confessare di amare una bella Donna, e dichiararsi con parole affettuose, e proprie di un lascivo Amante, e poi dire, che non brama altro, che amare; sono cose da uomo Platonico, da uomo ideale, da uomo astratto, e non da uomo fornito della nostra ordinaria natura, e carnale inclinazione.

Di questo Platonico amoreNello Stimolo par. 2. 4. 7. p. 90., dice Baldesano, si servono quelli, i quali palliandoCCCLI l’infame concupiscenza loro con titolo di amore Platonico, e facendosi scudo dei costumi di esso Platone, di Xenofonte, di Eschine, e di Cebete, non si avvedono gli infelici, che con artificio privo di ogni arte, e pieno solo di ogni forte immondizia, trattano i Savi del Mondo, e gli uomini virtuosi, da ciechi incantati, e che non si accorgono della stolida lor malizia; ed essi miseri con la sregolata vita loro rinnegano l’amore di Iddio per l’amore Platonico; e lasciano l’imitazione di Cristo, degli Apostoli, dei Santi tutti, e anche dei Savi per la vanità del nome di alcuni Gentili; i quali benché molte buone parti in sé avessero; nondimeno meriterebbero sempre presso tutto il mondo biasimo immortale; poichè « cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt, sed evannerunt in cogitationibus suis ».

Ma sia ciò, che si voglia di questo amor Platonico, che di lui mi rimetto ai medesimi Platonici; dico, che l’amor delle Comiche, benché fosse Platonico in se, non è lecito nel publbico Teatro; perché riesce pernicioso, e scandaloso ai deboli Auditori, che sentendo reagionare con termini poco onesti di qmore Platonico, restano infiammati con l’amore Platonico, e cadono in mille peccati degni delle fiammanti, ed eterne pene di Platone: insomma questo amor Platonico è molto pericoloso, e rovinoso a parere di chi sa, e vuole considerarlo secondo la purità della Cristiana fede: e basti per prova quello, che più volte già mi disse l’Eminentissimo Sig. Cardinale , e buon Teologo, Centino. Egli fu da Paolo V. sommo Pontefice destinato alla cura pastorale del Vescovato di Macerata, città nel bel Piceno. Seggio principale di quel {p. 226} Governo: tosto in diligenza vi andò: e cominciando la riforma degli sformati costumi con zelo di vigilantissimo Pastore, trovò, che passava per le mani di molti un certo Libro, che trattava dell’amor Platonico: lo lesse subito, e subito lo censurò in più luoghi: e poi mandando le censure al Sig. Cardinale, Capo della Congregazione dell’Indice, ne attese la risoluzione, la quale fu, che il Libro si sospendesse, e fu sospeso.

Così io dico, merita la sospensione, ele proibizione dalle cristiane scene ogni discorso, e ogni Azione, che i fautori degli osceni Commedianti pretendono rendere onesto con la scusa ai amor Platonico, questo amore non è buon scudo, per riparare le saette, che i Guerrieri Cristiani lanciano contro le Teatrali oscenità con l’arco della scolastica dottrina. né Platone è Capitano di bastevole difesa, contro l’assalto di quei Teologi di Cristo, che con il brando della giusta ammonizione troncano l’altiero capo dell’osceno, e brutto mostro dell’illecita Rappresentazione.

Quesito Decimo

Non è troppa severità l’escludere le Comiche, parlanti d’amore dal pubblico Teatro ? §

La nota di troppo severo Giudice non è oggetto degno di onorato sforza; e chi vuole sforzarsi di mostrare troppa severità, da nel biasimo di personaggio crudele.

Non pare, che le Comiche su debbano levare dal pubblico Teatro; benché vi parlino di materie amorose con maniere poco modeste; perché una tal levata è argomento ditroppa severità, e per conseguenza, chi la procura, cerca di palesare con vituperio la sua troppa rigidezza. Beltrame difendeC. 95. la pubblica comparsa delle Comiche nella scena e dice. Lo schivare i pericoli è sempre bene: ma il non volere cavalcare; perché molti sono caduti da cavallo: né andare per le strade; perché molti sdrucciolando hanno patito sinistramentiCCCLII dei piedi, o percosse ad altre membra, è troppa stitichezza. Il fuggir le scene per tema, che le Donne non scompangano la castità (a mio intendere) è troppa severità.

Rispondo. Questo galantuomo è stato giudizioso nell’usare quelle parole; (A mio intendere) perché ha lasciato ad altri {p. 227}, che dicano. Così non intendono i S. Padri, i sacri Teologi, e i Dottori di S. Chiesa. Ed io non reco altra risposta a questa difficoltà: vedendosi chiaro, che il parere di un Comico non può bilanciarsi col parere di tanti, e tanto qualificati presonaggi. La luce di una minuta stella perde il suo chiarore in faccia di un moltiplicato sole. Crisostomo scrive con senno in un Sermone. « Nunc per Deum severitasSer. De int. Arboris ad Adam s. 1. vitam, nunc per Diadolum blanditia mortem intentat. » Cioè. Ora Iddio per mezzo della severità dona la vita; ed il Demonio con le lusinghe reca la morte. Ma ponderiamo un poco di quello, che Beltrame aggiunge nello stesso luogo dicendo. Difficile è fuggire le Donne se non si fugge la cittadinanza. Ma io rispondo, che si può, e si deve fuggire l’occasione prossima, e il manifesto pericolo di peccato mortale, vedendo, e udendo le Donne: e tale occasione, e pericolo, almeno per i deboli di virtù, si trova nell’andare al Teatro, ove compaiono le ordinarie Comiche, e parlano d’amore lascivamente: dunque da questo si deve fuggire e le Comiche si devono ritenere dal comparire.

Beltrame di nuovo aggiunge. I galantuomini passano per i pubblici postriboli, e non si lasciano contaminare; ma i carnalacciCCCLIII, se il Demonio non tenta loro, essiCCCLIV tentano il Demonio; e per tali sensuali ogni luogo è pericoloso: dunque non sono le scene, che fanno il male, ma si bene la rea natura delle persone viziose. Chi non ha altri occhi per vedere, che di vetro rosso, ogni oggetto gli sembra rosso.

Il Cecchino ancora scrive. La scena del cuorepag. 87. è quella, sopra alla quale passeggiano le immondizie, che ognuno dovrebbe con ogni diligenza correggere.

Io rispondo. Alle volte chi passa i postriboli, non vede oscenità, e così non si contamina; e se vi passa per buon fine, e a caso vede qualche oggetto osceno, sarà aiutato dal Signore, in modo che non cada. Ma putroppo sappiamo, che molti galantuomini vi passano, e si contaminano. So io di uno, che certo era galantuomo, e virtuoso, il quale col solo alzar di un occhio ad una Femminella, che stva sulla finestra, contrasse fuoco tanto infiammante, che poi per molto tempo ne restò bruciato miseramente; onde l’infelice ne gemeva, e ne sospirava con grande dolore. Che {p. 228} poi i Lussuriosi abbiano ogni luogo per pericoloso, credo, che sia vero; come ancora credo, che sia verissimo, che ognuno dovrebbe correggere la scena del cuore, e custodirla con diligenza secondo l’avviso del Cecchino, e molto più secondo quel divino precetto. « Omni custodiaProv. 4. 23. serva cor tuum. » Ma non perciò lecito si è, che la scena oscena dia ai negligenti custodi del cuore, e ai lussuriosi nuova occasione di moltiplicare i peccati; eppure la dà con la comparsa delle Donne discorrenti lascivamente d’amore. Anche la Meretrice è lussuriosa; e piglia ogni occasione di peccare; e non corregge, né custodisce la coscienza; e nondimeno credo probabilmente con il Boccacina, che pecca, chi senza legittima scusa§. 1. de Penit. Sacr. d. 5. q. v. 5. 2. p. 2. §. 3. diffic. 3. n. 29. si porge occasione di moltiplicare le sue peccaminose, e disoneste bruttezze. Non si deve aggiungere nuova esca ad un rovinoso incendio: e chi moltiplica ad un’infelice le disgrazie, si dichiara poco amico della pietà.

Quesito Undicesimo

La tolleranza sinora praticata circa la comparsa delle Comiche non è buona ragione per non levarla dal Teatro ? §

Brevemente, e presto rispondo a questa difficoltà, dicendo. So, che alcuni discorrono con tal tenore. Se non è lecita la comparsa delle Donne parlanti d’amore in pubblico Teatro; perché a quest’ora non si è levata dalla cristiana scena ?

Rispondo. In più luoghi si è levata, quando i Superiori sono stati avvisati dell’obbligo di levarla. Ed io sempre loderò quel gran Pastore di un principalissimo Arcivescovato, che pochi anni orsono, mi disse, dopo aver letta, e ponderata una mia scrittura. Io mai più comporterò, che la Donna salga nel pubblico banco.

Potrei narrare a questo proposito altri casi; ma allungherei la risposta, che voglio dare al Quesito: e d è. Che la comparsa delle donne non si è levata da tutta la cristianità; perché i Dottori antichi non hanno parlato distintamente, ed esplicitamente dei molti, e gravi mali, che cagionano da questo inconveniente. Ed io aggiungo: perché i moderni, dai quali se ne parla chiaramente, esplicitamente, diffusamente, e scolasticamente di proposito, forse {p. 229} non sono stati porposti ai Sig. Superiori con istanza, che si proveggaCCCLV a tale abuso. In S. Chiesa i disordini di dottrina, o di costume, non sempre, dopo essere nati, subito si sono levati: l’iniquità ancora ha la sua stagione per maturarsi, onde alla fine con il tempo si matura, e cadendo manca. Molti errori di quanfo in quando si sono conosciuti, e poi levati.

Aggiungo. Se l’onoratoComico Cecchino è degno di fede, possiamo credere, che questa comparsa delle vere Donne fu già levatapag. 9. de Discorsi.: poichè dice che cinquant’anni prima, che egli scrivesse, nno comparivano le vere Donne a recitare nel pubblico Teatro: dunque cotal comparsa non è sempre stata tollerata. Ed io spero, che di nuovo si leverà affatto per comando irrevocabile dei Signori Superiori, se da essi ella sarà considerata al bilancio dell’autorità dei Dottori, delle ragioni, e dell’esperienza; perché nessun savio Governante appoggia a debole colonna la sua tolleranza: e se tollera talora un male pernicioso, e universale, ciò fa per qualche buona ragione: per atto d’esempio, tollera un male minore per sfuggire un maggiore; ma se questo maggiore egli non fugge, e gli manca altra ragione di tollerare quel mal minore, non ammette la tolleranza di male alcuno; perché il Savio, e zelante Superiore vive simile all’Agricoltore diligente, che sbarba dalle radici loro le piante infette, per convertire la boscaglia in bel giardino, e l’incolto in campo delizioso, e fruttuoso.

Quesito Duodecimo

I Teologi dei Principi non riprenderebbero la comparsa delle Comiche, se non fosse lecita ? §

Qesta difficoltà nomardi puòCCCLVI la difficoltà Teologale; per cagione di cui sento ad argomentarmi contro di questa guisaCCCLVII. Se non è lecita la comparsa delle Comiche parlanti d’amore, come tanti Signori, e Principi supremi la permettono nella presenza loro, e delle Consorti, e delle Figliuole ancor Fanciulle, e verginelle ? Eppure sono personaggi di ottimi costumi, e di segnalata devozione, e ciascuno ha i suoi Teologi, che non acconsentirebbero a tale errore, se fosse errore. E che ? Vorremmo noi dire, che tali Teologi siano ignoranti ? O che siano viziosi ? Un {p. 230} tal detto non è censura di temerità ?

Rispondo prima. I Signori, e Principi supremi veramente virtuosi, e di ottimi costumi, e di vera devozione non permettono cosa chiaramente peccaminosa , o sospetta di peccato, se non hanno qualche buona ragione; ovvero che paia buona al giudizio dei prudenti: che però hanno i loro consigli, secondo il parere dei quali regolandosi, vivono sicuri: e forse così procedono nella permisisone della Comparsa delle Comiche in Scena, e parlanti d’amore: massimamente che si vede per esperienza, che i Comici, recitando in presenza dei Padroni, recitano molto più moderatamente, che non fanno nei pubblici stanzoni al popolo spettatore. Qualche comico dice. Non posso parlare; perché ho mangiato carciofi. Altri dicono altre grazie. E spesso avviene, che un’Azione rappresentata in palazzo, o nello stanzone, presente il Principe, contiene pochi equivoci osceni, o molto coperti, e poche oscenità: ove la medesima recitata pubblicamente ai Cittadini, riesce abbondante, e colma di molte parole brutte, e di brutti gesti. E la ragione si è. perché il timore di castigo trattiene dalle indecenze, chi recita in presenza di Principi, e Principesse, che non gustano vedere, né udire indegnità. Ove i Comici, e le Comiche negli stanzoni pubblici vedono che nno sono castigati, dicendo, e facendo quelle cose, che sogliono piacere alla brigata, ch egusta più delle Scene impure, e lascive, che delle modeste, e vitruose: ed essi, per piacere, e guadagnare, convertono la moderazione del Teatro in dissoluzione di postribolo. Aggiungo. La Commedia modesta fatta in presenza dei Padroni risce ridicola, e piace: perché i Comici s’ingegnano, e faticano per farla tale. Ove nelle altre Commedie oscene non curano di faticare, sapendo, che piacciono con le oscenità, che hanno pronte.

Ma se fosse un Signore, che volesse tal comparsa, e bramasse, che le Comiche fossero belle di volto, grandi nella comparsa, ben formate di persona, vezzose, scaltre, e bene esercitate nel rappresentare lascivi amori: ed egli non punto curasse di consultar con in dotti: anzi ricusasse d’udir ragioni, o di veder scritture contrarie al suo volere, professando con i fatti una viziosa ignoranza: l’esempio di un tal’uomo, troppo appassionato, non deve allegarsi per autenticare, ed onestare una cosa illecita: ed alle volte si trovano persone {p. 231} grandi tagliate a questa mala luna; e che tengono la vera nobiltà della virtù sotto le piante: e qualche Comico mi ha confessato d’averne trovato di tal fatta più di una volta. Ma io dico, che in tal caso i Teologi tacciono: ei Predicatori prudenti non esclamano: perché non vi è speranza di frutto, anzi timor di peggio: onde bisogna ricorrere all’Onnipotente Dio con l’orazione, e con le lacrime, supplicandolo di rimediare efficacemente con l’aiuto suo. L’uomo zelante, dice Agostino, « perversa, qua videtIn Io., cupit emendare; et si emendare non potest, tolerat, et gemit ». Qella congiuntura di male, quasi disperato, serve ai servi di Dio per eccitare nei loro cuori un grande affetto di compassione verso coloro, ciascuno dei quali merita, che di lui si dica. « Noluit intelligere, ut bene ageret. » Non volle aprire il cuore dell’intelligenza, per non aprire la mano all’operazione.

Quel non volere sentire le ragioni proposte, né leggere le scritture composte, non scusa dal peccato mortale; perché almeno è, per non dire cosa di maggior vantaggio, una molto grande ignoranza affettata, grassa, e supina; e però non serve di diamantino scudo per bastevole difesa contro il colpo di colpa grave a parere dei dotti; tra i quali Reginaldo favellando dell’ignoranza, che scusa del peccato, dice. « Excipiendum est, nisi ignorantia, fuerit aggectata; ut cum quis dedita opera ignorare vult imitatione eorù, qui ex Iob. C. 21. dicunt Deo. Recede a nobis, et scientiam viarù tuarum nolumus. Aut nisi fuerit crassa, et supina: ut cum quis ex negligentia lata, seu per quam, aut nullam, aut fere nullam ad sciendum adhibuit diligentiam, nescitid, quod scire tenerum, ex eoque crassa, et supina videtur dicta, quod ea laborans sit similis homini crasso, et stupido, non adnertenti ad ea, que coram se posita sunt; ut pote nesciens, qua passim sciunt cateri. »l. 11. a. 30. c. 3. Cioè. L’ignoranza scusa, quando non sia affettata; come nel caso, in cui uno a bella apposta vuole non sapere, quasi che professi d’essere imitatore di coloro, che nel c. 21. di Giobbe dicono a Dio. Ritirati da noi, che non vogliamo la scienza delle tue strade. Ovvero quando non sia ignoranza grassa, e supina; come quando uno, perché nessuna, o quasi nessuna diligenza usa per sapere, non sa, mercè alla sua gran negligenza, quello, alla cui scienza egli viene obbligato. Ed ignoranza tale pare, che sia detta grassa e supina; perché, chi da lei è oppresso {p. 232}, si rende simile ad un uomo stupido, che non bada, né non cura, e avvertenza a quelle cose, che tiene avanti, né fa ciò, che da altri è saputo comunemente per tutto. Ora quando si trovano Superiori involti nelle tenebre di questa viziosa ignoranza, bisogna supplicare il Gran Padre dei lumi, che sgombri il buio di quei tenebrosi orrori con il chiarissimo lampo della sua divina luce.

Rispondo secondo. Il titolo di Teologo non infonde tutta la scienza della Teologia scolastica, e morale in un tratto. Uno può chiamarsi degnamente Teologo, e anche Confessore di un Principe, e non avere la cognizione minuta, e distinta di tutte le materie, e difficoltà teologali. Ogni buon Teologo, e buon Confessore sa, che la Commedia oscena è illecita; ma non ogni buon Teologo e buon Confessore, sa subito determinare: questa, o quella Commedia oscena; questa, o quella non oscena: perché tali determinazioni particolari hanno bisogno di molto studio, molta speculazione, e molta lettura di Autori; le quali cose non sempre ogni buon Teologo, e buon confessore ha fatto compitamente; né perciò si deve chiamare ignorante; perché basta, che le sappia fare, e possa, e voglia fare, quando e richiesto dal suo parere. La scienza del Confessore, dice l’Eminentissimo Cardinale de Lugo, « no debet esse tanta, ut de omnibus, qua penitens dicit, posset discernere; an sint mortalia, vel venialia; sape enim id nec doctissimi possunt. Satis ergo est, si sciat in iis, qua communiter occurrunt, an sint mortalia, vel venialia. Item non est necesse, quod in dubiis, que occurrunt, posset ipse omnia resolvere: satis est, si communia sciat, et de difficilioribus sciat saltem dubitare, aut libros, vel peritiores consulat. »t. de penit. d. 21. sec. 4. n. 70. E nel particolare del punto intorno alla Comparsa delle Donne parlanti d’amore in scena, che sia illecita, forse molti Teologi, e Confessori fanno un presupposto simile a quello, che fa Beltrame, il quale espone, che tal comparsa nella Commedia sia lecitissima, ne la renda in modo alcuno immodesta; e però nel suo Trattato Teologico cita tanti Dottori antichi, e moderni, quasi che tutti siano del suo parere, cioè, che non riprovino detta comparsa: ma io dico, che tutti i Dottori, veduti da me sono al presente, la condannano; benché non sia stata ancora condannata affatto, e proibita con legge Imperiale {p. 233}, ovvero un Decreto Papale. Mi volgio dichiarare meglio con questo racconto.

Un Teologo voleva stampare un’operetta contro le Teatrli oscenità l’anno 1639. Ed egli fu impedito con l’autorità di un principale Superiore, il quale era valente Teologo, ed apportò varie ragioni a favore di quell’impedimento: e una fu, che non tutti i Dottori erano del senso del Teologo, che attendeva alla stampa: ma questo domandando. E quali Dottori non erano del suo senso ? Non ebbe altra risposta. E certo saggiamente; perché forse quel Superiore non poteva citare alcun Dottore; benché supponesse poterne fare una lunga citazione di molti.

Io minimo tra i Dotti prego umilmente tutti i dottissimi Teologi dei Principi, e anche i Predicatori, e i Confessori a considerare quel poco, che scrive Gio. Stefano Menocchio nella sacra Politica, ove si legge. « Cum Principas audire Aliquid velint specians ad mores componendus, vel cum privatim peccata enunttant, vel cum palam concionibus publicis intersunt; plurimum Reipublica inerest, quales Theologi, Confessorii, aut Concionatores adhibeantur. Nam si doctrina pietate, dicendi opportuna libertate fuerint instructi, optimè etiam de Principe, negotiorumque de quibus agitur, successu sperare poterimus: si verò doctrina, et virtutis, blandiri, et aures scalpere malverint, nullum incommodum per huismodi homines in Respublicam non importabitur. »l. 2. c. 2. n. 1. Cioè. Quando i Principi vogliono udire qualche cosa toccante alla bontà dei costumi, o quando si confessano privatamente, oppure quando si trovano presenti alla pubblica predicazione; importa assai alla Repubblica, di quali Teologi di servano, di quali Confessori, e di quali Predicatori: perché s esaranno uomini fornitidi Dottrina, di pietà, e di giudiziosa libertà di parlare, potremo sperare ottimo successo intorno al Principe, e ai negizi suoi: ma se mancheranno di dottrina, e di virtù; se aduleranno attendendo ai propri interessi; e vorranno accomodarsi al gusto del Principe, e a grattargli piacevolemente le orecchie; ogni male si deriverà da simili presone al danno della pubblica felicità.

Io inoltre prego tutti i Teologi, Predicatori, e Confessori dei Principi a fare diligente osservazione nelle dottrine dei modrni, e antichi {p. 234} Dottori intorno al pubblico comparire delle Donne, comiche ordinarie, e parlanti di lascivo amore: e li prego a ponderare bene le ragioni, che apportano; perché spero, che daranno sentenza di eterno bando dal Teatro alla turpe, immodesta, e oscena comparsa femmnile: atteso che, se vi è dottore alcuno, che io non ho letto, e che la stimi degna « absolute et simpliciter »  di positiva licenza, o di tacita tolleranza, e permissione per ogni tempo dell’anno, e senza riguardo di schifare altro male maggiore; all’incontro vi sono molti, anzi moltissimi Dottori, dai quali è condannata esplicitamente, non con titolo di convenienza, e zelo predicatorio, ma con obbligo di necessità, e rigore scolastico Teologale. Il parere comune dei dotti è buona tramonatana per navigare felicemente nell’Oceanodella sapienza; e chi chiude gli occhi alla chiarezza di questa bella stelleè volontario amatore della cecità. Il buon Teologo non si cura far coro da sé Teologando, ma gode di formare l’armonia dottrinale sulle note del sondato giudizio universale.

Quesito Decimo terzo

A che cosa è obbligato il confessore del Superiore per rispetto della comparsa delle comiche nel pubblico Teatro ? §

Ad uomini dotati di molto senno, e forniti di convenevole dottrina commette il Savio Principe il governo temporale degli Stati suoi: onde vuol ben la ragione che egli usi la stessa, anzi maggiore diligenza nell’elezione di quel sacro Personaggio, a cui con titolo di confessore si compiace di confidare il governo spirituale dell’anima sua; che però senz’altro lo eleggerà savio, dotto, e zelante a sufficienza; e conseguentemente gli saprà molto bene, come portar si debba nel soddisfare all’obbligo della sua carica senza recare ragionevole disgusto al penitente. Credo, che egli si prefiggerà per scopo di prudenza il generare nell’animo del Principe il nobilissimo parto del vero, e forte amore di Cristo da cui poi seguano tutte le altre cose in ottima disposizione; né egli procurerà a sé l’umano favore, ma la divina grazia al penitente. Quindi {p. 235} considero, che non sia di mestieri, che io travagliCCCLVIII molto nel rispondere con molte dottrine lungamente al presente Quesito, massimamente che lo scrignetto del mio poco sapere non può trare fuori né argento, né oro, né gioie di valore tale, che possanoaccrescere i tesori di quei Confessori, che assistono ai Superiori, e ai Principi, come vive Arche diconsumatissima Sapienza.

Dunque io per rispondere, ricorderò solo quel poco, che i Confessori avranno già letto nelle Opere di due Eminentissimi Cardinali, il primo dei quali è Roberto Bellarmino, che nel libro composto intorno all’officio del Principe dichiara come egli portarsi debba verso il suo Confessore; e con tale occasione spiega insieme le qualità, delle quali conviene, che sia fornito il medesimo Confessore. Discorre il Cardinale con idioma latino; ma io lo trasportoqui in Italiano con ogni fedeltà; in modo che da tutti possa essere comodamente inteso, e praticato.

L’eterna salute del Principel. 1. c. 6., dice egli, dipende con modo meraviglioso dal suo Confessore: e si leggono molti esempi ripieni di grande orrore, nei quali si vede la dannazione, con che i Confessori insieme con i Principi lor penitentisono precipitati nei dolorosi supplizi dell’Inferno. Certo che è opera molto grande il buon reggimento delle coscienze dei Principi, e richiede un uomo, non solo molto perito, ma anche molto prudente, e molto forte, e quello che più importa; che sia tale, che niente desideri, niente ambisca, niente cerchi, e niente altro voglia in tutto, se non la salute eterna del suo Principe, e dei popolo a lui soggetti.

Ma per discorrere partitamente di questo officio, dico, che il Confessore rappresenta due persone, una di Giudice, e l’altra di Medico: e i Principe altresì ne rappresenta due altre; la prima è privata, la seconda è pubblica. Il Confessore, come Giudice, sta in luogo di Dio, e non deve, né può assolvere dai peccati il suo penitente, se non lo vede essere veramente penitente: perché se per sorte non vuole lasciare quella cosa, che lo tiene immerso nel lezzo del peccato, certamente egli finge la penitenza, e non la fa, mentre confessa il suo errore. Ma seil Confessore non ardisce negare l’assoluzione ad un personaggio tanto grande, oda lo sirito Santo, che avvisa. « Noli fieri iudex, nisi valeas virtute {p. 236} irrumpere iniquitatem, ne forte extimescas faciem potentis. » Questo medesimo avrà lugo in molti altri peccati; perché il Confessore non può assolvere il penitente, se non fa la confessione intera: e non è intera la confessione del Principe, quando confessa quei peccati follio, che appartengono a lui, come ad uomo privato; per esempio i peccati digola, di lussuria, d’invidia, e altri di smili fatta; e intanto forse non riconosce, né confessa quei peccati, che egli ha commessi, come uomo pubblico, e come Principe. perché non mancano Principi nel Mondo, i quali per quello, che tocca alla propria persona, sono piissimi, e giustissimi; ma non sanno i peccati dei loro ministri principali, che governano il pubblico; e frattanto i poveri sono oppressi; i giudizi si pervertono, si scandalizzano i semplici; e l’ignoranza del Principe non scusa lui presso Dio, se non fosse quando è invincibile: atteso che egli deve seriamente pensare la qualità dei Ministri suoi, investigare il modo, e la maniera della loro pubblica amministrazione. Il Confessore dunque, che è giudice in luogo di Dio, non deve accontentarsi di quella confessione, che fa il Principe, come uomo privato: massimamente se egli conosce, o dalla pubblica fama, o d’altronde, quanto malamente i Monistri portino nel comune affare del governo. E se il detto Confessore teme di offendere quei Ministri, oda l’allegato avviso dello Sirito Santo, « Noli fieri iudex, nisi vale virtute irrumpere iniquitatem, ne forte extimescas faciem potentis. »

Finalmente non può il Confessore assolvere il suo penitente; benché sia Principe quanto si voglia grande, se non è seriamente apparecchiato a soddisfare, non solo Dio per mezzo degli imposti digiuni, elemosine, orazioni, e altre opere penitenziali, ma di più aquelle persone, alle quali forse è tenuto, o nel restituire la fama, o nel rifareCCCLIX i danni, o nel pagare i debiti, o nel dare gli stipendi a tempo suo. Avvenga che spesse fiateCCCLX i Principi diano molte cose ai Sudditi i quali non ardiscono di esigere forse per non incorrere nell’ira del Principe. Ed in questo caso vigilare deve la giustizia di quel Giudice, che tiene il luogo di dio; in modo che forse esso non oda nel fine di sua vita. perché volesti essere Giudice non potendo combattere con vitù contro l’iniquità, e temendo la faccia dell’uomo potente ? E questo basti {p. 237} aver accennatodel Confessore, come Giudice. Aggiungiamo qua che cosa del medesimo, come Medico.

Nessuno dovrebbe essere Medivo delle anime, se egli non fosse ottimamente sano; in modo che non gli fosse detto. « Medice cura te ipsum. » E però quelli, che ambiscono di udire le confessioni dei Principi, sono degnio di essere scacciati, come Personaggi infetti da gravissimo morbo; e quello, che è più miserabile, non conosciuto da loro. La onde il savio Principe, che è sollecito dell’eterna salute, avantiCCCLXI di ogni altra cosa cerchi di avere un confessore, che mai abbia avuto ambizione di confessarlo: e che secondo la pubblica fama, e la privata informazione veramente sia uomo di pietà, cioè veramente sano, e libero dalle infermità dei vizi; inoltre sia perito della medicina spirituale; né solo abbia letto le cose scritte dai Teologi intorno al Sacramento della Penitenza, e ai casi di coscienza; ma ancora sappia l’uso, e la pratica di quelle dottrine. Aggiungo; non sifaccia vedere spesso in corte; né s’interponga nei negozi dei Cortigiani; in modo che invece di Medico delle anime, non diventi ancora egli Curiale, e Cortigiano. E finalmente si mostri tale, che con una vera umiltà, e santità abbia congiunta una modesta libertà di avvisare il Principe;nè tema di essere levato dall’officio di Confessore; anzi piuttosto si rallegri, se ciò avvenisse, vedendosi libero da un peso tanto pericoloso. Ma se per avventura il Confessore vedesse, che egli perde l’opera, e la fatica nell’impegno di un Principe, il quale non voglia quietarsi alle sue giuste ammonizioni; domandi umilmente licenza di andarsene; e anche non ottenendola, se la prenda da se, e parta: perché cosa meno grave si è il sopportare lo sdegno di un Principe mortale, che l’ira dell’immortale Iddio. Ed in modo che il confessore possa fare tutto il suddetto, bisognerà, che il Principe dia adito, e libertà a lui, di avvisarlo confidentemente e di comandare secondo la ragione dell’officio suo qulle cose, che sono necesarie alla salute; né che sia ritardato per rispetto di timore, o di penitenza. Ancora pare necessario, che il Principe avvisi il Confessore a non s’ingerireCCCLXII nel governo ovvero nei negozi di ragion di stato, o del reggimento della domestica famiglia della Corte: se non in caso, in cui dallo stesso Principe fosse domandato il suo consiglio: e molto meno deve il Confessore domandare, {p. 238} che ad alcuno si conferisca qualche pubblico ooficio, ovvero Magistrato: perché così egli sarà meno odioso agli altri e meno superbo: anzi sarà grato a tutti, e molesto a nessuno.

Concludo, che il Principe si guardi, se il Confessore è Religioso, di non levarlo dall’obbedienza dei Superiori, né dall’osservanza regolare; e di non dargli alcuna occasione di dominare tra i suoi Religiosi, o di ambire le Prelature: perché questo non è espediente né al Principe, né alla Religione, né al Confessore, ma a tutti e nuocevole, e principalmente al medesimo Principe, al bene spirituale di cui è necessario un Religiosissimo, ed ottimo Confessore.

Nota prima

Si risponde al Quesito secondo la Dottrina dell’Eminentissimo Sig. Cardinale de Lugo. §

Io mi persuado, che i Confessori dei Principi, e dei supremi Governatori, e Magistrati dei popoli, avranno veduto, e ponderato tra le Opere dell’altro Cardinale, che è il secondo de’ 2 da me proposti, Giovsnni de Lugo, ciò, che egli scrive per acconcio della presente materia. Quest’uomo di grande eminenza, oltre la Cardinalizia; e Teologo ingegnosissimo, moralissimo sopra modo accreditato trai Dotti, e massimamente in Roma per lunga, e pubblica lettura di Teologia nel Collegio Romano della Comapgnia di Gesù, nel Tomo del Sacramento della Penitenza propone questo dubbio.

« An debeat Confessarius penitentem corrigere, et si auferre ignorantiam circa peccata, que facit. »Disp. N. 2. 5. 2. §. 1. Cioè. Se deve il Confessore correggere il penitente, e rimuovere da lui l’ignoranza circa i peccati, che egli commette. E dopo avere esposta diffusamente la sua dottrina, ne cava alcune illazioni, delle quali la seconda è nel n. 37. ove l’Autore dice.

« Infero secundo quid dicendum sit obligatione, quam habent Confessarii Prelatum, Principum, Gubernatorum, et similum, quandovident, aut sciunt, ipsos non satisfacere re vera suo debito circa collocationem beneficirum, electionem ministrorum, subditorum gubernationem circa elemosynas ex superstuis faciendas de redditibus {p. 239} ecclesiasticis et alia similia. De quibus illud notardum est, rarò contingere, quod ignorantia sit invincibilis, et inculailis: item rarò contingere, quod ignorantia illa non afferat secum scandalum in sudditis, qui facile putant licita, a qua, a Prelatis, et Principibus fieri vident; vel certe non offerat damnum commune; quare regualriter Confessarius tenetur admonere penitentem, quicumque ille sit, desua obligatione: nec satisfacit suo muneri absoluendo a peccatis. Que penitens dicit, sed potius imponit suis humeris peccata catera, et errores, quos in penitente dissimulat, et ceco cacum ducente, ambo in eternum foucam cadent. Si formidat ergo penitentis faciem non assumat sibi Pastoris officiu sed ecit, penitantem non satisfacere re vera suo debito. Si autem hoc non scit, sed habet rationem debitande, interroget penitentem, qualiter se gerat in his, si verò dubium Confessarii sit circa ipsum ius, et obligatione penitentis consulat, Auctores, atque etiam homines doctos et pios, salvo tamen sigillo confessionis; et tunc, si errorem penitentis inue niat, modestè moneat, rationem in promptu habens sue monitionis. Denique si videris, ignorantiam penitentis esse invincibilem neq, ex illa sequi scandalum, aut damnum compare; è contravero admonitionem futuram in amius penitentis, aut allaturam scandala, velincommoda, poteri dissimulare inxta regulas traditas. » Cioè a dire favellando all’Italiana.

Io inserisco nel 2. luogo, che cosa si debba dire dell’obbligo che hanno i Confessori dei Prelati, dei Principi, dei Govenratori, e di simili, quando vedono, ovvero sanno che per verità non soddisfano al debito loro intorno all’elezione dei Ministri, al governo dei sudditi, e ad altre cose di tal fatta. Intorno alle quali è da notarsi, che di rado avviene, che l’ignoranza sia vincibile, e incolpabile.

Parimente di rado acvviene, che quell’ignoranza non apporti con sé scandalo per i sudditi, i quali facilemente stimano lecite quelle cose, che vedono farsi dai Prelati, e dai Principi: o almeno avviene di rado, che quell’ignoranza non rechi danno comune. Laonde il Confessore, parlando regolarmente, è obbligato di avvisare il penitente, sia chi si voglia, di quello, a che è tenuto; nè {p. 240} soddisfa al suo carico, assolvendo dai peccati, detti dal penitente, ma piuttosto gli addossa sulle sue spalle insieme con glialtri errori, che dissimula nel medesimo penitente; che però ambedue cadranno nella fossa eterna, facendosi un ciecoguida per un altro cieco. Se dunque il Confessore teme, lasci l’officio di confessare, scusandosi modestamente, come poco atto alla tolleranza di quel peso. Ed il suddetto vale, quando il Confessore sa, che il penitenter manca al debito suo. Ma se egli non lo sa, e slo ha qualche ragione di dubitare, che deve fare ? Interroghi il penitente, come si porti in quie particolari spettanti alla propria obbligazione; e se il dubbio del Confessore sarà circa il iusCCCLXIII, e le ragioni, che possono obbligare, o obblighino il penitente, studino gli Autori, e si consigli con uomini dotti, e pii segretamente; e trovando, che il Penitente erra, lo avvisi con la debita modestia, e rispetto: e tenga pronte le ragioni del suo umile, e modesto avviso. Finalmente se il Confessore vedrà, che l’ignoranza del penitente è invincibile, né da lei segue scandalo, o danno al penitente, o di scandalo, o di altro inconveniente, potrà passarsela dissimulando secondo le regole teologali. Per le quqli si può dire con Reginaldo. « Ad vitandum grave nocumentum publicam, quod ex huismodi correctione sequeretur, ex omitti potest, ut intelligitur ex cap. Quia circa de consang. et affinis. »

Ora prego io tutti i Padri Confessori dei Superiori grandi a fare per loro bontà un poco di riflessione con me su quello, che spiega questo dottissimo Teologo nella sua illazione, ed applicare. Io al caso della comparsa delle Donne parlanti d’amore in scena. Io dirò il mio senso con alcuni punti, riportandomi sempre a migliore giudizio.

Dico 1. La moderazione del Teatro è cosa spettante al debito del Superiore circa il buon governo dei Sudditi suoi: e però tocca alla sua prudenza, e vigilanza considerare; se la femminile comparsa tollerare si debba, o no, secondo la debita moderazione. La regola del Superiore indirizza il costume popolare al godimento della vera felicità

Nel C. de Religiosis, et sumptibus funerum l. 15. Giustiniano Imperatore dice. « Non bella solummodo bene ordinamus, sed er res ludricas. »

Dico {p. 241} 2. Non è probabile, che nel Superiore sia l’ignoranza invincibile, e incolpabile intorno all’essere lecita. O illecita questa comparsa: perché i Predicatori molte volte la biasimano; i Dottori con i libri stampati sempre la condannano; le voci di molti zelanti la riprovano; e spesse volte il Superiore stesso, stando alla Commedia, può, se vuole, conoscere gli eccessi di lei: onde è cosa facile, che egli non abbia notizia, per giudicarla veramente illecita; e però, se non la leva, deve essere avvisato dal Padre Confessore, « quia Confessarius, vel est Pastores ex officio, vel tunc salte tenet locum proprii Pastoris ex eius delegatione: ad Pastorem ayutem pertinet docere subditos, qua necessaria sunt ad servandam legem Dei », dice l’allegato Teologo n. 27. cioè, perché il Confessore, o è spirituale Pastore per l’officio, o allora almeno tiene il luogo del proprio Pastore per delegazione fattagli da lui. Ed ad Pastore s’appartiene l’ammaestrare i sudditi nelle cose necessarie per l’osservanza della divina Legge.

Dico 3. Tale ignoranza porta con sé scandalo in pregiudizio di molti sudditi; perché si muovono dall’esempio del Superiore a giudicare lecito per se stessi, benché siano deboli di spirito, il godere lo spettacolo della Commedia di Donna parlante oscenamente d’amore nel Teatro, per la quale commettono molti peccati. E però il confessore deve levare quello scandalo con avvisare il Superiore, ricordandogli di quella gran parola del Romano Oratore. « Principes plus exemplo, quam peccato nocet. »Tal. 3. de legib apud Cartag. t. 4. l. 15. ho. 3. §. 13.

Dico 4. Da cotal l’ignoranza segue il danno comune spirituale, cioè la rovina di molte anime virtuose, e che perdono la divina grazia per quella comparsa: al qua danno deve rimediare il Confessore con dare l’avviso necessario al penitente: perché « bonum publicam preponderat bono privato penitentis », dice il medesimo Autore n. 30. il pubblico bene prepondera al ben privato del penitente.

Dico 5. Quando il confessore non sa, perché ragione il Superiore, suo penitente, tolleri tal comparsa, deve informarsi da lui, o da altri consapevoli delle ragioni; in modo che poi le consideri diligentemente, e giudichi, se sono sufficienti, o no, per la tolleranza; ed egli può far tal giudizio con le dottrine degli Autori, che hanno scritto della materia Comica, e delle Comiche, e con la {p. 242}consulta di uomini virtuosi, dotti, e pratici nella quotidiana esperienza delle moderne Azioni Teatrali.

Dico 6. Non è probabile, che in un Savio, e virtuoso Superiore si trovi l’ignoranza invincibile dell’essere illecita la comparsa di Donna parlante oscenamente d’amore, e che l’avviso del confessore gli sia per essere dannoso, o cagionativo di scandalo negli altri, o di qualche sinistro, e grave accidente, e però non si può dissimulare l’avviso del Confessore; perché a questo è tenuto per l’officio, per la carità, e per le regole comuni date dai Teologi in simili circostanze d’obbligazione.

Dico 7. Il Confessore proceda all’avviso nelledebite circostanze , da solo a solo; e soprattutto con molta piacevolezza, ed umiltà. « Sermoni suo ita debent moderari Confessarii, et Concionatores »Nella Poli. Sac. l. 2. c.7. n. 3., dice Giovanni Stefano Menocchio, « ut in vita: inveni eos voluisse, omnes intelligant; nullo verò modo peccantis personam acerbiore reprehensione per stringere. Quod mihi mirum, quantum sapienter prastitisse videtur Propheta a Domino missus ad Ierobeam 3. re. 13 ».

Anche Reginaldo tra le interrogazioni da farsi al Principe penitente pone questa. « An non impedierit peccata lublica, et abusi sibi cognitos; quos impedire potuerit, et debuerit. An negligat, quod in suis adibus, et palatiis Deus offendatur, ludis mimirum vetitis, turpitudine morum otio. »De prud. Conf. c. 3. sect. 8.E credo sarebbe molto ben fatto l’offrire l’avviso con qualche Scrittura composta di buone ragioni, e spiegare con chiarezza, e brevità; in modo che l’avvisato le potesse leggere, rileggere, e ponderare da sé con molta maturità, ed attenzione, che così conoscerebbe vivamente l’obbligo suo, e gli soddisferebbe compitamente; moderando il Teatro, e lavando dalle scene, e dai banchi le comiche parlanti scandalosamente di lascivo amore. « Impius obfirmat vultum; qui rectus est, corrigit viam suam »Prov. 2 I. 29., dice Salomone; quasi volgia accennare, che come il vizioso non s’approfitta con gli avvisi, così il virtuoso avvisato corregge i suoi errori. {p. 243}

Appendice a questa nota
Per conferma del detto §

Il desiderio d’incontrare il vero senso degli uomini dotti; quando si spiegano le loro dottrine, suole essere buon maestro di sicurezza. E chi può soddisfare alla sua sete con l’attingere l’acqua dalla fonte, non cerca il ruscello. Io dopo aver proposto, e spiegato il presente Quesito, risolsi di sottoporlo all’acuta, giudiziosa, e sincera censura del medesimo Padre Giovanni de Lugo non ancora promosso al Cardinalato, con desiderio di essere illuminato; se nel mirare la luce della sua dottrina io vedevo corto, o per barlume. Gli scrissi, e scrivendo presentai il tutto, pregandolo caldamente di compiacersi di volere essere il Catone, e il Nestore della mia scrittura; e di significarmi con libera brevità il suo pensiero. Fui consolato nel desiderio; ed estinsi la sete nella bramata fonte: perché il Padre, supponendo, che io non condanni, come beramente non condanno ogni comparsa femminile in scena, mi rimandò il Quesito con la breve aggiunta del suo giudizio disteso nella seguente e precisa forma.

Tutta questa dottrina è santissima, e verissima: non essendo la mente dell’Autore (come non credo, che sia) condannare universalmente per peccato mortale ogni comparsa di Donna in palco; perché in ciò non si può dare regola generale; e le circostanze possono variare il caso; ma ogni volta, che « verba, motus, salus, et c. apta sunt per se ad generandas cogitationes turpes, delectationes, et c. ». Nel qual caso deve il Principe proibirlo, e il Confessore avvisarlo; e di più deve il Principe far diligenza; in modo che dal comaprire le Donne in Commedia on seguano tali inconvenienti. « Ita iudico, saluo, et c.
In Collegio Romano 10. Ianuar. 1642.
»

Io ora supplico umilissimamente ogni Principe, e ofni altro gran Superiore a volre fare un poco di riflessione alla chiara sentenza di questo moderno, e celebre Teologo, e provvedere per tempo, come può, e come deve ai gravi disordini cagionati dalla pubblica comparsa delle impudiche Comiche nel Teatro; ove con tante parole disoneste, e con tanti gesti brutti nuociono gravemente {p. 244} a quelle anime, che mancano nella virtù, mercè che non sono valorose, e Forti Amazzoni per il combattimento necessario alla difesa della Cristiana modestia, e castità.

Nota seconda

Di un Principe, che avvisato della illecita comparsa delle Comiche la leva dal Teatro. §

L’Umiltà è buona Cameriera per introdurre nei Gabinetti dei Principi le nostre suppliche; le quali dobbiamo formare « intingentes calamum§ 1 in gemebunda humilitate »; come ne avvisa Clim. E quando l’umiltà si collega con una buona ragione, impietra facilmente, che le medesime suppliche ci ritornino segnate con il grazioso, e desiderato Fiat. Voglio raccontare un solo fatto, che servirà di molte prove al detto mio.

Un Principe Vice Re di un nobilissimo, e fioritissimo Regno manteneva a spese sue, e d’altri Signori una numerosa, e principalissima Compagnia di Commedianti, i quali facevano nel Palazzo Regio le Commedie con gran concorso delle Dame, e dei Cavalieri. Comparivano nelle pubbliche scene le Comiche con i loro discorsi amorosi, e scandalosi alle persone deboli di virtù.

Un Predicatore della comapgnia di Gesù, astenendosi di parlar dal pergamoCCCLXIV contro i Comici osceni, per non dare ombra, benché minima, di censurare i Superiori, compose una scrittura con ragioni, parte di convenienza, e parte di necessità; e la presentò per mezzo del suo P. Provinciale con forma di Supplica al detto Principe, che non la sdegnò, anzi la gradì; ed aggiunse.

Io so, che unltimamente è uscito un Libro molto rigoroso intorno alle Commedie; ma non disse il nome dell’Autore: ed io credo, che alludesse alla bella, dotta, e breve Operetta scolastica, fatta da Girolamo Fiorentino Lucchese con titolo di Comædiocrisis; stampata l’anno 1637. che appunto allora era comparsa in quella Città. Il Principe a suo agio lesse la supplicante scrittura che era del tenore seguente.

 

Eccellentissimo {p. 245} Principe.

Supplica umilissimamente il P. Predicatore N. a Vostra Eccellenza in modo che comendi, che i suoi mnistri non diano licenza alle Donne dei Commedianti di salire nel pubblico banco della piazza, né di comparire nelle pubbliche scene del Teatro per le infrascritte ragioni.

1.perché il dar licenza concerne al foro esterno, nel quale si deve mirar al bene universale; e avantiCCCLXV darla siamo nel caso « ante factum », ciè quando il Superiore può, e deve temere della spirituale debolezza di molti, quali restano esposti ad un morale, e prosimo pericolo di peccare mortalmente; e a questo concorre con la licenza il Superiore.

2. perché la solita vista di Donna « aculeum voluptatis immittit », dice Basilio ho. 24. e Crisostomo aggiunge. « Plerumque inter ficit. ho. 3. in Isaiam ».  Di poi è certo moralmente, che tra tanti Spettatori di debolissimo spirito vi sarà uno, anzi più di uno, a cui si può dire con le parole dello stesso Crisostomo. « Spectasti, iniquitatem operatus es. ho. 3. de penit »  e a tale iniquità concorre con la licenza il Superiore.

3. perché il mirare la Donna, anche non ornata lascivamente, cagiona alle volte peccato di concupiscenza: che cosa dunque, cagionerà massimamente in persona viziosa, la vista di quella donna, che compare ornata con vezzi di lascivia, e vuol dilettare ? « Si ille, qui absque his irritamentis videt feminam, interdum ad concupiscendum trabitur; qui non solum videt, sed lascivientem videt, qui non millies libidinis captivus efficientur ? » Crisostomo hom. 7. in Mat. E a tale cattività concorre con la licenza il Superiore.

4. perché il Superiore da licenza ai Religiosi di predicare nelle piazze contro le Donne in banco, ive molti fanno peccati: e questi peccati può egli impedire con negare la licenza alle Donne. Dunque la deve negare; perché questo è modo più facile, e più efficace, che le predica, con la quale non s’impediscono affatto i peccati, ai quali concorre con la licenza il Superiore.

5. perché occorre spesso, che uno incontra per caso in piazza, o trova in Chiesa una Donna, non lascivamente acconcia, la mira con curiosità, e resta preso. Ora che farano quelli, che vanno apposta, {p. 246} non alla Chiesa, ma alla radunanza del banco; si fermano a mirare, e rimirare per molto tempo, e son di pochissimo spirito ? Certo è molto probabile, che commettano molti peccati « Si mulier fortè in foro obuia, et neglectins culta sapenumero curiosius intuentem cepit ipso viltus aspectu: qui non fortuitè, sed studio pergunt illuc, ac infacies feminarum defixos oculos habent, qua fronte poterunt dicere, quod eas non viderint ad concupiscendum ? Ubi coloribus picta gene ubi corporis habitus fucorum impostura aplenu est; ubi socordia spestantium, atque hinc nascens ad lasciviam exhortatio. » Se nella Chiesa, « ubi divinarum verborum enarratio, ubi Dei metus, multaque reverentia, frequenter, ceu Latro quispiam, clam obrepit concupiscentia, quomodo qui desidens, qui nihil sani neque audiunt, neq: vident, qui undique obsidionem patiuntun per aures, per oculos, possent superare concupiscentiam. » Crisostomo ho. de David, et Saule. E a questo concorre con la licenza il Superiore.

6. perché chi dice. Si proibisce il desiderare, non il mirare, ed io miro da lungiCCCLXVI. Si risponde. « Mulier de longe, libido proper de longe vidit David, et captus est », scrive S. Agostino in ps. 502. E se alcuni mirano da lontano, molti mirano da vicino. Alla proibizione poi del desiderare, e non del mirare, si risponde, che è vera; ma è poco distante « sensun a consensu »  al parere di un Dottore. E Cipriano de Spect. Avvisa. « Discit facere, dum consuevit videre. » Ed Eva al vidit aggiunse il Tulit. e Comedit. Gen. 3. E Ber. e grad. humil. nota. « Si culpa non est, culpa tamen occasia est. » E Ambr. L. 1. de Penit. c. 13. « Non crimen est, videsse sed ea vendum, ne origo criminis sit. » E Crisostomo ho. 3. in Isaia « Ignis concupiscentia simul atque intuitum elegantem attigerit formam protinus extorit animum », o con il consenso, o con la tantazione pericolosa, e prossima al consenso. E a questo concorre la licenza il Superiore.

7. perché chi da licenza di salire in banco, o di comparire in scena ad una Donna vana, da occasione agli Spettatori di cooperare al peccato di lei, e ai deboli di spirito di ordinare la loro vista a cosa viziosa. « Apponere studium circa sensibilia cognoscenda dupliciter potest esse vitiosum: uno modo in quantum cognitio sensitiva non ordinatur in aliquid utilè, sed potius avertit hominem {p. 247} ab aliqua utile consideratione; alio modo in quantum cognitio sensitiva ordinatur ad aliquod noxium; sicut inspectio mulieris ordinatur ad concupiscendium », insegna S. Tommaso 2. 2. q. 167. 2. 2. c. E quanti pochi sono quelli, che vedendo una Donna vana, e vanamente ornata in banco, o in scena, ordinino la loro vista a cosa utile ? E quanti molti sono, che la ordinano a cosa nociva ? E a questo concorre con la licenza il Superiore.

8. perché la Donna pecca mortalmente, quando sifa vedere senza legittima cagione da persona , che sa essere solita desiderarla. Quella, che compare in banco, o in scena, sa per esperienza, che sarà desiderata almeno da alcuni di pochissimo spirito, ai quali per piacere, si adorna; e se è brutta per natura, si acconcia con arte: né per salire in banco, o par comparire in scena, ha altra cagione, che trattenere, e dilettare, e allettare il popolo; in modo che così più facilmente si vendano le mercanzie dai Ciarlatani; e si faccia buon guadagno dai Commedianti. Ma questa cagione non basta per coonestare la sua pubblica comparsa, e i suoi vani ornamenti scandalosi per molte anime. E a questo concorre con la licenza il Superiore.

9. perché spesso avviene, che non solo la vita attuale di Donna in banco, o in scena ferisce l’animo di alcuni con un peccato; ma anche la sola ricordanzaCCCLXVII di lei dopo qualche tempo lo trafigge con nuovi peccati. « Qua spectasti, ad memoriam recurrunt », dice Crisostomo ho. 3. de Penit. E S. Antioco ho. 17. « Aspectus mulieris telum est veneno lethali litum. » Ed il piacere della vista « celeriter anolat », ma « vulnus non anolat: cerca consixa iaculo in vitali corporis parte, etiamsi Venatorum effugerit manus, nihil inde fert tucri » ; perché alla fine resta morta; « sic anima accepto concupiscentia iaculo, e curioso aspectu; etiamsi cum iaculo permittatur abire sine opere, tamen ipsa per se perit ». E a questo concorre con la licenza il Superiore.

10. perché nel vedere queste Donne in banco, o in scena non si cerca altro comunemente, che diletto sensuale. « Communiter qui intersunt, delectationis causa adsunt », scrive Caietano in 2. 2. Tho. q. 167. a. 2. ad. 2. E gli Spettatori si pongono in molte occasioni di vizi; che danneggiano l’anime, e la riempiono d’immaginazioni, e desideri brutti. « Multo facilius est principio Mulierem {p. 248} elegantis forme ne videre quidem, quam post quam spectaveris, irrequietam ex animo, qua inde nascitur, eiicere tumultuationem. » Crisostomo in c. 7. Ep. ad Rom. S. Paolo non permette, che la Donna, per savia, e spirituale che sia, insegnio in pubblico; perché, come nota Anselmo, parlando la Donna provoca, chi l’ode, a disonesto amore: che sarà dunque il veder una Donna vana, e udirla parlare di quelle cose, che sogliono udirsi da quelle, che compaiono nelle piazze sui banchi, o nei Teatri sopra le scene ? Il Demonio la piglierà per strumento da uccidere molte anime, scrive un Dottore; e lo prova la quotidiana esperienza; onde si potrà dire dello Spettatore vizioso il detto di Cipriano de speci. « Amat, dum spectat. » E a questo indegno amore concorre con la licenza il Superiore.

11. perché in Roma non si vede né Donna, né uomo nelle piazze salir in banco: ma si concede al Ciarlatano, o far circolo in terra, o salir sopra un cavallo. E questo esempio è almeno ragione di dubitare ai Superiori: se sia bene, o no, dar licenza di salir in banco alle Donne, e di consultare il caso molto bene con i Teologi. Così fece Monsignor Mastrilli già Arcivescovo di Messina, e risolse negar la licenza, che a lui toccava di dare. Così fece molto prima l’Arcivescovo, e Cardinale S. Carlo, e stabilì quel Decreto. « Principes, et Magistratus commonendos esse duximus, ut; Histriones, et Minos, caterosque Circulatores, es eius generis perditos homines e suis finibus ejiciant. » Act. Med. Eccl. par. 1. conc. Prov. t. 1. Che se alcuni Superiori danno licenza, forse non sono avvisati dei gravi danni, che seguono: che certo risolverebbero negarla, pensando allo strettissimo conto, che dovranno dare nel punto di morte: onde possono dire con Agostino. « Nos cum timore nominus, quam periculosa ratio deista sublimi sede reddatur. »

12. perché le Donne in banco, o in scena con il Buffone, o con altri frappongono per ordinario parole, o gesti osceni: ovvero altri le frappongono trattando con le Donne: onde qulle Azioni meritano il titolo di oscene, cioè impure, e eccitative di natura loro al peccato mortale; contro gli Attori delle quali scrive Lelio Zecca tr. De Sacr. « Cum hodierna die passam hac Arte abutantur, et obscena ubique misceant, a piis Principibus essent a cinitatibus pellendi. » E Fernandez in Gen. c. 34. 5. 2. n. 8. dice. « Quod malum nostra hac {p. 249} etate et mali perpetrant, et boni destent; sed qui possent, ac debeant illud prohibere, quare nolint, ipsi viderint, Deoque iudici reddiderint sub mortem sciscitantii. » E Adamo Contzen Polit. L. 3. c. 13. §. 4. scrive. « Non Principi licere talia inducere, non posse permittere. » E aggiunge. « Tam perniciosum malum uno verbo, una scheda tollare Princeps potest; et quia tam, facile obsistere potest, si non facia, servari ipse non potest. » E Cresollio in Mystag. L. 4. c. 16. parlando di tali spassi popolari dice. « Semper in eo elaboravere Princepes et Episcopico nomine digni, ut populi cupiditatem reprimerent. » E Francesco Patrizio de Instit. Reip. l. 2. t. 6. « Comediam, quam in Sicilia primum adinventam dicunt, recitari non placet, corrumpit namque hominum mores: eam, si volunt docti, legant. » E Guglielmo Baldesano nello Stimolo alle virtù par. 1. c. 9. Io non so, come si possano in alcun modo questi Spettacoli con apparenza di ragion difendere, se vogliamo vivere, e morire nella Fede di Cristo. Questo inculcò una volta il P, Bonaccorso Predicatore Sicliano della Compagnia di Gesù in Venezia ai Sig. Veneziani; e fece colpo si, che subito furono cacciati tutti i Commedianti osceni. E a questo, credo, allude il P, Mazarino Siciliano, e della medesima Comp. Ove scrive nel Disc. 58. fece cristianamente quella Serenissima Repubblica degna, che l’imiti ogni altro Principe.

E nel particolare delle Commedia dice chiaro nel Ragion. 110. No n si possono in conto nessuno lecitamente permettere. E dopo averlo provato, aggiunge per i Principi. Sappiamo, che saranno da Dio severamente castigati. E nel Disc. 58. ragiona dei Principi, e dei Prelati così.

Non è credibile, quanto sia risprensibile la trascuraggineCCCLXVIII dei Principi, e dei Prelati, che lasciano di procurare con Editti; e con pene la libarazione di si grave, e contagioso male: prego Dio, che li illumini ad eseguirlo, come essi sono a farlo streattamente obbligati, e non facendolo, sommamente rei di eterno castigo. Concludo con S. Tommaso 2. 2. q. 168. a. 3. Egli condanna i Commedianti, quando si servono di parole , o di fatti brutti, che di loro natura siano peccati mortali; e tali per ordinario non mancano nelle Commedie: perché sebbene i Comici sono avvisati a servareCCCLXIX la debita moderazione, nondimeno non la osservano lungo {p. 250} tempoCCCLXX; perché fanno, che più facilmente piacciono con l’impurità.

Quindi saggiamente la Signoria di Genova l’anno 1584. per pubblico decreto vietò le Commedie: e i Comici, dopo aver tentato più volte indarnoCCCLXXI di poter continuare, si partirono confusi, come dice Gambacorta in un suo trattato manoscritto. E Carlo V. santamente pubblicò una costituzione « de iis expellendis », la quale p riferita da Pietro Greg. L. 34. Synt. Iuris. c. 16. E Filippo II. Re di Spagna nella sua più matura età determinò di non prescrivere moderazione ai Commedianti, ma proibire affatto le Commedie; e le proibì con eterna lode del suo glorioso nome. Questo esempio dovrebbe servire di regola a tutti i Principi di Cristianità.

Io finisco la mia Supplica con le parole di un zelante Dottore supplicante in questo modo. « Omnes per Dominum obtestor, ut vel in concionibus, vel in sacris confessionibus, velin primatis colloquiis, quocumque tempore se dabit occasio, Reges admoneant, et Principes, ac Regios Senatores, Pretoresque Civitatum; nec tantum admoneant, sed etiam per Iesum Christum obtestentur, ut in istos morum christianorum corruptores severè animadvertant, et Comediarum Actores, Actricessq: procul relegent. Ribera in c. 1. Michee. » Che se a questa Supplica sarà negata ora la grazia, piangerò con dolore la rovina di molte anime; e supplicherò il Sugnore, per essere sentito, ed esaudito in altro tempo.

Il benignissimo Principe ricevette con un cuore pieno di docilità tutte le considerazioni, che ristrette nel foglio gli erano state presentate con umiltà: ne molto differì la grazia consolativa del Supplicante: poichè, passati pochi giorni, fece in tutto cessare le Commedie di Palazzo, e costrinse i Commedianti ad andarsene fuori dal Regno. Così fu ragguagliato il Predicatore con lettere congratulatorie di amici, e egli ne ringraziò affettuosamente la Divina maestà; e celbrà molto allora, e di poi ancora non restò di celebrare, la risoluzione presa da quel Principe Vice Re, e degnissima di essere seguita da ogni gran Superiore con l’imitazione. Il bene risplende in ogni soggetto a modo di lampo, ma in un Principe lampeggia a guisa di Sole meravigliosamente; e come del Sole disse Sinesio, così dico io del virtuoso Principe. « Lucere laboriosum non est Soli, cuius in natura splendor. » {p. 251}

Quesito Decimo quarto

perché lo scritto da alcuni moderni, e dotti Personaggi, che concedono la comparsa di Donne in Commedia, non basta, per giustificare il comparire delle Comiche mercenarie in banco, o in scena ? §

Non è impresa di debole Soldato l’opporsi alla forza di un valoroso Capitano: e lo scudo di Tersite non sostiene le saette lanciate dal poderoso braccio di Achille: poco avanzo di reputazione fa tra i dotti, chi pretende contraddire alle dottrine di personaggi eruditi, e consumati nel Liceo della Sapienza. Dico dunque a mio senso, che io, uomo affatto incognito ai letterati, e fornito di pochissima dottrina, e di nessuna erudizione, non pretendo in modo alcuno di oppormi ai moderni, e dotti Scrittori, che concedono la comparsa di Donna in Commedia, ma desidero interpretare a mio favore ciò, che scritto da loro sembra contrario a quello, che di presente io scrivo contro il comparire delle Comiche mercenarie nel Teatro, e discorro in questo modo.

Una difficoltà contro di me si può fondare su quello, che scrivono alcuni Moderni, gravi, e eruditi personaggi, dai quali si concede chiaramente la comparsa delle Comiche ordinarie nella modesta Commedia. Si legga Tommaso Garzoni nella Piazza Universale, che appunto chiamre si può Piazza di erudizione: egli tratta dei Comici nel Discorso 104. e loda mirabilemente, come Attrici di modeste Rappresentazioni alcune Comiche. La graziose Isabella, dice egli, decoro delle Scene, ornamento dei Teatri, ha illustrato questa professione in modo, che mentre il mondo durerà. Ogni voce, ogni lingua, ogni grido risuonerà il celebre nome d’Isabella. Della dotta Vicenza non parlo, che imitando la facondia Ciceroniana, ha posto l’Arte Comica in concorrenza con l’Oratoria; e parte con la beltà mirabile, parte con la grazia indicibile, facendosi divulgare per la più eccellente Commediante di nostra età. Non {p. 252}lascio da parte quella Lidia gentile della mia patria, che con si puliti discorsi, e con si bella grazia, piangendo un dì per Adriano, lasciò in un mare di pene l’affannato cuore di quel Poeta che perso nel suo amore le mandò quel Sonetto, che comincia. Lidia mia il dì etc.

Ma soprattutto parmio degna di eccelsi onori quella divina Vittoria, che fa metamorfosi di se stessa in Scena, quella bella Maga d’amore, che alletta i cuori di mille amanti con le parole, quella dolce Sirena, che ammalia con soavi incanti le almeCCCLXXII dei suoi devoti Spettatori: e senza dubbio merita di essere posta, come un compendio dell’Arte, avendo i gesti proporzionati; i moti armonici, e concordi; gli atti maestevoli, e grati; il portamento altero, e generoso, e in tutta la persona un perfetto decoro, quale spetta, e s’appartiene a una perfetta Commediante. Sin qui il Garzoni.

Ma io rispondo, che da questa difficoltà, presa da i due citati Scrittori, non resta abbattuta, benché combattuta, la mia Conclusione della illecita Compara delle vere Donne, Comiche ordinarie, e parlanti d’amore in Auditorio, ove sanno, e conoscono almeno alcuni in particolare, che sono deboli di spirito; perché in quanto all’autorità del Galluzzi dico, che egli parla, non di Donne oscene, ma di persone ridicole, che nella Commedia muovevano il riso senza oscenità: chi vuol leggere, vedrà, che egli tratta del ridicolo modesto, e condanna l’osceno, non solo come condannato dai Sacri Dottori; ma come riprovato anche da Tullio: e questo, che dico io qui in breve Italiano, egli dice ivi con lunga spiegaturaCCCLXXIII latina. E nel c. 11. scrive chiaro. « Satis hic habeo ea ex M. Tullio decreta proponere, que dictum ridiculum omni vacare obscenitate, ac turpitudine iubent. Ita enim hac de re precipit in Oratore perfecto ad Brutum. Illud admonemus tamen ridiculo sic usurum Oratorem, ut nec nimis frequenti, ne scurrile sit: nec subosceno, ne mimicum; nec petulanti, ne improbum. Qua sanè precipitio ipsi quoque Poete Comico congruit: ut enim hiuc maior quedam, quam Oratori permissa in hoc genere licentia sit, dari tamen venia non potest, ut a decoro, atque ab officio verecundia discedat; quod unicuique mortalium, adeoque ipsi, etiam Poeta Comico impositum {p. 253} esse, idem Cicero docere videtur in off. 1. Duplex, inquis est iocandi genus; unum illiberale, petualans flagitiosum, obscanù: alteram elegans, urbanum, facetum: facilis igitur est distinctio ingenui, et illiberalis ioci. Hec Cicero ipsis quoque Comicis prec epta concguentia tradit; qui si Christiani praterea sunt, audire Hieronymum debent pronunciantem, obscena verba esse principia moritura virginitatis. »

Così discorre questo uomo erudito intorno al Ridicolo: e io ne inserisco che se una vecchierella, o una Fanciulla serva, ovvero una Nutrice compare a far modestamente ridere gli Spettatori. Renderebbe la Commedia ridicolosa, ma non già oscena, né illecita per ragione di oscenità: perché la modesta comparsa di Donna ridicola, per far ridere, non è cosa oscena; benché possa essere illecita per altra ragione: come sarebbe, se ne venisse scandalo a deboli di spirito; né vi fosse cagione sufficiente per giustificarla. E tale scandalo viene dalla Comparsa delle Comiche ordinarie paralnti d’amore, anche senza oscene parole: né vi è cagione bastevole per la giustificazione: come ho provato altrove.

Aggiungo. Il Galluzzi non dichiara, se per Vecchierelle, Ancelle, e Nutrici intende vere Donne; oppore uomini rappresentanti le vere Donne: anzi pare, che egli accenni questo secondo, usando le parole. « Fingebatur. Finxerunt. Effingebantur. » E replica, come gli Antichi facevano comparire le persone Attrici in sembianze femminili, per muovere ad un riso modesto senza nessuna oscenita. né è cosa nuova, che un uomo si vesta da Donna, per rappresentarla; poichè, come ho detto secondo il oarere di Menocchio, coloro si chiamano Istrioni, i quali vestiti all’uso donnesco rappresentano i gesti dell’impudiche Donne. Dunque l’allegata autorità di questo Scrittore non è contro di me, che parlo di vere Donne, e parlanti d’amore, le quali oltre il danno, che recano nel Teatro, cagionano altrove mille inconvenienti.

Non voglio tacere, che il Galluzzi discorre (se io mal non discorrro) delle persone ridicole in ordine alle Commedie antiche dei Gentili, le quali erano in gran numero Amatorie, e abbondano di altri difetti sconvenievoli allo spirito cristiano; e però come sono state moderate in molte cose dalla Cattolica Religione {p. 254}; così odvrebbero moderarsi ancora dalla comparsa vera femminile, oscena, e scandalosa. E però Crisostomo tante volte, e con forza di tanto zelo, e di zelante spirito s’infiamma alla riprensione contro le vere femmine teatrali.

Ma i nostri Italiani Scrittori galantuomini hanno aggiunto alle persone antiche ridicole moderne, e peccaminose. « Nostri , dice Galluzzi, qui vernacula, popularique Italorum lingua scripsere Comedias, limites in eo genere protulerunt, infinitoque propemondum numero corum, qui risum concitent, suas anxerè fabulas. Inducunt enim pedagos, non eos tantummodo puerorum liberalium ductores, quo sitem fuisse scimus in Antiquorum Comedia: sed audaculos quosam Gramaticos, et putidos littaratos. Inducunt amenitissimos sermos, ancillulas fatuas, Medicos, aut Iurisconsultos levissimos.»C. 9. E quello, che a me pare peccaminoso, « versutissimos, ac petulantissimos pueros ». Giovanotti astutissimi, e sfacciatissimi, i quali poi contaminano il Teatro con le oscenità; e se trattano con le Comiche in Scena, non si astengono da gesti lascivi, né da parole brutte, e scandalose.

E questo basti, per mostrare, che l’autorità dell’Erudito Galluzzi, non è batteria per mia offesa; ma è piuttosto muro per difesa: né egli con la sua Dottrina favorisce punto la scandalosa comparsa delle Comiche mercenarie, e oscene; ma discorre con disegno di sterminare dai banchi, e dalle scene ogni mortale oscenità. Chi è professore di religiosa, e vera perfezione, brama cacciare dal mondo la Teatrale dissoluzione.

 

Appendice

Alla risposta data intorno all’autorità del P. Galluzzi. §

Si consola, non poco, chi, costretto di rispondere a qualche dottrinale obiezione, fondata sulle parole di un velente uomo, le interpreta in buono, e vero senso; e le dimostra non punto contrarie al suo perere. Io qui mi consolo; perché vedo, e conosco d’avere interpretato l’autorità del P. Galuzzi secondo il sentimento di lui medesimo. Ne stetti prima alquanto dubbioso, e per chiarirmene mandai alla sua censura il mio Quesito: e ne ricevei la seguente lettera per risposta. {p. 255}

 

Molto Reverendo in Cristo Padre.

La lettera di V. R. Con l’inchiusa scrittura mi ha trovato a letto con podagraCCCLXXIV e chiragaCCCLXXV, cioè prigione della divina Giustizia con ceppi ai piedi, e con catene alle mani: onde perché non posso scrivere, non posso neanche fare la qualificazione particolare a detta scrittura; come mi domanda: ma posso solo per ora con questa affermarle generalmente, che io non ho ami ineso col mio Trattato di dare favore acluno a quella maniera di Commedie, contro le quali elle declamasse che le R. Vostra in buono, e vero senso interpreta le mie parole. Io mi ritengo intento il foglio del suo Quesito, per potervi dare soddisfazione, quando avrò schiodato, e mi vedrò libero delle mani. Ove per fine affettuosamente la riverisco, e mi raccomando in memoria dei suoi santi sacrifici, e orazioni. Roma 15. Gennaio 1642.

Servo in Cristo umilissimo.

Tarquinio Galluzzi.

 

Questa lettera mi giunse in Fiorenza, d’onde subito riscrissi al Padre ringraziandolo dell’approvazione fatta cira la mia interpretazione, e pregandolo di non prendersi altro fastidio, e fatica di qualificare il Quesito: perché a me, e ad ogni altro poteva bastare la breve dichiarazione fatta nella lettera sua.

Nota Unica
Della Risposta intorno all’autorità del Garzoni. §

L’Uomo dotto non tratta sempre nello stesso modo la sua Dottrina: bene spesso fa comparire vestiti con diversa livrea e pensieri del suo intendimento: né egli molto cura, che quello, che intende spiegare talvolta con le regole della mondana, e ordinaria Politica, si possa poi giudicare dai Sacri Teologi, nocivo per {p. 256}qualche rispetto alle anime, e peccaminoso. Pretenderà talvolta un dotto lodare precisamente la finezza dell’Arte, con che una persona iniqua, e scellerata offende Iddio peccando, e non vorrà per quello lodare l’offesa, né il peccato; e saprà molto bene, che quella, come peccatrice, merita vituperio per la colpa dell’opera, ove come operatrice conquista lode per l’artificio dell’Arte. Ora supposto per vero questo piccolo preambolo di dire, io rispondo all’autorità del Garzoni dicendo, che elle non snerva la forza della mia Conclusione contro la peccaminosa comparsa delle Comiche: perché egli non tratta quella femminile comparsa lodandola, quasi che sia modesta, « Theologiche », Teologicamente, cioè lontana, e priva di peccato mortale, e di scandalosa rovina ai deboli di virtù; come la tratto io: ma egli la propone, e , loda come sia modesta, ed eccellente, « Politice », Politicamente, cioè artificiosa, e non disonesta, in quanto che le Comiche compaiono modeste senza gesti sconvenevoli, e senza parole do postribolo; e facendo per eccellenza la parte loro, acquistando gran lode dall’Azione rappresentata con squisitissimo artificio. E forse in questo senso spiegare si può Innocenzio Ringhieri, quando nell’Opera sua detta Cento GiochiL. o al c. 9., scrive. Nella Commedia s’introducono nobili Matrone, grandi Signore, ed eccelse Regine. E con questo può ben bastare, che sia cosa illecita, e peccaminosa: come se uno con parole, e gesti pudici, pieni però di artificio, cercasse di giungere all’illecita fornicazione.

Ma per dichiarare meglio, e più distintamente il senso, che il Garzoni mostra d’avere nel suo Discorso, ragionando, come Politico, e non come Teologo; voglio formare alcuni detti brevi, presi dal suo lungo ragionamento.

Dico 1. Egli scrive, che gli antichi Istrioni, pubblici recitanti di professione, non furono comunemente in onore; ma tenuti per vili presso tutti, e cacciati molte volte da Roma, e repulsi dagli onori dei Cittadini, e dei Soldati.

Dico 2. Egli aggiunse, che a qualche particolera Istrione, celebre, e famoso, fu anticamente data gloria secondo la virtù, e valore dimostrando pibblicamente in questa professione. E dei Comici del nostro tempo nomina unosolo, il quale si trasformava di rubicondo in pallido, e di pallido in rubicondo, come a lui pareva {p. 257}: e del suo modo, della sua grazia, del suo gentile discorrere dava ammirazione, e stupore a tutta la sua audienza.

Dico 3. Egli nomina quattro donne eccellentissime nel recitare, e le contrappone ad una Commediante tanto infelice nel recitamento, che lei scrisse così. Una Signora, oca nel dire, morta nel favellare, addormentata nel gestire, che ha perpetua inimicizia con la grazie, etiene con la bellezza differenza capitale.

Si vede dunque, che il Garzoni non tratta questa comparsa femminile in ordine alla coscienza, come Teologo; ma in riguardo all’eccellenza dell’arte, come Politico; e come discorsivo giudizioso, e Accademico Dicitore. Così egli avrebbe detto di un eccellente ladro recitante, di un’artificiosa Meretrice, e di un finissimo Ruffiano; avrebbe, dico, detto, meritano gran lode nel recitare; ma con tal detto non gli avrebbe giustificato dal peccato commesso recitando con scandalo degli spettatori deboli di virtù. Si loda anche talvolta per l’Arte, chi merita stare nell’Inferno per la colpa.

Dico 4. Egli dipinge con i colori della sua eloquenza quelle 4. Donne, come Comiche eccellentissime; ma insieme dimostra, due di loro essere state tali recitando, e comparendo, che da nessun Teologo, credo si possono scusare da peccato mortale: poichè una lasciò recitando in un mare di pene il cuore di un Poeta, che perso nel suo amore le scrisse un sonetto; o volgiamodire piuttosto, un’amorosa letterina dettata da un sonetto. E che amore fu quello ? Di virtù, o do peccato ? Di Paradiso, o di Averno ? Di Platone, o di Plutone ? Di Lodatore, o di Lussuriatore ? Io credo, che fu amore di perdizione, poichèil Poeta perso nell’amore mandò il sonetto; e se io credo male, e non sentenzio bene, mi rimetto al giudizio del benigno, e prudente Lettore per la sentenza.

L’altra donna è chiamata dal Garzoni Divina Vittoria, ed è descritta come allettatrice di mille amanti. Ma io, come Teologo, e non come Politico, stimo, che colei meriti il titolo di Diabolica Vittoria; poichè cagionava con la squisitezza scandalosa dell’arte al Demonio mille vittorie contro le anime di molti Spettatori, fiacchi posseditori di quella virtù, con che si mantiene il possesso della divina grazia.

LeggasiCCCLXXVI, da chi vuole, il resto scritto dal Garzoni nel cit. Discorso {p. 258}: io alla sua autorità di nuovo, e in ristretto rispondo, che la comparsa di quelle donne, da lui descritte: sebbene era modesta, e artificiosa, non era però lecita, ma scandalosa: perché cagionava rovina spirituale a molti; anzi quanto più decoro, e più modestia si vedeva in quella Comiche, tanto più allettato, e più rapito restava l’affetto lascivo, e l’amore dei poco virtuosi spettatori. Non repugno a chi stima, essere verissimo, che bene spesso un fatto, un gesto, ovvero una parola d’oscenità, e d’immodestia in una licenziosa donna cagiona sdegno, e odio nel cuore di chi la mira, e di chi la lode: ma ove si negozia d’amoroso affetto con termini, e con modi vergognosi, e pieni di modesto rossore; oh gli animi, e i cuori restano subito incantati, e fortemente incatenati.

Non dice male Beltrame, dicendo, che le pare, che la modestia solamente d’una bela Fanciulla sia più atta a fare piaga in un cuore, che il licenzioso volto, o premeditato discorso di una Comica.

Ma io dico, che più, che una bella, e modesta Fanciulla, sarà atta ad impiagare i cuori di molti quella Comica, che non avrà licenzioso il volto, ma l’avrà modesto. E artificioso: e di più si farà sentire, e vedere con vivezza di premeditato discorso, con saette di balenanti sguardi, con vezzi di bocca ridente, e con le potenti lusinghe di una persona tutta ben composta, e tutta fatta, per essere un’esca attrattiva degli umani affetti. Insomma la comparsa femminile di Comica artificiosa, se non è svergognatamente oscena, per certo è perniciosamente rovinosa amolti deboli della cristiana perfezione: e una bevanda avvelenata, ma dolcemente zuccherata: consola per alquanto l’occhio impudico; ma lascia il cuore ferito, e per sempre sconsolato; il diletto della sua compiacenza è mercede della vista cusriosa, e vita licenziosa; ma il rimorso della coscienza è stipendio della morte spirituale, e del peccato in sempiterno. {p. 259}

Quesito Decimo terzo

Se la detta comparsa è illecita, perché non si leva dallo stato Ecclesiastico ? §

Le tolleranze dei virtuosi, e savi Principi sono talvolta leggi di giudiziosissima prudenza: onde conviene essere ammiratore, e non censore; quando l’evidente ragione non convince, che qualche tolleranza di un Principe sia affatto intollerabile: tocchiamo il punto del proposto Quesito, e diciamo così.

I principalissimi Superiori dello stato Ecclesiastico sanno molto bene, e per esperienza, o per certissima relazione, che i Commedianti, e i Ciarlatani vanno con le loro Femminelle attorno per tale stato; e fanno le solite Commedie con i discorsi amorosi: e nondimeno tollerano; e non avvisano i Governanti, né i Vescovi, che levino le sordidezze di così fatto abuso, che proibiscono la comparsa delle Donne in scena, o in banco. Dunque è segno, che si poò tollerare per qualche ragione. E di vero è troppo grande irreverenza, ed è ardire di troppo sfrontata fronte giudicare i Superiori, tanto eminenetemente qualificati, o poco zelanti, o nno sufficientemente addottrinati: segue la gigantesca superbia, chi combatte il cielo con le montagne.

Rispondo. Veramente la nebbietta di questa difficoltà offende un poco l’occhio di molti, non dico semplici, ma dotti, e dotti nella Teologia. Una volta un valent’uomo chiaram, ente di disse. Io con il riparodi questo argomento estrinseco mi difendo dalle saette del rimorso di coscienza, e stimo, che si possano tollerare queste Teatrali oscenità; perché « Superiore vident, tacent, et tolerant. » I Superiori le vedono, tacciono, e le tollerano.

Io non professo di essere l’Achate di questo Enea: me ne vado lungi dal suo Teologico parere: e ricordo, che « tolerantia sola, supposita scientia »De leg. l. 7. c. 13. n. 15., come dice Suarez, « non indicat sufficienter consencum; quia multa per patientiam tolerantur, que non approbantur, iuxta cap. Cum iam dudum, de prebend ». Io ora dichiaro il mio senso con questo odine.

Dico 1. La difficoltà di questo presente Quesito si fonda in argomento, {p. 260} e concetto estrinseco. Ed io discorro in questa materia per « conceptum intrinsecum, et secundum rei naturam precise », per concetto intrinseco, e secondo la natura della cosa precisamente: però non ricorriamo al modo, che tengono nel governo i Sign. Superiori; perché io lo riverisco umilissimamente; né uso censurare, né censuro in modo alcuno. Le Aquile grandi spiegano i vanniCCCLXXVII loro sopra gli amati figliuoli, per essere celebrate, non censurate.

Dico 2. I principalissimi Superiori dello stato Ecclesiastico stanno in Roma, e non danno licenza, che in quella Città le Femmine dei Cristiani salgano in banco nelle piazze; né che il popolo Romano, ovvero i Signori di Campidogli chiamino, e provvisionino le Compagnie dei Comici; in modo che con le loro Comiche facciano le oscene Rappresentazioni. Ecco questo modo i detti principalissimi Sig. e Superiori mostrano bastevolmente con i fatti, e con il governo loro presenziale quello, che sarebbe convenientissimo, che tutti gli altri eseguissero nella propria giurisdizione con una Politica, con una santa Politica, e prudente imitazione. Io so di un Signor Governatore nello stato Ecclesiastico, il quale fu più volte pregato a dare licenza, o permettere, che uno salisse in banco a fare le solite zannate, per vendere meglio i suoi segreti, e sempre stretto fermo sulla negativa, dicendo. Faccia il circolo suo in terra come fanno i Ciarlatani in Roma. E o piacesse alla divina maestà, che la moderazione, la quale per ordinario si vede in quella Città santa circa le Teatrali bruttezze, e la Femminile comparsa nelle scene, o nei banchi, si vedesse in tutta la cristianità; certo che le Comiche innamorate si vedrebbero poco in scena, e mai in banco. Che se alle volte si è permesso; ovvero si permetterebbe, l’abuso di qualche oscena Commedia in Roma per qualche buona ragione; o almeno che paresse nel tempo più dissoluto dell’anno con probabile speranza d’impedire qualche male maggiore, tale permissione non dovrebbe allegargli, per dare nelle città cristiane positiva licenza; e per ammettere senza ragione in altra parte dell’anno le oscenità del banco, o della scena: ma sarebbe necessario consultare il dubbio con i Teologi, e con i pratici virtuosi, e zelanti del pubblico bene; e poi risolvere, e decretare la concessione, {p. 261} o la negazione della licenza. E si ricordino i Savi del nostro tempo il detto di Alessandro Afrodiseo. « Veteres varia scenarum oblectamina sibi excogitarunt, ut animum solatiis, modo his, modo illis exceptum, ab angore seinugerent. »l. 2. Proble. Alex. N. 18. Par. 6. Aris. Cioè. Gli antichi trovarono vari diletti della scena per ricreare l’animo travagliato, e non già per riempirlo di vizi, e di peccati.

Dico 3. I principalissimi Superiori costituiscono per lo stato Ecclesiastico personaggi approvati, e per la Dottrina, e per lo zelo giudicati sufficientissimi al governo: onde essi vivono sicuri in coscienza, così soddisfacendo all’obbligo della carica loro suprema, e principalissima. Tocca agli inferiori Governanti vigilare con sollecitudine all’esecuzione del debito; né devono permettere un abuso nella loro giurisdizione; perché si permette in un’altra; poiché il solo esempio di altri circa un permesso male, « quod intrinsece sit malum », che sia male intrinsecamente, non giustifica la loro permissione. Né un uomo dotto si deve principalmente appoggiare ad argomento estrinseco; m deve penetrare ben dentro le mura della cosa, per poter fondatamente pronunciare intorno alla sua malizia, ovvero bontà. Spessissimo avviene, che, se uno dice. È peccato permettere in questa Città le oscenità del Teatro, oda rispondersi, non solo dai semplici, ma dai Dotti ancora. E perché si permettono in quell’altra ? E se in quell’altra si domandasse; si udirebbe rispondere. E perché si permettono in questa ? Nell’una, e nell’altra sono persone dotte, zelanti, e virtuose: e per tutto si ode quella circolare risposta, degna più di pianto, che di riso. Si permette qui, perché si permette lì: si permette lì perché si permette qui: e all’ultimo si riduce il tutto a domandare. È come si permette a Roma ? Ed io dico, che a Roma, o non si permette assolutamente; o se si permette alle volte, la permissione sarà con sufficiente ragione, o la debita moderazione: e però non giustifica se stesso bastevolmente, chi dice. Io permetto qui; perché altrove parimente è permesso.

Io persuasissimo vivo, che se i principalissimi Superiori fossero dagli inferiori interrogati nel punto della comparsa delle Femmine parlanti d’amore in scena, o nel banco; massimamente con riguardo della pratica, e della debolezza di spirito di moltissimi Uditori, risponderebbero con una totale proibizione. E certo fondatamente; perché essi sono i Moderatori supremi dei costumi {p. 262}, ai quali tocca la regola più della pratica, che della speculativa per una parte, e per l’altra non vi è alcuna probabile opinione per giustificare questo grande abuso dell’oscenità teatrale, che per ogni banda corre con tanta libertà, ed impurità.

Dice saggiamente il grave, e moderno Teologo Ribadaniera per acconcioCCCLXXVIII di tale abuso, dicendo. Perché nelle cose morali non si deve considerare tanto quello, che si può fare, quanto quello, che si fa, e secondo il corso comune probabilmente sempre si farà: bene è assai chiaro quello, che di simili Rappresentazioni si deve giudicare; e quello, che devono comandare i Governatori delle Repubbliche, i quali alle volte permettono alcuni mali, per schifarne altri maggiori; e anche per non sapere tanto in particolare tutti i danni, che quindi ne seguono. E quelli che nascono da queste Commedie, non si può sapere, quanto siano grandi. Così spiega il suo senso il Ribadaniera.

Con ragione dunque bramo io, bramo ardentemente, che i Supremi, e principalissimi Sig. Ecclesiastici, e Secolari siano, da chi può, informati pienamente, e distintamente della qualità di questo pestifero morbo; perché ho sperimentato in molte città, che quando il Superiore ha inteso l’inconveniente, vi ha posto efficace rimedio, proibendo affatto la femminile comparsa nel banco, o nella scena; e così credo farebbero tutti, se fosse loro supplicato: e se leggessero le suppliche, che da dotti si possono formare, e sarebbe conveniente, anzi necessario, che si formassero, e formate si offrissero contro le teatrali oscenità delle moderne Rappresentazioni.

O gran disavventura di alcuni Principi, che la verità se ne fugga quasi bandita dai Palazzi loro, rimanendovi numerosa moltitudine di adulatori, tra i quali sebbene non mancano alcuni, molti, che giudicano delle cose rettamente, nondimeno, temono e forse di esporre liberamente con parole il proprio sentimento.

« Ab aulis quorundam Principum, eorum vel infortunio, vel vitio veritas exulat; omnibus ferè, qui illis viuunt, ad turpem quadam adulationem adeo proiectis, ut licet de rubus benè sentiant, eloqui {p. 263} tamen, quod sensirit, pertimescant »L. 2. C. 7. N. 1., scrive Giovanni Stefano Menocchio nella sua Politica, e sacra Istituzione, e accenna il mio suddetto pensiero, fondato nella quotidiana esperienza, e verità, dalla quale segue un gran nocumentoCCCLXXIX alle anime, e alla Repubblica: « magno animarum, Reipubliceque detrimento », soggiunge il medesimo Autore.

Che se il Comico Cecchino scrisse i suoi brevi Discorsi, e gli inviò da Napoli a Roma l’anno 1616. all’Eminentissimo Sig. Cardinale Borghese, nipote del Pontefice allora Regante, e disse ciò fare, desiderando, che fossero Supplica; e che domandassero giustizia a Nostro Signore: perché non possono fare lo stesso gli Scrittori cristiani, e zelanti della salute delle anime ? Certo possono chiedere giustizia, e possono supplicare ogni gran Signore, che giustamente distrugga tutti gli eccessi del Teatro.

Io uomo da niente, e miserissimo peccatore, se fossi ai piedi dei supremi Monarchi, umilissimamente supplicherei, che ponessero freno allo sfrenato corso di questo rovinoso abuso, e pestilente infezione: e credo, che tutti i Ministri loro si accomoderebbero subito ad un cenno, e molto più ad un espresso impero formato per la necessità di tanto desiderato provvedimento. I difetti popolari servono da sproni per fare, che il Principe spinga il suo volere, quasi generoso destriero nell’arringo di provvido Legislatore. E la colpa grave delle oscenità suona la tromba, per concitarsi contro lo stimato sdegno dei savi Principi, e degli zelanti Imperatori. Il politico, e santo governo della cristiana purità imita santamente il divino costume, e oppone la forza del suo divieto all’ardire dell’altrui eccesso; e quando il divieto è trasgredito, la Giustizia è spedita alla vendetta: insomma chi comanda a tutti, deve differire i suoi comandamenti, chi può con essi rimediare a gravissimi inconvenienti.

Non voglio tacere quello, a cui io fui esortato caldamente da un Illustrissimo Vescovo di Sicilia l’anno 1639. con questa forma di parlare. Voi Padre con le vostre fatiche predicatorie, e con le scritture scolastiche avete fatto frutto nel nostro Regno per divina grazia contro l’abuso della comparsa femminile nel pubblico banco, e nelle pubbliche scene: e io certo non permetterò nelle {p. 264} parti soggette alla mia pastorale giurisdizione. Ma dico bene, che col tempo né qui, né altrove durerà con perseverante fermezza. Però elle in Roma supplichi con Memoriale alla sacra Congregazione dei Vescovi, e faccia istanza, che scriva una lettera a tutti i Superiori Ecclesiastici principali del Regno, cioè Arcivescovi, e Vescovi, esortandoli ad estinguere affatto ogni minima scintilla di questo teatrale, e femminile incendio.

Questo fu il senso di quel zelantissimo Vescovo; che come fu gratissimo a me allora; così desiderai, e desidero tuttora praticarlo felicemente, non con un solo, e semplice Memoriale alla sacra Congregazione, ma con la presente Opera, che con Titolo di Ricordo mando ad un amico; ma bramo sia mandata come umilissima Supplica a tutti i Sig. Superiori, e a tutti i supremi Principi, Prelati, Governatori, Magistrati, e simili; in modo che con il potente correttivo di salutare moderazione provegganoCCCLXXX a gravi mali, che nascono dalla femminile comparsa, e dalla sua oscena dissoluzione.

Voglio di più pregare i Commedianti, professori di cristiana modestia, a ponderare da senno, non solo quello, che dicono gli allegati Santi, e Dottori, e Teologi antichi, e moderni; ma quel poco ancora; che Pio Rossi nel Convitto Morale, stampato nell’Eccelsa, e Serenissima Città di Venezia l’anno 1639. diceva con tale tenore.

Quanto gli Spettacoli saranno più onesti, e più gravi; tanto maggiore forza avranno di allettare, dilettare, e trattenere il popolo; perché la felicità, alla quale mirano questi trattenimenti, consta di due cose, di piacere, e di onestà: onde si loda più la Tragedia, che la Commedia; perché le materie Comiche sono ordinaria mente tali, che l’onestà non vi ha parte alcuna: e i Comici fanno più presto l’officio di Ruffiani, che d’Istrioni.v. Passatempo pubblico.

Per ultimo devo pregare i Signori Accademici, o altri, che talvolta, senza essere Comici di professione, fanno qualche Commedia, che diano pienissima fede ad un dotto, e zelante Teologo moderno, ed è il Padre Gambarotta, il quale in un Trattato manoscritto dice.

È cosa chiara, che le Commedie correnti sono tanto perniciose, e pestifere, che meritano di essere spianate affatto: e tutti i Principi {p. 265} dovranno aprire gli occhi a questo gran disordine. Ed il detto s’intende anche delle Commedie non mercenarie: (notate o Sign. Accademici) la ragione si è: perché la malizia della Commedia non dipende dall’essere, o non essere, mercenaria; ma dalle regole del Si. Tommaso: onde gli Attori, che non fanno di professione di Scettici, peccheranno mortalmente, rappresentando una Commedia spensierata; ma non incorreranno le altre pene dei Comici Professori.

Dunque ciascun fedele, che professa l’osservanza della divina legge, procuri con la debita cautela di astenersi dalla composizione, e dal recitamento della Commedia oscena, la quale (come ho detto sul principio di questa Operetta, e qui sul fine replico, seguendo l’avviso di chi scrisse già. « Sciens repetoPetrarc. Dial. 118., ut altius imprimam » è quella Commedia, la quale notabilmente, e efficacemente eccita alla disonestà. E questo eccitamento e le può fare in molti modi. 1. O per natura sua, essendo tale, cioè eccitativa efficacemente alla disonestà. 2. O per accidente, essendo udita da persone deboli di spirito. 3. O con l’argomento impuro. 4. O con un’impura parete dell’Azione. 5. O con un Intermedio turpe. 6. O con parole, ovvero con alcuni fatti, ovvero con il modo d’impurità mortale. 7. O con la comparsa di Donna vera, Comica di professione, ornata lascivamente, e parlante d’amore in pubblico Auditorio, ove sa, che sono molti deboli di virtù; e ne conosce alcuni in particolare.

Finisco questo Ricordo, detto, la Qualità, scritto a voi o Amico, in modo che possiate con le dottrine, e a rigore scolastico, distinguere l’Azione lecita dall’illecita, e la Commedia modesta dall’oscena. Che se voi giudicherete, che io abbia dischiarata bene la sua brutta natura, forse tale dichiarazione servirà di confutazione: e come dir si suole, e come scrive Giovanni Molano. « Heresium aperuisse, est eam refutasse » : così dire si potrà. « Comediam aperuisse, est eam refutasse. »De Picturis l. 1. C. 5. Pag. 40.

Ora io, minima creatura supplico umilissimamente l’Onnipotente Creatore, e maestoso Iddio, che faccia riuscire questo Ricordo a molta gloria sua, e a molto frutto spirituale dei Fedeli. Tra tanto mi consolo con il giudizioso detto di Salviano. « Hoc infructuosum saltem non erit, quod prodesse tentavi; mense nim boni {p. 266} studii, ac pii voti, etiamsi effectum non invenerit boni operis, habet tamen premium voluntatis. » Cioè. Almeno questo non sarà cosa infruttuosa; che io ho tentato di recare ad altri giovamento: poiché mentre fornita di buona diligenze, e di prezioso desiderio, benché non trovi l’effetto della buona operazione, nondimeno riceve il premio della buona volontà. Il tentativo di giovare al bisogno degli altri è fonte di molti beni per giovare a se: onde si può consolare non poco in se stesso, chi non poco brama confortare altri nella virtù; poiché il vero zelo di servire all’altrui bene, serve ancora al bene della propria consolazione. « Etiam non assequutis voluisse abundè pulchram, et magnificum est» , disse quell’antico, e io dico ora, e concludo con il dotto Salviano. « Infructuosum non erit, quod prodesse tentavi » : lo sforzo di giovare ad altri è a se medesimo un dolce frutto.


Il Fine. {p. 267}

Indice delle materie. §

A §

Allettamento Femminile nuoce a tutti. Pag.CCCLXXXI 96. Ne la Femmina si scusa dicendo. Io son casta di mente. Pag. 97.

Alessandro avrebbe corso con i Re suoi pari. Pag. 45.

Amore.

La materia amorosa si dovrebbe levare dal Teatro. Pag. 190. Amor Platonico, che cosa sia. Pag. 224. Non si deve proporre nelle Commedie. Pag. 225. Un libro di tal’Amore fu censurato, e sospeso. Pag. 225, 226.

Arsenio non voleva ricordarsi di una Donna. Pag. 171.

Artificio da pochi è distinto dal pericolo di peccato. Pag. 183. E dal diletto osceno. Pag. 183, 184.

Azioni.

Le drammatiche Azioni antiche erano più immodeste, che le moderne. Pag. 6. Ma le moderne ancora hanno bisogno di moderazione. Pag. 5, 6.

L’Auditorio pubblico delle Commedie a molti deboli di virtù. Pag. 26. Gli Auditori non distinguono l’artificio dal pericolo. Pag. 183. Né l’utile dal diletto. Pag. 184. Biasimano, o lodano i Comici secondo il merito. Pag. 184.

B §

Ballo della Comica nuoce alle anime. Pag. 153. È peccato. Pag. 154.

Beltrame dichiara il decreto di S. Carlo bene prima. Pag. 13. Ma poi male. Pag. 14, 15. Correggeva i Compagni osceni. Pag. 23. Spiega malamente Comitolo. Pag. 51. Condanna alcuni Comici moderni. Pag. 65. Che cosa contenga nel suo libro. Pag. 69.

S. Buonaventura non è contrario a S. Tommaso circa i Comici. Pag. 214.

Bruttezza è di due sorti. Pag. 33.

Ballerina castigata dai Diavoli. Pag. 154. Uccisa con bastone. Pag. 155.

C §

Caccia del Pesce Spada. Pag. 171.

Canto è di molta utilità. Pag. 145, 146. convertì un Mimo. Pag. 147. Lascivo nuoce. Pag. 147, 148, 150. É cosa diabolica. Pag. 148. Si fugga. Pag. 148, 149. Cantatrice disonesta castigata dai Demoni. Pag. 155.

S. Carlo fece un decreto a favore dei Comici moderati. Pag. 11. E ne fece un altro contro gl’immodesti. Pag. 12, 13. consultava con molti Dottori. Pag. 15. Carlo V una {p. 268} Costituzione di cacciare i Comici. Pag. 250. Al Cristiano non basta il nome. Pag. 20.

Ciarlatano nuoce alle anime con parole, e gesti. Pag. 40. Uno dilettava con Favole modeste. Pag. 93. Un altro conduceva due Figliole. Pag. 108. Due modesti con ridicolo si acquistarono audienza. Pag. 98.

Congregazione Mesinese detta del gran frutto. Pag. 137.

Commedia, che cosa è. Pag. 104. È lecita. Pag. 9. Quando illecita secondo S. Tommaso. Pag. 22. L’oscena quale sia. Pag. 5. Perché dichiara. Pag. 68. Non è conosciuta. Pag. 68. La moderna ha delle oscenità. Pag. 36, 37. Molte Commedie oggi sono illecite. Pag. 65. Un’oscenissima. Pag. 211. Stampata nuoce. Pag. 221. Perché l’oscena si tolleri stampata. Pag. 222. Recitata è peggiore, che la stmapta. Pag. 222, 223. La vecchia aveva ridicoli osceni. Pag. 102. Si può far senza la donna. Pag. 104, 105.

Comico

L’officio del Comico moderato è lecito. Pag. 8, 47, 56. Recita modestamente avanti i Principi buoni. Pag. 230. Ha aggiunto nuovi personaggi al Teatro. Pag. 254. Studia assai. Pag. 93, 106. può dilettare senza oscenità. Pag. 93. Sue buone qualità. Pag. 106. Non è scusato dall’ignoranza. Pag. 90. Si può informare da Teologi. Pag. 90. Nuoce nei beni spirituali. Pag. 40. Ve ne sono dei virtuosi. Pag. 19. Dei buoni, e dei rei. Pag. 11. Fanno delle opere buone. Pag. 19, 20. e però non dovrebbero poi recitar immodestamente. Pag. 21. Perché furono licenziati da Milano. Pag. 11. Condannano alcune Commedie moderne. Pag. 64. Sono osceni per ordinario. Pag. 264. Hanno bisogno di buon guadagno. Pag. 116. Non osservano la prescritta moderazione, quando sono osceni. Pag. 67. Spendono assai. Pag. 116. Cercano ogni via di guadagno. Pag. 118. Alcuni conducono le Figliole. Pag. 107. E le mogli. Pag. 108. Uno si risentì contro un Predicatore. Pag. 108. Uno gettò un Predicatore in un fosso. Pag. 120. Uno faceva le Commedie solo da sé. Pag. 197. Gli antichi scrittori di Commedie non introducono Giovani, e Giovanette a parlare lascivamente insieme. Pag. 208.

Comica

Che donna sia. Pag. 74. Finge talora di essere moglie del Comico. Pag. 114. Perché gusti di dare quest’arte. Pag. 115. Non osserva la prescritta moderazione. Pag. 215. Una deplora la sua miseria ma non si emenda. Pag. 38. Aiuta il guadagno dei Comici. Pag. 122. E dei Ciarlatani. Pag. 121. Nuoce in Teatro, in casa. Pag. 124. Una riceve la visita con immodestia. Pag. 125. Non è obbligata seguire il Marito Comico nel peccato. Pag. 126. Anche brutta alle volte è amata. Pag. 141. Nuoce assai con la grazia. Pag. 144. E col canto. Pag. 144, 145. Ragioni {p. 269} di levarla dal Teatro. Pag. 245. Nuoce con la ricordanza. Pag. 170. Discorre senza oscenità. Pag. 176. Poche così procedono. Pag. 177. Molte peccano con le parole. Pag. 177, 178. Vecchie spiacoiono. Pag. 178.

Comparsa

Di vera Donna in scena è lecita, ma pericolosa. Pag. 71. Come sia illecita secondo gli antichi Dottori. Pag. 74. E moderni. Pag. 76. E per quale ragione. Pag. 79. L’oscena non è permissibile. Pag. 234. È un’oscenità in fatto. Pag. 89. È invenzione del Diavolo. Pag. 130. Nuoce in più modi. Pag. 130. 131. Anche le Donne brutte comparendo muovono. Pag. 85.

Compassione propria del Giusto. Pag. 1. Confessore di Superiore quale deve essere. Pag. 235, 241, 242.

Conversazione

Alcuni vanno a conversazione in casa delle Comiche sfacciatamente. Pag. 127. Altri vi fanno giochi. Pag. 127.

D §

Decreto Sinodale di S. Carlo contro i Comici. Pag. 12. Perché non fosse fermato con distinzione de i buoni dai rei. Pag. 19.

Decio Liberio recitò in Teatro per forza. Pag. 45.

Demoni sono promotori di vari vizi, uno presiede ad un vizio, e un altro ad un altro. Pag. 148. Uno fece applauso grande ad un osceno Cantore 151.

Diletto si piglia difficilmente dal solo artificio comico, e non dalle oscenità 185. Quando nasca dall’artificio solo. Pag. 187. Dilettazione morosa è peccato mortale. Pag. 135.

Dottori antichi sono contro le mercenarie Commedie correnti. Pag. 47, 48. E i moderni. Pag. 51, 57, 660. Gli antichi sono contro la comparsa della Donna in scena. Pag. 75. Né dubbi circa le Commedie si deve ricorrere ai Dottori. Pag. 7.

Donna

Veduta nuoce. Pag. 71, 139, 245, 246, 143, 173. Se pecca, o no coprendosi il petto con velo trasperente. Pag. 38. Comparsa quasi nuda in Commedia. Pag. 37. Non è obbligata ad obbedire al Marito in cosa brutta. Pag. 38. Nuoce con le parole. Pag. 72. Modesta alletta. Pag. 258. Fu introdotta in scena da Frinico 73. Solo comparendo in pubblico alletta al male. Pag. 88, 95. Una si dannò per gli ornamenti vani. Pag. 103. È detta Anatra. Pag. 133. Una brutta fu amata troppo. Pag. 141. Compare ornata in molti luoghi lecitamente. Pag. 180. Come possa ornarsi per il Teatro. Pag. 217. E quando pecchi per cattivo fine. Pag. 217, 218. Si custodisce difficilmente. Pag. 110. Una rapita. Pag. 110, 111. Se è obbligata, o no di ritirarsi dall’essere toccata disonestamente 113. Impedita di comparire in banco 119. 120 {p. 270}. Pericolo di mirarla. Pag. 131. Non si ammetteva in Teatro cinquant’anni prima. Pag. 229. Vista una sola volta rovina. Pag. 227. Non si vesta da uomo. Pag. 161. Se può vestirsi così per saltare. Pag. 164. Non pecca mutando la veste femminile in virile. Pag. 164,165. alle volte pecca venialmente. Pag. 166. Altre moralmente con intenzione gravemente viziosa. Pag. 167. Non pecca vestendosi da uomo per saltare in presenza di persone forti di spirito. Pag. 167. Pecca vestendosi per saltar in pubblico Teatro. Pag. 168. Alcune Donne nobili lasciarono un disegno di recitare 72. Altre recitando cagionarono grandi mali. Pag. 73. Alcune lodate dal Garzoni perché. Pag. 257. È ambiziosa. Pag. 115.

E §

Equivoco osceno con belle parole non è lecito. Pag. 27. Anzi è peggiore. Pag. 28.

Empusa ballerina tristaCCCLXXXII. Pag. 153.

Ecclesiastico non reciti in Commedia. Pag. 41,42

F §

Fanciulletta condotta via da Comici. Pag. 117.

Fatto brutto mortale qual sia. Pag. 32, 33. uno bruttissimo di Comico. Pag. 35. Uno di Ciarlatano. Pag. 35. Quanti brutti mortali fanno oscena la Commedia. Pag. 34, 35.

Ferdinando II Imperatore per un atto brutto impedì il recitamento di una Commedia. Pag. 34. Filippo II proibì le Commedie. Pag. 250.

Fine buono non basta a fare buona l’azione. Pag. 190.

Frinico fu il primo ad introdurre la Donna in scena. Pag. 73.

G §

Gentiluomo se può recitare, o no con i Comici. Pag. 42, 43. Sig. Card. Giovanni de Lugo approva una dottrina dell’Autore. Pag. 243. P. Gio. Paolo Navarola riprese pubblicamente alcuni Comici osceni. Pag. 67. Giusto è compassionevole. Pag. 1. Un guadagno duplicato, e disonesto dei Comici. Pag. 128.

Giovanetto

Castigato, perché si vestiva da donna. Pag. 191. Quanto gli sconvenga tale veste. Pag. 192. Recitando in scena non cagionano maggiori mali, che le donne. Pag. 189. Come si potrebbero tollerare in scena. Pag. 222. Si fanno acconciare in casa. Pag. 193. Un uomo per acconciare i capi dei Giovanetti vestiti da donna patì gran tentazione vicino a morte. Pag. 194. Perché non si approvano i Giovanetti vestiti da donna in Commedia. Pag. 195. Casi di scandalo. Pag. 195. Un caso di tentazione a un Religioso. Pag. 196. Tre Giovani bruciano. Pag. 197. Non si devono introdurre a ragionare lascivamente con Donne in scena. Pag. 209.

H §

HitrioneCCCLXXXIII

Che significhi. Pag. 192. {p. 271}

ICCCLXXXIV §

Ignoranza non sempre scusa. Pag. 90, 231. Luogo indedito alla Commedia profana quale sia. Pag. 41. Lascivo spende assai per la donna Comica. Pag. 123, 129.

M §

Magodo era un Comico antico lascivo. Pag. 192.

Il Marito non può sempre custodire la Moglie Comica. Pag. 109, 123. E per lei patisce assai. Pag. 110, 111. Un tristoCCCLXXXV si ritirava, quando la moglie Comica era visitata. Pag. 126. Matrimonio è rappresentato dai Comici con peccato. Pag. 201. Non ogni atto matrimoniale è lecito in pubblico. Pag. 207. Meretrice vestita da uomo con Banditi. Pag. 162. Una si vergognò di peccare in pubblico. Pag. 209. Musici mercenari perché viziosi. Pag. 145. Uno morto miseramente. Pag. 151.

N §

Nerone recitò in Teatro. Pag. 43. La Natura da vesti diverse al maschio, e alla femmina. Pag. 163. NocumentoCCCLXXXVI di peccato mortale fa illecita la Commedia. Pag. 39.

O §

Occhio si custodisca dal mirare donna. Pag. 131, 132, 138, 139. Scuse di chi non lo custodisce. Pag. 134. Miro per solo gusto. Pag. 134, 135. Miro senza consenso 136.137. Miro da lungiCCCLXXXVII. Pag. 140. La donna è brutta. Pag. 140. Ogni oscenità è indegna di cristiano. Pag. 27. Il vocabolo osceno d’onde si derivò. Pag. 29. Fa ingiuria alla Commedia. Pag. 29.

P §

Parole brutte quali siano mortali di loro natura. Pag. 23. Alle volte diventano mortali per accidente, non essendo tali di loro natura. Pag. 23, 24. Le scandalose sono mortali. Pag. 24. Quante bastino a fare oscena la Commedia. Pag. 30. E se basti una mortale. Pag. 31.

La passione impedisce in giudicar bene delle cose. Pag. 187. Pavone è più bello, che la Femmina. Pag. 163. Peccato di pensiero. Pag. 135. Piacere esca dei vizi. Pag. 91. Plauto scrisse una Commedia modestissima. Pag. 190. Il popolo vuole la comparsa delle Donne. Pag. 92.

Predicatore fece una fruttuosa passata contro le Commedie oscene. Pag. 37. Un altro contro alcune donne nobili, che volevano fare una Rappresentazione 72.

Principe

Il buono non permette male alcuno senza buona ragione. Pag. 230. Non ha ignoranza del danno cagionato dalle Comiche. Pag. 241. Di quali Teologi, Confessori, Predicatori si deve servire. Pag. 233. Levi le Donne immodeste dal Teatro. Pag. 249. Uno le levò. Pag. 244, 250. Se deve intervenire, o no negli spettacoli esercitandosi in essi. Pag. 44. Alcuni hanno recitato in Teatro 43. {p. 272} Pochi hanno, chi dica loro la verità. Pag. 262.

Un pudico non volle mirare le Comiche. Pag. 136.

RCCCLXXXVIII §

Recitamento di sole Donne senza uomini spettatori 73. Un recitamento di gran gusto senza oscenità. Pag. 94. Rete del Demonio è l’ornamento lascivo femminile. Pag. 103. Ribera supplica i Superiori contro i Comici 250. Ricreazione è necessaria. Pag. 9, 10. Riprensione duri, mentre durano i vizi. Pag. 6. Ridicolo come fosse, e sia proprio della Commedia. Pag. 28. D’onde si possa cavare il modesto. Pag. 29. Alcuni Ridicoli modesti. Pag. 97, 98, 99, 107. Altri presi dai Comici. Pag. 100, 01. Quale deve essere 252. Riffa è un gioco. Pag. 127. Roma non lascia salir in banco di piazza né donna, né uomo. Pag. 248. Romito vinse la tentazione con porsi alle narici carne fracida. Pag. 171.

S §

Salto della Comica è pernicioso. Pag. 157.

Saltatrice ingannata da un Amante. Pag. 109. Una castigata da Dio. Pag. 159. Una scandalosa. Pag. 169.158.

Scrivere con distinzione della Commedia non offende 2.3. Santi che Commedie facevano. Pag. 105. La severità troppa è biasimevole 226. La Signoria di Genova fece Decreto contro le Commedie 250. Socrate che disse dell’astinenza. Pag. 133, 134. Statue belle muovevano a libidine. Pag. 71-72.

Superiore può dar licenza di recitare Commedie ai mercenari Comici modestamente. Pag. 11. Uno non la volle dare in scriptis, perché. Pag. 89-90. La dà servatis servand. Pag. 89. É obbligato a rimediare. Pag. 262. Alcuni cattivi vogliono le Commedie oscene. Pag. 230. Superiori principalissimi Ecclesiastici come procedono circa la Comparsa delle Comiche. Pag. 260.

TCCCLXXXIX §

Il P. Tarquinio condanna la comparsa delle Donne oscene. Pag. 252, 255. Tentazione cagionata da ricordanza di Donna già veduta. Pag.171. S. Tommaso stima lecito l’officio dei Comici moderati. Pag. 8. E la Commedia. Pag. 9. Tommaso Garzoni come ammetta le Donne in Teatro, e le lodi. Pag. 251, 255. Il Teologo non è obbligato a sapere subito risolvere ogni dubbio. Pag. 232.

V §

Vescovi levino le oscenità Teatrali 249. Una vista sola di Donna nuoce. Pag. 172.

Z §

Zelo stimola all’aiuto altrui. Pag. 2.
IL FINE.

 

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