Istoria mitologica
Parte seconda
Degli eroi §
Nozioni preliminari. §
Gli Eroi, chiamati anche Semidei o Semoni, si di evano quegli uomini, de’ quali era stata illustre la nascita, o nobili le azioni. L’essere disceso da qualche Divinità, l’essere fornito di straordinario valore, l’aver fondato qualche città o impero, e l’avere prestato importanti servigi e beneficenze alla società diveunero nel Paganesimo altrettanti titoli per conseguire il nome d’ Eroe, e per essere annoverato dopo morte tra gli Dei(a).
Le tombe degli Eroi erano d’ordinario circondate da un sacro bosco, appresso il quale trovavasi un altare, su cui i parenti e gli amici si recavano a fare in certi determinati tempi delle libazioni, e ad offerire dei doni (b). Ognuno di que’ sepolcri si appellava Monumento eroice, ed era un asilo. I {p. 4}Greci sopra i medesimi ergevano una colonna, i Romav’ inalzavano delle statue(a). Il culto, che prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa funebre, al tempo della quale si celebrava la memoria delle loro imprese(b).
Il numero degli Eroi, de’quali fa menzione spezialmente l’ Istoria Greca, è pressochè infinito. I più celebri sono Cadmo, Perseo, Giasone, Ercole, Teseo, Agamennone, Ajace Oileo, Ajace Telamonio, Oreste, Menelao, Achille, Ulisse, Priamo, Ettore, Paride, Enea, Castore e Polluce, Pelope, Edipo, Eteocle e Polinice.
{p. 5}Cadmo. §
Cadmo nacque da Telafassa(a) (1), e da Aganore, ro de’ Fenicj. Altri dicono, che la madre di Cadmo fu la Ninfa Melia(b) ; ed altri soggiungono, che fu Argiope, nata dal fiume Nilo(c). Non sempre Cadmo stette appresso il padre suo, ma insieme con Cilice e Fenice, suoi fratelli (2), dovette andar cercando Europa, sua sorella(3). Egli avea fatto tutte le possibili perquisizioni, e sempre indarno ; nè poteva ritornarsene al padre, perchè ciò eragli stato da lui vietato, qualora non avesse seco condotto anche la giovine. Finalmente si recò a consultate l’ Oracolo d’ Apollo in Delfo, per sapere come avrebbe potuto trovarla, ovvero per conoscere a che in quella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi. La risposta del Nume fu, che il trovare Europa non era impresa da uomo, e che Cadmo in vece tenesse dietro alla prima giovenca, che avrebbe incontrato, ed ivi fabbricasse una città, ove quella si sarebbe fermata. Cadmo non molto dopo si abbattè appresso la fonte Turia in una giovenca dell’armento di Pelagonte, la seguì sino nella Focide, ov’essa si fermò. La prima cura di lui fu quella di sacrificare quella giovenca agli Dei patrj di quel luogo. Commise pertanto a’suoi seguaci di cercare acqua da qualche {p. 6}sorgente vicina. Non molto lungi eravi un’antica boscaglia. In un antro, posto nel mezzo di quella, v’avea purè una fontana. Là si avviarono i Fenicj ; e al loro rumore ne uscì un Dragone, figlio di Marte e di Venere, il quale stava ivi appiattato, e li uccise. Sorpreso Cadmo, perchè i compagni non mai ritornavano a lui, risolvette di rintracciare di loro. Entro nel bosco, li trovò tutti distesi sul suolo, e vide il mostro, che ne lambiva le fresche ferite. S’accese l’ Eroe di furore, vibrò un dardo contro il Dragone, lo uccise, e per comando di Pallade ne seminò i denti(a). Ne nacquero molti uomini armati, che gli Ateniesi chiamarono Sparti, ossia Seminati(b). L’anzidetta Dea avvertì allora Cadmo, che con una pietra nascostamente colpisse uno di coloro. Quegli, cui essa arrivò, credendo che fosse stata scagliata contro di lui da uno de’suoi fratelli, si avventò contro lo stesso, e lo privò di vita. A tale vista insorsero tutti gli altri ; e sì feroce zuffa tra loro si accese, che vicendevolmente si diedero la morte, e a soli cinque si ridussero. I nomi loro erano Iperenore, Pelore, Ctonio, Echione, e Udeo(c) (4). Furono chiamati anche Ofionj. e Draconigeni, ossia nati da un dragone(d). Coll’ajuto de’medesimi Cadmo fabbricò la città, indicatagli dall’Oracolo, e dalla giovenca, che avealo ivi condotto, la denominò Beozia.(e). Egli volle fare altresì il propostosi sacrifizio ; ma {p. 7}temendo ; che l’acqua della mentovata fontana fosse infettata dal veleno del Dragone, scorse quà e là per trovarne dell’altra. Giunto all’antro Corcireo, mise il piede nel fango ; ed estraendolo, ne sortì un fiume, che fu chiamato Piede di Cadmo(a).
Cadmo prese in moglié Ermione, detta anche Armonia, discendente da Marte e da Venere. Per onorare quelle nozze scesero dal Cielo tutti gli Dei, e ricolmarono la sposa di doni. Da quel matrimonio nacquero un maschio, di nome Polidoro, e quattro femmine, che si denominarono Agave, Autonoe, Semele, e Ino, detta da’Greci Leucotea(b) (5).
Cadmo, anche lontano dagli agi della paterna Reggia, poteva chiamarsi felice. La gloria d’aver ucciso l’orribile bestia, di aver fondato una cospicua città, e d’aver conseguito sì illustre sposa, dovea riuscir gli oggetti di somma compiacenza. Ma n’uno può dirsi beato, primanchè chiuda per sempre gli occhi alla luce del giorno. Ad amareggiare la tranquillità e gioja di lui questo Eroe tali e tanti disastri sorpresero la di lui famiglia, ch’egli non potè più reggere all’ eccedente dolore(6). Autrice di que’mali fu Giunone, la quale non poteva mirare di buon occhio la felicità di Cadmo, perchè era fratello di Europa. Cadmo però attribuì tutte le sue seiagure al destino del luogo, ove soggiornava ; e quindi, dopo essere andato lungo tempo quà e là errando, si trasferì colla moglie nell’ Illiria. Là gli venne in pensiero, che il Dragone, da lui ucciso, fosse vissuto sotto la tutela di qualche Deità, e che per tale {p. 8}motivo gli forsero sopraggiunte cotante aciagure. Pregò quindi i Numi, che, se così fosse, convertissero lui pure in serpente : Io che avvenne(a). V’è chi dice, che Cadmo, dope d’aver goduto per molti anni il regno, ne sia stato stacciato da Ansene e da Zete(b).
{p. 15}Perseo. §
PErseo fu figliuolo di Giove e di Danae, nata da Euridice e da Acrisiore d’Argo. Questi, recatosi a interrogare l’Oracolo, se ora per aver alcun figliuolo, intese, che non ne avrebbe alcuno, e che in vece un di lui nipote lo ucciderebbe. Per impedire la veriocazione del funesto vaticinio. Acrisio rinchiuse la sua figliuola, Danao, in una torre di bronzo(1). Giove però, invaghitosi della di lei bellezza, si cangiò in pioggia d’oro ; penetrò, ove la giovine si custodiva ; e fece sì, che divenisse madre di Perseo(2). Acrisio, come ne venne in cognizione, diedo tosto in balia delle onde la figlia, e il bambino, da lei partorito. Eglino vennero portati sulle spiaggie di Serifo, una delle Isole Cicladi(3). Un pescatore, dinome Ditti, li raccolse, e li presentò a Polidette, che ivi regnava(4). Questi s’invaghì di Danae, e avendo timore di Perseo, volle allontanarlo da se. Sotto pretesto quindi d’acquistarsi immortale gloria lo spedì a troncare il capo alla Gorgone Medusa. Il cimento scabroso non atterrì il magnanimo giovine, e fatto questi più coraggioso ancona per l’elmo, ricevuto da Plutone, per le ali a’ piedi, e l’arma, datagli da Mercurio(5), e per lo scudo, che Pallade aveagli somministrato, e che riflettendo gli oggetti, li faceva senza rischio osservare, volò per aria al soggiorno delle Gorgori, e felicemente esguì ciò, ch’eragli stato proposto(a). {p. 16}Compita l’impresa, l’Eroe nuovamente s’alzò per l’aria colla spoglia del suo trionfo. Scorse a volo molte terre, finchè giunto alle spiaggie della Libia, quella deforme testa versò delle gocce di sangue su quelle arene, che fecondate produssero gran copia di serpenti, i quali da di là si propagarono anche nelle altre parti del Mendo,(a)(6). Colà non fermossi l’Eroe, ma continuò il suo aereo viaggio, finchè arrivò nella Mauritania, dominata da Atlante. Questi oltre a parecchie migliaja di greggi e armenti possedeva degli orti, preziosi pegli alberi, le foglie e frutta de’ quali erano d’oro. Perseo pregò quel re di accoglierlo appresso di se fino alla nuova aurora, manifestandogli, ch’egli era figliuolo di Giove. Memore Atlante d’aver inteso da un antico Oracolo di Temi, che un figlio di Giove gli avrebbe tolti i tesori de’ suoi giardini, M avea ben chiusi di mura, e affidati alla guardia d’un Dragone, tenendo sempre lontano da’ suoi confini ogni etraniero. Risvegliatisi pertanto in lui gli antichi timori, alle villanie v’aggiunse violenze e minacce per discacciare Perseo dal suo Regno. Questi gli presentò la testa di Medusa, la quale, come abbiamo detto, avea la virtù di cangiare in pietra chiunque la rimirava. La vide Atlante, e tosto divenne sterminata montagna, la quale servì poi d’appoggio a tutto il Cielo(b). Perseo trascorse poscia a volo molti e diversi climi, e si trovò finalmente in quello degli Etiopi, popoli barbari, governati da Cefeo. Era allora, quando superba di se stessa Cassiope, moglie {p. 17}di quel re, avea osato di deridere le Nereidi. Queste Ninfe se ne dolsero con Nettuno, e lo pregarono di vendicarle. Il Dio del mare mandò un mostro a devastare le campagne Etiopiche, e a straziarne la gente e gli armenti. Que’ popoli ricorsero supplichevoli a Giove, il quale disse loro, che Nettuno si sarebbe placato, qualora Cefeo avesse esposto la sua figliuola, Andromeda, a divenire cibo del vorace mostro. L’innocente vergine pertanto venne legata ad un sasso. Passò per colà Perseo, mentre andava sollevandosi sulle acque contro di lei l’anzidetta bestia. Ei piombò su quel mostro, e sì lo trafisse coll’asta, che gli tolse intieramente la vita. Risuonarono allora di liete acclamazioni quelle rive ; Cefeo e Cassiope corsero ad abbracciare il prode figlio di Danae, e gli offerirono Andromeda in moglie. Perseo, volendo lavarsi le mani, tinte di sangue, depose la testa della Gorgone sopra certi giunchi teneri e pieghevoli ; ed essi appenachè vennero toccati, divennero duri e inflessibili. Stupefatte le Ninfe marine, e vaghe di rinovarne l’esperimento con altre verghe, egualmente tenere e fresche, osservarono lo stesso fenomeno, talchè si fecero un piacere di formarne una sementa nel fondo del mare(7). Perseo poi alzò tre altari, uno a sinistra a Mercurio, l’altro a Pallade alla destra, e il terzo nel mezzo a Giove. Sacrificò nello stesso tempo un toro a Giove, a Pallade una giovenca, e a Mercurio un vitello. Si unì poscia in matrimonio con Andromeda : e fu allora, che Fineo, fratello di Cefeo, intollerante di vedere divenuta sposa di uno straniero quella giovine, di cui egli ne ambiva il possesso, assistito da varj partigiani, tentò di rapirla dalle mani di Perseo ; ma l’Eroe parte di coloro ne uccise, parte ne cangiò in {p. 18}sassi(a). Ovidio dice, che in quella zuffa si trovarono anche i due celebri Lapiti, Brotea e Orione, nati da Micala, famosa Maga della Tessaglia, la quale co’ suoi incantesimi più volte avea fatto discendere la Luna sulla terra(b). Perseo dopo il mentovato trionfo passò nella Grecia ; e eangiò in pietra Preto, che avea scacciato Acrisio dal regno d’Argo(c). Ricornò poscia nell’isola di Serifo, e ne convertì pure in sassi tutti gli abitanti(d), e Poliderte stesso, il quale per invidia tentava di nuocere alla di lui gloriosa riputazione(e). Altri dicono, che Polidette soggiacque a tal fine in pena d’aver usato a Danae turpe violenza(f). Perseo si trasferì nel Peloponneso ; e avendo udito, che in Larissa, città de’ Pelasgi, si celebravano dei giuochi funebri in onore di Polidette, anch’ egli vi concorse, e molto vi si segnalò colla sua destrezza nel giuoco del Disco. A’ medesimi giuochi v’assisteva pure Acrisio, il quale alla prima notizia dell’arrivo di Perseo nel Peloponneso avea abbandonata la città d’Argo per evitare ciò, che l’Oracolo aveagli predetto. Avvenne, che il Disco, gettato di tutta forza da Perseo, lo colpì nel capo, e lo uccise. Perseo ne concepì tal’estremo dolore, che rinunziò il trono d’Argo a Megapente, figlio di Preto, e si portò a fabbricare la città di Micene(g).
Dal matrimonio di Perseo con Andromeda {p. 19}nacequaro Perse(8), Stenelo(9), Mestore(10), Alceo(11), Elettrione(12), e molti altri figliuoli, e una figlia, detta Gorgofone(13).
Il fine di Perseo fu, che Megapente, figlio di Preto, per vendicare la morte di suo padre, Io privò di vita. Que’ di Micene, d’Argo, e di Serifo gli alzarone degli croici monumenti. Atene gli fabbricò un tempio(a). Uno pure gli venne eretto in Egitto, nella città di Chemmis, vicino a quella di Tebe(b), Dicesi per ultimo, che Perseo, Andromeda, Cefeo, e Cassiope vennero collocati dopo la loro morte tra gli Astri, dove formano altrettante Costellazioni(c).
{p. 23}Giasone. §
TIro, figlia di Salmoneo, re d’Elide, si rendette da Nettuno, trasformato nel fiume Enipeo, cui ella amava, madre di due figli, Pelia e Neleo. Ella poco tempo dopo sposò Creteo, figlio d’Eolo, e re di Iolco. Nacque da quel matrimonio Esone (a). Pelia, divenuto grande, s’impadronì, dopo la morte di Creteo, del regno di Iolco, che apparteneva ad Esone. Temendo, che la sua usurpazione fosse per produrgli tristi conseguenze, per consiglio dell’Oracolo prese a guardarsì da quello tra’discendenti d’ Eolo, che gli si sarebbe presentato con un piede calzato e l’altro ignudo (b). Fu per questo, che Esone, avendo avuto da Alcimede, figlia di Filaco(1), un figlio, sparse voce, che quello appena nato mori ; e lo fece secretamente trasferire sul monte Pelio appresso il Centauro Chirone. Questi prese cura della di lui educazione, gl’insegnò molte scienze, e spezialmente la medicina : lo che gli acquistò il nome di Giasone(c). Alcuni la discorrono diversamente : Esone, dicono, trovandosi vicino a morte, affidò la custodia di Giasone al fratello Pelia, e a questo pure rinunziò il regno, a patto, che dovesse restituirlo a Giasone, qualora questi fosse divenuto idoneo a governare. Alcimede non si fidò di Pelia, e fece passare il figlio appresso {p. 24}Chirone. Il giovine, giunto all’età di vent’ anni, lasciò l’antro del Centauro, e si portò a ripetere il paterno soglio. S’abbattè lungo le rive del fume Anauro(3) in Giunone, da lui non conosciuta, perchè ella aveva preso le sembianze di vecchia. Egli si offerì di trasferirla sulle sue spalle al di là di quelle acque ; e allora vi perdette un calzare. Arrivò finalmente in Iolco ; e Pelia, al vederlo con un piede ignudo, si rammentò tosto di ciò, di cui l’Oracolo avealo minacciato(a). Tentò quindi ogni mezzo onde farlo perire. A tale oggetto gli propose di segnalarsi in un’impresa quanto gloriosa, altrettanto pericolosissima, promettendogli, che qualora fosse ritornato da quella, lo avrebbe collocato sul trono, che gli appatteneva. L’impresa consisteva nel trasferirsi in Coleo a vendicare Frisso, figlio di Atamante, e nipote d’Eolo, che ivi era stato massacrato (b), e nel canquistare il Tosone, o Vello d’oro(4), che Frisso stesso avea colà portato, e di cui Eeta, figlio del Sole, e della Ninfa Perseide(5), e re di quel paese, erasi impadronito(c). Varie strane condizioni si erano stabilite da Eeta per conseguirlo. Si dovevano primieramente rendere mansueti due feroci toti, che avevano i piedi di bronzo ; e mandavano fuoco dalla bocca e dalle narici(6) Conveniva inoltre uccidere il dragone, il quale notte e giorno vegliava alla custodia del Vello d’oro Doveansi altresì seminare i denti dello stesso drago ne, e finalmente vincere gli uomini armati, che da quel seme etano per mascere (d)(7). Giasone {p. 25}avido di gloria, si acciuse al proposto cimento. Prima di spiegare le vele a’ venti, fece ergere sulle spiaggie un’ara, sopra la quale vi sparse fiore di farina, mescolato con olio e mele, e poscia immolò due tori a Nettuno e alle altre Deità, che potevano favorire alla di lui navigazione(a). Non intraprese poi solo l’eroica azione, ma cinquanta quattro de’ più illustri personaggi della Grecia si unirono seco lui, per cogliere anch’ eglino quell’ occasione di segnalare il loro valore (b). Essi furono detti Argonauti, perchè montarono una nave, detta Argo(8) dal nome di quello, che avoala fabbricata(c)(9). I più famosi tra quelli furoho Teseo, Peleo, Telamone, Calai e Zete, Castore e Polluce, de’ quali parleremo altrove : inoltre si fa menzione di Tifi(10), di Linceo, figlio d’Afareo(11), d’Orfeo(12), di Mopso(13), d’Idmone(14), d’Ercole(15), di Echione(16), di Testore(17), e d’Ificlo(18). Il viaggio non sempre riuscì loro folice. Una procella li portò all’ Isola di Lenno. Là Giasone si affezionò ad Ipsipile, figlia di Toante, la quale ivi regnava, e la rendette madre di due figliuoli. Egli le avea giurato, che dopo la conquista del Vello d’oro sarebbesi restituito appresso di lei ; ma l’essersi poscia invaghito di Medea come testè diremo, fece sì, che obbliò il dato giuramento (d). Da Lenno si trasferì a Cizico, città situata a’ piedi del monte Dindimo, il di cui re era Cizico, figlio di Eneo e di Eneta(e)(19). Quel Principe accolse gli Argonauti gentilmente, e li ricolmò di doni {p. 26}Nella notte, che seguì il giorno della lofo partenza, un vento contrario li fece rientrare nel medesimo porto. Cizico, credendo, ch’eglino fossero i Pelasgi, di lui nemici, dichiarò loro la guerra, nella quale rimase ucciso da Giasone. Questi, appenachè ne venne in cognizione, diede segni del più vivo dolore, e volle espiarsi con sacrifizj, fatti alla madre degli Dei, cui alzò un tempio sul monte Dindimo, donde derivò alla stessa Dea il nome di Dindimena(a).Un contrario vento spinse pure la nave, Argo, sulle coste della Lidia, e per molto tempo la trattenne nel Lago Tritonide. Un Tritone comparve allura a que’ viaggiatori sotto la figura di un giovine, chiamato Euripilo ; ed esso, dopo di aver donato loro una gleba di terra, ad essi pure additò la via di uscire senza pericolo dal luogo, ove si trovavano. Giasone lo ricompensò, regalandogli un bellissimo tripode di rame. Il Tritone lo ripose in un tempio, a lui consecrato, e predisse a Giasone, che quando alcuno de’ di lui discendenti lo avrebbe tolto, si sarebbono fabbricate cento città sull’anzidetto Lago. Allorchè gli Argonauti erano per proseguire il loro cammino, lo stesso Tritone staccè uno de’ cavalli dal carro di Nettuno, e lo mandò innanzi ad essi, affinchè fosse loro di sicura guida (b). Giunse finalmente Giasone in Colco, ove si abbattè nella famosa Maga, Medea, figlia di Eeta(20), mentre colei avviavasi verso un antico altare, cretto ad Ecate nella parte più occulta di un bosco. L’età, la condizione, e sopra tutto l’avvenente aspetto del Tessalo Eroe destarono nell’ animo di quella giovine {p. 27}ardente fiamma d’amore. Ella promise di assisterlo nell’arduo cimento, purchè avesse voluto sposarla. Giasone alle promesse di nozze v’aggiunse i più solenni giuramenti. Medea gli credette, e tosto gli diede certe erbe, coll’uso delle quali ei potesse riuscire nella propostasi impresa. Il di seguente all’apparite dell’aurora si adunò immenso popolo nel campo di Marte, e al cenno del re comparvero i tori co’ piedi di bronzo. A vista di quelli ognuno tremò di spavento : il solo Giasone videsi imperturbabile ; e quasichè fossero animali mansueti e domestici, li sottopose all’aratro, e andò con essi seminando i denti del mentovato Dragone, che già poc’ anzi avea ucciso. Ne sorsero tanti corpi animati, che con lunghe ed acute aste si avventarono contro Giasone. L’Eroe scagliò nel mezzo loro una grossa pietra, per cui di tale furore si accesero, che, abbandonato l’assako contro di lui, si azzuffarono fra loro medesimi, e in breve tempo l’un dopo l’altro caddero sul terreno estinti. Apollonio di Rodi, per sempre più rendere glorioso il nome di Giasone, dice, ch’eglipure, da che cominiciarono gli anzidetti uomini a vicendevolmente battersi, si mescolò tra coloro, e molti ne uccise di propria mano. Impadronitosi del Vello d’oro, in compagnia di Medea, la quale aveva seco portato via una parte de’ paterni tesori, sciolse le vele dal lido di Colco (a)(21). Eeta lo inseguì, nè Giasone avrebbe potuto salvarsi da lui, se Medea anche in ciò nol avesse assistito. Ella, come osservò esserle vicino il genitore, uccise il piccolo suo fratello, Absirto, chiamato anche Egialeo {p. 28}(a), nato al dire di Apollonio da Asteroclea(b), o da Eurilite, come riferisce lo Scoliaste del predetto Apollonio ; e dopo d’averlo fatto in pezzi, ne sparse le membra quà e là per la via, per cui Eeta era per passare, affinchè la cura di raccogliere quelle, e ’l dolore, che a vista del funesto spettacolo lo avrebbono sorpreso, ritardassero la rapidità del di lui corso(c)(22). Gli Argonauti, pervenuti nell’ Isola di Eea appresso di Circe, sorella di Eeta, vi si feceto espiare dell’ uccisione di Absirto senza darsi a conoscere. Circe medesima presiedette a’ sacrifizj, fece le libazioni in onore di Giove Espiatore, e placò con preghiere le Furie vendicatrici. Gli Argonauti continuarono poi il loro viaggio, e giunsero felicemente in Iolco. Accorsero in folla i popoli al loro sbarco, e risuonarono i lidi di liete acclamazioni. Esone solo, padre di Giasone, non potè gustare la gioja di quelle feste, attesa la sua decrepita età. Il pietoso figlio, osservando il genitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d)(23) : lo che avvenne.
Pelia, quantunque avesse eseguito Giasone sì gloriosamente l’impresa propostagli, ciò nulla ostante non curavasi d’adempiere alla sua promessa, e continuava a ritenersi l’usurpata corona. Giasone col favore di Medea volle prenderne vendetta. Finse la Maga di essere in discordia col marito suo, e ricorse supplichevole alle figliuole di Pelia. Elleno la {p. 29}accolsero cortesamente, e Medea raccontò loro tutti i servigi, che avea prestato a Giasone, e ne esagerò l’ingratitudine. Esaltò come il maggiore de’ suoi meriti quello di aver ringiovinito Esone. Quelle la supplicarono di procurare lo stesso bene anche al loro vecchio padre. Medea promise di compiacerle, e per meglio accertarnele, fece che in tutte le mandre si cercasse uno de’ più attempati e smunti arieti. Come lo ebbe dinanzi a se, lo scannò, e poi la immerse in una caldaja, in cui eranvi mescolate certe erbe. Ne uscì un agnelletto senza corna. Stupide ne rimasero le figlie di Pelia, e vieppiù insistettero nella ricerca. Passati tre giorni, Medea conciliò a Pelia un sonno poco meno che di morte. Appressatesi le giovani, che la Maga voleva spettatrici dell’ orrendo fatto, ella diede loro il perfido eccitamento, ch’esse medesime immergessero il ferro nel corpo del genitore, onde estraerne il vecchio sangue, e riempirne con altro nuovo le vuote arterie. Così fecero : Pelia grondava di sangue, quando Medea gli recise inoltre la gola, lo tuffò in acqua bollente, ed ivi lo lasciò, finchè venne dal fuoco intieramente consumato (a)(24). Timorosa colei di pagare la giusta pena dell’ esecrando delitto, salì sopra il suo carro, e dopo aver cercati inutilmente varj asili, ritirossi in, Corinto. Pare, che Giasone finalmenre dovesse conseguire lo scettro, che gli apparteneva ; ma vi si oppose allora Acasto, figlio del predetto Pelia, ch’era stato uno degli Argonauti, ed era riuscito eccelente cacciatore. Quegli, morto il padre suo, subito s’impossessò del trono, e costrinse Giasone a ritirarsi appresso Creonte, re di Corinto. Quì Medea e Giasone per diesi {p. 30}anni tranquillamente vissero. Finalmente Giasone ripudiò la Maga per isposare Glauce (a), o Creusa, figlia a dell’ anzidetto re(b). Medea non poteva che di mal animo sofferire il nuovo imeneo ; pure nascose il suo sdegno sotto artifiziosa indifferenza, e spedì in dono alla novella spora una veste e una corona. Glauce, appenachè si pose indosso l’una, e cinse dell’ altra la fronte, videsi tutta circondata di fuoco, che la incenerì(25). V’ accorse Creonte, ed egli pure rimase preda delle fiamme(c). Nè contenta la Maga di tutto ciò, prese i due figliuoli, Mermero e Fere, avuti da Giasone (d), e li trucidò sugli occhi di lui medesimo (e). Indi fuggì da Corinto (f), e si recò in Tebe appresso Ercole, il quale aveva promerso di vendicarla, qualora Giasone le fosse stato infedele(26). Giasone poi, dopa aver condotto una vita errante, mentre si riposava sulla spiaggia del mare all’ombra della nave stessa, con cui avea fatto il famoso viaggio, spirò sotto il peso di quella, che avea precipitato sopra di lui, come / Medea aveagli predetto (g). Altri pretendono, che siasi trasferito in Asia, dove, essendosi riconciliato con Medea, e avendo dato varie prove della sua prudenza e del suo invitto valore, meritò dopo morte gli onori divini (h). Gli si eressero dei tempj in varj luoghi, e in guisa speziale si venerò appresso Abdera, ove Parmenione aveagli fabbricato un magnifico tempio(i).
{p. 45}Ercole. §
Poichè il numero delle impres’, attribuite ad Ercole, è sì grande, che non sembra possibile avec potuto un uomo solo esaguirle tutte, è quindi opinione di tutti gli Scrittori, che parecchi siena stati gli Eroi di questo nome. Eglino secondo Erodoto furono due (a), tre secondo Diodoro Siciliano (b), secondo Cicerone sei (c), e secondo Varrone quaranta tre. Il più celebre fu l’Ercole, nato in Tebe da Giove e da Alcmena, moglie d’Anfitrione(1). L’istoria poi della vita dì lui venne ornata co’ maravigliosi fatti di tutti gli altri(d). Il Sole per un giorno non illuminò la terra, affinchè fosse triplicata la notte, in cui dovea nascere questo Eroe : dal che ne avvenne, ch’egli fu soprannominato Trivespero(2). Altri vogliono, che sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è poi chi pretende, che il nome di Trivespero siasi attribuito ad Ercole, perchè stette rinchiuso tre notti nel ventre d’un pesce ; e vuolsi, che l’Eroe dopo d’aver fatto in pezzi le interiora dello stesso pesce, ne sia uscito senz’ aver perduto altro che i capelli (f).
Giove, ovvero, come altri dicono, Temi avea {p. 46}decretato, che dei due fanciulli, i quali doveano nascere, l’uno cioè da Alcmenà, l’altrò da Nicippe, figlia di Pelope, e moglie di Stenelo, re di Micene ; quegli, che fosse comparso il primo alla luce, avesse ad esercitare sull’ altro assoluto dominio (a). Giunone fece sì, che la moglie di Stenelo innanzi tempo partorisse Euristeo ; e ponendosi a sedere appresso ad Alcmena ; impedì ch’ ella partorisse il bambino, che portava nel seno : Galantide finalmente, una delle serve d’ Alcmena, s’avvide di ciò, che la Dea andava operando ; e per farnela desistere, le diede a credere ; che Alcmena avesse già partorito. Giunone, confusa e sorpresa, s’alzò dal luogo, ove trovavasi ; e Alcmena subito felicemente diede alla luce Ercole. Galantide non potè trattenersi dall’esternare il suo giubilo, prodotto dall’aver ingannata la Dea. Questa adegnata la afferrò pe’ capelli, la gettò a terra, e dopo d’averla caricata di percosse, la cangiò in Donnola, animale ; che per questo motivo fu poscia venerato da’ Tebani(b). Nel momento, in cui nacque Ercole, il tuono con raddoppiato strepito si fece sentire, e molti altri prodigi allora avvennero, i quali presagirono la gloria, ch’egli era per acquistarsi colle sue esimie azioni (c). Giunone poi insistette nell’ infierire contro il nato bambino, e cercò di metterlo a morte mediante il morso di due serpi, che introdusse nella di lui culla ; ma Ercole con intrepide mani talmente li strinse, che li {p. 47}uccise(a)(3). V’ è chi dice, che siccorne Alcmena partorì nello stesso tempe due figli, Ercole cioè, ed Ificlo, così Anfitrione, volendo conoscere, quale di que’ due fosse stato conceputo per opera di Giove, gettò le due predette serpi nel mezzo loro ; che a vista di quelle Ificlo, preso dallo spavento, si diede alla foga, ed Ercole neppure si mosse, anzi le mise, come abbiamo detto, a morte (b).Alcuni pretendono ; che Giunone ad istanza di Minerva abbia alquanto cessato dalle sue persecuzioni, ed abbia ella stessa somministrato ad Ercole del proprio latte, di cuì il bambino avendone lasciato cadere alcune gocce, avvenne, che le medesime si cangiarono in un ammasso di stelle, le quali formano nel Cielo una zona, chiamata Via lattea(c)(4). Altri soggiungono, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che momentaneo ; e che, come quegli giunse all’adolescenza, ella risvegliò il suo sdegno contro di lui, e con maggiore ardore tentò di farlo perire. La Dea quindi destò nell’animo d’Euristeo sentimenti di gelosia riguardo a lui, e lo mise nel timore d’esserne detronizzato. Quel Sovrano pertanto lo obbligò ad imprese superiori alla capacità ordinaria degli uomini, affinchè egli perisse le quali imprese furono denominate le Fatiche d’Ercole(d).
Tralle molte Fatiche di questo Eroe, le quali sieno degne di memoria, dodici principalmente se ne {p. 48}contano. La prima fu l’uccisione d’un leone, nato dalla Chimera, e dal Cane, Orto, il quale era di prodigiosa grandezza, e da lungo tempo faceva orribile guasto nel paese, situato tra Micene e Nemea (a). Altri vogliono, che Giunone per far perire Ercole abbia impegnato Ecate a far comparire quel leone, e che Iride lo abbia portato sul monte Ofelta, dove il primo giorno divorò un pastore, detto Apesanto. Erasi per lo innanzi inutilmente adoperato il ferro e il fuoco per farlo morire. Ercole, ammaestrato da Radamanto o da Eurito (b) a tirare d’arco, in età d’anni dieci otto scaricò tutte le sue frecce contro quell’animale, e sopra il medesimo perfino spezzò la sua clava. Con tutto ciò non gli riuscì mai d’ucciderlo, perchè la pelle n’era impenetrabile. Lo incalzò quindi in guisa, che lo ridusse entro la sua caverna, la quale aveva due aperture. Dopo d’averne chiusa una, v’entrò per l’altra, si avventò contro la bestia, la sbranò, e portolla sulle spalle a Micene. Euristeo, sorpreso del di lui valore, e preso nello stesso tempo dallo spavento, nol ammise più in città, e si formò un nascondiglio sotterra, per ritirarvisi, ogni qualvolta Ercole era per avvicinarsi alla volta di Micene. Euristeo inoltre mandava dal predetto luogo all’ Eroe i suoi ordini per mezzo d’un araldo, chiamato Copreo. Dicesi, ch’ Ercole siasi formata una veste della pelle di quel leone, la quale a guisa di glorioso trionfo portò indosso tutto il tempo della sua vita(c)(5). Mentre Ercole si avviava a combattere la predetta fiera, si trattenne anche appresso Molorco, vecchio {p. 49}pastore di Cleone, città d’Argolide, dalla quale il predetto leone fu da’ Poeti qualche volta detto Cleoneo(a). Molorco poi, per dimostrare il suo rispetto vero sì celebre ospite, voleva immolare una vittima a di lui onore. Ercole lo persuase di differirne il sacrifizio al suo ritorno, e gli promise d’offerirlo egli a Giove Salvatore : lo che eseguì. Sonovi alcuni, i quali pretendono, che Ercole abbia ricevuto la clava da questo Molorco (b).
L’altra impresa, commessa da Euristeo ad Ercole, consistette nel dover combattere l’Idra della palude di Lerna.L’Eroe sopra un carro, guidato da Iolao, figlio d’Ificlo, re d’un cantone della Tessaglia, e suo particolare amico(6), s’accinse al gran cimento.Era già per rimanerne vittorioso, quando Giunone spedì in ajuto del feroce animale un Cancro ; ma l’Eroe ben tosto lo schiacciò, e uccise l’Idra. Egli poscia avvelenò nel sangue di quella le sue frecce : dal che ne avveniva, che le ferite, recate da quelle, riusciavano incurabili. Euristeo però, come seppe, che Ercole avea avuto in sua compagnia Jolao, non volle annoverare questo travaglio tra quelli, a’ quali avea stabilito d’assoggettarlo (c).
Ercole inoltre dovette vincere la Cerva, che trovavasi nelle foreste del monte Menalo nell’ Arcadia. Essa, benchè avesse i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era sì veloce al corso, che niuno mai era capace di raggiungerla. Ercole bramava di prenderla senza ucciderla, perchè era sacra a Diana. Impiegò un anno nell’inseguirla con tale costanza, che la stancò, se la fece sua, e la portò sulle spalle a Micene(d).
{p. 50}Euristeo impose altresì ad Ercole, che gli recasse il Cinghiale della selva d’Erimanto, il quale furiosamente desolava tutti que’ dintorni. L’Eroe lo inseguì, e sì stancò anche quello, che gli riuscì di legarlo, e di portarlo vivo in Micene(a). E’ quì da notare, ch’ Ercole, mentre andava in traccia di quel Cinghiale, alloggiò appresso il Centauro Folo, figlio di Sileno e della Ninfa Melia, il quale gli diede a bere certo vino, che apparteneva a tutti i Centauri. Se ne sdegnarono queglino fortemente, e armati di grossi alberi e di non dissimili pietre, tutti si tecarono alla casa di Folo. Ercole stette ad attenderli, e parte ne trucidò, parte ne mise in fuga. Folo stesso morì di una ferita, che gli aprì in una mano una freccia, la quale egli trasse dal corpo d’uno degli estinti suoi compagni. Ercole lo onorò con magnifici funerali sopra una montagna, che poscia si chiamò Foloc(b).
Era parimenti dovere d’Ercole l’uccidere gli uccelli della palude di Stinfalo, città dell’ Arcadia. Quelli erano molto mostruosi, perchè aveano ali, testa, becco, ed unghie di ferro. Addestrati da Marte a combattere, vibravano dardi contro chi li assaliva. Erano poi in sì grande numero, e di tale grandezza, che quando volavano, impedivano che i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plinio vuole, che i medesimi non esistessero se non nella mente de’ Poeti (c). Pausania all’opposto pretende, che se ne trovassero ne’ deserti dell’ Arabia (d). Ercole con certi timpani, ricevuti da Minerva, ed atti a {p. 51}spaventire, trasse quegli uccelli dal bosco, ove solevano ritirarsi, e colle frecce li uccise(a). Mnasea appresso lo Scoliaste d’ Apollonio dice, ch’ Ercole mise a morte non uccelli, ma certe donne Stinfalidi, perchè erano figlie d’un eroe, di nome Stinfalo ; e ch’ Ercole ciò fece, perchè élleno avevano negato l’ospizio a lui, mentre lo avevano accordato ad altri(b).
Minos, re di Creta, avea stabilito di sacrificare a Nettuno un giovane toro. Pasifae, moglie dello stesso re, invaghita della bellezza di quell’animale, ne impedì il sacrifizio, e persuase al marito di sostituirne un altro in luogo di quello. Nettuno, irritato contro Minos, fece sortire dalle acque un altro furioso toro, il quale mandava fuoco dalle narici, e desolava i dintorni di Maratona. Euristeo intimò ad Ercole, che lo uccidesse. L’Eroe nol fece, perchè anche quello era dedicato a’ Numi, e in vece lo portò vivo in Micene(c)(7).
Diomede, figlio di Marte e di Cirene, e re di Tracia, aveva dei ferocissimi cavalli, e li pasceva di carne umana. Ercole fece divorare lui stesso da quegli animali, e seco li portò via. I Bistoni, sudditi di Diomede, presero le armi per vendicare la morte del loro Sovrano, e per riaverne i cavalli. Ercole affidò questi alla custodia del giovanetto Abdero, suo favorito, e disfece la maggier parte di coloro. Al suo ritorno trovò, che i cavalli aveano divorato Abdero. N’ebbe gran dolore, e accoppò quegli animali colla clava, per cui acquistò il nome d’ Ippottono {p. 52}Alzò poi una tomba al predetto giovine, e appresso della medesima fabbricò una città, che dal nome di lui appellò Abdera(a)(8). V’è chi pretende, che gli anzidetti cavalli sieno stati condotti da Ercole in Micene, e che poi Euristeo li abbia abbandonati sul monte Olimpo, dove certe bestie selvaggie li divorarono(b).
Ercole aveva ricevuto da Euristeo il comando di portargli la zona, ossia la cintura della Regina delle Amazoni, Antiope. L’ Eroe insieme con Stenelo, figlio d’ Attore, e co’due figli di Deimaco, Flogio e Deilone(c), andò in cerca delle predette femmine. Uccise Migdone e Amico, fratelli, perchè gli, contrastavano il passaggio. Attaccò poscia le Amazoni, parte ne uccise, parte ne mise in fuga, tolse la zona ad Antiope, la condusse via prigioniera, e la diede in moglie a Teseo, che lo aveva accompagnato in quella spedizione(d)(9). Plutarco dice, che quella Regina fu uccisa da Ercole(e).
Augia, re d’ Elide, il quale, mentr’era figlio di Forbante(f), fu creduto figliuolo del Sole(g), possedeva un numero sì grande d’animali, che non aveva ovili sufficienti a contenerveli. Fu costretto a lasciarli nelle campagne, le quali perciò divennero infruttuose. Ercole fu incaricato di ripurgarle, e quel re gli promise in ricompensa la decima parte di tutti i suoi animali. Entro lo spazio d’un gior {p. 53}no eseguì l’ Eroe quanto gli si era prescritto ; mi Augia ricusò poscia d’adempiere alla sua promessa. Lo stesso re inoltre, unitosi con Leprea, figlio di Glauco e di Astidamia, e con Neleo, figlio di Nettuno e di Tiro, e re di Pilo, scacciò Ercole da’suoi Stati ; e come seppe, che l’ Eroe accingavasi ad attaccarlo, affidò il comando delle sue truppe a’due fratelli, Eurito e Cteato, detti Molioni, perchè nacquero da Molione e da Attore(a)(10). Una ferita, ch’ Ercole aveva ricevuto, in quella circostanza gli si aprì, e lo ammalò. Volea egli fare la pace co’Molioni, ma queglino, informati della di lui malattia, si prevalsèro dell’occasione, e uccisero molti de’di lui compagni, e tra gli altri Ificlo, di lui fratello uterino(b)(11). Ercole finalmente li privò di vita presso Cleona, mentre erano per trasferisi in Corinto a’ Giuochi Istmici(c). Fece pur morire Augia, e vi sostituì nel trono il di lui figlio, Pileo, il quale era stato costretto a ritirarsi in Dulichio, perchè avea condannato l’ingiustizia del di lui padre nel non mantenere la parola data ad Ercole(d). Dicesi, che in quella guerra sia anche morto un certo Calcodone, ch’erasi unito con Ercole, e che da questo sia stato onorevolmente sepolto(e)(12). Ercole cercava alttesì l’occasione di vendicarsi di Leprea e di Neleo. Nol fece però col primo per opera di Astidamia : bensì gli propose di far prova chi di essi due giuocasse meglio al Disco ; chi fosse capace d’attignere maggior quantità d’acqua entro {p. 54}lo spazio d’un certo tempo ; chi avrebbe mangiato più presto un toro d’un determinato peso ; e chi più avrebbe bevuto. Ercole in tutti questi esercizj vi, riuscì superiore. Leprea finalmente, pieno di vino, sfidò di nuovo Ercole, e ne rimase ucciso nel combattimento(a). L’ Eroe poi saccheggiò a Neleo la sua città, e mise a morte lui, e tutti i figli(13), che avea avuto da Clori, figlia d’ Anfione, eccettuatone uno, di no ne Nestore, perchè questi, essendo ancor fanciullo, non avea avuto parte in quella guerra(b)(14).
Gerione, nato da Crisaore e dalla Ninfa Calliroe, era tricorporeo. Per custodi de’suoi armenti, i quali erano di rara bellezza, avea un Dragone di sette teste, nato da Tifone e da Echidna, e un Cane, di nome Ortro, il quale pure avea due teste. Ministro della crudeltà di Gerione era un certo Eurizione. Ercole lo privò di vita, ne uccise il Dragone, e il Cane, e ne portò via gli armenti(c). Mentre Ercole passava con quegli animali perla Libia, Dercilo e Albione, figliuoli di Nettuno, glieli tolsero, e li portarono nella Toscana(d)(15).
Ercole fu obbligato ad impadronirsi de’pomi d’oro dell’ Esperidi. Non sapendo egli, dove quelli si trovavano, ne ricercò le Ninfe, le quali abitavano appresso il fiume Eridano in una spelonca. Elleno lo inviarono a Nereo, da cui ne venne istruito. L’ Eroe uccise il Dragone, che vegliava sempre per custodire que’pomi, e felicemente riuscì nella divisata {p. 55}impresa. Altri dicono, che Ercole spedì Atlante alla conquista di quelle frutta, e ch’egli intanto sostenne in vece di lui il Cielo(a).
L’ultima impresa, commessa ad Ercole, fu di condurre dall’ Inferno ad Euristeo il Cane Cerbero. Così egli fece(16) ; e vuolsi, che dopo d’aver eseguito ciò che doveva, lo abbia anche ricondotto nell’ Inferno(b).
Molte altre sono le gloriose gesta d’ Ercole. Egli uccise Sauro, che infestava i dintorni del monte Erimanto nell’ Elide(c).
Il medesimo Eroe liberò l’ Egitto da Poligono e. Telegono, fratelli, nati da Proteo, e da una Ninfa, detta Coronide. Queglino, soggiornando in Torona, obbligavano gli stranieri a lottare seco loro, e dopo d’averli vinti, li facevano crudelmente morire(d).
Calai e Zete, figli del vento Borea, e di Oritia, nata da Eretteo, re d’ Atene(17), vennero uccisi da Ercole nell’ Isola di Tenedo(18), perchè si erano adoperati, onde gli Argonauti non accogliessero più nella loro nave lui, ch’era andato in cerra d’ Ila, figlio di Teodamante, re di Misia, il quale, come abbiamo detto, erasi annegato nel fiume Ascanio. Sul quale proposito dicesi, che avendo l’ Eroe ricercato qualche cibo a Teodamente per Illo, suo figlio, avendo quel re ricusato di soddisfarnelo, Ercole gli eolse uno de’di lui buoi. Se ne offese Teodamante, t marciò con alcuni soldati contro l’ Eroe ; ma {p. 56}questi lo uccise, e seco condusse via il predetto di lui figliuolo, Ila(a)(19).
Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, ere della Libia, era un formidabile gigante, cui si davano sessanta quattro cubiti d’altezza. Egli costringeva i passeggieri a lottare con lui, e poi li soffocava. Provocò Ercole alla lotta, e più volte ne rimase atterrato ; ma qualora toccava la terra, sua madre, questa sempre gli somministrava forze maggiori, per cui compariva più furibondo di prima. L’ Eroe se n’accorse, di nuovo lo afferrò, lo strinse fortemente per aria, e sì lo tenne, finchè lo strangolò(b)(20). Alcuni aggiungono, che Ercole sposò poscia Tinga, moglie d’ Anteo ; che n’ebbe un figlio, di nome Siface, il quale divenne re della Mauritania ; e che fabbricò una città, che chiamò Tingi dal nome di sua moglie(c). Stanco poi Ercole de suoi travagli si pose a dormire sulle arene della Libia. Quivi venne assalito da un infinito numero di Pigmei, sudditi di Anteo, i quali avevano due soli piedi di altezza, ed erano sempre in guerra colle gru, le quali spesso li rapivano(d). Antonino Liberale(e) e Ovidio(f) dicono, che coloro erano governati da una donna, la quale, per essersi creduta superinore in bellezza a Giunone, n’era stata cangiata in gru. I Pigmei volevano vendicare la morte d’ Anteo, ma Ercole, destatosi dal sonno, li rinchiuse tutti nella pelle del Leone Nemeo, e li portò ad Euristeo(g).
{p. 57}Dusiride, re d’ Egitto, e figlio di Nettuno, e di Libia o Lisianassa, si dimostrò il più crudele di tutti i Principi Egiziani(a). Costui aveva fatto rapire le figliuole di Atlante, perchè ne avea udito decantare la straordinaria bellezza. Ercole volle vendicare siffatta violenza, uccise i pirati, restituì le giovani al loro padre, e mise a morte anche lo stesso Busiride(b). Altri in altro modo raccontano la morte dell’anzidetto re. Riusciva, dicono essi, da nove anni scarsissima la raccolta nell’Egitto, attesa la scarsezza delle pioggie. Venne da Cipro l’ Indovino Trasea, o Trasio, e questi accertò Busiride che per avere di nuovo la fertilità nelle di lui campagne conveniva sacrificare ogni anno uno straniero a Giove. Ciò subito si esegui per ordine del re sullo stesso Indovino(c). Busiride poi continuò a trattare nella medesima maniera tutri gli altri stranieri : e già anch’ Ercole doveva andare soggetto allo stesso supplizio ; ma egli, come videsi legato, infranse i ceppi, e vi sacrificò Busiride, il di lui figliuolo, Anfidamante, Calbe, suo araldo d’armi, e tutti gli altri ministri della di lui crudeltà(d).
Termero, famoso assassino del Peloponneso, faceva morire i passeggieri, schiacciando la loro testa colla sua. Ercole nella stessa guisa lo privò di vita(e).
Eono, figlio di Licinnio, fratello d’ Alcmena, erasi rècato nella Spagna’nella sua prima gioventù. Mentre egli passava dinanzi alla porta d’ Ippocoonte, {p. 58}figlio di Ebalo e della Najade Batea, avvenne che un cane, custode di quella casa, gli si avvento contro. Eono scagliò contro di quello una pietra, e i figliuoli d’ Ippocoonte lo caricarono di percosse. Ercole prese a difenderlo, ma, essendo rimasto ferito nella zuffa, dovette ritirarsi. Qualche tempo dopo egli ritornò ad essi, e li uccise col padre loro. Per tale motivo offerì poscia una capra in sacrifizio a Giunone. Tale ceremonia si perpetuò appresso gli Spartani : dal che la predetta Dea si denominò Egofage, ossia manzia-capra(a). Vicino al sepolcro d’Eono si consecrò un tempio ad Ercole(b).
L’Eroe mise a morte Filolao, figlio di Minos, re di Creta, e della Ninfa Paria, perchè egli aveva ucciso due de’ di lui compagni(c).
Albione e Borgione erano due giganti, i quali avevano tratta la loro origine da Nettuno. Ercole dovette azzuffarsi con loro, perchè non volevano lasciarlo andare a’monti Atlantici. L’ Eroe avea inutilmente scaricato contro di essi tutte le sue saette, e già trovavasi in grande pericolo, quando Giove fece cadere dal Cielo immensa quantità di pietre, che li oppresse : e però quel luogo si denominò Campo lapideo(d).
Piplea, pastorella, amata da Dafnide, pastore della Grecia, venne rapita da’corsari, e venduta a Litierse o Litierside, figlio di Mida, e suo successore al trono di Colene. Dafnide, inconsolabile per la perdita di Piplea, intraprese di cercarla da per tutto, nè di mai riposare, finchè la avesse trovata. Dopo d’avere scorsi moltissimi paesi, giunse in Celene, ove la trovò. Litierse era un Principe barbaro, che obbligava i passeggieri a mietere o a misurare le di lui biade ; e dopochè lo aveano fatto, {p. 59}eddeva loro la testa. Gli fu condotto Dafnide, il quale sarebbe pure caduto vittima della di lui crudetà, se non fosse giumo opportunamente Ercole a alvargli la vita. Questo Eroe prese una falce, trono il capo a quel tiranno, liberò Piplea, e la rendette a Dafnide. S’aggiunge, ch’egli li unì in matrimonio, e loro donò il palagio di Litierse(a).
Erice, figlio di Bute e di Venere, e re d’un Cantone della Sicilia, detta poi da lui Ericia, riputavasi invincibile nel Cesto, o, come altri vogliono, nella Lotta. Provocava tutti a quel giuoco, e ne uccideva i vinti. Osò di cimentarsi anche con Ercole, ch’era giunto ne’di lui Stati co’ buoi di Gerione. Le condizioni della gara furono, che se restava superato Ercole, questi doveva cedere ad Erice i predetti animali ; se Erice perdeva, egli doveva pur perdere il proprio paeso. Il re vi rimase morto(b)(21).
Ercole, dopo d’aver purgato le terre d’ Augia, erasi trasferito appresso Desameno, re d’ Olena, città d’ Acaja, il quale lo accolse molto amichevolmente, non solo perchè ne conosceva lo straordinario valore, ma anche perchè avea bisogno del di lui ajuto. Quel Principe aveva una figlia, detta dagli uni Mnesimaca, e Ippolita dagli altri, la quale il Centauro Eurizione voleva sposare per forza. Ercole attaccò colui, e lo fece morire(c).
Ercole, andando a combattere le Amazoni, si fermò nell’ Isola di Paro. Gli abitanti, avendo ucciso due de’di lui compagni, come conobbero chi {p. 60}egli era, si ritirarono in città. Ercole li strinse d’assedio, ed era già per prenderli d’assalto, quando coloro per placarlo gli offerirono quanti de’ loro concittadini avrebbe mai ricercato. Egli si contentò di due soli, di Alceo e di Stenelo, figli d’ Androgeo, na to da Minos, re di Creta. Da di là continuando il suo viaggio, arrivò in Misia, dove combattè con Amico, re di Brebicia, lo scacciò dal trono, e vi sostituì in di lui luogo Lico, figliuolo di Dascilo(a).
Caco, figliuolo di Vulcano, era un mostro di smisurata grandezza, e avea tre bocche, dalle quali mandava fuoco. Abitava in una caverna sul monte Aventino, donde frequentemente ne usciva ad infestare co’latrocinj e cogl’incendj tutto il Lazio. Ercole aveva condotto i buoi di Gerione lungo le rive del Tebro, ed erasi colà addormentato. Caco di notte gliene rubò quattro paja, e per la coda le strascinò nella sua abitazione, affinchè Ercole dalle pedate non iscuoprisse ove quelle si trovavano. L’ Eroe passò col rimanente della sua mandra vicino alla caverna, e dal muggito d’uno di quegli animali rubati venne in cognizione del luogo, in cui gli stessi erano stati trasferiti. Egli spezzò subito l’immensa rocca, che chiudeva l’ingresso dell’antro, s’avventò contro Caco, e colla clava lo uccise(b). Altri pretendono, che sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella che scoperse ad Ercole il furto, fattogli da suo fratello. Fu perciò, dicono, annoverata tralle Dee, ed ebbe in Roma una Capelletta, ove le Vestali le offerivano de’ sacrifizj, e vi {p. 61}mantenevano un fuoco perpetuo, come a Vesta (a). Pirecine, re d’Eubea, facendo la guerra a’Beozj, comandati da Ercole, fu vinto da questo Eroe, che lo fece squarciare da due cavalli. Ercole pure non ville permettere, che gli si rendessero gli onori delsepoltura (b).
Ercole, trovandosi in Trachina, soggiogò i Driopi. Attaccò in seguito i Lapiti per soccorrere Egimio, re de’Dorj ; li abbattè, uccise Corono, figlio di Foroneo e loro re, e li obbligò a ritasciare a’Dorj i paesi, che aveano promesso (c). Ritornando sene da Trachina, vinse, ed uccise Cigno, figlio di Marte, il quale disputò secolui il premio della Corsa a cavallo. Marte, per vendicare la morte del figlio, s’accinse a battersi col di lui uccisore ; mal Giove li separò, scagliando il fulmine nel mezzo loro (d)
Ercole domò Lacinio, formidabile malandrino, che soggiornava in Crotone : e in memoria di tal fatto l’Eroe fabbricò ivi un tempio a Giunone, detta Lacinia (e).
Lo stesso Etoe finalmente s’azzuffò perfino cogli Dei. Per vendicarsi delle persecuzioni di Giunone, vibrò contro di lei una freccia, e la lasciò ferita nel seno. Molestato dagli ardori del Sole, tese pure contro, di lui il suo arco. Il Sole ammirò tanto coraggio, e lo regalò d’una tazza d’oro. Ercole lottò ne’Giuochi Olimpici con Giove, il quale cravi comparso sotto la figura d’atleta. La zuffa per lungo {p. 62}tempo duiò in modo eguale ; finalmente il Dio, datosi a conoscere, si rallegiô col figlio pel di lui valore. Ercole per ultimo con una freccia offese Plutone, che fu costretto di salire al Cielo, per farsi guarire da Peone, medico degli Dei (a).
Ercole nelle anzidette circostanze ebbe per compagno anche Argeo, figlio di Licinnio. L’Eroe aveva giurato al di lui padre di ricondurglielo, ma il giovinetto morì per viaggio. Ercole ne abbruciò il corpo, e ne portò le ceneri a Licinnio, onde soddisfare meglio che potè al prestato giuramento (b).
Ercole è stato detto Tirintio, perchè spesso dimorava in Tirinta, città del Peloponneso, vicina a quella d’Argo (c).
Cicerone gli dà il nome di Prodicio, perchè Prodico, nativo dell’ Isola di Cea, e famoso Sofista, pubblicò un libro, in cui fanse che ad Ercole sieno apparsi la virtù e il Piacere, e che mentre l’una e l’altro volevano trarlo a se, egli scelse di seguire piuttosto la Virtù, che il Piacere (d).
Ercole si appello Musagete, ossia Condottiere delle Muse, perchè riusci eccellentemente in varie scienze. Seneca lo annovera tra gli uomini sapienti : Eliano lo encomia, come Filosofo morale. Da Chirone apprese la medicina e la chirurgia. Come medico ebbe tempj e altari, comuni con Apollo ed Esculapio. Conobbe la botanica, e arricchì il suo paese di molte piante, delle quali esso mancava. Fu idraulico e geometra pratico : seccò paludi, arginò {p. 63}fiumi, scavò canali, frenò il mare con dighe, appianò montagne, aperse pubbliche strade, per cui ne fu tenuto qual Dio, e si confuse con Mercurio. Teocrito lo disse l’uomo universale. Insegnò le Belle-Lettere ad Evandro ; e perciò i Romani lo riconobbero come uno de’loro fondatori. Fu buon dialettico giusta Plutarco. I Galli erano persuasi, ch’egli avesse sottomessi i popoli più coll’ eloquenza, che colle armi : e come tale lo onoravano sotto il nome d’Ogmio. Fu poeta e musico ; e quindi rappresentavasi colla lira in una mano, mentre coll’altra stava appoggiato sulla clava. In un basso rilievo parimenti, trovato sulla Via Appia, compariva colla lira a’piedi (a). Presso i Romani M. Fulvio Nobiliore, Console, fu il primo, che gli dedicò un tempio nel Circo Flaminio, ov’ erano onorate anche le Muse. Quel tempio fu uno de’ più frequentati spezialmente da’letterati (b). Esso venne magnificamente ristaurato da Lucio Marcio Filippo. Plinio ne fa la descrizione (c).
Ercole acquistò il nome di Buraico da Bura, città dell’ Acaja. Ivi era celebre l’Oracolo di questo Eroe divinizzato. Esso si consultava in un antro, gettando quattro dadi, scolpiti nelle faccie di figure, dalle quali si rilevavano le risposte del Nume (d).
Era stata rubata una pesantissima tazza d’oro nel tempio d’Ercole. Questi comparve in sogno al Poeta Sofocle, e gl’indicò chi n’era stato il ladro. {p. 64}Sofocle non ne fece parola con alcuno. Sognò di nuovo lo stesso, e neppure allora parlò. Per la terza volta gli avvenne la medesima cosa ; ed ei finalmente ne fece consapevole l’Areopago. Fu subito arrestato il reo, il quale, posto alla tortura, restituì il furto. Per tale fatto Ercole fu detto Indicante (a).
Ercole per la sua eccessiva voracità si appellò Polifago, e Adefago, i quali nomi significano granmangiatore (b)(22). Ei mangiava, come abbiamo altrove osservato, i buoi intieri, per cui venne sopranom’nato anche Bufago, ossia mangiatore di buoi (c).
Era nominato Eritreo, perchè aveva un tempio in Eritrea, citta dell’ Arcadia. Ivi la di lui statua era posta sopra una zattera, perchè gli Eritrei pretendevano, che quella fosse così arrivata da Tiro appresso di loro. Dicesi, che la stezze zattera, entrata nel mare Ianio, siasi fermata tra Eritrea e Chio, e che amendue que’ popoli abbiano usato di tutte le loro forze per trarla a se, senzachè abbiano potuto mai riuscirvi. Un pescatore cieco d’Eritrea fu avvertito in sogno, che se le donne si fossero tagliati i capelli, e ne avessero formata una fune, conquesta si sarebbe tratta la zattera senza fatica a terca. Nessuna delle femmine Eritree volle farlo, e certe donne Tracie, le quali, benchè fossero nate libere, tuttavia servivano all’ Eritree, esibirono i loco capelli. Così que’ d’Eritrea conseguirono la statua d’Ercole, nè permisero, che alle donne Tracie l’ingresso del di lui tempio (d).
{p. 65}Qualsivoglia Deità, la quale col mezzo de’ sogni manifestava i futuri eventi a coloro, che, coricati solle pelli delle scannate vittime, la consultavano, si chiamava Sonniale. Questo nome pertanto divenne proprio anche d’Ercole, perchè i di lui Oracoli alle volte si davano in quella maniera. Bene spesso si mandavano gli ammalati a dormire nel di lui tempio, affinchè sapessero in sogno, quando erano perriavere la loro salute (a).
Un certo Diomo, cittadino Ateniese, voleva sacrificare ad Ercole. Un cane bianco prese la vitrima, e con essa se ne fuggì. L’Ateniese invocò Ercole, corse dietro al cane, e ricuperò la preda. Diomo in memoria di tal fatto eresse un altare ad Ercole nello stesso luogo, ove il cane erasi fermato, e denominò Ercole col titolo di Cinosarge, ossia Cane bianco(b).
Il nome Eracle è composto di due voci Greche, che significano Giunone e gloria. Ercole fu così appellato, per indicare, che i travagli, da lui intrapresi per causa di Giunone, lo rendettero glorioso (c).
Ercole ebbe molte mogli. Tra queste si nominano principalmente le cinquanta giovani, chiamate Tespiadi dal loro padre, Tespio, re di Feozia ; Megara, figlia di Creonte, re di Tebe ; e Dejanira, figlia d’Eneo, ne di Calidone, nell’ Etolia. Tespio fece sposare tutte le predette sue figlie ad Ercole, dopo d’averlo ubbriacato in un convito. L’Eroe in una sola notte rendette ciascuna madre d’un figlio, ed alcune anche di più. {p. 66}Una sola di quelle ricusò d’unirsi ad Ercole, perchè voleva serbarsi sempre vergine, ed erasi costituita sacerdotessa d’un tempio (a).
Tebe doveva pagare ad Ergino, re d’Orcomene, un annuo tributo di cento buoi, ed egli esigeva questo omaggio per vendicare la morte di Climeno, suo padre, ucciso da un Tebano. Quel re spediva ogni anno a Tebe certi commissarj per ricevere quell’ imposizione. Ercole, avendoli incontrati, li attaccò, e tagliò loro il naso, le orecchie, e le mani, le quali poi sospose al collo di ciascuno. Quindi egli prese il nome di Rinocoluste. Ergino marciò allora contro i Tebani ; ma Ercole prese a difenderli, tagliò gli Orcomenj a pezzi, ne uccise il re, e ne saccheggiò la città. Creonte in ricompensa di sì segnalato servigio diede in moglio all’ Eroe la sua figliuola, Megara, da cui nacquero Lamio, Creonziade, Terimaco, e Deiconte (b). Quel matrimonio non fu molto felice. Avendo Ercole indugiato a ritornarsene dall’ Inferno, si cre ette ch’ egli fosse morto ; e però insorse una sollevazione in Tebe. Viveva allora Lico, figlio di Nettuno e di Celeno, il quale aveva ajutato Ercole a vincere le Amazoni, e avendone ricevuto in ricompensa una città, la avea denominata Eraclea per onorare il suo benefattone. Colui, fattosi capo de’ ribelli, privò di vita Creonte, s’impossessò del trono, e voleva anche distruggere tutta la famiglia d’Ercole, ma l’improvviso ritorno di lui dall’ Inferno cangiò tutta la scena. Megara co’ suoi figliuoli vennero liberati dalle mani di Lico, e costni per mano d’Ercole rimase ucciso (c). Giunone, sdegnatasi per {p. 67}la morte dello stesso, intorbidò ad Ercole la mente, e mentre stava egli per offerire un sacrifizio a Giove, lo rendette furibondo. Partì dall’ altare, si trasferì el suo palagio, e quivi credendo di trovarsi ora in Corinto, ed ora in Micene, combattè coll’ aria, si diede a credere d’avervi riportate molte gloriose vittorie. Giove se gli presentò per richiamarlo alla primiera serenità di mente ; ma Ercole, pensando, che quegli fosse Euristeo, coll’ arco lo inseguì. Fu rinchiuso in una stanza, ed ei ne spezzò le porte, che diceva essere quelle di Micene. Uccise i figli, che aveva avuto da Megara, credendoli figli del predetto Euristeo. Avrebbe privato di vita anche Anfitrione, creduto suo padre, se il di lui figliuolo. Pallante, non ne Io avesse impedito(23). Finalmente caduto in profondo sonno, fu legato, ad una colonna. Dopo alquanto di tempo si destò, guarito della sua frenesia. Conobbe allora la strage, che avea fatto de’ suoi, se ne afflisse estremamente, e si tenne per lungo tempo nascosto, fuggendo la società degli uomini (a).
Ercole, prima di poter conseguire in moglie Dejanira dovette combattere con Acheloo, figlio dell’ Oceano e di Teti, o, come altri vogliono, del Sole della Terra, perchè anche quegli aspirava alle nozze di colei(24). Acheloo alla fine, conoscendosi inferiore di forze ad Ercole, ricorse all’ artifizio di tramutarsi in serpente. L’Eroe lo afferrò pel collo, sì fortemente lo strinse, che gia era per soffocarlo. Acheloo, vestite allora le sembianze di toro, rinoò l’attacco ; ed Ercole gli abbrancò uno de’ corni, dielo svelse, e lo atterrò. Le Najadi, figlie dello {p. 68}stesso Ar heloo, raccolsero quel corno, e lo riempirono di frutta e fiori odorosi (a). Dejanira poi aivenne il premio del vincitore, e questi seco lei s’avviò alla volta di Tebe, sua patria. Giunto alle rive dell’ Eveno, fiume dell’ Etolia(25), lo trovò cresciuto assai più dell’ usato, e pericoloso a tragittarsi. Quanto era imperturbabile riguardo a se, altrettanto mostravasi affannoso per la sposa, nè azzardava d’esporla al rapido corso di quelle acque. In tale circostanza il Centauro Nesso insinuò ad Ercole, chlegli, prevalendosi delle proprie forze, passasse nuotando all’ altra riva, e gli promise d’assicurarne anche alla di lui sposa il passaggio sulle sue spalle. Ercole affidò Dejanira al Centauro, indi si abbandonò intrepido al fiume. Posto il piede sull’ opposta spiaggia, udì e conobbe la voce lamentevole di Dejanira, che dimandava soccorso contro di Nesso, che tentava di rapirla. L’Eroe tese tosto l’arco, scaricò contro il Centauro una freccia, tinta del veleno dell’ Idra di Lerna, e gli trafisse il petto. Nesso vicino a morire, macchinò di vendicarsene. Toltasi di dosso la veste, intrisa del proprio sangue, ne fece dono a Dejanira, dicendole, che quella avea la virtù di ravvivare le fiamme d’amor conjugale, qualora esse languivano(26). Trascorsi parecchi anni dalla morte di Nesso, Ercole passò per. l’isola d’Eubea, ove s’invaghi di lole, figlia d’Eurito, re d’Ecalia. Questi sfidava tutti nel tirare d’arco, e prometteva di dare in moglie la predetta sua figlia chi lo avesse superato. Ercole vi riuscì, e colui no volle stare alla promessa, allegando per pretesto, {p. 69}chegli aveva ucciso i figli, avuti da Megara, sua prima moglie, e che temeva che fosse per trattare nella stessa guisa anche qualsivoglia altro, che fosse per nascergli in avvenire. Ercole rapì la giovine, e nel suo furore precipitò dall’ alto delle mura il di lei fratello, Ifito, spedito dal padre a trovare i buoi, che gli erano stati rubati da Autolico. Ercole dopo d’aver pregato inutilmente Neleo, re di Pilo, di purificarlo del commesso omicidio, si rerò appresso Deifobo, figlio d’Ippolito, re d’Amicle, e quegli senza difficoltà lo sottomise alle ceremonie dell’espiazione. Gli Dei però, giudicando che Ercole non fosse stato abbastanza punito, lo afflissero inoltre con una malattia, per liberarsi dalla quale l’Eroe si portò a consultare l’Oracolo di Delfo. Senoclea, sacerdotessa di quel tempio, non volle dargli alcuna risposta. Ercole se ne offese, voleva saccheggiare il tempio, e portarne via il tripode. Apollo vi si oppose, combatterono tra loro ; nè si sa crò, che sarebbe avvenuto, se Giove non li avesse separati, scagliando il suo fulmine nel mezzo loro (a). L’Oracolo allora fece intendere ad Ercole, ch’ egli non si sarebbe liberato dal suo male, qualora non fosse stato venduto, e non avesse servito in qualità di schiavo. Per eseguire la predizione dell’ Oracolo, Mercurio per ordine di Giove lo condusse nella Lidia, e lo vendette ad Onfale, figlia di Giardano, e moglie di Tmolo, re di Lidia(27), il quale, essendo morto senza figli, la lasciò erede della corona. Colei si valse superbanente del potere, acquistato sopia di Ercole, gli tolse la clava e la pelle di leone, lo vestì in abito donnesco ; e postagli in mano una conocchia, gl’ impose pene obbrobriose, qualora non {p. 70}avesse filato béne, o avesse rottoil fuso (a). Narrasi, che Ercole, viaggiando con Onfale, si ritirò in una grotta. Colei aveva anche là coperto l’Eroe de suoi vestiti, ed ella aveasi indossata la pelle di leone, ed erasi armata della di lui clava. Oppressi amendue dal sonno, si coricarono sopra due letti separati. Pane, che li avea veduti entrare nella grotta, preso dalla bellezza d’Onfale, erasi proposto di sorprenderla, mentr’ella dormiva. Verso la mezza notte entrò nella grotta ; ma siccome era smorzato il lume, così non sapeva a qual parte volgere il passo. Giunse finalmente al letto d’Onfale, e appenachè toccò, il pello irsuto del leone, ritirò la mano tremante. Continuò a cercare, e trovò l’altro letto. Ingannato dagli abiti, s’accostò più d’appresso ad Ercole. Questi, destatosi, lo lanciò nel mezzo della grotta. Onfale pel sussuro si svegliò anch’ella ; e acceso il lume, Pane, che si lagnava del dolore, cui soffriva, divenne soggetto delle comuni risa (b). Onfale poi regalò Ercole di molti doni, perchè egli uccise un serpente, che faceva grande strage appressò il fiume Sagari (c). Altri dicono, ch’egli la sposò, e che n’ebbe un figlio, il quale da Diodoro Siciliano si appella Lamo o Lamone (d)(28), da Apollodoro dicesi Agelao, (e), e da Palefato si chiama Laomede (f). Durante la di lui schiavitù appresso Onfale Ercole aveva distrutti molti malandrini, che infestavano la Lidia. Marciò pure contro i {p. 71}Cercopi, popoli vicini agli Stati della predetta Regina i quali costringevano gli ospiti a lavorare le loro vigne in qualità di servi (a). Ercole finalmente donò ad Onfale l’ascia, di cui ne andava armata l’Amazone Ippolita(29).
Ritornando a Dejanira, costei, come seppe, ch’Ercole avea preso ad amare l’anzidetta Jole, piena di gelosia e timori, spedì al marito per mano di Lica, suo servo, la veste di Nesso. L’Eroe Tebano stava allora per offerire vittime e voti a Giove, venerato in Geneo, quando al cuoprirsene gli omeri s’imbevette del veleno dell’Idra. Sofferì, finchè potè, l’ardore del fuoco venefico, da cui internamente veniva cruciato, ma il dolore e lo spasimo superando alla fine la di lui tolleranza, abbandonò egli il sacrifizio e l’altare, cominciò ad empiere di strida l’Oeta, monte della Tessaglia, e tentò di spogliarsi della mortifera veste. Ovunque però la tirasse, cessa traeva seco anche la cute. In tale misero stato vide egli Lica, il quale pallido e tremante stava nascosto nel cavo d’una spelonca. Allora sciolo improvvisamente il freno alla rabbia, lo lanciò in mare, dove fu cangiato in iscoglio (b). L’Eroe proseguì nel suo furore, pronunziò orribili imprecazioni contro Dejanira, tagliò parecchie legna del bosco, ene formò un rogo. Indi chiamato a se Filottete figliodi Peane, gl’impose di ritenersi in retaggio il suo arro e le sue frecce, le quali dal Fato si riserbavano all’esterminio de’ Trojani. Cuoprì poi la catasta colla pelle del Leone Nemeo, vi si adagiò sopra, cemandò a Filottete d’appiccarvi il fuoco, e dallo stesso {p. 72}si fece promettere con giuramento, ch’egli avrebbe raccolto le di lui ceneri, nè avrebbe mai scoperto il luogo, ove le avrebbe sotterrate (a)(30). La fiamma, dilatatasi per ogni parte ridusse, in cenere le membra e le ossa di lui, che intrepido già la disprezzava (b)(31). Dicesi, che la famosa Colomba d’oro, la quale conferiva agli alberi la virtù di profetizzare, aveva presagito ad Ercole il tristo fine, ch’ei doveva incontrare(c).
Ercole aveva amato assai anche Fillo, figlia d’Alcimedonte Arcade, e aveala fatta madre d’un figlio, detto Ecmagora. Alcimedonte fece esporre Fillo ed Ecmagora sul monte Ostracino, dov’erave moltitudine di belve. Una gaza dall’ udire continuamente i gemiti. del bambino apprese ad imitarli sì bene, ch’ Ercole, passando per colà, e udendola, credette d’udire la voce d’un fanciullo. Là pertanto drizzò il passo, vide la dolente madre col figlio, li riconobbe, e liberolli dal pericolo, in cui si trovavano (d).
L’Eroe aveva amato altresì Pirene, figlia di Bebrice, che regnava ne’ monti Pirenei. Ercole, preso dal vino, mentre andava a togliere i buoi a Gerione, lasciò la giovine incinta. Pirene mise al mondo un serpente, di cui ne concepì sounno orrore ; e temendo l’ira del padre, si ritirò sulle vicine campagne, dove restò preda delle belve (e).
{p. 73}Tra i varj altri figliuoli, nati ad Ercole, si nominano spezialmente Macaria(32), Abia(33), Illo(34), e Tlepolemo(35). Fu pur caro ad Ercole il fanciullo Elacato, cui gli Spartani celebravano le feste, dette Elacatee (a).
Giove accolse Ercole in Cielo, e Giunone gli diede lassù in moglie la sua figliuola, Ebe (b)(36). Da tale mattimonio nacquero Alessiare, e Aniceto (c). In terra poi futono pressochè innumerabili gli onori, che questo Eroe ricevette. I Greci lo venerarono come uno de’ loro maggiori Dei (d). Egli in Roma ebbe molti tempj, e fra gli altri uno vicino al Circo Flaminio, e chiamato il tempio del Gran d’Ercole, custode del Circo ; ed uno presso il Foro Bovino, in cui non entravano mai nè cani, nè mosche (e). Ebbe pure nella stessa città un’ Ara, detta Massima, perchè era maggiore di tutte le altre. Ad essa si portava la decima de’ buoi. Le donne non potevano accostarsi alla medesima, nè mangiare cosa alcuna ivi posta : e ciò in pena d’avere una donna ricusato di somministrare dell’ acqua ad Ercole sitibondo, perchè ella celebrava là festa della Dea delle donne, al tempo della quale non era lecito agli uomini gustare alcuna cosa. Properzio ed Ovidio dicono, ch’ Ercole stesso si aveva eretta la predetta Ara ; Virgilio vuole, che gliela abbia inalzata Potizio ; e Dionisio pretende, che sia stata consecrata da {p. 74}Evandro (a). Filottete poi sulle ceneri d’Ercole aveva ciretto un sepolcro, su cui gli si offerirono molti sacrifizj. I Tebani pure, e gli altri popoli della Grecia gl’ inalzarono tempj e altari (b). Gli Ateniesi lo onorarono coll’ Enisterie, ossia colle Feste del vino. Esse si solennizzavano da’ giovani prossimi all’ adolescenza, primachè si recidessero per la prima volta la barba e i capelli. Queglino portavano allora al tempio d’Ercole una misura di vino, ne facevano delle libazioni, e ne davano a bere a tutti gli astanti (c). Sparta celebrava ad onore d’Ercole certe Feste, dette Ergazie, perchè avevano relazione colle di lui azioni, dette in greco erga (d). Gli s’instituirono altre Feste, chiamate Iolee, perchè conesse si onorava anche Iolao, compagno di lui nel domare l’Idra di Lerna. Allora dopo il sacrifizio eravi un doppio spettacolo di giuochi. A’ vincitori si dava una corona di mirto, e un trepiede di bronzo (e). Il culto d’Ercole si estese nelle Gallie, nella Spagna, e nella Trapodana, Isola tra il Gange e l’Indo. In Tiro eravi un bellissimo tempio, consecrato a questo Eroe, e dove v’avea un pilastro tutto di smeraldo, e una sedia di pietra preziosa (f). Il Fabretti rapporta due Iscrizioni, dalle quali apparisce, ch’ Ercole appresso gli Antichi si risguardava come il Nume, preside a’ pesi e alle {p. 75}misure. Varj popoli imploravano la di lui protezione in tempo di malattie, per cui egli acquistò il nome di Alessicaco(a). Finalmente Ercole conseguì un tempio appresso gli abitanti di Cadice nella Spagna. Là non veniva rappresentato sotto alcuna figura, nè era permesso alle donne l’entrarvi. I Sacerdoti di quel tempio doveano serbarsi sempre casti, ed erano tenuti a sacrificarvi col capo raso, e co’ piedi ignudi. Neppure potevano avvicinarsi a quel sacro luogo i porci, e su quegli altari ardeva un fuoco perpetuo. Finalmente eranvi colà due colonne d’oro e di bronzo, sulle quali si vedevano espresse le mentovate Fatiche d’Ercole. Alcuni dicono, che quelle colonne vennero ivi alzate per alludere alle altre due, appellate le Colonne d’Ercole, perchè questo Eroe, giunto a Cadice nella Spagna, e credendo d’aver tocchi i confini della terra, separò le due montagne, Calpe ed Abila, e sopra cadauna vi piantò una colonna, per ricordare a’ posteri il termine delle sue conquiste (b). Queste stesse Colonne si chiamavano anche Porte Gadaritane (c).
Ercole apparve in sogno al leggiadro Miscelo, figlio di Alemone, cittadino d’Ar go ; e in tuono minaccevole gli comandò d’abbandonare la sua patria, e di trasferirsi sulle rive dell’ Esaro, fiume de’ Bruzj in Italia. Dileguatasi col sonno la visione, Miscelo per lungo tempo stette dubbioso sul partito, cui doveva appigliarsi. Ercole lo voleva {p. 76}fuggiasco, e le leggi dalla di lui patria glielo vietavano sotto pena di morte. In tale agitazione di spirito passo il giovane l’intera giornata. Sopraggiunse la notte ; e postosi nuovamente a dormire, ebbe la stessa visione, calchè risolvette d’ubbidire, e di portarsi in paese straniero. Trapelatasi in città la di lui determinazione, venne accusato, e convinto per trasgressore delle Leggi. Impallidito e tremante implorò Miscelo l’ajuto d’Ercole. Gli Argivi nel giudicare i rei usavano allota certi sassetti, bianchi e neri, assolvendo con quelli, e condannando con questi. Scritto il funesto decreto, ciascuno pose il sassetto nero nell’ urna ; e vuotatasi poi questa, si trovarono tutti cangiati in bianchi. Tale metamorfosi sottrasse Miscelo all’ atroce castigo. Quindi, rendute grazie al suo liberatore, fece vela con propizio vento per la Ionia, e giunse a’ lidi dell’ Esaro. Non lungi di là trovo la tomba, che racchiadeva le ceneri di un certo Crotone, uomo saggio, moderato, e ospitale, appresso il quale alloggiò Ercole, quando ritornò dall’ aver tolto i buoi a Gerione. Vicino a quella tomba Miscelo alzò, come l’Eroe avea vaticinato, le mura d’una nuova città, e la chiamò Crotone (a)(37).
Tra i moltissimi Sacerdoti d’Ercole sono famosi Pinazio e Potizio, due vecchi servi di Evandro, re del Lazio. Allorchè questo Principe ricevette Ercole alla sua corte, l’Eroe indico a’ due predetti vecchi il modo, con cui voleva essere adorato. Esso consisteva nel fargli due sacrifizj, l’uno al nascere, e l’altro al tramontare del Sole. Pinario e Potizio fecero insieme il sacrifizio della mattina, ev’ {p. 77}osservarono le ceremonie, ch’ erano state loro prescritte. Quello poi della sera si fece da Potizio solo, perchè Pinario non v’arrivò che tardi. Ercole, irritato di tale negligenza, comandò che Potizio e i di lui discendenti presiedessero a’ sacrifizj, che annualmente gli si facevano in Italia sul monte Aventino, e che Pinario e la stirpe di lui non v’assistessero, che per servire in essi a’ Sacrificatori. Non sempre però il sacro ministero persistette appresso i Potizj. Esso in seguito per opera d’Appio Claudio venne affidato anche agli schiavi ; ma nello stesso anno turti i Potizj morirono, e Claudio Appio divenne cieco. Si giudicò, ch’Ercole avesse così punito il disprezzo, che aveasi fatto de’ suoi sacrifizj (a).
Ercole esorcitò la sua protezione spezialmente verso Fillio, giovine della Beozia. Iria, donna pure della Beozia, avea un figlio di rara bellezza, nominato Cigno. Fillio prese ad amarlo, e si studiò di piacergli. Cigno, che cercava di liberarsene, dopo d’ averlo impegnato in altre due malagevolissime imprese(38), gli propose di prendere vivo, e di condurre all’ altare di Giove un toro indomito, che faceva un orribile guasto in una vicina foresta. Fillio, prima di tentare l’arduo cimento, implorò il soccorso di Ercole, e a tale oggetto gli offerì un sacrifizio. L’Eroe gli fece vedere in sogno due tori, i quali, dopo d’aver lungo tempo contrastato tra loro per una giovenca, erano caduti a terra semivivi. Incoraggito Fillio dalla visione, corse alla foresta, vi trovò il toro estremamente affaticato, lo afferrò per un piede, lo trasse all’ altare comandato, ed ivi {p. 78}lo immolò. Egli inoltre mediante la protezione d’Ercole restò liberato dalla fiamma d’amore, di cui ardeva per Cigno : lo che talmente avvilì l’oggetto da prima cotanto amato, che si gettò nel lagò di Canopo, e venne convertito in Cigno (a)(39).
L’Eroe, di cui finora abbiamo parlato, rappresentasi di figura gigantesca, vestito con pelle di leone, e coronato di pioppo. Stringe in mano la clava, ed ha il turcasso pieno di frecce. Talvolta comparisce col cornucopio sotto il braccio (b). Cinge una corona di pioppo, perchè viaggiando pel regno di Plutone, avea trovato sulle rive del frume Acheronte quell’ albero, e delle frondi del medesimo erasi inghirlandato la fronte. Dicesi inoltre, che quando questo Eroe discese nell’ Inferno, la parte di quelle foglie, che toccava la di lui testa, si conservò candida, laddove l’altra, ch’era esposta al di fuori, s’annerì pel denso fumo di quel tetro soggiorno (c)
{p. 91}Teseo. §
Egeo, re d’Atene, trasferitosi appresso Pitteo, re di Trezene, ne ricevette in moglie la di lui figliuola, Etra, la quale gli partorì Teseo. Egeo, dovendo ritornarsene in Atene, lasciò la moglie e il figlio appresso Pitteo. Nello stesso tempo nascose i suoi calzari e la sua spada sotto un grosso sasso, e commise ad Etra di spedirgli Teseo, allorchè fosse divenuto capace di smuovete quel sasso. Converiva, che Egeo tenesse secreto il suo matrimonio a motivo de’cinquanta figliuoli di Pallante, suo fratello, detti però Pallantidi, i quali aspiravano alla corona d’ Ateno. Pitteo quindi pubblicò, che il padre di Teseo era Nettuno(a). Crebbe il fanciullo in quella Reggia sotto l’educazione di un certo Connida(1), e fino dalla più tenera età diede non dubbie prove di sommo coraggio, e d’invitta fortezza. Ercole, trasferitosi appresso Pitteo, depose la sua pelle di leone per assidersi a mensa. Molti fanciulli, e tra quelli anche Teseo, tratti dalla curiosità di vedere Ercole, erano accorsi al palagio reale ; ma tutti al vedere quella pelle si spaventarono, eccettuato Teseo, che strappò dalle mani di uno schiavo un’ascia, e credendo di vedere un vero leone, corse intrepido ad attaccarlo(b).
{p. 92}Era giunto Teseo all’età di sedici anni, quando Etra gli manifestò il secreto della di lui nascita. Il giovane rovesciò l’anzidetto sasso, e raccolse ciò, ch’eravi sottoposto. Fu allora, che la virtù e la gloria di Ercole lo animarono piucchè mai ad illustri azioni, e l’ammirazione, ch’eccitavano in lui le gesta di quell’ Eroe, produceva che le imprese dello stesso gli si offerissero di notte in sogno, e gli destassero ardente desiderio di emularle. Ad accrescere siffatta emulazione concorreva la parentela, ch’eravi traloro, perchè Pitteo era fratello di Lisidice, madre di Alcmena, da cui, come vedemmo, era n ato Ercole(a). Teseo se ne andò alla volta d’Atene, nè stette molto a trovare occasioni di far prova del suo valore. Sulle vie d’Epidauro s’abbattè in Perifete, creduto figlio di Vulcano(2), e soprannominato Corinete, perchè portava una clava, detta in greco corine(3), con cui uccideva i passeggieri(b). Colui voleva arrestare anche Teseo, ma questi lo uccise, e portò sempre con se quella clava, come il primo trionfo della sua virtù(c)Incontrò poscia nell’ Istmo di Corinto un altro gigante, assai più forte e formidabile del primo, chiamato Scini(d), o Sini(e), o Sinni(f), e soprannominato Pitiocampte, ossia piegatore de’pini, perchè soleva attaccare i passeggieri a due pini, a gran forza curvati, affinchè al raddcizzarsi di essi, traessero seco una parte del corpo, squarciato in due. Teseo fece soggiacere {p. 93}colui alla pena stessa, cui egli aveva sottomesso gli altti(a). Perigona, figlia del predetto Scini, dopo la morte di suo padre ando a nascondersi tra morte di suo padre ando a nascondersi tra molte canne e altre piante selvaggie, perchè temeva d’incontrare lo stesso fine di lui. Teseo, il quale già sospettava ch’ella si fosse colà ritirata, la chiamò a se, protestando, che non le avrebbe recato alcun male. La giovine si rimise nelle di lui mani, gli partorì Menalippo, e fu poi da Teseo ceduta in moghe a Dejoneo, figlio d’Eurito, re d’Ecalia(b). Teseo poscia fece strage del Toro, che, portato da Ercole ad Euristeo, da questo era stato mandato, come abbiamo esposto, a devastare le campagna di Maratona. L’Etoe proseguì il suo viaggio, passò per Cremiona, luogo vicino a Corinto, e v’uccise un cinghiale, ch’era divenuto lo spavento di quel Territorio(c). Assicurò il cammino a Megara, ove trovavasi un certo Scirone, il quale obbligava i passeggieri a lavargli i piedi, e poi li precipitava da un’altezza nel mare. Anch’egli in egual modo fu trattato dall’ Eroe(d)(4). Cercione, re d’Eleusi(e), trattava i passeggieri, come il predetto Scini(f)(5). Teseo lo uccise, e vi sostituì sul trono Ippotoonte(6), nato da Alope, figlia dell’anzidetto Cercione(g). Appresso il fiume Cefiso, sulla strada da Eleusi in Atene, Polipemone, detto {p. 94}anche Damaste e Procruste (7), faceva coricare i viandanti sopra un letto : se erano più lunghi di quello, ne tagliava la parte che sopravanzava ; se più corti, ve li riduceva alla misura del medesimo colle più crudeli stirature. Teseo lo fece morire del medesimo supplizio(a). Egli poi ando appresso i discendenti di Fitalo, si fece purificare all’altare di Giove Melichio, perchè aveasi imbrattate le mani nel sangue di tanta gente(b). Giunse finalmente in Atene, e vi trovò Medea, figlia di Ecta, re di Colco, la quale, fuggita da Corinto, erasi ritirata appresso Egeo, ed era divenuta di lui moglie. Colei, che aveva avuto qualche notizia di Teseo, tentò di farlo perire, onde assicurare il trono al figliuolo, ch’ella avea partorito in quella Reggia. Persuase quindi ad Egeo, che Teseo era uno straniero, venuto ad usurpargli il dominio ; e composta una venefica bevanda, volle che il Re stesso ne porgesse il nappo al proprio figliuolo, come ad un suo nemico. Mentre Teseo appressava le labbra alla tazza fatale, il padre di lui lo riconobbe, e strappatogli il bicchiere di mano, imbrandì la spada per uccidere l’ingannatrice. La Maga si sottrasse al di lui furore, fuggì precipitosamente da Atene, e tirata da Dragoni, si occultò fra le nuvole(c)(8). Pallante, e i di lui figliuoli come riconobbero Teseo, suscitarono una congiura contro Egeo. La rea trama fu scoperta, e tosto dissipata colla morte dello stesso Pallante, e de’figli di lui, i quali caddero tutti sotto i colpi {p. 95}di Teseo. La uccisione di costoro obbligò questo Eroe ad allontanarsi per un anno dalla sua città, e dopo questo tempo egli venne assolto da’ Giudici, radunati nel tempio d’ Apollo Delfico(a).
Teseo, ritornato in Atene, la sottrasse al barbaro non meno, che ignominioso tributo, cui essa per la terza volta doveva pagare a Minos II, re di Creta. Androgeo, figlio di questo Monarca, per aver riportato il premio ne’ Giuochi, che andavano uniti alle Feste Panatence, talmente si tirò addosso l’invidia degli Ateniesi e de’ Megaresi, che coloro gli tesero insidie, e lo privarono di vita (9)(9). Minos stava sacrificando nel tempio delle Grazie in Paro, quando intese la morte del suo figliuolo(b). Egli, per vendicarla con numerose forze terrestri e marittime, mosse guerra ad Egeo, e a Niso, di lui fratello, che regnava in Megara (10)(10). Gli Ateniesi, oppressi dalle armi nemiche, furono nella dura necessità di segnare col re Megarese un trattato, per cui si obbligarono di mandargli ogni nove anni(c), ovvero ogni anno sette giovanetti e sette giovanette, affinchè venissero rinchiuse nel Labirinto, fabbricato da Dedalo (11) S’accorse appena l’ afflitto Dedalo di tale caduta, che, calato dall’ alto, cercò inconsolabile il caro figlio ; e trovatolo, lo seppellì sotto le arene. Riprese poscia il volo verso l’ Italia, e discese sulle montagne di Cuma. Là v’ eresse un tempio ad Apollo in riagraziamento della sua felice fuga, consecrò a quel Nume le sue ali, e sulla porta del di lui tempio vi scolpì la descrizione di tutto ciò, ch’ eragli accaduto. Cocalo poi, re di Sicilia, accolse appresso di se l’ industre artefice, ma poi, temendo il furore di Minos, che glielo aveva ricercato, lo soffocò in un bagno(b). Dicono, che le figlie di Cocalo diedero la stessa morte a Minos (c). e avessero ad essere infelici vittime del Minotauto(12). Era questo un mostro, nato da Pasifae, moglie dello stesso Minos, e figlia del Sole e della Ninfa Perseide. Aveva la testa di toro, e nel cimanente del corpo rassomigliava alla figura d’uomo(13), nè si cibava che di carne umana(d). All’avvicinarsi il tempo del {p. 96}terzo tributo gli Ateniesi altamente si agitavano, ed erano per sollevarsi. Teseo ganerosamente s’offerì d’essere anch’egli tra coloro, che la sorte destinava alla funesta spedizione. Prima di partire consultò l’Oracolo di Delfo, che gli commise di prendersi Venere per guida, e di sacrificarle una capra in riva al mare. Così egli fece, e la Dea tosto gli comparve sotto la figura di capra, per cui acquistò il nome di Epitragia(a). Non appena Teseo giunse in Creta, che se ne invaghì Arianna, figlia di quel re. Ella gli diede un filo, il quale gli fu di guida per uscire dal Labirinto, dopochè uccise il Minotauro(b). Plutarco(c), Pausania(d), e Callimaco(e) dicono, che Venere assistette Teseo, onde trionfasse dell’anzidetto mostro. Pausania poi soggiunge aver altri preteso, che lo abbia ajutato Diana, cui perciò Teseo eresse un tempio in Trozene(f). L’Eroe condusse seco fuori del Labirinto anche gli altri, che erano stati spediti ad incontrare lo stesso funesto fine(14). Egli rapì inoltre le due figlie di Minos ; e sciolte le vele da Creta, sbarcò verso sera alle spiaggie di Nasso. Al nuovo dì abbandonò ivi Arianna, mentre dormiva(15), e si trasferì in Delo, dove per eternare la memoria del suo trionfo sopra il Minotauro, in stituì la Festa Pianepsia, le Delie, la Grue, le Cibernesie, e le Oscoforie(16). Teseo, ritornando da Creta, fece un sacrifizio ad Apollo di {p. 97}tutte le vettovaglie, ch’erano sopravanzate nel suo vascello, e in particolare delle fave. Mise il tutto a cuocere in una pentola, e lo mangiò co’suoi compagni. Ciò fu imitato anche in seguito nella Festa a tale oggetto instituita, e denominata Pianepsia. Allora si portava anche d’intorno un ramo d’ulivo, coperto di lana, che si attaccava poi da un fanciullo sulle porte per allontanare la carestia in onore di Minerva. Se era per Apollo, il ramo era d’alloro(a).
Teseo, e gli altri giovani, mandati in Creta per essere divorati dal Minotauro, avevano fatto voto d’andarsene a visitare il tempio d’Apollo in Delo, se fossero ritornati salvi alla patria. Eglino quindi instituirono le Feste Delie, nelle quali ogni cinque anni recavasi un numero di Ateniesi, coronati d’alloro, ad Apollo in Delo. Questa spedizione chiamavasi Teoria, ossia visita del Nume. I cittadini inviati si appellavano Teori o Deliasti, e il vascello, su cui partivano, denominavasi Deliade o Teoride(17), ed era quello stesso, che avea trasportato in Creta Teseo e i di lui compagni(b). Un Sacerdote d’Apollo ne coronava la prora(c). Nello stesso naviglio portavasi tutto quello, ch’era necessario per la Festa, e pe’sacrifizj. Giunti in Delo, offerivano subito un sacrifizio ad Apollo. Alcune giovanette facevano poi intorno all’altare una danza, in cui rappresentavano gl’intricati giri del Labirinto. Ritornando gli stessi Deliasti in Atene, il popolo li riceveva con molti onori, con grandissime acclamazioni, e {p. 98}contrassegni d’allegrezza(a). I Deliasti finalmente deponevano la loro corona, e la consecravano ad Apollo. Nel tempo di tali Feste non era permesso il punire reo alcuno (b).
La Grue era una danza, che ogni anno facevasi dalle giovani Ateniesi nel tempo delle Delie, come abbiamo testè accennato(c).
Le Cibernesie furono Feste, instituite da Teseo in onore di Nausiteo e Feacide, che eransi seco lui uniti in qualità di piloti nella sua famosa spedizione in Creta (d).
Le Oscoforie vennero così denominate dalle due voci Greche oscos, ramo di vite, e fero, portare, attesochè certi nobili giovanetti, vestiti da donzelle(e), e con rami di vite, carichi d’uva, correvano dal tempio di Bacco a quello di Minerva Scirade nel Porto Falero(f). Chi prima v’arrivava, si riputava il vincitore, aveva in premio un vaso, che conteneva vino, mele, formaggio, farina, e poco olio, ed offeriva il sacrifizio(g). Plutarco vuole, che queste Feste si celebressero in onore di Bacco e di Arianna(h). Secondo altri esse erano state instituite in onore di Bacco e di Minerva(i) (18).
Teseo, primachè partisse da Atene per trasferirsi {p. 99}in Creta, aveva ricevuto ordine dal padre suo di spiegare al suo ritorno, se mai poteva riuscirvi, una vela bianca, mentri le vele del naviglio, su cui si spedivano in tribato i fanciulli, erano tutre di color nero, indizio di tristezza e di lutto. Egeo dall’alto d’Atene, detta Acropoli, dove l’impaziente suo amore pel figlio lo aveva condotto, stava osservando, se la nave di Teseo ritornava fornita del concertato contrassegno. Vide la nave senza di quello ; nè più dubitando, che il figlio fosse già perito, disperato si precipitò nel mare. Fu estremo il dolore, che ebbe a sentire, quando intese, ch’era morto il padre suo, e che egli n’era stato la cagione. Gli Ateniesi per consolarnelo esaltarono Egeo al grado di Nume marino, lo dichiararono figlio di Nettuno, e diedero il nome di lui a tutto il mare circonvicino(a), il quale poi da noi oggidì chiamasi Arcipelago(b) (19).
Teseo finalmente salì sul trono d’Atene. Come se ne vide pacifico possessore, attese a riformare le antiche leggi, e a stabilirne di nuove. Radunò in città tutti gli abitanti de’Borghi vicini, i quali sino a quel tempo aveano condotto una vita selvaggia, e agli stranieri conferì gli stessi privilegi degli altri cittadini. Regolò altresì îl culto de’ Numi, instituì varie Feste, e rinovò in onore di Nettuno i Giuochi Istmici, come Ercole avea rinovati gli Olimpici. Finalmente ridusse l’ Attica à Repubblica, creò un Consiglio, in cui trasmise tutta la sua autorità, nè si riserbò che il comando delle armi. Per tutte queste diverse instituzioni meritò il titolo di secondo {p. 100}fondatore d’Atene(a). Egli inoltre secondo alcuni fu uno degli Argonauti(b). Apollonio però soggiunge, che l’Eroe non poteva trovarsi a quella spedizione, perchè allora era ritenuto nell’Inferno, come fra poco diremo. Vuolsi eziandio, che sia stato invitato da Ercole a combattere seco lui le Amazoni, e che dopo la sconfitta di quelle abbia introdotte le Feste, chiamate Boedromie, perchè si celebravano nel mese, detto da’Greci Boedromione(c) (20). Egli concorse anche alla caccia del Cinghiale di Calidone(d). La fama delle di lui imprese fece sì, che egli venisse provocato a singolare tenzone da Piritoo, figliuolo d’Issione e di Dia, e re de’ Lapiti (21). Ma quando i due Eroi furono a faccia a faccia, l’uno restò siffattamente sorpreso dell’altro, che invece d’azzuffarsi si abbracciarono, strinsero fra loro la più tenera amicizia, e giurarono di porgersi scambievole ajuto(e). Ciò ebbe a verificarsi spezialmente, allorchè Piritoo prese le armi contro i Centauri, e quando discese nell’Inferno. Questo Eroe avea sposato Ippodamia, figlia di Atrace(f), che Omero chiama Laodamia(g), e Plutarco Deidamia(h). Al convito nuziale, apparecchiato in una grotta, cinta di piante, furono invitati i Centauri, moltissimi Eroi, e tutti gli Dei, eccettuato Marte. Questi in vendetta d’esserne stato escluso suscitò orribile contrasto tra’Lapiti e i Centauri. Eurito, {p. 101}il più feroce di tutti i Centauri, riscaldato soverchiamente dal vino, mise sossopra tutta la mensa, e tentò di rapire la sposa. Sull’ esempio di lui fecero anche gli altri Centauri la stessa violenza alle altre donne, che loro venivano alle mani, o più piacevano. Vi rimasero morti molti Lapiti, che si erano opposti all’attentato di coloro. Tra quelli perì anche Censo, figlio di Elato(22). Teseo, per vendicare l’ ingiuria, fatta all’ amico, e la morte de’ di lui sudditi, si scagliò, ov’ era più folta la turba de’ Centauri, ne uccise molti, e ricuperò Ippodamia, che per quel motivo acquistò anche il nome d’ Iscomache(a). Eurito percosse a Teseo le guance e il petto. Irritato l’ Eros Ateniese, pigliò una tazza ben grande e scabra per un rilievò d’ intaglio, e scagliatala con tutta la forza, squarciò la fronte a colui, il quale cadde tutto asperso di sangue, ed esalò lo spirito(23). Alcuni dicono, che i Lapiti gli tagliarono il naso, e le orecchie. A vendicarlo si fece innanzi Farco, che, scavato da una rupe un macigno, tentò di scaricarlo sopra Teseo ; ma questi, lanciando contro di lui un grosso tronco di quercia, lo lasciò semivivo. Lo stesso Eroe assalì poscia Bianore ; gli stritolò le tempia, e lo uccise. La medesima cosa fece a Nedimno, a Liceto, esperto nel trattare l’ arco, ad Ippaso, di lunga barba, a Rifeo, che oltrepassava i più alti alberi, e a Tereo, assuefatto a predare orsi nelle tane della Tessaglia. Non sofferì Demoleonte, che Teseo progredisse più oltre negli avvenimenti felici del suo combattere ; e però adoperò tutta la forza per istrappare dalle radici un annoso pino ; ma non potendo sveller. Io, lo scosse di tal fatta ; che cadde alla fine, {p. 102}dove il Centauro desiderava. Teseo, avvertito a tempo da Pallade, schivò quel pericolo.(a)(24).
Morta Ippodamia, Piritoo e Teseo, a cui era pur morta Fedra, sua moglie, e sorella della mentovata Arianna, stabilirono di procurarsene ciascuno un’ altra, la quale fosse nata da Giove. Teseo rapì Elena, figlia di quel Nume, e di Leda(25), mentr’ella in età di dieci anni assisteva ad una festa nel tempio di Diana Orzia(b). Fu allora, che l’ Eroe presso Ermione, città dell’ Istmo del Peloponneso, alzò anche un tempio a Venere sotto il nome di Ninfa, ossia novella sposa(c). Non potè però sempre ritenere appresso di se l’ anzidetta giovine, perchè Etra, a cui egli aveala affidata, dovette restituirla a Castore e a Polluce, di lei fratelli (d)(26). Piritoo, ch’ erasi proposto di sposare Proserpina, moglie di Plutone, eccitò Teseo ad unirsi seco lui in quell’ impresa. Discesi amendue nell’ Inferno, Piritoo tosto rimase ucciso da Cerbero(e). Teseo poi doveva rimanersene anch’ egli incatenato per sempre nell’ Inferno ; ma Ercole, quando calò laggiù per trarne il Cane Cerbero, ottenne mediante il favore di Proserpina di ricondurlo sulla terra(f).
Teseo ebbe da Fedra due figliuoli, Acamante e Demofonte(g)(27).
Questo Eroe, veggendosi calunniato appresso i suoi da un certo Lico (h), fece passare la sua famiglia nell’ Eubea, ed egli si ritirò nell’ Isola di Sciro. {p. 103}Licomede, figlio di Apollo e di Partenope, e re di quell’ Isola, preso da invilia di sì grande personaggio, lo precipitò dall’ alto d’una rupe(a).
Gli Ateniesi dopo molti secoli onorarono le ceneri di Teseo(b). Conone nel mezzo della città gli alzò un tempio, che divenne asilo a’ servi, e a tutti coloro, che da’ più potenti venivano perseguitati : e ciò in memoria del soccorso, prestato da Teseo agl’ infelici (c). Nello stesso tempio l’ottavo giorno di ciascun mese si colebravano delle Feste a Teseo, dette perciò Tesie. Esse consistevano in giuochi, sacrifizj, e allegrezze. I poveri allora potevano gratuitamente mangiare alle pubbliche mense(d).
{p. 119}Priamo §
Priamo fu figliuolo di Laomedonte, re di Troja (a)(1). Era pieno di coraggio, e fornito di marziale valore. Posto da Ercole sul trono del predetto Laomedonte, suo padre, ne ampliò lo Stato per mezzo di varie conquiste, e ne accrebbe la gloria e lo splendore. Riparò le fortificazioni della Capitale, e v’aggiunse una Cittadella, detta Pergamo. Fabbricò un magnifico palagio, e v’eresse un altare e una statua a Giove, soprannominato Erceo. Tutto era grandezza nella di lui Corte, e per molti anni visse nella prosperità(b).
Arisba, figlia di Merope, fu la prima moglie di Priamo, dalla quale nacque Esaco(c)(2). Lo stesso re poi sposò Ecuba, figlia di Dimante, che regnava in un cantone della Frigia(d), o di Cisseo, re de’ Trasi(e). Colei gli partorì diecisette figli (f), o diecinove, come racconta Omero (g). Dî questi i più conosciuti sono Paride, Ettore, Ipponoo, {p. 120}Pammione, Deifobo(3), Antifo(4), Eleno(5), Polidoro(6), Troilo(7), e Polite(8). Priamo ebbe pure dalle medesima moglie varie figliuole, tralle quali spezialmente si nominano Ilione, Polissena(9), Creusa(10), Laodice(11), e Cassandra(12). Egli finalmente al dire d’Apollodoro prese in matrimonio anche Merope, figlia del fiume Sangario (a).
L’anzidetto Paride, di cui diffusamente ne parleremo anche quanto prima, allestì una flotta di venti vascelli(13) per andarsene in Grecia a ridomandare Esione, sorella di suo padre, ch’ Ercole avea rapito, e dato in isposa a Telamone, figlio d’Eaco, e re di Salamina. Arrivato prima il giovane Trojano a Sparta, Menelao, che ivi regnava, lo accolse con dimostrazioni di singolare benevolenza. Ma paride, invaghitosi della di lui moglie, Elena, figlia di Tindaro, approfittò del momento, in cui Menelao ebbe a trasferirsi in Creta, e tanto seppe piacere a quella Regina, che la medesima, abbandonato il marito suo, fuggì seco lui nella Troade(14). Priamo la accolse appresso di se, poichè da lungo tempo eravi tra’ Greci e i Trojani un odio fomentato da reciptoci oltraggi(b). L’anzidetto abbominevole ratto assoggettò la città di Troja all’ira di tutta la Grecia(15), e a’ disastri di lunghissima guerra(16), come nel decorso dell’ Opera espotremo.
Priamo, allorchè fu combattuto dalle armi Greche, venne da molti difeso, Tra quelli, che accorsero ad ajutarlo, i più famosi sono Mennone, figlio di {p. 121}Titane, e dell’ Aurora, e re d’ Etiopia(17) ; Protenore, fratello d’ Arcesilao, e principe della Beozia(18) ; Ippotoo, figlio di Lito(19) ; Protoo, figlio di Tentredone(20) ; Apisaone, figlio d’Ippaso(21) ; Asio, figlio d’Irtaco(22) ; Pilemene, re de’ Paflagonj(23) ; Astinoo(24) ; Pireciue, re de’ Peoni, e figlio d’Aso secondo Ditti Cretese (a)(25) ; Rigmo, figlio di Pireo, e principe della Tracia(26) ; Satnio, figlio d’Enope e della Ninfa Naide(27) ; Mori, figlio d’Ippozione(28) ; Astipilo(29) ; Adrasto ed Anfio(30).
Priamo, come vide la sua città in mano de’ Greci, voleva darsi la morte, ma Écuba(31) lo consigliò di rititarsi piuttosto all’altare di Giove Erceo, ove anch’ella colle sue figliuole era ricorsa per sottrarsi al furore nemico. Pitro, figlio d’Achille, uccise appresso il predetto altare Polite, figlio di Priamo. Il re Trojano a tale vista non potè frenare lo sdegno, rimproverò il Greco, come colui, che spietato avea fatto perire un figlio sugli occhi del padre ; e così dicendo, vibrò contro Pirro un dardo, il quale però appena giunse a toccare lo scudo di lui. Il Greco allora si scagliò sopra l’infelice vecchio, con una mano lo prese pe’ canuti capelli, coll’altra immerse la spada nel di lui seno, e lo fece cadere appiè di quell’ara. Aceorsero i Greci a recidergli il capo, e ne strascinarono il corpo sulla spiaggia del mare, ove restò confuso tralla moltitudine degli altri estinti (b). Secondo una Tradizione, riferita da Servio, Pirro trasse Priamo fuori della di {p. 122}lui Reggia, gli recise la testa, la ripose sulla punta d’una picca, e la fece portare in giro per tutta la città(a).
{p. 138}Ettore. §
Ettore fu figliuolo di Ecuba e di Priamo. Era risguardato come il sostegno de’ Trojani ; e gli Oracoli aveano predetto, che l’ Imperio del di lui padre non si sarebbe potuto distruggere, finchè Ettore fosse vissuto(a). Egli divenne il terrore de’ Greci, e comparve il più forte e valoroso di tutti i suoi concittadini (b)(1). Questo Eroe trovò alla porta del Greco campo una pietra sì grande, che due de’ più robusti uomini avrebbono durato fatica ad alzarla da terra ; ed egli solo con tutta facilità lo fece, e la gettò contro quella porta, che ne rimase fracassata(c). Filostrato dice, che Ettore, per rendersi robusto, erasi per lungo tempo addestrato a combattere co’ tori(d). Lo stesso portò il fuoco perfino ne’ vascelli nemici, e privò di vita Patroclo, il quale gli fàceva resistenza. Il medesimo uccise Meneste, Anchialo (f), e Cerano, cocchiere di Merione (g). Fece pur cadere sotto il suo braccio Epigeo, figlio di Agacleo, e re di Budia(h). Vinse e disarmò {p. 139}Leito, figlio d’ Alettrione ; e lo avrebbe inche ucciso, se non fosse accorso in di lui Idomeneo(i). Trionfò altresì di Protesilao, figlio d’ Ificlo, e re d’un Cantone della Tessaglia(a)(2). Finalmente nise a morte Anfimaco, figlio di Teato Attorione(b) ; Stichio, duce de’ Beozj ; Arcesilao, fido compagno di Menesteo ; i due duci de’ Focesi, Schedio, figlio di Perimede(c), e Schedio, figlio d’ Ifito(d) ; Licofrone, figlio di Mastore, e cocchiere d’ Ajace, Perifete, figlio di Copreo(e).
Il cocchiere d’ Ettore fu Cebrione, figlio di Priamo(3), ed Eniopeo(4). Il di lui trombetta poi fu Miseno, figlio d’ Eolo(f)(5).
Ettore sposò Andromaca, figlia d’ Eozione, re di Tebe nella Cilicia, la quale era bella, coraggiosa, e molto amante del suo marito(g)(6).
Stava Ettore dinanzi alla Porta Scea, attendendo Achille, e mostravasi impaziente di venire alle mani con lui. Priamo ed Ecuba, tremanti per la vita del loro figlio, lo scongiuravano di rientrare in città ; ma nè le preghiere, nè le lagrime loro poterono smuoverlo da di là. Venne finalmente Achille colla picca alla mano. Ettore, appenachè lo vide, sorpreso da {p. 140}grande terroce, si diede precipitosamente alla fugà(a). Il Greco lo insegui sino alle sorgenti del fiume Scamandro. Allora Giove pesò il destino dell’uno e dell’altro. Piombò quello del Trojano, e da quel momento tutti i colpi di lui riuscirono inutili Achille all’opposto vibrò contro di Ettore la picca, e lo stese a terra morto. Disonorò poi la sua vittoria con un tratto di turpe crudeltà. Non contento d’aver insultato agli ultimi respiri di lui, lo attaccò al suo carro, per tre volte lo strascinò col volto nella polvere intorno le mura di Troja, e comandò che fosse esposto ad essere cibo de’cani e degli avoltoi (b). Priamo allora, gettatosi a’ piedi di lui, lo supplicò che volesse rendergli il morto figlio ; e Achille, tocco dale lagrime del dolente vecchio, ed eccitàto da’ di lui generosi doni, v’acconsentì(c). In quella circostanza Achille accordò pure a Priamo una tregua di dodici giorni, onde potesse rendere al figlio gli onori funetri. Il Trojano ne fece esporre il corpo nel suo palagio, e gli alzò un rogo su eui lo ripose il settimo giorno. I fratelli, e gli amici di Ettore ne raccolsero le ceneri, e le rinchiusero bagnate dalle loro lagrime in un’urna, la quale poi collocarono in un sepolcro(d). Presso la tomba si celebrarono dei Giuochi funebri(7). Andromaca pure gli fece ergere una magnifica tomba in Epiro, dove la avea condotta Neottolemo, figlio di Achille (e)(8) {p. 141}Pausania dice, che i Tebani di Beozia si vantavano d’aver trasportato appresso di loro le ceneri di Ettore, perchè così avea prescritto ad essi un Oracolo, se volevano, che perpetuamente fosse felice il loro Imperio(a).
{p. 146}Paride. §
Paride fu figliuolo di Priamo e di Ecuba. Questi anche
prima di nascere fu conosciuto come quello, che doveva essere la rovina
della sua pattia. Ecuba, rimasta di lui incinta, sognò che aveva partorito
una faccola, la quale poi arse tutta Troja. Gl’ Indovini, consultati sopra
tale sogno, ne presagirono tutti i disastri, che dovea cagionare il bambino,
cui Ella era per dare alla luce(a). Si spaventò Priamo
dell’infausto vaticinio, e commise ad Archelao, uno de’ suoi servi, di
esporre il fanciullo, subitochè fosse nato, ne’ boschi, onde venisse
divorato dalle fiere. La madre però n’ebbe pietà, e invece lo fece allevare
secretamente nella Frigia da’ Pastori, che abitavano sul monte Ida(b)(1).
Paride, cresciuto in età, ebbe ivi la cura di numeroso gregge ; il suo
coraggio nel difenderlo da chi cercava di rubarglielo, gli acquistò il nome
di Alessandro(c). In differenti occasioni diede prove di
giustizia ed equità sì grande, che i vicini Pastori a lui ricorrevano per
decidere le loro questioni(d). Giove stesso lo costituì giudice delle tre
Dee, Giunone, Minerva, e Venere. Ecco come ciò avvenne : Peleo, figlio
d’ {p. 147}Eaco, re degli Egineti, e della Ninfa
Endeide, figlia del Centauro Chirone(a), o della Ninfa
Egina(b)(2), essendo per isposare Tetide,
figlia di Nereo e di Doride(3),
invitô tutti gli Dei alle sue nozze, le quali si celebrarono sul monte
Pelio. La sola Eride, detta da noi Discordia, n’era stata omessa, per timore
che’ vi cagionasse qualche disordine. Ella cercò tutti i mezzi di
vendicarsene ; ed uno ne trovò, con cui fece molto bene la parte sua
senza manifestarsi. Gettò nel mezzo dell’adunanza un pomo d’oro, sopra il
quale era scritto : si dia alla più
bella
. Tutte le Dee da prima lo pretendevano, ma il
contrasto finalmente si ridusse tralle sole anzidette tre Divinità. Era
difficile il decidere quale di loro fosse la più avvenente. Paride fu eletto
giudice della questione. Ciascuna di esse fecegli generose offerte, onde
giudicasse a suo favore. Giunone gli esibì ricchezze e imperj ; Minerva
gli promise la gloria delle armi ; e Venere s’impegnò di renderlo
possessore della più bella donna, che vi fosse stata al mondo. Paride diede
il pomo a Venere. Giunone e Minerva fino da quel momento concepirono contro
di lui implacabile odio, e stabilirono di prenderne vendetta sopra tutta la
di lui famiglia(c).
Priamo volle celebrate certi Gluochi funebri, a’quali concorse anche Paride, e vi rimase vincitore. Deifobo (o Ettore(d)), mal comportando di essere rimasto superato in quelli da lui, che non ancor {p. 148}erasi riconosciuto, voleva ucciderlo ; ma Paride, manifestatosi allora per quello ch’era, cangiò la gelosia in tenerezza, e fu da Priamo di nuovo accolto nella sua Reggia(a).
Paride, mentre soggiornava sul monte Ida, prese ad amare Enone, figlia del fiume Cebreno, e pastorella di straordinaria bellezza, che per dono di Apollo prediceva l’avvenire, e conosceva la virtù delle piante. Costei gli partorì un figlio, detto Cotito(4). Ella vaticinò molte cosè al marito, ch’erano per accadergli : tralle altre gli presagì, che se avesse combattuto contro i Greci, vi sarebbe rimasto mortalmente ferito ; e che allora sarebbe ritornato a lei per esserne risanato, ma che sarebbe già riuscito vano il di lui ricorso(b). Paride volle cimentarsi co’ suoi più valorosi nemici. Come poi vide andargli incontro lo stesso Menelao, fu sorpreso da tale spavento, che ben tosto si ritirò tra’ suoi. Rianimato da’ rimproveri di Ettore, suo fratello, si presen ò di nuovo a combattere contro Menelao. Era già per cadere sotto i colpi di, quello, quando Venere lo trasportò in Troja(c). Ritornato al campo, ferì Macaone, Euripilo, e Diomede(d). Uccise Euchenore, figlio di Poliido ; Deioco, uno de’ Capitani Greci(e) ; e Menestio, figlio di Areitoo e di Filomedusa(f). Dicest pure, che abbia dato la morte ad Achille per tradimento, come più diffusamente {p. 149} narreremo. Filottete finalmense lo ferì, ed egli però si fece trasferire appresso Enone, cui erano noti varj secreti di medicina. La Pastorella impiegò tutto lo studio per guarirlo ; ma ogni rimedio fu inutile, perchè la freccia, che lò colpì, era una di quelle ch’erano state avvelenate da Ercole nel sangue dell’Idra di Lerna. Paride spirò tralle braccia di Enone ; e questa pure morì allora di dolore(e)(5).
{p. 154}Enea. §
Enea, Principe Trojano, nacque da Venere e da Anchise(a)(1). Fu allattato da una certa Caieta, la quale diede poi il suo nome ad una città, dove fu sepolta(b)(2). Qesto Eroe combattè con Diomede, figlio di Tideo e di Deifile, e ne rimase colpito con un sasso. Apollo prese cura di lui ; e dopo averlo fornito di straordinario valore, lo fece comparire un’altra volta alla testa de’ suoi(c). Allora fu, ch’egli venne alle mani con Achille. Il combattimento fu lungo assai e dubbioso. Il Trojano finalmente stava per soccombere, quando Nettuno ad istanza di Venere lo tolse dal pericolo(d). Enea uccise Afareo, uno de’ Greci Capitani, e figlio di Caletore(e). Privò pure di vita Cretone e Orsiloco, figliuoli di Diocleo(f). Sotto le mura di Troja si azzuffò con Demoleo, Greco Capitano, lo spoglio dell’enorme corazza, e la regalò a Mnesteo per ricompensarne il singolare valore(g). Vinse Abante, figlio di Eurimadante, e ne appese lo scudo, il quale era di bronzo, nel tempio d’Apollo(h). Dopo {p. 155}tali ed altre eroiche imprese fu in sogno avvertito da Ettore, che si salvasse colla fuga. Tuttavia la notte, in cui Troja fu presa da’ Greci, entrò nella Cittadella d’Ilio, e cercò di difenderla a tutto potere. Non vi ruscì : quindi, affidata la cura degli Dei Penati(3) al vecchio suo padre, con lui sulle spalle, e col figlinolo, Ascanio(4), a mano uscì di città(5). Le fiamme lo rispettarono, e per non nuocere a lui, che aveva dimostrato tanta tenerezza pel genitore’e’ l figlio, così si divisero, che gli lasciarono libero il passaggio(6). Ritiratosi sul monte Ida, poco distante dalla città(7), formò ivi co’ suoi seguaci(8) una flotta di venti navi per fuggire(a)(9). Si trasferì nella Tracia appresso Polinnestore, e v’intraprese la fondazione di una citta. Volendo prima offerire sulla spiaggia agli Dei un sacrifizio, vide che gli arboscelli, i quali andava svellendo per ornarne l’altare, stillavano gocce di sangue. Udì inoltre un grido lamentevole di Polidoro, figlio di Priamo, che lo dissuadeva di trattenersi in quelle terre. Polidoro stesso gli narrò altresì, che Polinnestore avealo fatto secretamente morire. Enea ne celebrò i funerali, gli eresse un sepolcro, e passò nell’Isola di Delo. Quì cartesemente Io accolse Anio, re di quelle genti, e sacerdote d’Apollo. Da questo Nume Enea ricercò quale strada dovea intraprendere. Gli fu risposto, che si riducesse alle terre, popolate un tempo da’ suoi antenati. Spiegò quindi le vele alla volta di Creta, poichè Anchise allora ricordò, che Teucro, figlio del Cretese Scamandro, aveva dato l’origine a’ Trojani. Là fabbricò una città, cui diede il nome di {p. 156}Pergamo. Poco dopo sopraggiunse la peste, e gli Dei Penati gli manifestarono, che il luogo della sua antica origine era l’Italia. Anchise si rammentò, che lo stesso eragli stato predetto anche da Cassandra. Subito Enea intraprese il viaggio per colà ; e balzato da furiosa tempesta alle Isole Strofadi, le Arpie discesero a divorarsi le vivande, offerte da lui a Giove. I Trojani presero le armi per allontanare que’ rapaci uccelli ; e allora Celeno, la maggiore di quelli, chiaramente predisse loro, che non avrebbono potuto stabilirsi in Italia, se prima non fossero stati costretti dalla fame a divorare perfino le mense. Abbandonarono ben presto quelle Isole mal sicure, e si trasferirono in Epiro. Vi regnava in quel tempo Eleno, figlio di Priamo. Questi dichiarò ad Enea, che sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso nell’Inferno ; e che dove avrebbe trovato una scrofa con trenta figliuoli, avrebbe fabbricato una città. Eleno pose fine alle predizioni, consire la Sibilla Cumana. Enea fece viaggio per Drepani, città gliando Enea tentare per placare Giunone, e a consultae porto della Sicilia, ed ivi ebbe a sofferire il dolore di veder a morire il padre suo, Anchise(a)(10). Giunone, implacabilmente sdegnata contro, i Trojani voleva impedire ; ch’eglino giugnessero in Italia. Per riuscirvi chiese ad Eolo, che suscitasse una tempesta. Così fu ; e le navi di Enea vennero spinte verso Cartagine, dov’egli fu motivo, che Didone, regina di quella città(11) si desse la morte. Colei, all’udirlo raccontare le sue disavventure, si senti {p. 157}ardere d’amore per lui(12), lo ristorò di tutte le perdite fatte nella procella, lo trattò a lauto banchetto, e con generose offerte, e perfino colle più dolenti lagrime tentò di trattenerlo appresso di se. Il Trojano però si mantenne sempre costante nell’ubbidire al Destino che lo chiamava in Italia. Allora la Regina si abbandonò alla disperazione, pregò gli Dei Infernali, che Cartagine vendicasse un giorno siffatto oltraggio sopra i posteri di Finea ; e risolta di morire, finse di voler fare un sacrifizio al morto marito, ascese sul rogo, si trafisse il petto, e spirò(a)(13). Partito Enea da que’ lidi, i contratj venti ad istanza sempre di Giunoue lo trasferirono un’altra volta in Drepani(14). Acesse, re di quel paese, e figlio del fiume Criniso, e di Egesta, donna Trojana, con tutta la benevolenza lo accolse. Enea vi celebrò allora l’anniversario di suo padre(15). In quel momento uscì dal sepolcuo d’Anchise un serpente, che girò interno alla stessa tomba, gustò di tutte le vivande soprappostevi e, poi senza nuocere agli astanti ritornò nel luogo, dondi era partito. Stupì Enea, e venne in dubbio, ch’esso fosse il Genio di quella situazione(16). Egli si propose poscia di dissendere nell’Inferno par rivedere l’ombra d’Anchise(b). Sapeva che a’ viventi non era permesso il penetrarvi. Quindi si portò prima a consultare la Sibilla Cumana. Ella, additandogli il ramo d’oro, di cui altrove abbiamo parlato, gli comandò, che lo svellesse dal tronco(17), giacchè con esso alla mano avrebbe potuto recarsi, ove desiava. Così avvenne ; e l’Eroe tragli Antenati {p. 158}della sua famiglia s’abbattè nell’ombra d’Anchise da cui apprese in quali terre avrebbe regnato, e quali sanguinose battaglie avrebbe dovuto per tale motivo sostenere(a). Dopo l’uscita dal Regno di Plutone s’avviò verso le spiaggie di Gaeta. Da di là con propizio vento, passati i perigliosi lidi della Maga Circe, entrò nell’imboccatura del Tevere, donde finalmente si trasferì in Laurento, paese del Lazio. Latino, figlio di Fauno, e della Ninfa Marica, n’era il re, ed aveva un’unica figliuola, di nome Lavinia. Alle di lei nozze aspirava Turno, figlio di Dauno e di Venilia, e re de’ Rutuli. Ciò bramava anche Amata, sorella dell’anzidetta Venilia, e moglie del predetto Latino ; ma gli augurj degli Dei non v’acconsentivano. Uno sciame d’api, andato a posarsi sopra un antico alloro, posto in mezzo al cortile della Reggia di Latino, diede occasione di presagire, che in quella Reggià era per giungervi moltitudine di forestieri. Da un altare uscì pure una fiamma, che cinse il capo di Lavinia, e poi si sparse per tutto il di lei palagio : dal che si congetturò, che somma gloria, accompagnata però da guerre, era per derivare a quella giovine. Latino allora volle consultare l’Oracolo di Fauno, suo padre. La notte, mentre stava coricato sulle pelli delle sacrificate vittime, udì in sogno una voce, la quale lo avveriva, che sarebbe arrivato appresso di lui uno straniero, il di cui nome era per divenire famoso in tutto il mondo. Enea non molto dopo spedì a quel re ambasciatori, che ne ottenessero di essere accolti nelle di lui terre. Latino v’acconsentì ; e diede anzi a conoscere ch’Enea, com’egli sperava, era lo straniero illustre, a lui {p. 159}predetto dagli Oracoli. Fu allora, che Giunone ricorse alla Furia Aletto, affinchè questa destasse in Amata e in Turno sentimenti di furore contro que’ forestieri. Turno difatti prese costo contro di loro le armi ; e l’anzidetta Dea, discesa dal Cielo, aprì ella stessa il tempio, in cui non soleasi entrare, se non in tempo di guerra(a). Il Genio del Tevere non ostante comparve in sogno ad Enea, e lo accertò che quello era il paese, nel quale i Numi gli preparavano un vasto Impero. Il Trojano Eroe destatosi trovò la scrofa, già predettagli, coi trenta figliuoli, e ne fece un sacrifizio a Giunone. Strinse poi amicizia con Evandro, creduto figliuolo di Mercurio(18). Questi gli regalò quattrocento cavalli, guidati da Pallante, suo figliuolo. Poco dopo si collegarono con Enea anche i Tirreni sotto la condotta di Tarconte, i quali si erano ribellati contre Mezenzio, loro re, a motivo delle di lui crudeltà(19). Enea con tali soccorsi e con armi, che Venere aveagli fatto lavorare da Vulcano, si avanzò contro Turno(b)(20). Grande fu dall’una e dall’altra parte la strage de’ combattenti. I Rutuli volevano incendiare la flotta de’ Trojani, mentre Enea n’era lontano. Non poterono farlo, perchè quelle navi vennero subito da Giove cangiate in Ninfe marine ad istanza di Cibele, che ne avea la cura, perchè erano state formate sul monte Ida, a Iei consecrato(c). Turno passò quindi ad assalire l’accampamento de’ Trojani, e ne fece grandissimo esterminio. Enea vi perdette Eurialo, Principe Trojano, Niso, figlio d’Irtaco(d)(21), e Pallante. Egli poi {p. 160}vendicò la lero morte privandosdi vita Mezenzio, Lauso, di lui figliuolo(a)(22), e Camilla, regina de’ Volsci(b)(23). Finalmente vi rimase ferito ; e la Dea, sua madre, con certa erba quasi in un istante lo risanò. Il contrasto per ultimo si decise solamente tra Turno ed Enea. Quegli vi restò morto(c), a questi sposò Lavinia, dopo la morte di Latino salì sul di lui trono, e fabbricò una città, a cui diede il nome di sua moglie. Quivi egli accolse Anna, sorella di Didone, la quale eravi stata portata da una burrasca, mentre fuggiva dalle persecuzioni di Pigmalione(d)(24).
Il più fedele compagno, ch’ebbe Enea, si chiamava Acate(e).
Enea in un combattimento, che incontrò poscia cogli Etrusci, vi perdette la vita(25). Altri dicono, che, essendo caduto nel fiume Numicio, il di lui corpo non fu trovato ; e però si credette, che Venere lo avesse trasferito in Cielo. Sulla riva di quel fiume gli s’inalzò una tomba, e sotto il nome di Giove Indigete gli si rendettero gli onori divini(f). Altri finalmente soggiungono, che Enea fu trovato nell’annidetto fiume ; e che come ne fu estratto il corpo, quelle acque così si diminuirono, che divennero una fontana(g).
{p. 174}Agamenonne. §
Agamenonne, figliuolo di Atreo secondo Omero (a), e di Plistelle secondo Apollodoro (b), era destinato al trono d’Argo. Tieste, fratello d’Atreo, s’impadroni di quel regno, e Agamenonne dovette fitirarsi appresso Polifide, re di Sicione, il quale per timore di dispiacere a Tieste non volle accoglierlo, e lo spedì ad Eneo, re d’Etolia. Questi amichevolmente lo ricevette, e si dichiarò di lui protettore. Poco tempo dopo Tindaro, re di Sparta, diede la sua figliuola, Cliteanestra, in matrimonio ad Agamenonne(1), e inoltre gli somministrò forze sufficienti a vendicare la morte d’Atreo. Agamenonne con tali soccorsi perseguitò Tieste sì fortemente, che colui fu costretto a ritirarsi appresso l’altare di Giunone. Il vincitore non inferocì di più contro il vinto, e solo si contentò di esiliarlo nell’Isola di Citera. Questa vittoria rendette Agamenonne padrone degli Stati d’Argo (c).
Agamenonne, divenuto il più possente tra’Greci Principi, stabilì la città di Micene per Capitale del suo Impero. Egli fu altresì nominato per supremo Comandante della Greca armata contro i Trojani (d). Allestì da se solo cento vascelli, e ne {p. 175}somministrò sessanta ad Agapenore, figlio d’Anceo e re d’Arcadia (a)(2). Tra gli altri, che lo seguirono, i più rinomati sono Schedio, Ialmeno, Teucro(3), Euripilo(4), Antifo(5), Nestore(6), Idomeneo(7), Patroclo(8), Anfimaco(9), Mege(10), Talpio(11), Toante, figlio d’Andremone(12), Teuti(13), Tersite(14), e le figliuole d’Anio, gran Sacerdote d’Apollo, e re dell’Isola di Delo(15). Fornito di queste e di altre forze ancora, voleva subito Agamenonne spiegare le vele alla volta della nemica città ; ma una calma nojosissima lo andava tenendo invece sulle ancore nel porto d’Aulide. Finalmente Calcante, figlio di Testore, e però soprannominato Testoride(16), dichiarò, che ciò avveniva, perchè Diana era sdegnata con Agamenonne, il quale avea ucciso una cerva, a lei consecrata. Proseguì Calcante a protestare, che conveniva placare l’anzidetta Dea coì sangue d’Ifigenia, figlia primogenita dello stesso Agamenonne. Quessa era rimasta in Micene con Clitennestra, sua madre. Il pubblico bene fece tacere nel cuore di Agamenonne i sentimenti delle paterne tenerezze talchè acconserti al sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse appresso la moglie, che voleva sposare la figlia ad Achille. Giunta che fu la giovine, col pianto comune venne accompagnata all’ara. Alzò la mano il sacro Ministro per fevirla col fesso micidiale, quando Diana, mossa a pietà di quell’innocente vittima, ravvolta in densissima nobe, la trasportò nella Taurica Chersoneso, e in di lei mogo sostituì una cerva (b)(17). Cessò allora la calma ; e Agamenonne, {p. 176}fatto secondo il solito un sacrifizio a Giove e agli altri Dei, protettori della navigazione(18), con propizio vento approdò alle spiaggie di Troja. Uccise Bienore (a)(19) ; Deicoonte, figlio di Pergaso (b)(20) ; Ifidamante e Coone, figli d’Antenore (c) ; Odio, oppitano degli Alizzoni (d) ; Elato (e) ; Iperenore (f) ; Pisandro e Ippoloco, nati da Antimaco. Dicesi, che questi due a vista di Agamenonne tremarono di spavento, e che colle preghiere, colle lagrime, e colle offerte tentarono di salvare la propria vita ; ma il Greco Eroe non ostante li privò di vita per vendicarsi di Antimaca, loro padre, ch’erasi opposto, ond’Elena non fosse restituita a Menelao (g). Nove anni impiegò Agamenonne nell’impadronirsi di molte città, tributarie a Priamo, e nell’espugnarne varie altre, le quali aveano preso le armi in difesa di lui. Finalmente nel decimo anno rimase vittorioso anche de’Trojani(21).
Nel riparto, che si fece tra’Greci Capitani, delle Donne Trojane, Cassandra, figlia di Priamo, e sposa di Corebo(22), toccò ad Agamenonne. Costei gli aveva predetto, che non ritornasse al patrio suolo, perchè vi sarebbe rimasto assassinato. Agamenonne non volle crederlo ; e così poi avvenne. Clitennestra, mentr’egli era all’assedio di Troja, avea preso ad amare Egisto, figlio di Tieste, cui Agamenonne avea affidaso durante il tempo delle sua assenza la cura della sua famiglia e del suo Regno(23). Colei, mal comportando il ritorno del marito, gli presentò una veste nel momento, in cui usciva {p. 177}del bagno. Le di lui braccia si trovarono intricate nelle maniche, perchè di queste n’erano chiuse le aperture. La moglie allora lo assalì ; e assistita dall’anzidetto Egisto, con un colpo di accetta lo uccise. Altri dicono, ch’ella lo fece perire nel banchetto, che gl’imbandì, tostochè egli si rimise in patria (a).
Era pur riuscita di grave danno ad Agamenonne anche Astinome, soprannominata Criseide, perchè era figlia di Crise, gran sacerdote di Apollo, della città di Limessa, e alleato de’Trojani. Questi addolorato, perchè Agamenonne avea fatta sua schiava la di lui figliuola, erasi recato al campo de’Greci per ridomandarla, e per offerire un ricco riscatto. Agamenonne ricusò di compiacernelo : anzi al rifiuto v’aggiunse anche le ingiurie, e lo fece allontanare dalla sua presenza. Crise chiese ad Apollo vendetta di un affronto, che in lui ricadeva. L’armata de’Greci fu presa immediatamente da fiera pestilenza. Se ne interrogò Calcante ; e questi rispose, che quello era un castigo di Apollo, e che il Nume nol avrebbe sospeso, qualora non si fosse restituita Criseide al genitore. Tutti i principali dell’armata eccitatono Agamenonne a farlo, e Achille parlò più vivamente d’ogni altro. Quegli da prima si mostrò alquanto restio, ma finalmente incaricò Ulisse di ri condurre la giovine a Crise. Apollo subito si placò, e svanì il desolante castigo (b).
Agamenonne ebbe da Clitennestra un unico figliuolo, che si chiamava Oreste, e tre figlie, {p. 178}Ifigenia, Elettra(24), e Crisotemide(25). Omero dhiama la prima Ifianassa, e la seconda Laodice (a). Secondo alcuni Agamenonne ebbe pure un altro figlio, di nome Aleso(26).
Agamenonne, e il di lui fratello, Menelao, furono anche detti Attidi, perchè comunemente erano creduti figlinoli di Atreo. Per accordare poi questa opinione coll’altra, secondo la quale si asseriva, ch’eglino erano figliuoli di Plistene, lo Scoliaste d’Omero (b) e lo Scoliaste d’Euripide (c) soggiungono, che essi erano realmente nati da Plistene, ma che, essendo quegli morto giovine, furono allevati da Atreo, e però considerati di lui figliuoli.
Lo scettro di Agamenonne fu tenuto in grande estimazione appresso i Greci. Elettra, figlia dello stesso Agamenonne, dopo la morte del padre lo avea nascosto sotterra con molto oro nella Focide. Gli abitanti di quel luogo lo trovarono, e avendo raccolto per se l’oro, lasciarono lo scettro a que’di Cheronea. Questi popoli lo tennero come una Divinità, gli offerirono sacrifizj, e preteseto che il medesimo operasse dei prodigi. Crearono un Sacerdote, che ne presiedesse al culto, e lo tenesse in propria casa per tutto il tempo del suo ministero. Questo durava un anno ; compito il quale, l’anzidetto scettro con certe ceremonie si trasferiva ad altro sacro Ministro (d). Omero poi soggiunge, che il mentovato scettro era stato lavoro di {p. 179}Vulcano ; che questo Nume lo avea regalato a Giove, che Giove ne fece un dono a Mercurio ; da cui passò a Pelope, figlio di Tantalo, indi ad Atreo, poscia a Tieste, e finalmente ad Agamenonne (a).
{p. 197}Oreste. §
Oreste fu figliuolo di Agamennone e di Clitennestra. Fu allevato nella Corre di Strofio, figlio di Criso, e re della Focide, il quale aveva sposato una sorella di Agamennone, chiamata Anasibia (a). Appresso di quello Elettra, sua sorella, lo fece secretamente trasferire per sottratlo al furore di sua madre, che altrimenti lo avrebbe ucciso, come ne avea fatto morire il padre(1). Oreste, cresciuto negli anni, e risoluto di vendicare la morte del genitore, si trasferì in Argo insieme con Pilade, figlio dell’anzidetto Strofio, con cui avea contratto strettissima amicizia. Ivi si dichiatò come incaricato da Strofio di portarvi la notizia della morte d’Oreste(2) ; e introdotto appresso Clitennestra, la uccise con Egisto (b). Euripide poi vuole, che Oreste abbra privato di vita Egisto nel tempio d’ Apollo, mentr’egli stava esaminando le interiora d’una giovenca, che avea sacrificato. Lo stesso Poeta soggiunge, che Oreste andò poscia in traccia di Clitennestra, e a lei pure immerse un pugnale nel seno (c). I Greci per tale delitto lo aveano condannato a morte ; ed egli, per evitare l’infamia del supplizio, a grande stento avea ottenuto di poter togliersi da se la vita ; ma Apollo, che gli aveva {p. 198}comandata l’uccisione della di lui madre, fece sì, che i di lui, concittadini si contentassero solamente di esiliarlo per un anno. Oreste intanto per eccitamento dello stesso Nume passò in Atene, e si assoggettò al giudizio dell’ Areopago. I voti di quello erano divis. Minerva, che aveva pure il diritto di darvi il suo, si dichiarò a favore di Oreste, e questi quindi ne rimase assolto (a). Oreste allora onorò Minerva Area coll’innalzarle sulla collina di Marte il tempio, che abbiamo indicato(3). Nè contento di essere stato assolto, passò eziandio appresso i Trezenj per sottomettersi alla ceremonia dell’ espiazione. Là dovette abitare in luogo solitario, perchè niun volle riceverlo appresso di se. Egli tutti i giorni veniva purificato, e poi si sotterrava tutto quel, che avea servito a di lui uso. Altri Scrittori pei vogliono, che non ostante l’anzidetto giudizio dell’ Areopago le Furie continuassero a tormentarlo (b)(4). Oreste ricorse di nuovo all’ Oracolo di Delfo ; e il Nume gli promise, che ne rimarrebbe liberato, qualora avesse trasportato dalla. Taurica Chersoneso nella Gsecia la statua di Diana. Egli con Pilade si accinse all’impresa. Questa era assai pericolosa, perciocchè i forestieri, che arrivavano colà, si devono sacrificare, come si è detto anche altrove, alla predetta Dea. Al loro sbarco Oreste e Pilade vennero tosto arrestati, e condotti a Toante, sommo secerdote, e re di qual paese. Quegli gli fece consegnare ad Ifigenia, acciocchè li disponesse al sacrifizio. Colei non riconobbe. {p. 199}Oreste, perchè era ancor bambino, quando ella lasciò la paterna casa ; ma, essendo venuta in cognizione ch’egli era Greco, le venne in pensiero di far nota col di lui mezzo a’suoi congiunti la sua situazione. Propose quindi di salvare uno di loro a patto, che promettesse con giuramento di recare una lettera in Argo. Allora fu, che nacque generosa gara tra gli amici per determinare chi di loro dovea restare pel sacrifizio, e chi partire. Ifigenia finalmente, pregata da Oreste, diede il foglio a Pilade. E temendo che quello potesse andare smarrito, gliene manifestò il contenuto. Più non vi volle, onde avessero a riconoscersi. e subito pensarono al modo di rapire il simulacro della Dea, e di fuggirsene. Ifigenia finse, che i due stranieri, carichi di delitti, avessero colla loro presenza contaminato il tempio e il simulacro della Dea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva purificare sì quelli, che il simulacro nel mare ; e che a questa ceremonia non doveva assistere alcuno. Con tale ritrovato Ifigenia fuggì colla statua(5), e condusse seco anche Oreste e Pilade. Toante, avvertito di ciò, voleva inseguirli ; ma lo trattenne Minerva, la quale gl’indicò essere il tutto avvenuto per volere degli Dei (a). Oreste dopo di ciò non si sentì più cruciato dalle Furie ; ritornò nella Grecia ; sposò Ermione, figliuola di Menelao, suo zio ; salì senza contrasto sul paterno soglio ; e dopo la morte di Menelao unì il regno di Spasta a quello d’Argo e di Micene. Dicesi, che sia morto d’una puntura di serpente, mentre viaggiava per l’ Arcadia. Lasciò successore al trono il figlio {p. 200}Tisameno, che avea avuto da Ermione. (a). Pausania soggiunge, che gli Spartani, avendo ricevuto ordine dall’ Oracolo di trasportare le ossa di Oreste nella loro città, un certo Lica, loro concittadino, arrivato in Tegea, città dell’ Arcadia, le trovò sepolte con quelle d’ Agamennone (b).
{p. 204}Menelao. §
MEnelao fu figliuolo di Plistene, ma creduto, come abbiamo detto, figliuolo di Atreo. Egli, mentre era re di Atene, salì al trono di Sparta, perchè sposò Elena, figliuola di Tindaro, re di Sparta. Paride, come si è raccontato, gliela rapì. Menelao nella guerra, che per tale ragione si suscitò tra’Greci e i Trojani, diede saggi di gran, valore. Le due armate erano per azzuffarsi. Paride, come abbiamo esposto, avea sfidato i più valorosi della Greca Nazione ; ma poi al solo vedere Menelao talmente si atterì ; che si ritirò appresso i suoi. Ritornato al campo, sarebbe caduto sotto le mani dello stesso Menelao, se Venere nol avesse salvato. Vennero finalmente amendue a singolare tenzone. Erasi proposto da Antenoré, che Elena e le ricchezze di lei fossero del vincitore. Paride da prima ri cusava di stare a siffatto progetto, ma poi v’acconsentì. E glà, venuti alle mani, il Trojano era per soccombere, quando Venere nuovamente lo tolse dal combattimento(a). Allora Minerva per ordine di Giove prese le sembianze di Laodoco, figliuolo di Antenore, ed eccitò i Trojani a violare le stabilite convenzioni. Quindi Pandaro, figliuolo di Licaone, indotto dallo stesso Laodoco, scoccò un dardo contro Menelao, e leggiermente lo ferì. {p. 205}Tanta perfidia divenne sorgente di nuove ostilità (a). Menelao fece prigione Adresto(b) ; uccise Toante(c), Euforbo, figlio di Panto, Pode, figlio d’Eczione (d), e Scamandrio, figlio di Strofio(e).
Elena, conquistata Troja da’Greci, fu da loro restituita a Menelao. Questi voleva immolarla al suo risentimento, e alle ombre di coloro, che per causa di quella guerra erano periti ; ma colei seppe così bene perorare a sua difesa, che placò il marito, e ne fu rìcondotta a Sparta(f)(1)(2). Quivi però non giunse Menelao che dopo otto anni, attesochè, partendo da Troja, avea trascurato di sacrificare a Giove e alle Divinità del mare per ottenerne una prospera navigazione. Per tutto quel tempo i venti sempre contrarj lo aveano quà e là trasportato. Finalmente lo spinsero in Egitto, ove regnava allora Polibo. Questi lo regalò di due conche d’argento, di due tripodi, e di dieci talenti d’oro. La di lui moglie, Alcandra, ricolmò pure di doni Elena. Dopo tali cose la Ninfa Idotea, figlia di Proteo, apparve a Menelao, e gl’insegnò, come dovea regolarsi per sapere dal di lei padre la maniera di restituirsi alla sua patria. Ella lo avvertì, che per farlo parlare, conveniva sorprenderlo addormentato, e legarlo in guisa,che non potesse fuggire. Menelao prese seco tre de’più robusti suoi compagni, entrò di buon mattino nella grotta di Proteo, lo strinse fortemente, e più ancora, quando cangiava di {p. 206}figura ; cossicchè colui, veggendo vana ogni sua arte ; ripigliò le primiere sembianze, e diede a Menelao quelle notizie, delle quali era ricercato(a). Erodoto riferisce, che Menelao appresso gli Egiziani si dimostrò molto barbaro, perciocchè volendo avviarsi alla volta della Grecia, ed essendone sempre contrastato da’venti, fece uccidere due bambini di quel passe, e li aprì per conoscere nell’osservazione delle loro interiora la volontà degli Dei intorno alla sua partenza. Sì orrida barbarie talmente lo rendetre odioso a tutto l’Egitto, che fu costretto a ritirarsi nella Libia(b).
Menelao dopo morte ebbe in Terapne, città della Laconia, un tempio. Là gli si celebravano certe Feste ; dette Menelee, e gli si tribucavano altri onori, come se fosse stato una delle supreme Divinità. Non altrimenti fu nel medesimo luogo venerata anche Elena(c).
{p. 209}Achille. §
Achille fu figliuolo di Peleo, re della Tessaglia, e di Tetide, figlia di Nereo e di Doride, e nipote d’Oceano e di Teti, Dea delle acque. Questo Eroa ebbe anche il nome di Pitisoo, ossia salvato dal fuoco, perchè Peleo lo avea strappato dalle mani di sua moglie, quando colei stava per porlo sulle fiamme, onde consumare tutto quel ch’era in lui di mortale(a)(1). Tetide poco tempo dopo lo tuffò nella Palude Stigia, affinchè egli divenisse invulnerabile. Tutte quindi le parti del di lui corpo furono tali, trattone il calcagno, per cui la madre lo tenne, mentre lo’immerse nelle predette acque(b). L’educazione poi di Achille fu affidata al Centauro Chirone. Questi in vece di latte lo fece nutrire di midolle dì leoni, e di altre bestie selvaggie. Le Najadi secondo Apollonio di Rodi solevano apprestargli tale nutrimento(c) ; ed esse secondo lo Scoliaste dello stesso Apollonio furono Cariclo e Filira, madre questa, e quella moglie di Chirone. Cresciuto il giovane nell’età, Chirone lo addestrò agli esercizj i più laboriosi del corpo, e lo erudì nella medicina e nella musica(d).
Allora quando i Greci deliberarono di muovere {p. 210}guerra a’Trojani, Tetide, la quale avea inteso da un Oracolo, che Achille sarebbe perito, se fosse intervenuto a quella spedizione, secretamente lo fece passare in abito femminile appresso Licomede, suo fratello, e re dell’Isola di Sciro. Il naturale aspetto e la bellezza del giovine talmente favorirono la finzione, che niuno seppe ravvisarlo. Dìmorando in quell’Isola, ebbe da Deidamia, figlia del predetto Licomede, un figliuolo, chiamato primieramente Pirro a motivo de’ suoi biondi capegli, e poi Neottolemo, perchè in età assai giovanile fu condotto alla guerra(a)(2). Achille però non potè sempre starsene ivi celato agli occhi altrui. Tralle Fatalità di Troja, ossia tralle cose che doveano succedere, primachè quella città potesse essere presa dalle armi nemiche, eravi pure, che i Greci non ne avrebbono mai trionfato, qualora tra loro non si fosse trovato anche Achille(b). Subito pertanto si cercò di lui, nè fu possibile il trovarlo, finchè un certo spione, di nome Asio, non indicò il luogo, ov’egli stava nascosto. Era pur difficile lo scuoprirlo sotto quelle mentite vesti. Il sagace Ulisse recossi alla Corte di Licomede, seco portando varj ornamenti donneschi, e frammischiate a questi delle armi di ogni sorta. Tutte le giovani si scelsero le galanti merci, che più loro piacevano. Il solo Achille, sdegnando perfino di mirarle, come ad uomo generoso disconvenevoli, stese in vece le mani alle armi. Ulisse non cercò altra prova per riconoscere, in lui il figliuolo di Tetide ; e informatolo del motivo, per cui erasi colà recato, {p. 211}lo condusse seco al Greco campo(a). Desolata Tetide nel vederlo a partire, gli procurò da Vulcano delle armi, che noa potevano essere abbattute da forza emana(b). Era altresì costume de’Greci l’offerire come in sacrifizio la loro prima capigliatura a qualche fiume. Peleo fece voto di consecrare quella di Achille allo Sperchio, fiume della Tessaglia, se lo stesso dopo quella guerra si fosse felicemente restituito alla sua patria(c)(3).
L’Eroe, di cui parliamo, marciò contro Troja, seguito in cinquanta navi da’ Mimidoni(d)(4), e da Menescio, suo parente(5), a cui diede il comando di una parte de’Tessali. Affidò pure il comando di altri suoi soldati al prode Eudoro, nato da Polimela, figlia di Filante, e da Mercurio (e). Egli poi nell’avviarsi all’assedio di Troja ferì Telefo, figlio di Ercole, e d’Auge, e re de’Misj ; perchè egli tentava d’impedire che i Greci passassero per le sue terre(6). Non trovavasi rimedio che guarisse quella ferita, quando Telefo venne finalmente instruito dall’ Oracolo, che lo avrebbe potuto risanare soltanto quell’arma stessa, che lo avea colpito. Il re pertanto si riconciliò con Achille, ne ottenne di essere guàrito nel modo indicato dall’Oracolo(f), e per riconoscenza, come dicono alcuni, strinse allcanza co’ Greci, e seco loro marciò contro i {p. 212}Trojani(a). Claudiano dice, che Achille lo guari con un’erba, detta poi dal nome di lui Achillea. Molte altre gloriose imprese si operarono da Achille. Egli uccise i Capitani Trojani, Demoleonte, figlio d’Antenore, e Troe, figlio d’Alastore. Privò di vita Demuco, figlio di Filetore(b) ; Ennomo, celebre augure, che comandava i Misj(c) ; Laogono e Dardano, figliuoli di Biante(d). L’Eroe sostenne altresì un lungo combattimento con Pentesilea, regina delle Amazoni, la quale era di valore sì grande, che uguagliava i più celebri combattenti ; e che alla testa di numerosa gente erasi portata in soccorso di Troja(7). Alfine la mise a morte(8), e nello spogliarla della sua armatura la osservò talmente bella, che ebbe dispiacere d’averla uccisa(e). Secondo un’antica Tradizione, riferita da Servio(f). Achille avea amato questa Amazone anche prima di azzuffarsi secolei, e ne avea avuto un figlio, di nome Caistro. Tersite, veggendo che Achille spandeva lagrime sol corpo di quell’Eroina, sgridò la di lui debolezza sì aspramente, che Achille con un pugno lo uccise(9). Achille mise pure a morte Calcone, nato in Ciparisso, città della Grecia, il quale era passato nel Campo Trojano per vagheggiare la predetta Regina delle Amazoni(g). Fece perire altresì {p. 213}Demolione ; figlio d’Antenore ; Polidoro, figlio di Priamo, ed Ifizione, figlio d’Otrinteo(a). Si azzuffò anche con Cicno, figlio di Nettuno. Il corpo di colui era invulnerabile ; però Achille, osservando, che ogni suo colpo riusciva vano contro di quello, scese dal carro, e colla spada investì il nemico, che con intrepida fronte gli stava dinanzi. Il ferro d’Achille traforava l’elmo e lo scudo di Cicno, ma nol offendeva. Intollerante il Greco Eroe di vedere vani tutti gli sforzi suoi, si levò alla fine dal braccio lo scudo, ed ora con esso, ed ora col manico della spada ammaccò la faccia e le tempie del nemico, che già cedeva e vacillava. Il vederlo avvilito e depresso non bastò ad Achille ; ma mentre quegli fuggiva, egli lo inseguì ; e raggiuntolo, gli premette le viscere parte coll’elmo e parte colle ginocchia. A tale strazio sopravvivendo ancor quel misero, Achille si fece a serrargli co’lacci della stessa di lui armatura la gola, ed a torgli in sì barbaro modo la vita. Nè pago d’aver superato e ucciso sì forte nemico, voleva anche spogliarlo delle armi, quando Nettuno trasformò Cicno in bianco volatile, che ritenne il suo primiero nome(b). Dopo questa memorabile e laboriosa tenzone Achille si ritirò dal campo, e stette quasì un anno senza più combattere, perchè Agamennone, costretto da lui a restituire Criseide al di lei padre, avea spedito i due araldi, Euribate e Taltibio, onde gli rapissero Ippodamia(c), giovine bellissima, soprannominata {p. 214} Briseide, perchè era figlia di Brise, sacerdote di Giove. Colei era stata sposata a Minete, re di Lirnesso, e poi era passata in potere di Achille, quando egli prese quella città, e ne uccise il predetto Monarca(a). Il non trovarsi più Achille a guerreggiare tra’suoi faceva sì, che gli affari loro andavano di male in peggio, talmentechè Agamennone era d’opinione, che si spiegassero le vele a’venti, e si prendesse la fuga. Diomede e Nestore biasimavano sì vergognosa risoluzione, e lo esortavano a cercare piuttosto ogni mezzo per placare la collera d’Achille. Agamennone finalmente v’acconsentì, e inviò allo sdegnato guerriero Ajace, Ulisse, e Fenice, figlio d’Amintore, re de’Dolopi, nell’Epiro, e che dopo Chirone era stato di lui precettore(10). Queglino usarono di tutta la loro eloquenza appresso di lui, proposero di restituirgli, la rapita giovine, di colmarlo di doni, e di dargli anche in isposa la più bella delle figliuole d’Agamennone. Achille non ostante si mantenne inalterabile nella determinazione di non più trattare le armi a favore della sua nazione(b). Il Trojano esercito intanto continuava ad assalire baldanzoso il campo de’ Greci, azzardava varj combattimenti, e quasi sempre ne riusciva vittorioso. La morte finalmente di Patroclo soffocò in Achille lo sdegno, che nutriva contro Agamennone ; si riconciliò con lui ; ricevette nuovamente Briseide, carica di ricchi doni ; e ritornato al campo, ristabilì la cadente fortuna de’suoi(c). Tetide gli ottenne nuove armi da {p. 215} Vulcano, ed egli con quelle fece orribile strage de’ Trojani(a). Uccise Asteropeo, re di Peonia, e figlio di Pelegone(b). Disfece Strambelo figlio di Telamone. Dopo tale fatto l’Eroe si lavò in una fontana, la quale trovavasi in Mileto, e fu poi chiamata Achillea.(c). Andò anche a saccheggiare l’isola di Tenedo. Emitea, figlia di Cigno, erasi colà portata per seguire il suo fratello, Tene(11). Achille, invaghitosi della di lei bellezza, voleva per forza farsela sua. Ne venne impedito da Tene, ed egli lo uccise. Insisteva il Greco nel voler impossessarsi di quella giovine ; ma gli Dei fecero, che la terra si aprisse, e la ingojasse(d). Achille sorprese Licaone, figlio di Priamo, e lo vendette nell’Isola di Lenno a un figlio di Giesone pel prezzo di cento buoi. Eezione, amico di Priamo, lo riscattò, e lo spedì in Arisba. Da di là Licaone fuggì, e ritornò alla paterna casa. Caduto nuovamente nelle mani di Achille, sirgettò a’piedi di lui, ptomettendogli trecento buoi, se lo avesse lasciato in vita ; ma il figlio di Peleo nol ascoltò, e gl’immerse la spada nel seno(e). Achille moltre s’impadronì di dodici città nemiche, tralle quali si conta, Moncia. Sembrava da prima impossibile all’Eroe il prenderla ; e già era per desistere dall’impresa, quando una giovine di quella città, la quale avea preso ad {p. 216}amarlo, gettò dall’alto delle muraglie nel di lu campo un pomo. Eranvi scritti due versi, co’quali ella lo avvertiva, che ancor per poco avesse sofferenza, giacchè Ia di lei città era per arrendersi per mancanza d’acqua. L’Eroe approfittò dell’avviso ; e quegli abitanti, che morivano di sete, non molto dopo gli aprirono lo porte della loro città(a). Una cosa quasi del pari gli avvenne, mentre assediava Metimne nell’Isola di Lesbo. Anche quella città gli fece sì forte resistenza, ch’egli oramai avea perduto la speranza di superarla. La figlia di quel re, la quale chiamavasi Pisidice, gli offerì di dare in potere di lui la sua città, se prometteva di sposarla. Achille ne fece la promessa ; ma poi lungi dal mantenerla, ebbe tale orrore del tradimento di lei, che dopo d’aver conquistato Metimne, comandò a’suoi soldati, che lapidassero la giovine in pena del suo delitto(b)(12).
Ad Achille, per essere nato da Peleo, diedesi il soprannome di Pelide(c), e quello di Eacide, perchè il di lui padre era nato da Eaco(d).
Variano gli Scrittori sul fine d’Achille. La maggior parte però di loro asserisce, che Paride lo privò di vita. Allorchè Priamo andò a ricercare ad Achille il corpo d’Ettore, oltre varj generosi doni condusse seco a supplicarnelo anche la sua figliuola, Polissena. Il Greco, al vederla, tosto se ne invaghì, e la chiese in moglie. Priamo finse {p. 217} d’acconsentirvi ; e si assegnò pel trattato il tempio, eretto ad Apollo in Timbra. Non appena v’entrarono, che Paride, il quale erasi nascosto dietro la statua del Nume, scoccò uno strale contro di Achille, e mortalmente lo ferì in quella parte del piede, la quale non era stata bagnata dallo Stige(a). Ovidio poi dice, che Nettuno, sdegnato per la morte del suo figliuolo, Cicno, concepì implacabile odio contro Achille, e che pregò Apollo a prenderne vendetta. Il Nume, velatosi d’una nuvola, si manifestò a Paride, ed eccitollo a volgere l’arco contro il Greco Eroe. Così fece il Trojano, e, scoccato uno strale, privò di vita Achille(b)(13).
Tetide uscì dalle acque ; e, accompagnata dalle Nereidi, si recò a piangere il morto figlio. Le Muse pure fecero sentire a vicenda i loro gemiti pel corso di dieci sette giorni. I Greci nel dì seguente ne celebrarono i funerali. Il di lui corpo, riposto sul rogo, andò consumandosi, e se ne rinchiusero le ceneri in un’urna d’oro insieme con quelle di Patroclo, e di Antiloco, il quale pure era stato uno de’di lui più cari compagni(14). Gli s’inalzò un magnifico Mausoleo e tempio sul Promontorio Sigeo, ove la Ninfa, sua madre, fece celebrare dei Giuochi funebri da’più valorosi dell’armata Greca. Fu annoverato Achille tra’Semidei, ed ebbe tempio anche nella Penisola del Ponto Eusino, detta dal nome di lui Achillea(c), mentre prima si {p. 218} chiamava Lence(a). Plinio dice che colà non videsi mai volare alcun uccello(b). Essa finalmente ci vien descritta come una spezie di Campi Elisj, ove soggiornavano molti Eroi(c)(15).
{p. 227}Ulisse. §
ULisse nacque da Anticlea, e da Laerte(a), e fu re delle due piccole Isole del mare Ionio, Itaca, e Dulichio(b)(1). Ebbe per nutrice Euriclea, figlia del Greco Ope, comperata da Laerte per venti buoi(2), e fornita di bellissime prerogative(c). Ricercò in isposa Penelope, figlia d’Icario(3). Questi aveva proposto di darla a chi fosse rimasto vincitore in certi Giuochi, ch’egli era per celebrare. Vinse Ulisse, e a lui quindi fu la giovine accordata(d). Altri dicono, che la conseguì mediante il maneggio di Tindaro(4), il quale volle così ricompensare Ulisse d’averlo consigliato ad impegnare tutti gli amanti di Elena al gia mentovato giuramento(e). Allorchè tutti i Principi Greci si collegarono per andarsene contro Troja, Ulisse, non sapendo staccarsi nè dalla moglie, nè dal tenero figlio, Telemaco, si finse insensato, onde non intervenire a quella guerra. Tralle varie stravaganze, le quali fece allora, dicesi che abbia preso a lavorare l’arena del mare con aratro, tirato da due animali di diversa spezie, e che in vece di grano sia andato seminandovi del sale. Palamede però, figlio di Nauplio, re dell’Isola d’Eubea(5) sospettando che non fosse vera la di lui pazzia, tolse dalle mani di Penelope Telemaco, {p. 228}e là adagiollo, ove il vomere aveva a passare. Ulisse, al vedere il proprio figlio, torse tosto altrove lo strumento, e in tale guisa scuoprì da se l’inganno. Palamede allora l’obblig ò ad unirsi cogli altri Greci contro i Trojani(a). Ulisse, irritato contro di colui, concepì fin da quel momento il pensiero di farlo perire. Avvenne, che Ulisse fu inviato da’ suoi nella Tracia per riportarne de’viveri, ma se ne ritornò senza nulla averne recato. Palamede, spedito dopo di lui, portò al Greco campo moltissimo grano. Ulisse allora contraffece una lettera di Priamo, in cui quel re ringraziava Palamede de’segreti avvisi, che aveagli dati, e gl’indicava la grossa somma di danaro, di cui per tale motivo lo regalava. Nello stesso tempo fece nascondere il predetto danaro nella tenda di Palamede. Ciò servì di prova manifesta del tradimento ; e Palamede per sentenza di tutto il Greco esereito venne lapidato(b)(6). Pausania dice, che Ulisse e Diomede annegarono Palamede, il quale stava pescando lungo le rive del mare(c).
Ulisse giovò moltissimo a’ Greci nel tempo della guerra Trojana sì co’ suoi consigli, che col suo valore. Egli insieme con Diomede tolse a’nemici, come si è accennato anche altrove, il Palladio, perchè Troja senza la perdita di quel Simulacro non poteva cadere. Uccise Democoonte, uno de’figli di Priamo ; il quale erasi recato da Abido a difendere Troja(d). Sapeva altresì, che non poteasi vincere la città nemica, quando non si avesse impedito, che {p. 229}Reso, re di Tracia, si fosse unito a’ Trojani, e che i di lui cavalli, di valore inestimabile, avessero pascolato ne’ prati di Troja, e avessero bevuto fiume Santo. Verso il fine di quella guerra le truppe di quel re etano per entrare di notte in Troja, quando Ulisse e Diomede, avvertiti del loro arrivo da Dolone, si recarono ov’eransi accampati, parte ne massacrarono, e parte ne misero in fuga. Privarono di vita lo stesso Reso, che dormiva, e ne condussero via i cavalli(a)(7). Ulisse uccise Pidite Percosio(b), Ippodamo, Ipiroco, e Molione, Principe Trojano, e cocchiero di Timbreo, altro Trojano, che perì sotto Diomede, figlio di Tideo(c). Privò pure di vita Toone(d), Alcandro, Cerano, Alastore, Cromio, Alio, Noemone, e Pritani(e). Gli Auguri inoltre aveano dichiarato a’ Greci, che non mai avrebbono abbattuto la Trojana potenza, quando Filottete non avesse loro recato le frecce d’Ercole. Ulisse, unito a Neottolemo, come leggesi in Sofocle(f), o a Diomede, come pretende Igino(g), sciolse le vele alla volta dell’Isola di Lenno, e da di là ricondusse al Greco campo Filottete(8), che adirato contro i Greci, perchè ivi lo aveano abbandonaro, non voleva più far ritorno a loro(h)(9).
Ulisse fu di tutti i Greci il più perseguitato {p. 230}dall’avverso Destino, allorchè volle rimettersi alla sua patria. Ei corse molti rischi, ne’ quali diede sempre memorabili saggi di sommo coraggio e d’invitta costanza. Fu primieramete spinto da’ venti in Africa alla città d’Ismara. Sbarcò ivi per procacciarsi vettovaglie, sconfisse quelle genti, ne siccheggiò la città, e vi fece grandissimo bottino. Ma i Ciconi ritornarono poscia con forze maggiori, e uccisero gran quantità de’ di lui compagni(a). Ulisse poco tempo dopo sofferì una nuova burrasca, per cui videsi trasportato a quella parte della costa d’Africa, che abitavano i Lotofagi, così detti dal frutto, Loto, di cui abbiamo parlato. Fu accolto da quelle genti molto cortesemente ; ma i compagni di lui, da che si cibarono dell’anzidetto frutto, perdettero del tutto il desiderio di rivedere la loro citta ; e però fu d’uopo che Ulisse usasse molta forza per farli ritornare alle navi. Una terza procella lo spinse in Sicilia. Là con dodici de’suoi entrò nella caverna, ove soleva starsene il Ciclope Polifemo. Costui n’era allora uscito per pascere la sua greggia ne’ vicini campi. Mentre l’Eroe trattenevasi ad osservare quell’abitazione, Polifemo vi ritornò, e ne chiuse l’ingresso con una pietra, la quale non si sarebbe potuto smuovere da venti carri, tirati da robusti buoi. Il Ciclope allo splendore del fuoco, che v’accese, s’avvide di que’forestieri, e due subito ne divorò. All’apparire del nuovo giorno ne mangiò altrettanti, indi uscì colla greggia al pascolo, e vi lasciò gli altri chiusi {p. 231}nell’antro. Ritornatovi a sera, cenò nuovamente con pari cibo. Chiese poi ad Ulisse, com’egli si chiamasse, e protestò di voler fargli un dono da Ciclope. L’Eroe rispose, ch’egli si chiamava Niuno. E Niuno, soggiunse Polifemo, sarà dunque l’ultimo che mangierò. Il sagace Ulisse allora gli porse un otre, pieno di squisitissimo vino, donatogli da Marone, figlio d’Evanteo, e sommo sacerdote d’Apollo in Ismara, perchè lo avea reso esente dal sacco nel tempo dell’irruzione, fatta da lui nel paese de’ Ciconi. Il Ciclope non ristette dal trangugiare quella bevanda, finchè ne rimase ubbriaco. Avea trovato Ulisse in quell’antro una mazza d’ulivo, lunga, e grossa, come un albero di nave. Egli ne avea tagliato un pezzo ; e appuntitolo, lo avea indurito al fuoco. Tostochè il sonno s’impadronì del Ciclope, il Greco Eroe piantò l’anzidetta stanga, che avea nascosto sotterra, nel di lui occhio. Polifemo, destatosi dal dolore acerbissimo, gettò urli spaventevoli, e chiamò in ajuto gli altri Ciclopi di que’dintorni. Queglino accorsero alla di lui caverna, ansiosi di sapere, perchè così si dolesse. Colui rispose, che Niuno era la cagione de’ suoi mali. A tale risposta i di lui compagni lo eccitarono a pregare Nettuno, suo padre, che lo soccorresse. Non molto dopo il Ciclope, altamente gemendo, aprì la porta della caverna per condurre secondo il solito i greggi a pascolare. Stese nello stesso tempo le braccia, affinchè nessuno de’Greci ne uscisse ; ma queglino, sospesi sotto il ventre degli animali, vennero fuori dell’antro, e ritornarono agli altri compagni, che li attendevano nelle navi. Il Ciclope allora all’udire Ulisse, che da lungi lo beffeggiava, svelse una cima di monte ; e rabbiosamente scagliatala contro il Greco naviglio, tentò di sommergerlo, ma {p. 232}non potè recarvi danno alcuno(a)(10). Ulisse andava errando per le onde Tirrene ; e avendo approdato finalmente all’isola d’Eolo, ne ottenne rinchiusi in un otre, ossia in una pelle di capro, i venti Boreali, acciocchè essi non gl’impedissero il ritorno alla sua patria(11). Per nove giorni la nave avea tenuto il corso felice alla volta di quelle terre, quando Ulisse, sorpreso dal sonno, lasciò a’ suoi compagni il governo del naviglio. Queglino, credendo che nell’anzidetto otre vi si trovasse dell’oro, lo aprirono. Ne uscirono tosto con furore e veemenza sì grande i venti, che i Greci ne vennero spinti un’altra volta all’Isola, dond’erano partiti. Invano Ulisse si studiò di destare nell’animo di Eolo sentimenti di compassione, poichè quegli non diede ascolto alle di lui preghiere, e gli commise di quanto prima partire. Passò il Greco Eroe dopo sette giorni alla spiaggia de’ Lestrigoni, popoli selvaggi, che Omero denomina antropofagi, cioè mangiatori d’uomini, poichè tal’era il loro cibo. Vicino alla città di coloro si abbatterono i compagni d’Ulisse in una giovine, che andava ad attignere acqua alla fontana d’Artacia. Ella era la figlia del re, il quale chiamavasi Antifate. Colei additò loro il reale palagio ; ed eglino, avviatisi al medesimo, ne incontranono sull’ingresso la Regina. Al vederlasi raccapricciarono, poichè era sì grande, che rassomigliava ad alta montagna. Colei chiamò il marito, che divorò subito uno di que’ Greci. I sudditi d’Antifate, eccitati dalla di lui spaventevole voce, tumultuosamente accorsero in truppa, e scagliarono contro la {p. 233}Greca flotta enormi sassi. Ulisse però potè sottrarsi a tanta barbarie, e si ritirò nell’isola Eea, in cui regnava Circe. Alquanti de’di lui compagni si recarono al palagio di quella Maga, e nell’ingresso della Reggia vennero accolti da gran numero di lupi, frammischiati con lionesse ed orse. Queste fiere, lungi dall’atterrirli, li accarezzarono mansuete, e piacevolmente li eccitarono ad avanzarsi nel cammino. Così fecero, e quantità di serve bellissime li introdusse nelle stanze di Circe. Costei sedeva in alto trono, coperta di veste magnifica, e tutta d’oro risplendente. Ella gentilmente corrispose al saluto de’Greci, ma nello stesso tempo porse loro una bevanda, che li cangiò in porci. Uno solo di loro, chiamato Euriloco, ch’era rimasto fuori di quel palagio, non incontrò la trista sciagura, e corse ad avvertire Ulisse della funesta trasformazione de’suoi compagni. Recavasi l’Eroe alla Reggia della Maga con animo di prenderne vendetta, quando gli apparve Mercurio sotto l’aspetto di vago giovine, gli dimostrò il pericolo, a cui si esponeva, e gli diede un antidoto contro gl’incanti di Circe. Esso fu una pianta, che aveva nera la radice, e bianchi i fiori. Gli Dei la chiamano Moli, ed eglino solo potevano facilmente raccorla. Entrò Ulisse con quella, e senza timore bevette alla tazza avvelenata, che Circe aveagli tosto offerto. Colei altresì stava per toccarlo colla sua verga ; ma egli, imbrandita la spada, la riempì di spavento, e minacciò d’ucciderla, se non avesse ritornati tutti i suoi compagni alla loro primiera figura(12). La Maga prontamente lo fece, strinse innoltre seco lui amicizia, e per un anno lo trattenne appresso di se. Ulisse durante questo tempo visse tra l’abbondanza e le delizie, ma poi risolse d’abbandonare quel soggiorno. Prima però che partisse, Circe, come abbiamo detto anche altrove, {p. 234}lo consigliò di discendere nell’Inferno a consultare l’ombra di Tiresia, il quale per singolare favore di Proserpina conservava anche colaggiù lo spirito profetico(a). Il Greco Eroe, offerte primieramente in sacrifizio agli Dei Infernali varie vittime, preparate da’di lui compagni, Euriloco e Perimede, si recò al Regno di Plutone. Ivi scavò una fossa, vi fece delle libazioni, e svenò un nero ariete e una pecora. V’accorsero tutte le ombre per bere il sangue delle vittime, raccolto in quella fossa. Ulisse le allontanò, finchè giunse l’ombra dell’anzidetto Indovino, da cui intese quanti ostacoli ancora erano per impedirgli il ritorno alla patria, e quanto dovea temere per causa dell’odio implacabile, che Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male, che avea fatto a Polifemo, suo figlio(b). Ritomato Ulisse a Circe, essa pure gli manifestò le traversie, ch’erano per succedergli, primachè potesse rimettersi in Itaca. Difatti l’Eroe, abbandonata quell’ Isola, si abbattè tosto nelle Siene(13). Usò egli la precauzione di far turare a tutti i suoi compagni con cera le orecchie, onde non udissero il canto fatale di quelle. Egli stesso si fece legare all’albero della nave, eordinò che niun riguardo si avesse a lui, quando avesse ricercato che lo sciogliessero. In tal modo evitò anche quel pericolo(14). Si salvò pure, allorchè trovossi presso Scilla e Cariddi, e arrivò in Sicilia. Ivi Lampezia e Faetusa, figliuole del Sole, pascevano i sacri armenti del loro genitore. I {p. 235}compagni d’Ulisse, cruciati dalla fame, mentr’egli dormiva, rapirono alcuni di quegli animali. Lampezia vo ò ad avvertirne il padre. Questi se ne querelò con Giove, e minacciò di non più apparire sulla terra, qualora fosse rimasto impunito l’insulto, sofferto da coloro. Giove non tardò a dar segni di sua collera : le pelli di quegli animali si misero a camminare ; le carni, che si arrostivano, cominciarono a muggire ; e quelle, che ancor erano crude, risposero a que’muggiti. I Greci spaventati corsero precipitosamente a’loro navigli, e spiegarono le vele a’venti. Giove suscitò allora una fiera burrasca, per cui la loro nave fu ridotta in pezzi, tutti i Greci perirono, e Ulisse solo potè sottrarsi al naufragio. Arrivò egli all’isola d’Ogigia nel mare Mediterraneo(a). Ivi regnava la Dea Calipso, figlia di Teti e d’Oceano(b), ovvero di Atlante, come vuole Omero(c). Ulisse al dire di questo Poeta(d) per sette anni, o per sei, se attendiamo ad Ovidio(e), vi si trattenne. Calipso per tutto quel tempo andò persuadendolo, onde volesse fissare appresso di lei la sua dimora, ma egli non mai v’acconsentì. Minerva finalmente ottenne da Giove, che Mercurio dichiarasse a Calipso essere volere degli Dei, ch’ella lasciasse proseguire al Greco Eroe il suo viaggio. Così avvenne ; e Ulisse, proveduto di ben corredata nave, nuovamente si mise in mare(15). Viaggiò dieci {p. 236}sette giorni felicemente, quando Nettuno suscitò poi contro di lui spaventosa burrasca. Si rovesciò la nave, i venti ne ruppero gli alberi, portarono via le vele, le antene, e il timone. Ulisse a tanta sciagura oppose un’invincibile costanza, e una presenza d’animo molto soprendente. Leucotea, figlia di Cadmo, e ch’era divenuta Dea del mare, non potè, senza impietosirsi, rimirare lo stato deplorabile, a cui il Greco era ridotto. Ella gli somministrò una fascia, colla quale l’infelice si sostenne sulle onde. Nuotò egli due giorni e due notti ; e poscia Minerva mandò un vento propizio, che lo trasportò al paese de’Feaci, i quali abitavano l’Isola di Corcira(a). Quì signoreggiava Alcinoo, che soleva ricolmare di favori qualsivoglia straniero. Appenachè Ulisse v’arrivò, il sonno lo prese, e si addormentò sulla riva d’un fiume. La mattina seguente Nausicaa, figlia di Alcinoo, si portò ivi a lavare alcuni panni. Il Greco al rumore, che colei colle sue serve faceva, si destò, e presentatosi alla medesima, le espose la trista sua sventura. Ella lo consolò, e assicurollo, che niente gli sarebbe mancato nel luogo, in cui si trovava(b)(16). L’ Eroe verso sera giunse al reale palagio, e si gettò alle ginocchia di Arete, figlia di Ressenore, e moglie dello stesso re, chiedendole d’essere ricondotto alla sua patria. Alcinoo, prendendo Ulisse per mano, lo fece sorgere, e sedere. Ordinò al suo coppiere, Pontonoo, di mescere olce vino ; bevuto il quale, Arete ricercò al Greco ospite chi egli era. Ulisse {p. 237}allora diedesi a conoscere. e narrò la lunga serie de’suoi disastri(a). Quel re nel dì seguente lo trattò a magnifico banchetto, in cui Demodoco tratteneva i convitati colla soavità del canto, il quale avea ottenuto in dono dalle Muse in cambio della perduta vista. Appenachè si compì il pranzo, Alcinoo eccitò i Feaci a provarsi in diversi giuochi. Laodamante, figlio del predetto re, volle che vi fosse ammesso anche Ulisse, e questi vi rimase vincitore. L’Eroe finalmente ricevette i ricchi doni dell’ospitalità(b), edagli stessi Feaci fu trasferito in Itaca(c)(17). Neppure uno vi fu, che lo riconoscesse, poichè Minerva, i aveva cangiato il di lui aspetto in quello di povero e smunto vecchio. Egli sotto tali sembianze andò ad albergare appresso Eumeo, guardiano delle di lui greggi(18), e ne fu amorevolmente accolto(d). Giunse frattanto appresso di loro anche Telemaco, figlio di Ulisse, il quale era ritornato dall’avere peolungo tempo e in mezzo ad infiniti, disastri cercato, inutilmente il suo genitore. Parlò egli col padre, nè lo riconobbe, finchè Minerva toccò con verga d’oro Ulisse, e gli restituì la sua primiera figura. Il figlio, sorpreso dall’improvviso cangiamento, non osava di mirarlo in volto, perchè credeva che fosse un Nume. Disingannato finalmente, narrò al padre lo stato deplorobile, in cui i Nobili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise al figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e che a niuno manifestasse il di lui arrivo(19). Egli pure non molto dopo riprese {p. 238}le sembianze di vecchio e mendico uomo, passò con Eumeo alla città(a). Giunto al suo palagio, venne tosto riconosciuto da uno de’suoi cani, che portava il nome di Argo. Là i Nobili erano allora assisi a mensa. Ulisse prese a mendicare appresso di loro. Antinoo, ch’era uno di quelli, s’adirò con lui, e lo percosse con una panchetta nell’ultima diritta spalla. Se ne querelò Ulisse appresso gli altri convitati, i quali biasimarono l’azione di Antimoo(b). Frattanto sopraggiunse un altro mendico, famoso per la sua ghiottoneria, perchè sempre mangiava, e non ostante era sempre affamato. Il vero nome di colui era Arneo, ma si chiamava Iro, perchè era eccellente nel portare le ambasciate, che gli si commettevano. Costui insultò ad Ulisse, e amendue vennero alle mani. Ulisse al primo colpo lo stese a terra, tutto coperto di sangue(c). Penelope poscia parlò a lungo con Ulisse senza mai conoscerlo(20). Ella comandò, che gli si lavassero i piedi, come soleasi praticare con ogni straniero. La vecchia Euriclea, nutrice d’ Ulisse, lo fece ; e fu allora, che lo riconobbe da certa cicatrice, rimastagli da una ferita, ch’egli aveva ricevuto, quando andò alla caccia d’un cinghiale sul Parnasso co’figli d’Autolico. L’Eroe le commise di non palesarlo(d). Penelope intanto per sottrarsi alle insistenti ricerche de’suoi amanti, propose loro un giuoco, in cui promise, che chi vi sarebbe rimasto vincitore, avrebbe avuto in premio la di lei mano. Il giuoco consisteva nel dover tendere l’arco d’ Ulisse, e passare con esso dodici anella. Tutti que’ {p. 239}Nobili si studiarono di riuscirvi, ma sempre in vano. Ulisse prese allora anch’egli l’arco, lo tese, e vinse nel giuoco(a). Allora si spogliò l’ Eroe de’cenci, che lo cuoprivano, armò la destra d’arco e di faretra, e contro gli amanti di sua moglie tali scoccò e tante frecce, che li fece tutti perire(21), nè altri lasciò in vita, che il cantore Femio, e Medone. Neppure la risparmiò a Melantio, figlio di Dolio, ed altro suo guardiano di capre. Costui avea insultato ad Ulisse, ed avea somministrato delle armi agli amanti di Penelope, affinchè si difendessero. Anche in quella circostanza Ulisse fu assistito da Minerva, la quale gli apparve sotto la figura di Mentore, l’amico fedele, a cui l’Eroe prima di partire, per Troja avea affidata la sua famiglia(b).
Secondo Sofocle(c) Ulisse visse quindici o sedici anni dopo il ritorno ne’suoi Stati. Egli avea avuto da Circe un figliuolo, di nome Telegano(d)(22). Questi era stato lasciato fanciullo appresso la madre nell’isola Eea. Cresciuto in età, montò sopra un naviglio con varj compagni per amlarsene ad Itaca, ed ivi farsi riconoscere da Ulisse. Venne gettato da una burrasca sulle coste di quell’Isola, di cui ne ignorava anche il nome. Mancante di viveri, fu costretto a saccheggiarne le campagne. Ulisse alla testa de’suoi si fece a respingernelo, e Telegono senza conoscerlo lo trafisse con una lancia(e). Ditti Cretese disse, che ciò avvenne alla porta del palagio d’Ulisse, le di cui guardie aveano negato {p. 240}l’ingresso a Telegono(a). Ulisse si ricordò allora di un Oracolo, che lo aveva avvertito di guardarsi da un suo figliuolo. Ei tuttavia volle sapere chi era quello, che lo aveva ferito, e morì tralle di lui braccia. Telegono allora per ordine di Minerva sposò Penelope, e la rendette madre d’ Italo, che diede il suo nome all’Italia(b). Ulisse poi dopo morte fu amoverato tra’Semidei(c). Dicesi, che desse Oracoli agli Euritani, popoli dell’Eolia(d).
{p. 250}Ajace oileo e Telamonio. §
AJace Oileo, così detto dal nome del di lui padre, era re di Locri. Egli alla testa di varj popoli, raccolti anche dalle regioni vicine all’ Eubea, andò sopra quaranta vascelli all’assedio di Troja. Tra tutti i Greci non trovavasi alcuno, il quale maneggiasse meglio di lui l’asta(a) ; e con tanta destrezza muoveva le mani, che d cevasi averne tre(b). Era altresì agilissimo alla corsa(c). Fece cadere sotto i suoi colpi Pulidamante, figlio di Pantoo(d)(1), e Cleobulo(e). La notte, in cui Troja fu presa dalle armi Greche, insiurò Cassandra, figlia di Priamo, nel tempio di Minerva, dov’erasi ritirata per sottrarsi agli ostili insulti. Un tale fatto destò contro di lui lo sdegno degli uomini, e perfino degli Dei. Ulisse voleva, che fosse lapi dato ; e Ajace avrebbe per certo soggiaciuto a quella pena, se non avesse promesso con giuramento di purgarsi del commesso delitto. Minerva tuttavia non lasciò invendicata la profanazione del suo tempio, e sì colpì con fulmine tutta la di lui flotta, ch’essa naufragò(f). Ajace però mercè il favore di Nettuno si {p. 251}salvò sopra certi scogli, ma avendo poi osato d’ivi insultare agli Dei, dicendo, che loro malgrado avea schivato il periglio, l’anzidetto Nume percosse allora col tridente lo scoglio, su cui Ajace erasi rifugiato ; e metà di quello cadendo in mare, seco vi trasse anche lui, e lo fece perire(a). Virgilio dice, che Minerva lo colpì con un fulmine, e che fattolo rapire da un turbine in aria, lo attaccò ad uno scoglio(b). Nè contenta di tale vendetta, fece altre sì, che poco tempo dopo la peste desolasse il di lui regno. Non cessò quel castigo, finchè per consiglio dell’ Oracolo non si promise di spedire ogni anno due giovanette di Locri, estratte a sorte, onde servissere a Minerva nel suo tempio, eretto in Troja(c).
Que’ di Locri ebbero sì alta stima del valore d’ Ajace Oileo, che nel combattimento, il quale ebbero dopo la di lui morte contro i Crotoniati, vi lasciarono un luogo vuoro, come se quello avesse dovuto essere occupato da Ajace. Fu là, dove, Autoleone, Generale de’Crotoniati, tentè di attaccare l’armata de’ Locresi, ma rimase feriro nel petto dall’ombra dello stesso Ajace, nè potè sisanarsene, che dopo aver placato quell’ Eroe, come aveagli detto l’Oracolo(d)(2).
L’altro Ajace fu denominato Telamonio, perchè nacque da Telamone, re di Salamina e di Megara(3). Ercole, veggendo afflitto Telamone, perchè non {p. 252}avea alcun figliuolo, pregò Giove, che gliene cedesse uno. Il Nume comparve sotto la figura aquila, e gli annunziò, che Telamone avrebbe il bramato figlio. Così avvenne ; e come nacque il bumbino, Ercole lo fasciò eolla pelle dell’ucciso I eone di Nemea lo che rendette il fanciullo invulnerabile in tutto il corpo, eccettuatane quela parte, dov Ercole avea ferita la belva(a). Ajace portossi con dodici vascelli alla volta di Troja, e si qualificò per uno de’più valorosi guerri ri, che vi fossero nella Greca armata. Uccise Anfio, figlio di Selago ; Acamante, figlio d’ Eussoro, e il più prode de’ Traci(b) ; Epicleo, compagno di Sarpedone(c) ;Archeloco, figlio di Antenore ; Irzio, nenuolo di Girzio(d) ; Caletore, figlio di Clizio(e) ; Ippotoo Pelasgo ; Forcine, figlio di Fenope(f). Ebbe pure la gloria di battersi con Ettore ma il conflitto restò interrotato dalla notte, che sopravvenne. L’uno e l’altro allora così si ammirarono, che reciprocamente si fecero dei regali. Ajace ricevette in dono una spada, ed Ettore un pendaglio(g). L’Eroe finalmente, di cui parliamo, esperimento gli effetti fatali della presunzione. Gli Dei lo punnodo colla pazzia, e dopo d’averlo fatto servire di trastullo a’suoi nemici, lo fecero anche cadere vittima delle proprie mani. Egli, morto Achille, pretendeva, che sue fossero le armi di lui. Ulisse gliele contrastò in giudizio, e le ottenne a {p. 253}confronto di lui. Ajace si accese di tanta collera, che divenne furioso. Si avventò contro una greggia di pecore, credendo ch’essa fosse coloro, ch’erano stati i giudici della predetta questione. Ritornato poi in se, e confuso sì pel furore, a cui erasi abbandonato, che per la vendetta fallita e derisa, tanto se ne cruciò, che preso nuovamente da brutale ferocia, imbrandì la spada, che aveva avuto da Ettore, e ritiratosi in solitario luogo, si diede con essa la morte(a). Altri pretendono, che Ajace volendo per se il Palladio, tolto a’ Trojani, minacciò d’uccidere que’ Capitani dell’ armata, che lo avevano in vece dato ad Ulisse ; ma Ajace il dì seguente si trovò morto nella sua tenda(b)(4). Altri dicono, che Ajace, combattendo contro Paride, ne riportò una ferita, per cui poco dopo morì(c). La terra, imbevuta del di lui sangue, produsse un fiore simile a quello, ch’era nato dal sangue del giovine Giacinto, e marcato delle due prime lettere del di lui nome A I(d).
I Greci alzarono ad Ajace una magnifica tomba sul monte Reteo(e)(5). Questo Eroe ebbe inoltre nell’ isola di Salamina un tempio, una statua d’ebano, e certe Feste, dette Ajanzie, nelle quali, per ricordare il di lui invitto valore, ornavasi un feretro d’un’ intera armatura. Gli Ateniesi poi si {p. 254}dimostrarono tanto solleciti di tramandare a posteri la memoria d’Ajace, che ad una delle loro Tribù imposero il nome di Ajantide(a).
{p. 258}Castore e Polluce. §
GIove s’invaghì di Leda, figlia di Testio, e moglie di Tenda o, re di Sparta(1). Quel Nume, come abbiamo desto altrove, eccitò Venere ad assumere le sembianze d’aquila, e a perseguitare lui, cangiato in cigno. Così avvenne ; e Giove si ritirò appresso Leda, che dopo tal fatro partorì un uovo, e da esso nacquero Castore, Polluce, ed Elena. Alcuni soggiongono, che colei diede alla luce non uno, ma due uova, dall’uno de’quali sortirono Castore e Polluce, e dall’altro Elena, e Clitennenestra. Altri finalmente pretendono, che Leda abbia concepito per opera di Giove un solo uovo, da cui trassero origine Polluce ed Elena ; e che Tindaro poi abbia fitto divenire Leda madre di Castore e di Clitennestra. Castore e Polluce, appena nati, vennero da Mercurio portati in Pellena, città della Laconia, per esservi allevati(a). Si segnalarono col loro valore nella celebre spedizione degli Argonauti(b). Polluce, avendo allora approdato co’ compagni alle spiagge de’ Brebici, dovette azzuffarsi con Amico, figlio di Nertuno, e re di que’ popoli. Colui obbligava gli stranieri a sostenere con esso il combattimento del Cesto, li vinceva tutti, e mettevali a cruda morte. Polluce lo superò, e uccise. I due fratelli, de’ quali parliamo, ritornati dalla conquista {p. 259}del Vello d’oro ; si trasferirono nell’ Attica per riavere la loro sorella, Elena, ch’era stata rapita da Teseo ; e venuti in cognizione, che colei trovavasi in Afidna(2), assaltarono quella città, riacquistarono la sorella, e condussero via in qualità di schiava Etra, madre di Teseo(a).
Come Polluce riuscì ecoellente Atleta, così Castore moltissimo si distinse nell’arte di domare i cavalli(b) : anzi vuolsi, ch’egli sia stato il primo ad introdurre l’uso della cavalleria in tempo di guerra(c).
Febe, e Talaira, detta anche Laira(d), Ilaira, ed Elaira, figliuole di Arsinoe, e di Leucippo, fratello di Tindaro(e), chiamate perciò Leucippidi(3), erano per isposarsi con Linceo ed Ida, figliuoli di Afareo o Afarete, fondatore della città di Arene nella Messenia, la quale città egli così denominò da Arene, sua moglie, e madre dei predetti Linceo ed Ida(f). Intervenuti a quelle nozze Castore e Polluce, l’uno si rapì Talaira, e l’altro Febe. Da Castore e Talaira nacque Anagonte, il quale alcuni chiamano Anasi, ed altri Auloto ; e da Febe e Polluce nacque Mnesinoo, il quale altri denominano Mnesibo, ed altri Asineo(4). Corsero gli sposi alle armie alle falde del monte Taigeto fortemente si {p. 260}batterono co’ rapitori. Castore uccise Linceo, Ida fece morire Castore, e Polluce privò di vita Ida(a). Apollodoro dice, che Castore e Polluce si erano unin con Ida e con Linceo per rubare certi greggi ; che questi, eseguito il furto, ricusarono di farne parue con quelli ; e che perciò nacque l’anzidetto vicen devole omicidio(b). Alcuni dissero, che Polluce virimase ucciso ; ma comunemente si riferisce, che Polluce, il quale per essere figliuolo di Giove era immortale, chiese al padre di poter communicare tale privilegio anche all’estinto fratello ; ch’egli ottenne ciò, che ricercò ; e che quando uno di loro moriva, l’altro rinasceva(c).
Castore e Polluce furono anche denominati Tindaridi, perchè la loro madre era moglie di Tindaro(d). Si appellarono Afeterj, o Afesj, perchè presie devano alle sbarre, donde partivano i cavalli per correre ne’ Giuochi pubblici(e). Furono detti Anaci, ossia benefici, conservatori, perchè quando presero Afidna, non vollero però, che quella città avesse a sofferire alcun danno dalle numerose truppe, le quali aveano condotto contro la medesima(f)(5). Eglino finalmente, attese le loro singolari azioni, vennero soprannominati Dioscori, ossia figliuoli di Giove(g).
I due mentovati fratelli si annoverarono tra’ {p. 261}Segni del Zodiaco, ove formano la Costellazione, detta i Gemelli(a). Gli abitanti di Talama, città situata ne’ dintorni di Pefno, altra città marittima della Laconia, rappresentarono questi Gemelli in due statue di bronzo, le quali, benchè fossero piccole, e sempre battute da’ flutti del mare, si conservavano immobili : lo che risguardavasi come un perpetuo prodigio(b). Agli stessi si offerivano bianchi agnelli, come a propizie Divinità(c)(6). Si tennero in grande venerazione anche appresso i Romani, che li riconobbero come loro Divinità tutelari, e fabbricarono ad essi un tempio(d). Benchè il medesimo tempio fosse stato consecrato a questi due fratelli, esso tuttavia chiamavasi il tempio di Castore. Aulo Postumo Dittatore fece voto, che se avesse potuto trionfare de’ Latini, i quali si erano ribellati per ristabilire i Tarquinj sul trono, avrebbe celebrato de’ magnifici Giuochi a Castore e a Polluce. L’esito fu favorevole ; e il Senato, inteso il voto di Aulo, ne decretò l’adempimento. Que’ Giuochi si denominarono i Giuochi di Castore e di Polluce. Erano essi preceduti dallo spettacolo de’ gladiatori. I Magistrati, accompagnati da quelli tra’ loro figli, i quali si avvicinavano alla pubertà, e seguili da numerosa cavalleria, si recavano colle statue di Castore e Polluce dal Campidoglio alla piazza del gran Circo. La pompa di tori Giuochi durava otto giorni. Essa è {p. 262}descritta diffusamente da Dionisio d’ Alicarnasso(a) Polluce poi ebbe anche un tempio, dedicato a lui a lo appresso la città di Terapne nella Laconia. A lui era pur consecrata una fontana, detta Polideuces ossia la fontana di Polluce, chiamato da’ Greci Polideuce(b).
Castore e Polluce si rappresentano come due giovani, che d’ordinario starmo a cavallo, con berretta in testa, e con una stella sulla punta di quella(c)(7).
Panormo e Gonippo, giovani d’ Andania, città della Messenia nel Peloponneso, uniti fra loro co’ vincoli della più stretta amicizia, meritarono, che Castore e Polluce cagionassero la rovina de’ loro concittadini. Eglino durante la guerra de’ Messenj cogli Spartani si cuoprirono con bianca veste, con berretta sul capo, e con picca in mano. Sotto tali sembianze comparvero all’ improvviso nel campo degli Spartani, che celebravano la Festa de’ Dioscori. Quelle genti credettero, che fossero i Discori stessi, discesi a godere delle allegrezze, che si facevapo a loro onore. Panormo e Gonippo lasciarono, che gli Spartani si accostassero ad essi, e ne uccisero un gran numero. Per causa di sì reo tradimento ne avvenne, che Castore e Polluce fecero poi e sperimentare a tutta la Messenia i funesti effetti della loro indignazione(d).
Da Castore e Polluce venne eziandio castigato un certo Scopa. Costui avea parlato con disprezzo di {p. 263}loro, e in pena di tale delitto rimase sepolto sotte le rovine della sua stanza. All’ opposto un certo Simonide, che aveva formato l’elogio delle stesse Divinità, ne fu fatto uscire da due non conosciute persone(a).
{p. 266}Pelope. §
PElope era figliuolo di Tantalo, re della Lidia Come gli Antichi vanno d’accordo sul nome del di lui padre, così variano tra loro sopra quello della di lui madre. Lo Scoliaste d’Euripide la chiama Eurianasse, figlia di Pattolo(a) ; Ferecide l’appella Euristemiste, figlia di Santo(b) : e Igino la denomina Dione, figlia di Atlante(c).
L’impresa più gloriosa per Pelope fu quella d’aversi guadagnato in isposa Ippodamia, nata da Enomao, figlio di Marte(1), e re d’ Elide e di Pisa. L’anzidetta giovine era l’oggetto dell’amore e delle premure de’ Principi circonvicini. Il di lei padre poi non voleva maritarla, perchè un Oracolo gli avea predetto, ch’ei sarebbe perito per le insidie di un suo genero. A fine dunque di liberarsi da tutti quelli, che gliela ricercavano in moglie, propose di darla a chi lo avesse oltrepassato, mentre egli correva sopra un carro, tirato da velocissimi cavalli ; e nello stesso tempo dichiarò, che la morte sarebbe la pena del vinto(2). Lo spazio da corrersi cominciava dal fume Clade sino all’Istmo di Corinto. Chi aspirava al possesso d’Ippodamia, doveva precederne il padre, che lo inseguiva con un’asta alla mano(d)(3). {p. 267}Pelope fece un sacrifizio a Minerva Cidonia(a), e poi si cimentò anch’egli nello spaventoso arringo. Concorsero ad ajutarlo l’anzidetta Dea, Nettuno, e Mirtilo, figlio di Mercurio, e di Cleobula(4), e cocchiero di Enomno. Nettuno somministrò a Pelope un carro e due cavalli alati(b). Mirtilo, corrotto dalle generose promesse di Pelope, fece sì, che Enomao precipitò dal carro, e ne rimase ferito a morte.(c). In tale guisa Pelope conseguì Ippodamia in moglie, e salì sul trono del di lei padre. Enomao prima di morire espresse varie imprecazioni contro Mirtilo, e tralle altre, che restasse ucciso da Pelope. Avvenne, che essendo Ippodamia molestata dalla sete, Pelope si allontanò da lei per andar ad attignerle dell’acqua. Colse Mirtilo quell’occasione per insultare alla giovine. Pelope, tostochè ne venne in cognizioner, lo precipitò appresso il Promontorio Geresto nel mare(5), il quale mare prese pol il nome di Mirtoo(d)(6). Istro lasciò scritto, che Mirtilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli Ippodamia in moglie ; e che perciò essendo venuto alle mani con Pelope, ne restò vinto(e). Altri finalmente soggiungono, che Pelope gettò in mare Mirtilo, perchè questi con gran forza instava nel ricercargli il premio dell’operato tradimento(f).
Pelope così ampliò il suo dominio, che tutto il paese, il quale era al di là dell’Istmo, e formava una parte considerabile della Grecia, dal nome di {p. 268}lui, e dalla Greca voce nitos, isola, fa denominato Peloponneso, ossia isola di Pelope(a).
Nacquero a Pelope varj figliuoli, tra’quali si nominano Atreo, Tieste(7), Alcatoo(8), e Crisippo.
Il fine di Pelope fu, che il padae suo, come già abbiamo detto, lo fece in pezzi, e poi ne imbandì le membra in un convito agli Dei per accertarsi in tal modo, se queglino erano veramente Numi(9).
Que’di Elea consideravano Pelope tanto superiore agli altri Eroi, quanto lo era Giove relativamente agli altri Dei(b). Ercole gli consecrò uno spazio di terreno vicino al tempio di Giove in Olimpia. Si aggiunge, che quell’ Eroe gli sacrificò un montone nero sopra una fossa, e che i Magistrati si recavano nel medesimo luogo a fare lo stesso sacrifizio prima d’entrare in carica(c). Se alcuno mangiava delle carni della vittima, immolata a Pelope, non poteva più entrare nel tempio di Giove(d). Finalmente nel Peloponneso si celebravano alla tomba di Pelope certe Feste, dette Emacurie, nelle quali i giovani si flagellavano, finchè aspergevano quel sepolcro del loro sangue(e).
{p. 274}Edipo. §
Edipo era figliuolo di Lajo, re di Tebe, e di Giocasta, figliuola di Creonte, la quale fu da Omero(a)nominata Epicastà. L’Oracolo d’Apollo Delfico avea predetto a Lajo, che il figliuolo, il qualegli nascerebbe, lo avrebbe ucciso. Il Genitore, spaventato dal vaticinio, per impedire l’orribile attentato, consegnò il figlio appena nato ad un pastore, onde lo togliesse da’viv nti. Ma colai, divenuto pietoso dell’infelice fanciulletto, si contentò di sospenderlo in vece ad un albero sul monte Citeroné. Sorte volle, che aliro pastore, di nome Forba, per là passando, odisse le grida del bambino, lo staccasse dall’albero, e veggendolo bello assai, lo portasse alla moglie di Polibo, re di Corinto, detta da Apollodoro(b) e da Igino(c) Peribea, e Merope da Pisandro(d) e da Seneca(e). Questa, ch’era senza prole, lo ricevette come un dono, fattole dagli Dei, gli si affezionò ; lo fece allevare non altrimenti che se fosse stato suo figliuolo, e gl’impose il nome di Edipo, dalle due voci Greche idima, tumore, epus, piede, perchè egli aveva i piedi gonfi dall’essere stato sospeso a quell’albero(f).
{p. 275}Edipo, fatto grandicello, venne in cognizione, ch’ egli non era, come credeva, figlio di Polibo. Consultò l’Oracolo per sapere, qual’era il suo padre, e ne udì, che lo avrebbe trovato nella Focide. Intraprese quindi il viaggio alla volta di quel paese ; e giumtovi nel momento, in cui era insorta tra quegli abitanti forte sedizione, uccise Lajo, che procurava di sedarne il tumulto(a)(1).
Creonte, padre di Giocasta, il quale dopo la morte di Lajo era salito sul trono di Tebe, pubblicò per tutta la Grecia, ch’egli cederebbe la propria corona, e darebbe eziandio in moglie Giocasta a quello, che avesse liberato la di lui città dalla Sange. Questo mostro, come abbiamo esposto anche altrove, se ne stava ne’ dintorni di Tebe, e proponeva a quelle genti certi enimmi, costrigendole a darne la spiegezione sotto pena di restare da esso altrimenti divorate. Tra i varj enimmi si fa menzione di questo : qual’ è quell’animale, che la mattina ha quattro piedi, due sul mezzodì, e tre la sera. Invano erasi tentato di spiegarlo, e già molti infelici erano rimasti vittime della crudeltà della Sfiuge. Edipo finalmente lo spiegò colle tre diverse età dell’uomo, giacchè questi, quando è bambino, cammina co piedi e colle mani ; quando diviene giovane, va co soli piedi ; e pervenuto alla vecchiaja, adopera oltre i piedi anche il bastone. Il mostro, udita tale spiegazione, si precipitò nel mare, giacchè questo doveva essere il suo fine, qualora si fosse spiegato il suo enimma(b)(2). Edipo quindi oltre il trono di Tebe conseguì anche Giocasta in isposa. Da tale matrimonio nacquero due figliuoli, Eteocle e {p. 276} Polinice, e due figliuole, Antigona ed Ismene(a). Fencide, citato dallo Scoliaste di Euripide(b), dà a Edipo una terza figlia, di nome Giocasta(3).
Edipo non godatte sempre felicemente il suo regno. La sua maggior prosperità si cambiò alfine in un’estrema sventura. Gli Dei sdegnati al sommo fecero insorgere sul Tebano suolo desolatrice peste. Se ne consultò l’Oracolo, e se ne udì, che il crudele flagello non sarebbe cessato ; finchè non si fosse punito l’uccisore di Lajo. Edipo ne fece subito le più diligenti perquisizioni, e dal Pastore stesso, che lo avea salvato sul monte Citerone, seppe ch’egli era figlio di Lajo, e ch’egli stesso, n’era stato l’uccisore. Inorridì, il re a tale racconto, e molto più quando intese, che Giocasta era sua madre(c). E perchè costei pel dolore erasi appiccata(4), anch’egli, divenuto in orrore a se medesimo, si trasse gli occhi per disperazione ; e guidato da Antigona, sua figliuola, fuggì il consorzio di tutti gli altri uomini(d)(5). Sofocle gli dà per conduttrice anche l’altra figlia, Ismene(e). Edipo fu condotto presso Colono, borgo dell’Attica, in un bosco sacro all’Eumenidi, il di cui ingresso era vietato a tutti i profani, e più ancora a’ delinquenti, perseguitati dalla celeste vendetta. Alcuni Ateniesi, sorpresi di vedervelo, vollero a forza discacciarnelo, e lo avrebbono per questo motivo ucciso, se Antigona colle preghiese non li avesse impietositi. Allora Edipo fu {p. 277} trasferito in Atene, dove Teseo cortesemente lo accolse. Là Edipo si posè sopra una sedia di pietra, si spogliò delle sue vesti, si purificò, e si cuoprì con abito simile a quello, ch’era costume d’imporsi a’ morti. La terra finalmente si aprì, e lo accolse nel suo seno(a)(6).
{p. 281}Eteocle e Polinice. §
ETeocle e Polinice erano figliuoli di Edipo e di Giocasta. Eglino, tostochè Edipo rinunziò al Regno, convennero fra loro di signoreggiare d’anno in anno alternativamente l’uno dopo l’altro. Eteocle, come maggiore d’età, salì il primo al paterno soglio ; ma poi ricusò di cederlo nel susseguente anno a Polinice. Questi, mal sofferendo la violazione del patto, ricorse al suo genero, Adrasto, figlio di Talaone, e re d’Argo(1), il quale, collegato con Tideo(2), Capaneo
Capaneo era nobile d’Argo. Alouni ce ló descrivono come un personaggio d’esimia probitì, e nemico del’ fasto e dellà vanagloria. Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e sì arrogante, che si credeva piucchè uomo(a). Egli voleva scalare le mura di Tebe. Gli abitanti di quella città gli scagliarono contro tanti sasti, che rimase sepolto sottò di quelli. Immaginarono quindi i Poeti, ch’ egli avesse avuto l’audàcia di voler prenderè l’anzidetta città, quand’anche Giove, e qualsisia altro Nume gli si fosse opposto, e che in pena di tanto ardire Giove lo avesse colpito con unò de’ suoi fulmini(b). Fu quindi considerato anche dagli uomini come un empio, che avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo ; e fu abbruciato sopra un rogo, separatò da quello, degli altri Eroi, i quali morirono all’assedio di Tebè(c). Secondo Pausania poi egli ebbe una statua in Delfo(d).
Capaneo avea sposato Evadne, figlia d’Ifide. Colei fece conoscere l’eccessivo amore, che nutriva per lui, e diede di se medesima un grande spettacolo. Ella si trasferì da Argo in Eleusina, ove era stato inalzatò il rogo al suo maritò. Là si vestì de’ suoi più belli e preziosi ornamenti ; ascese sulla rupe, a’ piedi della quale ardeva il corpo di Capaneo ; e a vista del di lei padre, e degli altri Greci si precipitò sopra di quello(e).
, Anfiarao
Anfiatao fu figliuolo d’Ecleo e d’Ipermnestra(f). Altri dicono, che il di lui padre fosse {p. 288}l’eccellente Indovino. Melampo, e che per altro sia stato creduto figlio d’Apollo, perchè egli pure comparve vate eccellentissìmo e indovino molto rinomato(a). Egli conosceva l’avvenire per mezzo del velo degli uccelli, o per mezzo de’ sogni, come altri riferiscono. La sua scienza gli fece prevedere che sarebbe operito nella guerra Tebana. Per sottarsene, si nascose in un luogo, ove niuno l’avrebbe mai trovato, se Erifile, di lui moglie, guadagnata da suo fratello, Adrasto, con una collana d’oro nol avesse tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeone, di uccidere Deifile, tostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi, che il primo giorno, in cui Anfiarao erasi portato all’assedio di Tebe, un’aquila abbrancò la di lui lancia, la sollevò in alto, e poi lasciolla cadere in un luogo, ove la medesima si convertì in alloto(b). Anfiarao poi, intento ad osservare il volo degli uccelli, non s’avvide d’un sottoposto precipizio, e vi perì(c). Altri pretendono, che mentre con tutta fortezza combatteva, la terra siasi aperta, e lo abbia ingojato vivo col suo carro, e con Batone, suo cocchiere(d). Egli dopo morte fu ascritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ Attica gli eressero un magnifico tempio e una statua di marmo.(f). Ebbe altresì un Oracolo, il quale fu in grande estimazione, ed era annoverato tra’ principali della Grecia(g). Coloro, che lo {p. 289}consultavano, doveano prima digiunare per lo spazio di ventiquatro ore, astenersi dal vino per tre giorni, e sacrificare ad Anfiarao, e agli altri Dei, i nomi de’ quali erano scritti sull’ara. Eglino dormivano poi sulle pelli delle vittime ancor fomanti, e attendevano, che il Nume dicifrasse loro in sogno gli eventi dell’avvenire. Se il consultante non sognava, o se il sogno non presentava facilmente la spiegazione a’ ministri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino al predetto tempio eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitto capitale chiunque ne faceva profano uso ; ed una moneta d’oro o d’argento gettavasi in essa de chi neoveniva risanato(b).
Alcmeone dopo la morta del di lui padre, Anfiarao, uccise la madre. Indi, agitato, dalle Furie, passò appresso il fiume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, che Erifile aveva ricevuto da Adrasto in dono. Non potendo poi trovare appresso Fegeo l’opportuno rimedio, che lo liberasse dal furore, ond’era oppresso, per consiglio dell’Oracolo si trasferì appresso l’altro fiume, Acheloo, e prese in moglie la di lui figliuola, Calliroo. Costei gli ricercò la collana d’Erifile ; ed egli, ritornato a Fegeo per riavernela, rimase ucciso da’ di lui figliuoli(c). Temone e Azione(d). Calliroe desiderava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove, che i di lei piccoli {p. 290}figliuoli, avuti da Alcmeone, divenissero in un istante così grandi, che avessero potuto effettuare ciò, ch’ella bramava. Queglino partirono per eseguire il materno desiderio, e privarono di vita non solo gli uccisori di Alcmeone, ma anche Fegeo, e la di lui moglie(a).
, Ippomedonte(5), e Partenopeo(6), prese a difendere i diritti di Polinice. Tutti questi guerrieri furono chiamati i sette Capi, e ciascuno di loro ebbe Ceparatamente il comando d’un corpo d’esercito(a). Polinice, mentre marciava contro Tebe, passò co’ suoi compagni per la foresta di Nemea nell’Acaja. Tutti erano molestati estremamente dal caldo e dalla sete. Si abbatterono in Ipsipile, regina di Lenno(7), la quale stava allattando Ofelte, detto anche Archemoro, nato da Licurgo, re di Nemea. Le ricercarono, ove avrebbono potuto {p. 282}trovare una sorgente d’acqua. Ella stessa volle guidarli alla fonte Langia, poco discosta ; e per esserne più sollecita, depose il bambino sull’erba. Un velenoso serpe intanto si attortigliò al collo del fanciulletto, e lo soffocò. Coloro, afflitti per tale disavventura, uccisero il serpente, salvarono, Ipsipile dalle mani di Licurgo che voleva farla morire, abbruciarono il cospo di quel bambino(a), e in di lui onore instituirono, i Giuochi Nemei(b),(8).
Tideo per ordine di Adrasto si portò ad Eteocle, e ne esigette, che cedesse la corona al suo fratello, Polinice. Eteocle, anzichè aderirvi, lo provocò, a singolare tenzone. Tideo sempre vi rimase vincitore. Se ne sdegnò, il Tebano, gli tese molti agguati, e spedì sulla strada, per cui quegli dovea ritornarsene in Argo, cinquanta armati, che lo privassero di vita. Capi di coloro furono Meone, figlio di Emone, e Licofonte, figlio di Autofono. Tideo, assistito da Pallade, se ne difese con tanto valore, che non lasciò vivi di coloro, se non Meone, affinchè recasse ad Eteocle la nuova dell’avvenuto(c). Adrasto allora dispose ciascuno, de’ predetti sette Capi dinanzi a ciascuna delle sette porte di Tebe. Eccocle del pari distribuì i suoi più valorosi guerrieri in guisa, che da ogni parte potesse difendersi nello stesso tempo, ed egli si riserbò a combattere col fratello, Polinice(d). Dopo varj combattimenti, ne’ quali i due eserciti nemici perdettero molta gente, Eteocle e Polinice stabilirono, di battersi essi soli. {p. 283}Eteocle simase il primo ferito, e cadde bagnato nel proprio sangue. Gli si accostò Polinice per disarmarlo, ma quegli, avvalorato dal desiderio della vendetta, lo trafisse col suo ferro, e amendue spirarono sul campo. Neppure la stessa morte fu bastevole ad estinguere il loro odio. La fiamma del rogo, sopra cui vennero riposti, si divise, nè più si riunì(a)
Morti Eteocle e Polinice, non per questo ebbe fine la mentovata guerra. Dieci anni dopo i figliuoli di quegli Eroi, che in quella erano periti, presero nuovamente Ie armi per vendicare Ie ombre loro padri, e sotto la guida di Alcmeone, figlio d’Anfiarao, cinsero Tebe d’assedio. Eglino furono detti Epigoni, voce Greca, che significa nati dopo(e). Tra loro molto si distinse Euripilo, figlio di {p. 292}Mecisteo, Promaco, figlio di Partenopeo, e Stenelo, figlio di Capaneo(a). I Tebani finalmente restarono vittoriosi mercè il sacrifizio, che fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predetto a quelle genti, che felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici, qualora l’ultimo della stirpe di Cadmo, ch’era Meneceo, avesse voluto spontaneamente sacrificarsi a Marte, il quale mostravasi ancora sdegnato contro i Tebani, perchè Cadmo aveva ucciso il famoso Dragone, a lui sacro. Meneceo pertanto uscì colla spada alla mano, e se la immerse nel seno a vistandi tutti, che ammirarono la generosità di lui, il quale preseriva alla stessa sua vita la salvezza della patria(b).
L’eroica azione di Meneceo fu imitata da Androclea, ed Eraclea, figlinole di Antipeno Tebano loro cittadini, uniti ad Ercole, guerreggiavano contro gli Orcomenj. L’Oracolo avea annunziato, che la vittoria sarebbe stata pe’ Tebani, se il cittadino il più distinto di nascita si fosse sacrificato pèrida salute de’ suoi. E poichè al predetto Antipeno, nelle di cui vene scorreva nobilissimo sangue, non piacique fare di se l’indicato sacrifizio, lo fecero le di lui anzidette figliuole. I Tebahi quindi innalzaronno ad esse un monumento nel tempio di Diana Euclia(c).
.
Creonte, salito dopo la morte di Eteocle sul di lui trono, proibì sotto pena di morte, che fossero sepolti gli Argivi, rimasti morti in quella guerra, e perfino lo stesso Polinice, come quello che n’era stato il promotote(10). Argia, vedova di Polinice, spinta dalla brama di rendere al marito gli estremi doveri, andò la notte, a cercarne il corpo, il quale era stato abbandonato ne’ campi, acciocchè divenisse esca degli animali(b). Anche Antigona, di lui sorella, era uscita di Tebe per lo stesso fine. Tutte due vennero sorprese nel pietoso uffizio. Creonte fece morire Argia, e condannò. Antigona ad essere sepolta viva. Fu allora, che Ismene, sua sorella, corse ad incontrare lo stesso supplizio, accusandosi complice di quel supposto misfatto. Ella però non soggiacque alla bramata pena, perchè Antigona accertò il re, che la sua sorella non avea avuto secolei parte alcuna. La stessa Antigona poi con violente morte prevenne l’esecuzione dell’anzidetto barbaro comando ; e strangolandosi colle proprie mani, finì di vivere nella sua più brillante gioventù(c)(11).
Istoria mitologica
Parte Terza
delle virtu’, de vizj, de’beni, e de’mali della vita umana §
Vrtù §
VIrtù è un’interna abituale disposizione, per cui si opera il bene.
I Greci diedero alla Virtù il nome di Arete. I Poeti finsero, che fosse figliuola di Prassidice, altra Dea, che mostrava agli uomini i giusti limiti, entro a’quali dovevano contenersi i discorsi e le azioni loro. La Virtù ebbe in Roma tempj e altari. Scipione, il distruttore di Numanzia, fu il primo ad ergerle un tempio. M. Marcello nel tempio del suo primo Consolato, trovandosi nella Gallia appresso Clastidio, fece voto d’inalzarne un altro, il quale poi dal di lui figliuolo dieci sette anni dopo fu dedicato appresso la Porta Capena. Anche C. Mario dopo la sua vittoria, riportata sopra i Cimbri, consecrò a questa Divinità un nuovo tempio, il quale era sì unito con un altro, fabbricato all’ Onore, che non si poteva penetrare in questo, se non si passava per quello : con che voleasi esprimere, che la vera ed unica via di procacciarsi onore è la virtù. Vicino alla Porta Romanula nella Via Nuova eravi un piccolo tempio, consecrato a Volupia ; Dea del piacere, La medesima veniva figurata in quello qual regina, di pallido aspetto, che teneva le virtù sotto i suoi piedi(a).
{p. 295}La Virtù rappresentasi giovine, bella, ed ilare di volto, perchè essa non invecchia mai, ma anzi cresce sempre più, si rinvigorisce, e diviene il migliore ornamento dell’uomo. La lancia è simbolo di maggioranza, ed è in mano della Virtù per indicare la superiorità, ch’ella esercita sopra il vizio, giachè questo viene sempre da quella combattuto. La Virtù parimenti stringe una corona d’alloro, o una palma, perchè l’uno e l’altra, in quanto che sempre verdeggiano, danno a divedere, che non altrimenti la Virtù è in ogni tempo la medesima, nè resta mai da veruna avversità abbattuta.
Prudenza. §
La Prudenza è virtù, che fa conoscere od operare ciò, che conviene.
Le saggie direzioni e misure, che prende il Prudente per guardarsi da quel, che potrebbe nuocerlo, e per seguire quel, che può giovargli, vengono espresse dal Compasso e dall’ Archipenzolo, che questa Virtù tiene nella, destra. E’pur necessaria al Prudente la sapienza, simbolo della quale è la luce. Quindi la Prudenza ha nella sinistra una face. Davansi a questa Dea anche due faccie, colle quali dimostravasi, che le azioni di lei sono dirette dalla considerazione del passato, e dalla previsione del futuro. I serpenti finalmente, che talvolta le stano d’appresso, co’loro, varj cangiamenti indicano, che il Prudente s’adatta alle varie circostanze, in cui si trova.
{p. 296}Consiglio. §
Il Consiglio è quella matura ragione ; per cui nelle difficili emergenze si prende piuttosto questa, che quella deliberazione.
L’aspetto del Consiglio è senile, perchè la veochiaja, ammaestrata dall’esperienza, conosce meglio, che qualsivoglia altra età, quali azioni si deono operare. La veste di lui è lunga, per alludere alla Toga, di cui i Consiglieri si servivano per sostenere maggiormente la loro gravità. Si voleva far intendere che l’utile consiglio nasce non solo dall’esperienza, ma anche dallo studio ; e però si diede in mano a tale Divinità un libro. Sopra di questo sta riposandosi una, Civetta, animale, il quale abbiamo detto essere sacro a Minerva, Dea della sapienza. Si potrebbe anche dire, che siccome questo uccello, girando quà e là di notte, meglio discerne gli oggetti ; così chi vuole riuscire uomo di sani consigli, conviene ch’egli mediti di notte ciò, che dee risolvere il giorno, giacchè nel silenzio della notte il riflesso della mente suol’essere più perspicace e vigoroso. Il Consiglio finalmente dipingesi in atto di calcare col destro piede la testa di un Orso, e quella d’un Delfino. L’Orso è iracondo, e il Delfino riesce al nuoto rapidissimo. Sono pertanto da questa Divinità calcati, per avvertire, che ne’consigli si deve deporre lo sdegno, perchè questo accieca la mente ; e devesi schivare altresì la velocità, perchè il consiglio precipitato per lo più è dannoso.
{p. 297}Accortezza. §
L’ Accortezza è prontezza di mente, con cui non solo si prevede ; si discerne, e si schiva il pericolo, che può soprastare, ma si sa inoltre distinguere e impiegare i mezzi più opportuni, onde giungere a qualche lodevole intento.
Questa Virtù comparisce in abito, sparso di varj occhi e orecchie, de’quali bene spesso se ne serve per apparire qual’è. Ha ella in mano una Pernice, perchè anche questo animale è fornito di sommo avvedimento, e con maravigliosa destrezza si sottrae ad ogni pericolo. Le giace a’piedi un leone. Questo di sua natura dorme pochissimo, ed è di sorprendente ingegno : qualità, che si devono trovare nell’uomo accorto, affinchè niuno lo abbia mai a sorprendere d’improvviso.
Economia. §
L’Economia è saggia e legittima disposizione de’beni proprj, o degli altrui.
Dipingesi questa virtù in età avanzata ; col comperso in mano, e col timone appresso di se. La cura de’beni proprj o degli altrui non s’impara che coll’esperienza, e questa non s’acquista che col progresso degli anni. Il compasso dimostra, che ciascuno dee misurare le proprie facoltà, e secondo queste intraprendere le spese. Il timone risveglia l’idea della saggia direzione, che deo coltivare l’Economo per promuovere la felicità di chi egli ha cura.
Diligenza. §
La Diligenza è pronta, esatta, ed assidua applicazione nell’operare.
{p. 298}Questa virtù stringe un ramo di timo, su cui vola un’Ape. Benchè il timo sia erba bruschissima, e molto arida, tuttavia le Api pucchiano da quella il mele. Tale mostrasi anche il Diligente, mentre del lungo, e difficile lavoro sa trarne felico riuscita. A’piedi della Diligenza v’è un Gallo. Questo suole raspare, finchè tra gl’inutili grani ha scelto quelli, che gli servono di cibo. Il Diligente del pari va esaminando le cose, finchè trova quelle, che gli ridondano a maggiore utilità.
Parsimonia. §
La Parsimonia è astenersi dalle spese superflue.
Viene rappresentata in abito semplice, e col compasso in mano. Come questo non esce mai dalla circonferenza ; così la Parsimonia non eccede in alcun tempo i limiti dell’onesto, e del ragionevole.
Fortezza. §
La Fortezza è virtù, la quale ci fa incontrare ragionevolmente, e superave con animo costante quelle difficoltà, che sogliono accompagnare le utili, grandi, ed oneste imprese.
Questa virtù viene rappresentata coperta di pelle di leone, perchè questo animale ama le grandi, e sdegna le vili azioni. La Fortezza con una mano si appoggia sull’estremità d’una colonna, e coll’altra tiene un ramo di rovere, perchè questo resist al soffio de’più impetuosi venti, non cede alla veemenza delle onde, e regge per lungo tempo sotto il peso delle più grandi moli. Questa Dea impugna nel sinistro braccio uno scudo, di cui essendo proprio il rintuzzare l’arma nemica, che vorrebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’animo invitto del {p. 299}forte, che respinge i danni, i quali potrebbono essergli recati. Nel mezzo di quello scudo v’è un leone, che si azzuffa con un cinghiale. Di questi du animali il primo opera avvedutezza, l’altro precipitosamente si abbandona ad ogni impresa. Il contrasto pertanto de’medesimi ci avverte a reggersi conmoderazione per non cadere nella temerità.
Emulazione. §
L’Emulazione è uno studio, per cui si procura d’imitare, ed anche superare le belle azioni altrui.
Questa Virtù si dimostra giovine, perchè essa rogna principalmente in questa età. E’in abito succinto, colle braccia ignude, e colle ali a’piedi : le quali cose tutte sono indizio della velocità, con cui l’ Emulo cerca di pareggiare e oltrepassare coloro, che operano il bene. L’ Emulazione punge altresì in certa guisa chi la coltiva, e lo incita a procurarsi il bene, che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione sì lo sprone, che il fascetto di spine, di cui n’è ella adorna.
Merito. §
Il Merito è il diritto di lode o d’altra ricompresa, il quale nasce dall’aver operato qualche virtuosa azione.
Siede il Merito sopra erto e scosceso luogo, il quale esprime la difficoltà, con cui si giunge a meritare. Ha egli la fronte cinta d’alloro, perchè di questo anticamente si ornavano quelli, che pe toro meriti erano degni di gloria e onore. Questo Nume ha il braccio armato, e un libro in mano, per {p. 300}significare, ch’esso spezialmente nasce dall’esercizio delle armi, e dalla coltura delle scienze.
Speranza. §
La Speranza è brama di qualche bene, unita alla cognizione della capacità a poterlo conseguire, e alla determinazione d’ottenerlo.
I Greci riconoscevano questa Dea sotto il nome di Elpide. I Romani le fabbricarono tre tempj, uno nella settima Regione, l’altro appresso il Tevere, e il terzo nella Piazza dell’erbe. Questo ultimo al tempo della guerra Punica restò abbruciato da un fulmine, sotto il Consolato di Q. Fabio, e di Q. Sempronio Gracco. I Triumviri lorifabbticarono. Arse di nuovo ; e Attilio fece voto di ristabilirlo, e Germanico lo consacrò(a).
La Speranza comparisce in veste verde, e inghirlandata di fiori, perchè il verdeggiare e il fiorire delle piante danno speranza di vicina raccolta. Ha la Speranza appresso di se un’ancora. Vedesi anche appoggiata ad una colonna. Talvolta tiene in mano delle spighe, e de’papaveri(b).
Magnanimità. §
La Magnanimità è virtù, che modera gli affetti dell’animo, che sostione con indifferenza i prosperi e i tristi eventi, e che intraprende altre ardue e straordinarie virtù.
Questa Virtù ha appresso di se un elefante e un {p. 301}leone. Siccome il primo di tali animali non si duole delle saette, che contro di lui si avventano ; così il Magnanimo non cura i disagi che gli sovrastano, nè si turba al momento di dover sostenerli. Il Leone poi non teme di cimentarsi a qualsivoglia malagevole impresa ; e il Magnanimo del pari opera ciò, che agli altri non sembra possibile a farsi.
Vittoria. §
La Vittoria è il vantaggio, che si riporta nella guerra, o ne’particolari combattimenti.
Questa Dea da’ Greci chiamavasi Nice. Era figlia di Stige e di Pallante. Aveva per sorella la Forza, per fratello il Valore, e accompagnava da per tutto Giove(a). Gli Ateniesi le fabbricarono un tempio, e la denominarono Aptera, ossia senza ali, perchè tal’era la di lei statua, affinchè non potesse in alcun tempo allontanarsi da loro : come gli Spartani incatenarono la statua di Marte, onde questo Nume non avesse mai ad abbandonarli(b). I Romani pure eressero alla Vittoria un tempio durante la guerra, che avevano co’Sanniti sotto il Consolato di L. Postumio e di M. Attilio Regolo. La stessa nazione dopo la sconfitta di Canne dedicò a questa Dea un altro tempio(c). L. Silla, divenuto trionfatore di tutti i suoi nemici, le instituì anche dei pubblici Giuochi(d).
La Vittoria viene rappresentata con un piede sopra un globo, per indicare ch’ella domina sulla terra(e). Le si danno le ali per esprimere la di lei in-[numerisation pages] {p. 302} {p. 303}[page 302 et 303 manquantes]
{p. 304}Vittoria. §
La Vittoria è virtù, che ci fa rendere a Dio, a noi medesimi, e agli altri uomini ciò, ch’è dovuto a ciascuno.
Questa Dea, denominata anche Astrea, stette sulla terra, finchè durò l’Età d’oro, e insegnò a tutti le sue leggi. Venuta poi l’Età di ferro, in cui crebbero fuor di misura sulla terra l’esecrabili scelleratezze, ella fece ritorno al Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco, che si chiama la Vergine(a). Augusto le fabbricò un tempio in Roma(b).
Questa Divinità venne spesso confusa con Tenti e con Dice. Temi veramente regnò nella Tessaglia, e fu di tanta saviezza ed equità, che si disse essare nata dal Cielo e dalla Terra(c). Pausania parla di un tempio e di un oracolo, ch’ella aveva sui monte Parnasso insieme colla Dea Tellure, e che poi cedette ad Apollo. Temi aveva altresì un altro tempio nella cittadella d’Atene, nel di cui ingresso si vedeva la tomba d’Ippolito(d). Esiodo dice, che Temi è la madre non solo delle Ore, ma anche delle Parche. Altri le danno per figliuole Irene, Dice, ed Eunomia, cioè la Pace, la Legge, e l’Equità(e). Dice poi fu considerata Dea e preside de’giudizj. Suo uffizio era accusare i rei al tribunale di Giove(f). Le di lei Ministri si appellavano {p. 305}Dicasti, ossia giudici. Dicevasi, ch’era vergineper alludere all’integrità di tutte le sue operazioni(a).
La Giustizia secondo Igino ebbe una figliuola, vindice acertima delle scelleraggini, di nome Nemesi, la quale altri fanno figlia di Giove e della Necessità, ovvero dell’Oceano e della Notte. Essa fu anche detta Adrastia da Adrasto, che fu il primo a dedicarle un tempio. Gli Egiziani dicevano ch’ella se ne stava sopra la Luna per osservare più facilmente le azioni di quaggiù(b). A Nemesi altresì furono date le ali, perchè si supponeva, ch’ella con tutta prestezza seguisse i passi degli uomini per osservarne gli andamenti(c). I Romani secondo Plinio, quando erano per intraprendere qualche guerra, solevano offerire un sacrifizio a questa Dea nel Campidoglio, e dare in suo onore uno spettacolo di gladiatori(d). A Nemesi si celebrarono pure le Nemesee, ch’erano feste lugubri, perchè si credeva, che questa Dea proteggesse i morti, e vendicasse le ingiurie fatte a’ loro sepolcri(e).
La Giustizia si fa vedere in piedi sopra una pietra quadrata, la quale, essendo perfettamente eguale da ogni lato, indica il carattere di questa virtù, ch’è quello di mostrarsi eguale con tutti. Ella si dipinge altresì di terribile guardatura, colla bilancia nella destra, e con una spada nella sinistra : simboli, co’ quali si fa intendere, che questa Deità pesa in certa guisa le azioni, e come premia le buone, così punisce le cattive. Quindi la Giustizia da altri venne anche rappresentata con velo agli o chi, {p. 306}per indicare ch’ella non ha riguardo a chiccbessia. Per questa medesima ragione gli Egiziani formavano le statue di questa Dea senza testa, volendo in tal modo significare, che il giudice dee spogliarsi de’ proprj sentimenti per eseguire ciò, che dalle leggi venne stabilito.
Pietà. §
La Pietà è ardente zelo della Religione, e vivò sentimento di compassione verso i miseri, e di tenerezza verso la patria, i genitori, e i figli.
Questa Dea si riconosceva da’ Greci sotto il nome di Eusebia. In Roma le fu eretto un tempio sotto il Consolato di Quinzio e di Attilio dal Decemviro M. Attilio Glabrione. Là per mezzo d’una tavola si ricordava la bella azione di pietà che operò una figlia verso sua madre. Valerio Massimo(a) la racconta così : una donna, convinta di capitale delitto, era stata condannata dal Pretore a morte. Il Triumviro che doveva eseguirne la sentenza, preso da compassione di quella rea, non volle imbrattarsi le mani nel di lei sangue, è stabilì di lasciarla piuttosto morire di fame. Egli permise altresì ad una figliuola di colei l’ingresso nella prigione ; ma prima la faceva diligentemente esaminare, ond’ella non portasse alla madre qualche cibo. Erano ormai trascorsi molti giorni, e la donna ancora conservavasi in vita. Ne stupì il Triumviro ; e rintracciandone la cagione, finalmente scuoprì, che la figlia alimentava del proprio latte la madre. Si raccontò il fatto al Pretore, e l’ero ca azione della figlia ni ritò, che {p. 307}fosse ridonata la libertà alla madre. Si volle inotre, che la carcerel, ov’era stata rinchiusa, fosse convertisa in tempio, sacro alla Pietà, e che le due femmine venissero alimentate dal pubblico erario. Notisi, che Fesso in vece di una madre nomina un padre(a). Tale Tradizione fu seguita anche da’ pittori, che rappresentanono il predetto fatto. Difatti la stessa cosa avvenne appresso i Greci ad un vecchio reo, detto Cimone da Valerio Massimo(b), e Micone da Igino(c).
Tiene la Pietà una mano sul proprio cuore, perchè ella si fa conoscere soltanto dalle sue esimie azioni, nè coltiva ostentazione, o desiderio di vanagloria. Versa coll’altra mano un Cornucopio, perchè, quando trattasi di mostrarsi qual’è, ella niente cura le dovizie di questa terra. Sta finalmente appresso questa Dea la Cicogna, perchè i Romani aveano opinione, che questo uccello nutrisse il padre e la madre, qualora erano divenuti vecchi(d).
Pudicizia. §
La Pudicizia è un delicato sentimento, che ci fa evitare tutto ciò, che può offendere l’onestà.
Questa Dea ebbe due tempj in Roma. Il primo, ch’era antichissimo, e alzato appresso quello di Ercole, era sacro alla Pudicizia Patrizia, ossia delle Dame ; l’altro, che fu eretto da Virginia, figlia di Aulo, era dedicato alla Pudicizia Plebea, ossia del Popolo. Diede occasione a tale distinzione di nomi {p. 308}una contesa, ch’ebbe la predetta Virginia colle Dime Romane. Colei avea sposato L. Volumnio, uomo della plebe ; e per tale matrimonio le altre Dame sdegnarono di mescolarsi seco lei nel tempio della Pudicizia, e usarono di tutti i mezzi per farnela uscire. Virginia poi giudicava, che non meritasse alcuna taccia l’essersi ella sposata ad un uomo, il quale cra stato già due volte Console, e colle sue illustri azioni aveasi acquistata tanta gloria, quanta qualsivoglia donna della sua città potea vantarne in forza de’ suoi natali. Ella quindi fabbricò un altro tempio alla stessa Dea Pudicizia sotto il nome di Plebea ; eccitò le donne più considerabili del popolo a concorrervi ; e le esortò, ond’elleno tanto si distinguessero colle virtù dalle Dame, quanto quoste pretendevano di essere distinte da esse per causa della loro nobiltà(a). Festo pretende, che il tempio della Pudicizia Patrizia sia stato alzato da’ discendenti d’Ercole, e che non fosse permesso alle donne, le quali aveano avuto più d’un marito, il toccare la Statua di quella Dea(b). Ciò s’accorda con Valerio Massimo, il quale riferisce, che gli Antichi risguardavano come donne pudiche quelle, che non passavano a seconde nozze, e consideravano la moltiplicità de’ matrimonj, contratti da una stessa persona, come un’impudicizia, tollerata dalle leggi(c).
La Pudicizia avea la figura di donna velata, e modestissima nel portamento.
{p. 309}Obbedienza. §
L’Obbedienza è spontanea sommissione della propria alla volontà altrui.
Questa Virtù dipingesi scalza, e in abito succinto, per qualificare la sua prontezza nell’eseguire i voleri degli altri. Ha in mano un filatojo, che si aggira da tutte le parti. Ciò dimostra, che non è diverso l’animo dell’uomo obbediente a’ cenni di chi legittimamente gli comanda. Sta a canto di lei un cane, perchè questo è animale sì ubbidiente, che famelico perfino si astiene dal cibo, qualora glielo comandi il suo padrone.
Beneficenza. §
La Beneficenza è virtù, che promuove il bene altrui senza oggetto di ricompensa.
Ha la Beneficenza un aspetto di singolare bellezza, perchè il benefizio più d’ogni altra cosa piace ed alletta. Tiene colla destra le tre Grazie, le quali hanno le mani intrecciate a guisa di chi danza. Esse esprimono le tre sorta di benefattori : quelli che beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli che fanno l’una e l’altra cosa. Le introcciate mani poi delle medesime significano, che i benefizj sogliono passare dall’uno nell’altro, finchè tornano ad utile di chi primo li fece. La Beneficenza comparisce anche colle ali, le quali ammaestrano, che chi vuole esercitare questa virtù, dee farlo con prontezza, onde l’azione di lui riesca più gradita a quello, a di cui favore viene fatta. Questa Divinità stringe inoltre una catena d’oro, per simboleggiare il dolce legame d’amore, con cui si unisce il beneficato al benefattore. V’è appresso di lei {p. 310}un’aquila, la quale, avendo fatto preda d’una Lepre, la tine sotto gli artigli, e lascia, che se ne pascano verj altri uccelli di rapina.
Liberalità §
La Liberalità è virtù, per cui a proporzione delle proprie forze si somministra agli altri ciò, di che abbisognano.
La veste di questa Dea è bianco, perchè tal colore, essendo considerato tra tutti il più semplice, è opportuno ad insegnare, che questa Virtù dey’essere pura, nè mai diretta dal vile interesse. Ha la medesima il compasso in mano, perchè essa dev’essere misurata colle proprie facoltà, e col merito della persona, verso cui si esercita. Stringe il Cornucopio, indizio dell’abbondanza delle ricchezze, le quali sono necessarie per dimostrarsi liberale.
Concordia. §
La Concordia è l’unione della volontà di molti, che vivono insieme.
I Greci la denominano Omonia, ovvero Omusia. Ella ebbe un tempio in Olimpia. Roma celebrava a di lei onore certe feste, dette Caristie, lo scopo delle quali era di ristabilire l’unione tralle famiglie. Al pranzo, che al momento di quelle si faceva, non ammettevasi alcun straniero(a). Questa Dea aveva un tempio alla salita del Campidoglio. Lo fabbricò Furio Camillo Dittatore nell’anno 397. di Roma, dopo d’aver sedato la ribellione popolare {p. 311}contro i patrizj. Avendolo un incendio rovinato, Liviamoglie di Augusto, lo ristabilì, e Tiberio lo consacrò. Manlio Pretore nella rupe Tarpea eresse un altro tempio alla Concordia, e i due fratelli Attilj ne fecero la dedicazione. Finalmente un terzo tempio le fu fabbricato nella Piazza di Vulcano, e fu consecrato da Cn. Flavio(a).
Due spighe di grano adornano la mano di questa Dea, per indicare l’abbondanza, che dalla Concordia suole derivare. Talora stringe un fascetto di verghe, perciocchè come quelle, unite insieme, divengono forti, così mediante questa virtù si stabilisce maggior forza nelle operazioni degli uomini. Simbolo della. Concordia n’è pure il caduceo. Questa Dea finalmente rappresentasi anche per mezzo di due mani, congiunte insieme. E quì si noti, che ogni parte del corpo umano, separatamente presa, e le mani spezialmeme furono dagli Antichi venerate o come Deità, o come simboli di quelle. Ce lo testificano anche moltissimi antichi Monumenti, la maggior parte de’ quali altro non ci esibisce agli occhi, che teste e mani. Queste mani, oltrechè esprimevano altrettanti voti, appesi talvolta ne tempj degli Dei in ricompensa di qualche grazia ricevuta, unite insieme, erano anche il simbolo il più ordinario della Concordia.
{p. 312}Pace. §
La Pace è lo stato di tranquillità e di buona armonia tra’ popoli.
I Greci Le davano il nome d’Irene, e la risguardavano come figliuola di Giove e di Temi. Atene le eresse delle statue, e fu la prima ad alzarle anche un tempio dopo la disfatta degli Spartani, ripottata col mezzo del loro Generale, Timoteo ; ovvero dopo la vittoria di Cimone sopra i Persiani, come vuole Plutarco. I Romani poi le eressero il più grande è magnifico tempio, che vi fosse tra loro. Questo fu cominciato dall’Imperatore Claudio ; altri dicono da Vespasiano. Gl’Imperatori, Tito e Domiziano, molto lo arricchirono. Questo ultimo Imperatore vi trasportò i più preziosi vasi, e i più belli ornamenti del tempio di Gerusalemme(a). Questo era pure il tempio, in cui si raccoglievano coloro, che professavano le Belle Arti, affinchè la presenza di questa Dea allontanasse ogni disapore dalle loro dispute(b). Esso fu rovinato da un incendio al tempo dell’Imperatore Comodo(c). La Pace finalmente era una delle cinque Deità, dette Appiadi, perchè i loro tempj erano presso le acque d’Appio, non lungi dal Foro di Cesare. Le altre quattro Divinità erano Pallade, Vesta, Venere, e la Concordia(d).
La Pace è coronata di spighe, simbolo {p. 313}dell’abondanza, che si produce e si mantiene per mezzo di essa. I Greci e i Romani nelle pubbliche Feste solevano comparire in toga bianca per dimostrare la loro interna allegrezza. E perchè niente v’è, che più rallegri, quanto la pubblica pace, la quale porta seco la maggiore felicità deglì Stati ; perciò questa ha in dosso una bianca veste. Nella destra tiene un ramo d’ulivo, o un caduceo. La dolcezza del frutto di quell’albero caratterizza la dolcezza, che nasce dalla pace : e una corona, o un ramo d’ulivo faceva riconoscere a’ Greci gli ambasciatori, che recavansi a chiedere o ad apportare la pace. Il caduceo pure era indizio della medesima. Talora questa Dea è in atto d’abbruciare con una face un mucchio d’armi, per esprimere, ch’ella estingue le guerre, le ire, e le inimicizie. Colla sinistra tiene lègati insieme un leone e una pecora. Questi sono due animali, di natura affatto tra loro contrarj. Quindi uniti insieme simboleggiano la Pace, di cui è proprio il cangiare lo sdegno in placidezza. Gli Ateniesi poi la rappresentavano in atto di tenere tralle braccia Pluto bambino, per indicare, che le ricchezze nascono dalla pace(a).
Verità. §
La Verità è virtù, che afferma il vero, e nega il falso.
Ella dicevasi da’ Greci Aletia, ed era considerata figlia di Saturno, e madre della Virtù(b). Pindaro le dà Giove per padre(c).
{p. 314}Questa Virtù è in atto d’addittare il Sole, e dì mirarsi ella stessa in quello : con che voleasi indicare, che la verità è amica della luce chiarissima, la quale fa conoscere ciò ch’è, e dilegua le tenebre della falsità. Ella tiene nella destra un oriuolo, con cui si dà ad intendere, che la verità col decorso del tempo si manifesta. Democrito diceva, che questa Virtù giace d’ordinario nel fondo d’un pozzo, per esprimere ch’essa molte volte con difficoltà si scuopre(a).
Sincerità. §
La Sincerità è virtù, per cui tali si manifestano, agli occhi altrui i sentimenti dell’animo, quali essi internamente sono.
Colla destra tiene una candida colomba, e colla sinistra porge in atto grazioso un cuore. La candidezza del predetto augello indica quella di tale virtù, e il porgere graziosamente un cuore dinota l’integrità dell’uomo sincero, che manifesta a tutti il suo animo.
Riprensione. §
La Riprensione è rimprovero de’ vizj onde vederne l’emendazione.
Comparisce questa virtù di età matura, perchè taletà, essendo di maggior venerazione, ne trae d’ordinario più giovevole effetto dalla riprensione. La medesima virtù cinge una ghirlanda d’assenzio sulla fronte. L’assenzio è pianta amarissima al gusto, ma {p. 315}di molta utilità allo stomaco. Non altrimenti la Riprensione riesce sì ad alcuni amara, ma loro giova, qualora è attesa. La Riprensione ha in mano una lingua, nella ; di oui cima v’ è un occhio. Quella e questo avvertono, che quegli, il quale riprende, dev’ essere circospetto ne’suoi detti.
Amicizia. §
L’Amicizia è amore vicendevole, che nasce tra due o più persone in conseguenza delle virtù che in esse si ritrovano.
I Greci la chiamavano Filia.
I Romani la rappresentavano giovane, per indicare, ch’essa non invecchia mai, ed è sempre la medesima ; a capo scoperto, per dimostrare, che l’amico niente occulta all’ altro amico ; in candida veste, perchè sinceri e ingenui sono sempre i suoi sentimenti. Sulla fronte porta scritto l’estate e l’inverna : la che significa, che l’amicizia si mantiene eguale e nelle prospere e nelle avverse vicende. Ha scoperto un fianco sino al cuore, ove col dito mostra l’altro moto : da lontano e da vicino, perchè l’amicizia è sempre fedele, ossiachè si trovi appresso di chi ella ama, ossiachè ne sia lontana. Nell’ estremità finalmente nella di lei veste leggonsi queste parole : la morte e la vita : ciò indica, che l’amicizia serbasi la stessa anche dopo morte, come lo era durante la vita(a).
{p. 316}Fede. §
La Fede è la corrispondenza de’ fatti colle parole è convenzioni già espresse, o sottintese.
Soleasi chiamare tale Divinità in testimonio de’ patti, che si stabilivano. Il giuramento, che per Lei si faceva, era uno de’ più inviolabili. Numa Pompilio la considerò come la cosa la più santa. Egli fu il primo ad ergerle un tempio, e a stabilirle dei sacrifizj, che doveano essere fatti a spese del pubblico, e senza spargimento di sangue. I Sacerdoti, destinati al di lei culto, erano vestiti di lino bianchissimo, per dinotare la sincerità di questa virtù(a).
La Fede tiene colla destra una chiave, simbolo della secretezza, la quale il più delle volte deesi osservare da questa virtù. Qualche volta viene rappresentata per mezzo di due figurine, che si danno la mano l’una coll’ altra, per indicare l’unione delle genti, che reciprocamente si serbano fedeli. Talora ha in mano una tortorella ; tal’ altra sta a’suoi piedi un cane. L’una e l’altro sono animali fedelissimi.
Umiltà. §
L’Umiltà è virtù, per cui l’uomo si reputa inferiore agli altri, quando non è veramente tale.
Dimostrasi questa Divinità cogli occhi fissi in terra : lo che indica l’interna cognizione, che si forma l’umile, della bassezza de’ proprj meriti. Ha in {p. 317}mano una palla, perchè siccome questa, quanto più è percossa in terra, tanto più s’inalza ; così l’Umiltà viene esaltata a misura ch’ essa da se si abbassa. La medesima Virtù vedesi anche in atto di conculcare una corona d’oro, per far conoscere, ch’ella niente cura le grandezze, alle quali potrebbe aspirare.
Empietà. §
L’Empietà è vizio, che inveisce contro le cose più sacre, quali sono la religione, la patria, i parenti.
L’aspetto di questo vizio ò truce. Nella sinistra ba Egli l’Ippopotamo. Questo è animale, il quale, cresciuto nell’ età, uccide il proprio padre. L’Empietà stringe altresì una face, e la rivoglie ad abbruciare un Pellicano co’ suoi figliuoli : con che vuolsi indicare, che le azioni dell’ empio tendono sempre alla distruzione della pietà, di cui il predetto animale n’è il simbolo.
Superbia. §
La Superbia è disordinato desiderio di millantare la propria eccellenza, e di sovrastare agli altri.
Ella colla destra mostra un pavone, il quale di natura sua si compiace di se medesimo, e disprezza ogni altro animale. Questo Vizio ha uno specchio, in cui si contempla : il quale atto vuol dire, che il Superbo si rappresenta bello e buono a se medesimo ; e vagheggiando soltanto quel bene, che crede esservi in se stesso, non riflette poi mai alle sue imperfezioni. Esso finalmente sta appresso una fonte, da cui scaturiscono moltissimi fiumi, perchè la {p. 318}Superbia è sorgente della maggior parte degli altri vizj.
Lusso. §
Il Lusso è un raffinamento in tutto quel, che concerne i comodi e piaceri di questa vita.
Esso comparisce cinto la fronte di reale corona, e con ali alle tempia. Versa colla destra da un Cornucopio molte cose preziose sopra rozze casette, e colla destra maneggia un grave maltello per atterrare magnifici palagi. La regla corona qualifica questo vizio, come il dominatore d’ogni luogo, e quasi d’ogni persona. Ha le ali alle tempia, perchè esso nasce dalla capricciosa fantasia, ed è sostenuto dalla leggierezza dell’ umano pensare. Il Lusso soventi volte è il sostegno della gente plebea, la quale, invencando nuove mode, dagli amatori di queste ne ritraggono poi doviziose ricompense : lo che esprimesi dal cornucopio, versato sopra i poveri tetti. E’ finalmente il Lusso quello, che in ispeziale guisa produce il dissipamento delle facoltà, la distruzione delle più rieche famiglie, e perfino la rovina delle più potenti città : questo è il significato del maltello, con cui il Lusso atterra magnifici palagi.
{p. 319}Affettazione. §
L’Affettazione é una caricata espressione in qualsivoglia azione.
Questo Vizio dipingesi giovane, perchè è questa l’età, che più d’ogni altra lo coltiva. Tiene nella destra una maschera, perchè l’Affettato s’allontana da ciò, che gli è naturale, per cercare in un’aria, presa ad imprestito, il sicuro modo di rendersi ridicolo. La stessa cosa viene dimostrata dalla Scimmsa, che sta a’ piedi dell’ Affettazione.
Vendetta. §
La Vendetta è offesa fatta di privata autorità, è con odio di chi primo offese.
E’vestita di colore rosso, ed ha un pugnale nella destra, perchè essa talvolta arriva a spargere il sangue altrui. Si morde un dito della mano : il qual atto suole essere il segno, che danno coloro, i quali prendono la risoluzione di vendicarsi. A canto della Vendetta evvi un leone, perchè questo, qualora, viene offeso, s’accende di furore, e tenta ogni mezzo di prendere vendetta del suo offensore.
Gelosia. §
La Gelosia è interna inquietudine, nata dal timore di perdere qualche bene, o dal sospetto, che altri ne partecipino.
Riguardo a questo Vizio è famosa la favola dì Cefalo e di Procride. Cefalo, come dicemmo, {p. 320}sposò Procride. Uniti questi due sposi da un amore il più tenero viveano contenti e felici, quando la gelosia intorbidò la dolcezza della loro vita. L’Aurora s’invaghì di Cefalo, mentre questi sul primo albore del giorno trovavasi applicato a tendere le reti a’ cervi alle falde del sempre florido Imeto. Ella, comparsa più serena o colorita del solito, lo rapì, e fece ogni sforzo per induslo ad amarla. Ma egli, che sempre aveva Procride sulla boccà e nel cuore, non corrispose mai alle ricerche di colei. La Dea, sopraffatta dell’ ira, lo rimproverò bruscamente della sua ingratitudine, e lo rimandò alla sua sposa col presagirgli un tardo e inutile pentimento. Questa minaccia destò nell’ animo di Cefalo forte turbamento. Ei temette, che la di lui lontananza avesse prodotto qualche cangiamento nell’ animo di Procride, e volle egli stesso esperimentarne la fedeltà. Entrato, senza essero conosciuto da alcuno, nella sua casa, trovò la consorte, che piangeva, e doleasi di vedersi da lui divisa. A tale vista talmente egli s’intenerì, che detestando il suo malnato capriccio, si mosse per abbracciarla. Procride, che non ancor lo avea riconosciuto, lo rigettò con ira e con proteste, ch’ ella ad uno solo, ovunque egli fosse, serbava il suo affetto. Ciò doveva bastare ad assicurare Cefalo della di lei fede. Egli contuttociò non desistette dal ricercarne corrispondenza d’amore, usando ora preghiere lusinghevoli, ed ora promesse di larga mercede, alle quali la giovane finalmente cedette. Cefalo allora si diede a conoscere, e pieno di furore la rimproverò d’infedele. Nulla rispose colei, ma tinto il volto di vergognoso rossore, fuggì ne’ boschi, e si propose la caccia per unico oggetto di sue delizie. La privazione di sì amabile compagnia destò ben presto nell’ animo di Cefalo desiderio e smania di riacquistarla. S’accinse {p. 321}a cercarla per foreste e per balze, e dopo lungo travaglio e fatica al fine la rinvenne. Si gettò a di lei piedi, la pregò di perdono, detestò il suo fallo, e prese a giustificare la di lei debolezza coll’ accertarla, ch’ egli medesimo, se si fosse trovato nella stessa circostanza, non avrebbe saputo resistene all’incanto delle offerte e de’ vezzi. Procride, o che la appagasse la sincerità de’ di lui sentimenti, o che la scuotesse il rammarico di vederlo in angustie, o che finalmente la confessione della di lui debolezza raddoleisse il rincreseimento, che le cagiona, va la rimembranza della sua, lo strinse al seno, e ritornò a vivere seco lui in dolce concordia. Ma Procride anch’ ella poi fu presa da tale gelosia, che la ridusse a morte. Ella, come abbiamo raccontato anche altrove, avea regalato a Cefalo il cane Lela po, e inoltre un’asta di mirabile virtù, giacchè essa e colpiva con sicurezza, e ritornava, senzachè alcuno la rimandasse, nella mano stessa, da cui era stata vibrata. Cefalo, che amava anch’egli moltissimo la caccia, si portò un giorno sul nascere del Sole nella foresta coll’ asta solamente, che avea ricovoto in dono dalla sposa. Non vibrava colpo con essa, che andasse a vuoto : cosicchè sazio della strage di molte fiere, e stanco per la fatica, prendeva riposo all’ ombra degli alberi, e ricreavasi al fresco dell’ aura, che usciva dalle gelide valli. Se talora quella non si faceva sentire, ei la chiamava con espressioni di tenerezza, e la invitava a recargli refrigerio e piacere. Intese questo replicato nome di aura un non so chi sfaccendato e maligno ; e immaginandosi, che quest’ aura fosse una Ninfa, corse ad avvisarne Procride. Costei, sopraffatta ben presto dalla gelosia, volle accertarsi del vero. La mattina seguente ripigliò Cefalo il consueto esercizio, niente accorgendosi, che da lungi lo seguiva la {p. 322}sposa. Grondante alfine di sudore si sdrajò all’ ombra e invitò come lo scorso dì l’aura gradevole a rinfrescarlo. Al proferire il nome d’aura udì, o parvegli d’udire una voce come di persona, che piangeva ; ma non ne fece caso, e continuò a chiamare l’aura con parole più dolci. In quel momento alcune frondi, cadute dà un albero con istrepito, gli fecero credere, che fosse qualche fora. Scoccò lo strale verso il luogò, ove la frasca avea fatto rumore. Un lagrimevole gemito gli fece intendere, che bersaglio del colpo era stata la sua Procride Precipitoso, e fuor di se medesimo colà s’ affrettò, seguendo la flebile voce, e trovò la sposa semiviva fragli spasimi della ferita ; e tutta intrisa di sangue. La alzò di terra, la abbracciò, ne impedì alla meglio lo sgorgo del sangue ; e proruppe in dirottissime lagrime. Alle preghiere e al pianto Procride aprì i languidi occhi, e con brevi e lente parole loscongiurò ch’ei non volesse unirsi in matrimonio co’ quell’aura, ch’ eragli tanto cara. Cefalo allora comprese l’arcano, e procurò di toglierla dàl suo errore, ma senza frutto. S’ abbandonò la misera nelle di lui braccia, e non molto dopo esalò lo spirito(a). V è chi dice che Procride erasi ritirata non ne’ boschi ; ma in Creta appresso Minos, perchè Cefalo la avea sorpresa, mentr’ella trattenevasi conun giovine, di nome Pteleone, il quale le avea regalata una corona d’oro per ottenerne corrispondenza(b).
Un altro fatto narrasi intorno alla Gelosia. Cianippo, figlio di Fatace Tessalo, sposò Leucona. {p. 323}Eglidopo tale matrimonio si occupava tutto il dì nell’ inguire cinghiali e leoni. Quando ritornava la sera a sa, stanco per la continua fatica, sì coricava a etto, e subito si addormentava. La moglie cominiò a diffidare di lui, e per accertarsi, se egli veramente consumava tutto il giorno nella caccia, entrò li nascosio anch’ ella nella foresta, mentre i cani di Cìanippo inseguivano un cervo. Quelli, che avevano perduto la traccia della fieta, incontrarono Leusona, e la fecero a brani. Il marito per disperaziose si trafisse il petto, e cadde anch’egli morto sopra di lei(a).
La Gelosia è in veste di colore turchino, e tutta aspersa d’occhi e d’orecchie. Ha un Gallo nella sinistra, e nella destra un fascio di spine. Il predetto colore della veste rassomiglia a quello del mare, che non è mai tranquillo. Tal’è il carattere del Gelòto : per quanto egli sia certo della fede altrui, vive però sempre nel tiniore, e sempre ne diffida. Gli occhi e le orecchie, sparsi sulla medesima veste, indicano l’assidua cura, che ha il Geloso, d’osservare ogni atto, anche il più indifferente, della persona, cui egli ama. V’ è il Gallo, perchè questo è di sua natura gelosissimo. Le spine finalmente manifestano i fastidj e le angustie, che di continuo pungono in certa guisa l’animo geloso.
Ambizione. §
L’Ambizione è eccessivo desiderio di costituirsi grande, e di salire a’sublimi onori.
{p. 324}Questa Dea ’ebbe in Roma un tempio, in a molto di frequente le si sacrificava(a).
Ella comparisce in veste, sparsa di varj fregi edera. Questa pianta va sempre ascendendo, e rompe bene spesso le mura stesse, che la sostengono. Non altrimenti l’Ambizioso non la perdona a chicchessia, purchè possa consoguire quel che ’desidera. L’Ambizione ha le ali al dorso, e i piedi ignudi, per esprìmere l’ ampiezza de’ suoi disegni, e la velocità, con cui li vuole eseguiti. Ha vicino a se il Leone, perchè essa non va mai disgiunta dalla superbia, di cui quell’ animale n’è il simbolo.
Vanagloria. §
La Vanagloria è ostentazione della propria eccellenza, affine d’essere più degli altri onorato.
Le due corna, che la Vanagloria ha in testa, indicano, d’ essa suole bene spesso cadere in grandissime bestialità. Sopra le medèsime corna evvi il fieno : e ciò dimostra, che come quello ne’prati quasi baldanzosamentè verdeggia, ma poi in breve spazio di tempo s’innaridisce ; così l’alterigia del Vanaglorioso presto langue e si annienta. La Vanagloria tiene colla destra una tromba, perchè chi è dominato da siffatta passione, di propria bocca e con magnificenza di parole decanta se stesso. Questo Vizio finalmente stringe nella sinistra un filo, con cui è legata una Vespa. Questa è un insetto, che manda un suono molto rimbombante, e si rassomiglia alle Api, ma non produce il mele, nè sa formarsi gli utili favi. Esso quindi qualifica il Vanaglorioso, che colle sue parole di vanto fa molto strepito, ma del resto è {p. 325}affatto inutile, vuoto di senno, e privo d’ogni sapore.
Disobbedienza. §
La Disobbedienza è volontaria trasgressione de’ comandi legittimamente imposti.
Questo Vizio si mostra con un freno sotto i piedi in atto di conculcarlo. In capo ha varie penne di Pavone. Queste alludono alla superbia, da cui la Disobbedienza trae d’ordinario la sua origine. V'è in terra un Aspide, che con un orecchio preme il terreno, e chiude l’altto colla coda. Il surarsi, che fa l’animale in tale guisa le orecchie per non udire la voce di chi a se lo chiama, mette in vista la proprietà della Disobbedienza, la quale rendesi socda a’ comandi altrui.
Arroganza. §
L’Arroganza è vizio, per cui l’uomo dí poca abilità, per far pompa di se, si assume degl’ incarichi difficili e di grave importanza.
Ella nasce dall’ ignoranza e dalla superbia ; quindi le si attribuiscono le orecchie dell’Asino, e le si pone un Pavone nella destra. Questo Vizio sta inoltre colla mano alta, mostrando il dito indice : lo che dichiara la tenacità, con cui l’Arrogante coltiva le sue opinioni, beachè sieno false, e da tutti disappaovate.
Indocilità. §
L’Indocilità è resistenza nel fare quel che si dovrebbe.
{p. 326}Sta sul di lei capo un velo nero, perchè ques colore, come non è suscettibile d’alcun altro, dimostra, che l’Indocile pure non è capace di sottome tersi a veruna disciplina. L’Indocilità s’appoggia co destro gomito sopra un Porco, perchè questo animale è indocile ed insensato.
Prodigalità. §
La Prodigalità è scialacquo delle proprie facoltì senza ragione.
Ella è di volto ridente, e coa ambe le mani versa in gran copia oro ed altre cose di sommo pregio.
Avarizia. §
L’Avarizia è desiderio eccessivo di possedere.
Viene dimostrata vecchia, smunta, e pallida : vecchia, perchè essa si trova spezialmente ne’ vecchi ; smunta, perchè tale la rende il continuo affanno d’accumulare ; pallida, perchè quando trattasi di fare nuovi acquisti, non si sottrae a disagi e incomodi gravissimi, nè ha talvolta riguardo neppure alla propria vita. Ha il ventre simile a quello dell’ idropico. A questo tanto più s’accresce la sete, quanto più beve ; non altrimenti l’Avarizia cresce in chi la coltiva, a misura che si moltiplica in mano di lui le ricchezze. Questo vizio tiene stretta una borsa, e sempre la guarda con tutta attenzione. Gli sta a canto un Lupo magrissimo. Questo è animale voracissimo, nè cessa mai di rapire i greggi. L’Avaro del pari è facile ad appropriarsi le cose altrui, senzachè sazii giammai la sua ingorda passione.
{p. 327}Furto. §
Il Furto è l’appropriazione di ciò, ch’è d’altrui contro la volontà di chi n’era il legittimo possessore.
Vedesi di aspatto giovanile, tinto di pallore, con drecchie di lepre, con veste di pella di Lupo, colle braccia è co piedi ignudi. Sta in mezzo di densa notte, ed ha nella destra un’arma. E’giovine, per indicare, che l’imprudenza e temerità, solite a trovarsi ne’giovani, regnano pur anche ne’ ladri. E’ pallido, perchè vive in continuo timore d’essere scoperto : lo che esprimesi anche dalle orechie di Lepre ; animale timidissimo. Il Lupo vive solo di furti, come fanno i ladri. Le braccia e i piedi ignudi dimostrano la destrezza, che sogliono avere i ladri. Sta in mezzo a buja notte, perchè il ladro odia la luce, ed ama le tenebre, le quali favoriscono alle sue disonorate azioni. Stringe l’arma, perchè i ladri d’ordinario sono armati per usare anche violenza, quando si tratta di rubare.
Malignità §
La Malignità è perversa volontà di procurare il male altrui.
L’abito di questo Vizio è di colore simile a quello della ruggine, perchè come questa consuma ogni metallo, così il maligno non cessa mai di nuocere ad altrui. La Malignità tiene una Coturnice in mano. Quell’animale è di sì pessima natura, che dopo aver esso bevuto, intorbida il restante dell’ acqua, onde altri non ne bevano : lo che suole operare anche il Maligno.
{p. 328}Crudeltà §
La Crudeltà è insaziabile desiderio e compiacenza di vedere e anche di effettuare, qualota se ne apra l’occasione, il male altrui.
E’vestita di color rosso, per significate, ch’essa si pasce di sangue e di strage. Le sta sopta il capo un Ussignuolo, per alludere alla favola di Progne e di Filomela. E’in atto d’affogane un bambino, o di guardare a ciglio asciutto un incendio, perchè le uccisioni e gl’ incendj ne’ tempi antichi eranoi maggiori tratti di crudeltà. Il volto di questo Vizio è ilare, perchè è proprio del medesimo di tripudiare a vista de’ danni altrui.
Parzialità §
La Parzialità è ingiusta predilezione :
Essa tiene la destra chiusa ; ed ha poi il sinistro braccio esteso colla mano aperta. Ciò indica, che questo vizio toglie ad uno per dare all’altro, quando dovrebbe essere eguale con tutti. Ella guarda verso la parte sinistra : lo che significa, che il Parziale non ha l’animo retto, nè rivoglie la mente al vero ; ma soltanto favorisce a ciò, a cui lo trasporta la cieca passione. La Parzialità finalmente conculca due bilance, per mostrare, che non cura la giustizia
Bugia §
La Bugia è asserire il falso, o negare il vero.
Ama il vestito artifizioso e di color cangiante. Ha sopra di esso varie maschere e lingue. Va {p. 329}zopicando, e tienè un fascetto di paglia accèsa. L’essere artifiziosamente vestita dimostra, ch’Ella colla sua arte s’industria di persuadere ciò, che non è, o di dissuadere ciò, ch’è. Il colore cangiante, le maschere, e le lingue Indicano l’incostanza del Bugiardo, che nel suo favellare dà diverso aspetto alle cose onde accade bene spesso, ch’egli colla varietà de’suoi discorsi scuopra se stesso La Bugia è zoppa, per alludere a ciò, che volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe corte : vale a dire che in breve viene riconosciuta per quella ch’è. Il fascetto di paglia accesa significa, che come quel fuoco presto s’accende, e presto anche s’estingue ; così la Bugia presto nasce, e presto altresì svanisce.
Gola. §
La Gola è smoderato desiderio di ciò, che spetta al gusto.
Si figura col collo lungo, e con veste di colore simile alla ruggine. La lunghezza del collo allude a Filostene Ercinio. Costui era tanto goloso, che desiderava d’avere il collo di gru, per godere più a lungo del cibo, mentre questo gli discendeva nel ventre. Il colore poi di ruggine indica, che coloro, i quali si lasciano dominare da questo vizio, facilmente consumano tutte le loro sostanze.
Viltà. §
La Viltà è vizio, per cui l’ uomo, riputandosí meno di quello ch’è, non intraprende ciò, che potrebbe o dovrebbe operare.
E’ malamente vestita, perchè nel Vile non risvegliasi mai il pensiero di migliorare la sua {p. 330}condizione. Giace in luogo sozzo, perchè chi è preso da essa, ama la vita sorrida. Ha in mano l’Upupa, urcello vilissimo, che si nutre de’più vili cibi, per non sofferico la difficeltà, che incontterebbe nel procurarsene di migliori. Le sta a lato il Coniglio, ch’è pure di sua natura vilissimo.
Adulazione. §
L’Adulazione è profusioné dì false o esaggerate lodi, che il proprio interesse inspira a chi le proferisce.
Questa rappresentasi in varie maniere. Altri la dipingono in abito vago e artifizioso, in atto di suonare il flauto, e con un Cervo a’ di lei piedi. V’è chi la dimostra coperta con veste di colore cangiante, con un mantice nella destra per accendere il fuoco, con una corda nella sinistra, e con un Camaleorite appresso di se. Altri ce la danno a divedere con due faccie, l’una di bella giovine, e l’altra di macilente vecchia. Secondo questi ultimi escono delle Api dalle di lei mani, e le sta a canto un Cané. E’ vestita nell’ anzidetta manicra per indicare le belle e artifiziose parole, che soglionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale, che allettaro dal suono del flauto, facilmente si lascia prendere dal cacciatore. E’ questa l’indole di chi ama d’essere adulato, di lasciarsi cioè trasportare ove meglio piace all’ Adulatore. La veste è di color cangiante, perchè è proprio di chi coltiva questo vizio, il cangiare volto parole e azioni, secondochè lo ricerca il genlo di coloro, co’ quali conversa. Il mantice è stromento attissimo ad accendere col vento il fuoco, e ad ammorzare i lumi : lo che si conforma coll’ adulatore, il quale o accende negli animi altrui il fuoco delle passioni, o ammorza il lume della {p. 331}verità. La corda indica, che gli Adulatori traggono, ovunque vogliono, coloro, che volentieri li ascoltano. Il Camaleonte è animale, che si cambia secondo le variazioni de’ tempi ; ed è quindi simbolo dell’ Adulazione, che adopera tutto lo studio nel cangiarsi secondo il genio altrui. La faccia bella è indizio dell’apparenza delle parole adulatrici, la quale piate ; e la brutta indica i difetti, che dagli Adulatori vengono dissimulati. Il Cane accarezza chi lo cioa, nè ha riguardo a distinzione di meriti : anzi talvolta morde chi nol merita, e quello stesso che lo cibava, se avviene, ch’egli tralascii di farlo Anche gli Adulatori si mostrano geniali, e accarezzano chi li benefica, ma poi inveiscono contro lo stesso benefattore, se da questo non vengono più favoriti.
Loquacità. §
La Loquacità è il soverchio parlare.
Sta questa colla bocca aperta, perchè ella sempre parla. La di lei veste è dipinta di Cicale, e di varie lingue. Le Cicale, quando cominciano a farsi sentire, non cessano più dal loro tediosissimo canto, che risveglia l’idea della noja, cui reca l’uomo loquace. Le lingue indicano anch’esse il continuo ciarlare. In cima del capo ha una Rondine, la quale, come la Cicala, sta in atto di cantare. Finalmente tiene in mano una Cornacchia. Questo uccello perdette la grazia di Pallade, perchè egli le eta riuscito troppo importuno col suo cantare.
{p. 332}Ira. §
L’Ira è interna inquietudine, prodotta dall’avere ricevuto qualche ingluria, e accompagnata da forte desiderio di vendicarsi.
Ella è giovine, perchè questa è l’età la più facile ad aditarsi. E’cieca, perchè questo Vizio facilmente fa perdere il lume della ragione. Ha per cimiero una testa d’Orso, da cui escono fiamme e fumo. L’Orso è all’ira inclinatissimo : e il fuoco e il fumo sono indizj dello sdegno e della conturbazione, in cui trovasi l’animo irato. Ila la spada ignuda, perchè l’Ira d’ordinario dà malo al ferro, e con questo si fa strada alla vendetta. La face accesa mostra il favore, di cui arde continuamente chi si abbandona in preda di questo Vizio.
Invidia. §
L’Invidia è interna agitazione, cagionata dalla considerazione d’un bene, che si desidera, e dì cui ne godono invece gli altri.
Questo Vizio si dipinge pallido di volto, macilente di corpo, bieco negli occhi, con denti lividi e rugginosi, e con lingua infetta di veleno e dì schiuma. Esso non mai ride se non del male, nè piange che del bene altrui. L’Invidia è di faccia pallida, perchè Ella, ossservando il bene, che non ha, se ne rattrista e affligge. Con ambe le mani si squarcia il petto : lo che esprime il sommo dolore, indivisibile compagno di questo Vizio. Ha ad un lato un legno e una veste. In quello si genera il Tarlo, in questa la Tignuola : i quali animali logorano poi la cosa stessa, da cui ebbero principio. Un tal’effetto si produce anche dall’Invidia, giacchè essa, {p. 333}agitando sempre con affanni il cuore umano, in cui nacque, alfine lo consuma. L’Invidia ha dall’ altra parte il Pavone, in quanto che è nemico de’proprj parti, per timore, che essi, crescendo, lo uguaglino in bellezza.
Detrazione. §
La Detrazione è il dir male altrui.
Essa sta sedendo, perchè l’ozio è la cagione principalissima di questo Vizio. Tiene la bocca aperta, per significare la prontezza del Detrattore nel dire male di tutti. Ha sul capo un velo nero, perchè è proprio della Detrazione l’offuscare le onorate azioni. La sua veste è logora, tinta del colore della ruggine, e aspersa di lingue simili a quelle del serpente. Quella veste fa intendere, che questo Vizio suole trovarsi principalmente nelle persone di bassa condizione, e ch’ esso logora, come la ruggine, la buona fama altrui. Stringe un’ arma colla destra, perchè il Detrattore può dirsi in certa guisa omicida ; tiene coll’ altra un Topo, perchè come questo rode il cibo altrui, così il Detrattore cerca di togliere quel che di buono v’è negli altri.
Accidia. §
L’Accidia è il tedio e dispiacere di dover operare il bene.
Vedesi mal vestita, posta anch’ essa a sedere, colla guancia appoggiata sulla sinistra, e col gomito di questa sul ginocchio. Tiene il capo chino, e cinto con panno nero. Nella destra il pesce, detto Torpedine. E’ malamente vestita, perchè è cagione di povertà. Lo starsene sedendo dimostra la vita oziosa {p. 334}dell’ Accidioso : Ha il capouchino e ravvolto in panno nero, perchè la mento dell’ Accidioso è occupata da tale torpore, che lo rende insensato. Il pesce poi testè nominato è di natura tale, che toccato diviene stupido ; e tal’ è l’indole dell’ Accidioso.
Ozio. §
L’Ozio è inazione in chi dovrebbe operare.
Giace in oscura caverna : lo che dà ad intendere che l’Ozioso conduce vita abbietta. E’ vestito d’una pelle di Porco, ch’ è animale di somma viltà e dappocaggine. Ha appresso di se un vomere irrugginito ; perchè se il vomere non adoperato contrae la ruggine, anche chi vive ozioso, contrae molti vizj.
Pigrizia. §
La Pigrizia è tardanza nell’adempire i proprj doveri.
E’ scapigliata, ed ha la veste lacera, onde dinotare l’infelice condizione, cui questo Vizio riduce. La Pigrizia siede e dorme, perchè essa cagiona stupidezza in chi la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere, che al Pigro ogni cosa riesce difficile.
Ingratitudine. §
L’Ingratitudine è dimenticanza, o piuttosto disprezzo de’ benefizj ricevuti.
Questa sta mirandosi in uno specchio ; simbolo della superbia, donde nasce l’Ingratitudine ; perchè l’Ingrato crede, che i favori fattigli sieno a lui dovuti. Ha in mano l’edera, ed è circondata di nube. {p. 335}Quella innaridisce l’albero stesso, che le fu di sostegno per innalzarsi ; questa, che viene prodotta da’ vapori, tratti dal Sole, si oppone poi al medesimo, onde non diffonda sulla terra il suo splendore. Tal’ è il carattere anche dello Sconoscente : egli non rade volte danneggia queglino stessi, che lo hanno beneficato.
diffidenza. §
La diffidenza è perturbazione d’animo, per cui fuori di misura si teme d’altrui.
Sta colla faccia rivolta verso la terra, e colle mani sospese in àtto di temere. Ciò indica il profondo pensiero, in cui s’immergono coloro, che sono sopraffatti da questo Vizio. Ha appresso di se una Volpe, animale, che qualorà gira per qualche paludoso luogo, in tempo principalmente di gelo, non si fida mai, che il terreno sia sodo e consistente.
Incostanza. §
L’ Incostanza è instabilità ne’ detti, o ne’ fatti, i quali dovrebbono essere sempre gli stessi.
Questo Vizio si rappresenta con un piede sopra un Granchio, animale, che va ora innanzi, ed ora indietro. La veste, con cui cuopresi l’ Incostanza, è di colore turchino, che rassomiglia alle onde del mare, le quali pure talora sono in calma, e tal’ altra in furore. L’ Incostanza finalmente tiene in mano la Luna, perchè anch’ essa agli occhi nostri seinbra mutabilissima.
{p. 336}Giuoco. §
Il Giuoco è ingiusta ed eccedente convenzione, in cui l’ingegno, o il caso, oppure l’uno e l’altro decidono della perdita e del guadagno tra due o più persone.
Si figura coronato di foglie di zucca, e vestito di colore verde, per simboleggiare le speranze, continuo pascolo di chi giuoca. In capo ha una mezza luna e un oriuolo. Quella risveglia l’incostanza del Giuoco ; questo indica il mal uso, che si fa da’ Giuocatori, del tempo. Il Giuoco è di faccia torbida e agitata, perchè tali appariscono gli amatori di questo Vizio. Porta con se varie reti, le quali indicano le insidie, che da molti Giuocatori si tramano alle sostanze altrui. Colla destra tiene alquante carte da giuoco, nelle quali fissa attentamente gli occhi. E’ tenuto sospeso pe’ capelli dalla Fortuna, per notare, che il Giuoco è per lo più fondato sulla sorte. Viene finalmente da quella agirato sopra una ruota, sotto di cui v’è un precipizio. Questo esprime il grave pericolo d’ impoverire, a cui si espone chiunque viziosamente coltiva il giuoco.
Felicità. §
La Felicità è godimento di que’ beni, che onestamente allettano lo spirito.
Questa Divinità fu da’ Greci denominata Eudemonia.
Plinio narra, che Lucullo, ritornato dalla guerra contro Mitridate, volle scolpire una statua della Felicità, e ne commise il lavoro ad Archesilao ; ma soggiunge lo stesso Scrittore, che ambedue moritono, primachè quella fosse terminata. Giulio Cesare, {p. 337}dopochè s’impadroni della Repubblica, si propose anch’egli d’ergere un tempio a questa Dea dinanzi la Curia Ostilia ; ma la morte ne lo impedì. Il disegno però di lui fu verificato da Lepido il Triumviro. Raccontasi finalmente, che sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio della Felicità, che rimase abbruciato(a).
La Felicità tiene il Cornucopio nella sinistra, e il caduceo nella destra ; oppuré due Cornucopj, che s’incrociano, e una spiga dritta nel mezzo di quelli. Il cornucopio e la spiga sono indizj dell’abbondanza, e il caduceo della pace : le quali cose principalmente producono la felicità de’ popoli.
Ricchezza. §
La Ricchezza è ampia possessione de’ beni, appartenenti all’uso e al comodo di questa vita.
Rappresentasi di consolante aspetto, e in abito magnifico. Le sta a’ piedi un Cornucopiò, abbondante d’oro e d’argento, sopra cui evvi una Nottola. Appresso di se ha una colonna. Il comico Aristofane vorrebbe, che la Ricchezza fosse dipinta cogli occhi chiusi. Dà piacere l’essere possessore di molti beni, e si ama di farli conossere anche agli altri : quindi il consolante aspetto, e l’abito magnifico. Sull’ accumulato oro ed argento, per cui si hannoquasi tutti gli altri beni della terra, sta la vegliante Nottola, per indicare, che i beni, affinchè non vengano rapiti, devono essere custoditi con attenzione in ogni tempo. La colonna, indizio di forza e di grandezza, fa conoscere, che il ricco può {p. 338}essere potente, e acquistarsi gloria di grande. Vorrebbe poi l’ accennato Poeta, che la Ricchezza si figurasse cieca, perchè non sempre questa creduta Divinità favorisce i meritevoli.
Abbondanza. §
Abbondanza è l’affluenza d’ogni sorta di beti.
Questa Dea chiamavasi da’ Greci Eutenia.
Una ghirlanda di varj fiori le cinge la fronte. I fiori sono segno d’allegrezza, conseguenza dell’ abbondanza. La di lei veste è di colore verde, e ricamata d’oro. La veste verde allude al verdeggiare delle campagne, ch’è indizio di fertile raccolta ; e il ricamo ad oro simboleggia le biade, le quali, come sono ingiallite, sono an he ridotte a maturità, e divengono una delle principali sorgenti dell’ Abbondanza. Colla destra volge verso terra il Cornucopio, pieno di frutta e fiori ; e colla sinistra stringe un fascetto di spighe di più sorta di grani, la maggior parte de’ quali cadono sulla terra.
Nobiltà. §
La Nobiltà è l’eccellenza di virtù, o di nascità, o d’altra pregevole qualità.
Essa appresso i Greci avea il nome d’ Eugenia.
Si dipingeva in abito nero, colore usato per indicare la gravità de’ costumi, che nel Nobile si ricercano. Tiene un’asta nella destra, e un simulacro di Minerva nella sinistra. Quella e questo fanno intendere, che la Nobilta s’acquista principalmente colle armi o colle scienze.
{p. 339}Libertà. §
La Libertà è il poter operare tutto ciò, che non è in opposizione alle leggi.
I Greci la denominano Eleuteria.
Roma singolarmente la onorò, dopochè si sottrasse alla tirannia de’ Re. Vi si stabilì allora una Feota, detta Regifugio, o le Fugali. Una delle ceremonie, praticate in essa, era che dopo il sacrifizio, offerto alla Libertà, il Re de’ Sacrificatori dovea uscire dal tempio, prendere la fuga, e starsene per alcuni giorni in campagna. I Romani parimenti le eressero molti tempj, e un gran numero di statue. Le consecrarono altresì molte piazze, cinte all’incorno di portici. Tiberio Gracco alzò a questa Dea sul monte Aventino un bellissimo tempio, le di cui colonne erano di bronzo, e in cui v’aveano varie bellissime statue. Clodio volle pure, che un tempio fosse inalzato a questa Divinità nel luogo, ove fu atterrata la casa di Cicerone. Morto Nerone, il quale avea tenuto il Popolo Romano in crudele servitù, quella Nazione rappresentò in monete e con statue la Libertà, che credetto rinascere appresso di se.
Questa Deità tiene in una mano un pileo, perchè i Romani, quando concedevano la libertà agli schiavi, davano loro un pileo, con cui si cuoprissero il capo, mentre per lo innanzi dovevano averlo sempre nudo. Ella stringe nell’ altra mano una picca, o una bacchetta, perchè i padroni nel donare a’ servi la libertà, solevano toccarli coll’ una o coll’altra.
{p. 340}Allgrezza. §
L’Allgrezza è contentezza d’animo, nata dalla vista, o dal possesso di qualche bene.
Si dimostra d’aspetto grazioso e bello. Ha il capo e la veste, sparsi di fiori, perchè di questi solevano gli Antichi coronare se stessi, gli animali, e le porte delle case e de’ tempj nel tempo delle loro pubbliche Feste. Stringe colla destra una tazza di vino, perchè questo ha la virtù di rallegrare il cuore. Alcuni le pongono in mano alquante saette, parte d’oro, e parte di piombo. L’oro è simbolo d’allegrèzza, e il piombo di tristezza : sicchè quelle saette di diversa materia significano, che le allegrezze di quaggiù non sono mai sì compite, che non vengano turbate da qualche amarezza. Altri la dipingono in atto di porgere un ramo di mirto. Anche questo era segno d’allegrezza ; e quindi ne’ conviti degli Antichi ciascuno faceva girare intorno alla mensa un ramo di quella pianta, e così invitava il suo vicino a cantare.
Fortuna. §
La Fortuna è un’ unione di circostanze e avvenimenti prosperi o infausti, per noi inaspettati, e creduti accidentali, perchè se ne ignorano le vere cagioni.
Questa Divinità riconoscevasi da’ Greci sotto il nome di Tiche.
Timoleonte, Generale de’ Corintj, alzò un tempio alla Fortuna sotto il titolo di Automatia, ossia Dea della sorte, perchè credette di dover a lei {p. 341}granpartè della sua gloria(a). Servio Tullio le fabbricò in Roma il primo tempio. La Fortuna poi col decorso degli anni divenne in quella città la Dea la più onorata, giacchè essa sola ebbe più tempj, che tutte le altre Divinità unite insieme (b). Tra quelli il più rinomato fu il tempio, erettale in Preneste, città d’ Italia nell’ antico Lazio da cui la Fortuna fu soprannominata Prenestina (c). La forma del medesimo era simile a quella d’un teatro. Il Senato pure fabbricò presso la Porta Capena un tempio alla Fortuna per onorare Veturia, la quale colle sue lagrime fece, che il di lei figlio, Coriolano, desistesse dall’assedio della sua città. Era questo il tempio, in cui tutti gli anni le giovani Romane, vicine a maritarsi, offerivano alla Dea un sacrifizio, accompagnato da profumi e incensi. Elleno inoltre si spogliavano de’ loro ornamenti più preziosi, e supplicavano la Fortuna d’occultare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal che ne avvenne, che la Fortuna venne chiamata Viriplaca, ossia pacificatrice del marito. V’ è però chi sotto questo nome riconosce un’ altra Dea, la quale riconciliava gli animi degli sposi, quando erano in discordia tra loro, e la quale avea un tempio sul monte Palatino (d). In Anzio pure, città de’ Volsci, in Italia, eravi un magnifico tempio, dedicato alle Fortune Gemelle, cioè alla buona e alla cattiva. Ivi le statue di queste Divinità al dire di Macrobio si muovevano da se sole, e i loro diversi movimenti indicavano, se {p. 342}si potevano consultare le Sorti. Nel Campidoglio v’ aveano due Statue, l’una delle quali rappresentava la Buona Fortuna, e l’altra il Buon-Evento. Era questo un Nume, che avea avuto i suoi primi altari ne’ campi, ove gli agricoltori porgevano i loto voci per avere buona raccolta(a). Non è da confondersi la Dea Fortuna coll’ altra, detta Forte Fortuna, cui Servio Tullo fabbricò un tempio sulla sponda del Tevere fuori di Roma. Que’ Romani, che non esercitavano alcuna professione, onoravano la Dea Forte Fortuna(b).
La Fortuna è fasciata gli occhi, per indicare, ch’ella senza discernimento favorisce e affligge i mortali. Sul sinistro braccio porta un doppio Cornucopio, che la qualifica come la sovrana dispensatrice di tutti i beni. Nella destra ha un timone, il quale dimostra, ch’ella regge l’ Universo. Talvolta tiene un piede sulla prora d’un naviglio : lo che dà a conoscere, che questa Dea esercita il suo dominio tanto sulla terra, che sul mare. Altri la dipingono ora sopra volubile ruota, ed ora sopra instabile globo. Pausania finalmente dice, ch’ella mostravasi anche in atto di portare Pluto fanciullo, per far intendere, che da essa dipende il possesso d’ogni ricchezza.
{p. 343}Dubbio. §
Il Dubbio è ambiguità dell’ animo, la quale deriva da opposti ed eguali motivi, riguardo al sapere o all’ operare qualche cosa.
Vedesi Egli in età giovanile, e in mezzo alle tenebre. In una mano ha un bastone, e nell’altra una face. E’ giovanetto, perchè in questa età spezialmente per difetto di cognizione e di esperienza si dubita d’ogni cosa. Il trovarsi tralle tenebre indica i varj pensieri, intorno a’ quali ravvolgesi la mente del Dubbioso. Il bastone e la face significano l’esperienza e la ragione, colle quali dee consultare chitrovasi in dubbio.
Timore. §
Il Timore è interna agitazione, la quale nasce dalla conosciuta probabilità d’incorrere in qualche male, unita alla del pari conosciuta probabilità di non poterlo fuggire.
I Poeti ci descrivono questo Nume, come figliò di Marte e di Venere. Altri dissero, ch’ egli nacque dalla Morte. Per ottenere, che Egli non nuocesse, gli si sacrificavano il cane e la pecora. Gli Spartani gli avevano eretto un tempio appresso il tribunale degli Efori, perchè giudicavano, che niente vi fosse di più necessario in un Governo, quanto lo inspirare a’ cattivi il timore del castigo. In un combattimento, che sosteneva Tullo Ostilio, gli Albani, i quali prima si erano dichiarati per lui, gli rivolsero poi le spalle, e passarono al partito de’ nemici. Il timore ben tosto s’impadronì dell’animo di un soldato, e tutto si ridusse in disordine. Tullo fece voto d’ergere un tempio al Dio Timore ; e {p. 344}il soldato riprese subito il perduto coraggio. Tullo stesso trionfò de’ suoi nemici, e introdusse in Roma il culto di questa Divinità.
Il Timore si rappresenta pallido e co’ piedi alati. La pallidezza è l’offetto di questo male ; i piedi colle ali significano la fuga, cui bene spesso si danno i timidi. Gli sta appresso una Lepre, animale di suà natura timidissimo.
Indice §
I Numeri Romani I. e II. indicano i Tomi, gli Arabi le pagine.
A
ABadir I. 18.
Abaride I. 264.
Abante I. 58. II. 114. 154. 285.
Abas I. 282.
Abbondanza II. 338.
Abdero II. 51.
Abeo I. 258.
Abeona I. 386.
Abia II. 88.
Abiti latrati I. 333.
Ablero II. 225.
Aborigini I. 19.
Abseo I. 111.
Acacesio I. 426.
Acaco I. 426.
Academia II. 264.
Academici II. 264.
Academe II. 264.
Acadina I. 135.
Acalo II. 107.
Acamante II. 102. 118. 123. 131. 252.
Acasto I. 279. II. 29. 142. 150.
Acate II. 160.
Acca Laurenzia I. 79.
Accali I. 80.
Acca Tarunzia I. 80.
Accidia II. 333.
Accio Navio I. 38.
Acco I. 234.
Accortezza II. 297.
Acerba II. 166.
Acesio I. 449.
Acete I. 156.
Acheloe I. 224.
Achemenia I. 225.
Achemenide II. 244.
Achemone I. 130.
Acheronte I. 230.
Achille II. 126. 127. 132. 134. 135. 139. 148. 154. 186. 188. 209.
Acidalia I. 340.
Acide I. 165.
Acmone I. 130.
Aconzio I. 311.
Acoro I. 121.
Acqua del Sole I. 93.
Acqua lustrale I. 24.
Acquilicio I. 97.
Acquiminario I. 25.
Acrea I. 175.
Acusilao I. 114.
Adamante II. 184.
Adamantea I. 81.
Adefagia II. 85.
Adefago II. 64.
Adeona I. 386.
Admete I. 188.
{p. 346}Admeto I. 248. 278. 279.
Adonie I. 362.
Adrano I. 425.
Adrastia I. 81.
Adrastia II. 305.
Adersto II. 121. 135. 184. 281. 282. 284. 292. 305.
Adresto II. 205.
Adulazione II. 330.
Aede I. 291.
Aello I. 224.
Aerea I. 191.
Aerope I. 407.
Afacite I. 346.
Afacitide I. 346.
Afarelo II. 86.
Afarete II. 259.
Afesj II. 260.
Afeterj II. 260.
Affettazione II. 319.
Afida II. 115.
Afidao II. 117.
Afneo I. 407.
Afrodisie I. 347.
Afrodite I. 340.
Agamestore II. 39.
Agametore I. 118.
Aganippe I. 298.
Aganippidi I. 294.
Agdesti I. 47.
Agdisto I. 47.
Agelao II. 70.
Agelasto I. 63.
Agenore I. 355.
Agenore II. 123.
Agenoria I. 355.
Ageronia I. 435.
Agieo I. 258.
Aglao I. 281.
Aglaofone II. 245.
Aglaope II. 245.
Agnali I. 20.
Agonali I. 20.
Agoni I. 74.
Agonie I. 20.
Agonio I. 20.
Agonoteti I. 77.
Agoracrito I. 347.
Agranie I. 150.
Agremoni I. 389.
Agrianie I. 150.
Agrio e Oreio I. 325.
Agrionie I. 150.
Agrotera I. 315.
Aja I. 74.
Ajanzie II. 253.
Alastoro I. 216. II. 229. 271.
Alastori II. 168.
Alberi I. 48.
Albione e Bergione II. 58.
Albione e Dercilo II. 54.
Albuna I. 254.
Aleamene I. 347.
Alcandra II. 205.
Alcandro II. 229.
Alcatoe II. 272.
Alcasoe I. 249. II. 183. 268. 272. 284.
Alcide II. 22.
Alcimede II. 23.
Alcimedome I. 156. II. 72. 226.
Alcimene I. 223.
Alcimeno I. 225.
Alcimo I. 439.
Alcinoe I. 82.
Alcioneo I. 111.
Alcippe I. 411.
Alcitoe I. 154.
Alemeonidi I. 253.
Alemona I. 208.
Alesiroe III. 124.
Alessandro II. 146.
Alessiare II. 73.
Alessicaci I. 286.
Alesside I. 343.
Aletia II. 313.
Aletide I. 171.
Aletidi I. 171.
Aletto I. 221.
Alertiene I. 412.
Alfeiade I. 314.
Alfeo I. 313.
Alfesibea II. 289.
Alimena I. 298.
Alio II. 229.
Alipede I. 426.
Aliterse II. 248.
Allegrreza II. 340.
Almopso I. 111.
Aloco I. 311.
Alopeco I. 323.
Alsione II. 269.
Altare de’ dodici. I. 10.
Altemene II. 278.
Alti I. 90.
Alzio I. 90.
Amaltea I. 81.
Amatusia I. 340.
Amazoni I. 449.
Ambizione II. 323.
Ambologera I. 347.
Amburbie I. 67.
Amicizia II. 315.
Amicla I. 269.
Ammone I. 93.
Amore I. 292.
Ampicide II. 38.
Ampico II. 116.
Anagogia I. 347.
Anagonte II. 259.
Anapavomeno I. 92.
Anapio II. 164.
Anasarete I. 350.
Anasso II. 22.
Anchialo II. 138.
Ancili I. 408.
Ancilie I. 408.
Anculi I. 226.
Ancuro I. 91.
Andremone I. 402.
Andro II. 189.
Androclea II. 292.
Androfona I. 342.
Androgeonio II. 106.
Andromaca II. 110. 125. 139. 144.
Andromene I. 259.
Anficle I. 323.
Anfidamanne II. 87.
Anfidiro II. 290.
Anfidromia II. 162.
Anfimaco II. 139. 175. 187. 189.
Anfimedonte II. 248.
Anfinome II. 31.
Anfione I. 270. 274. 300. 303.
Anfisso I. 136.
Anfisteno I. 343.
Anfistrato II. 265.
Anfiteno I. 323.
Anfito II. 265.
Anfittione I. 84.
Anfizione I. 284.
Anfizioni I. 283.
Angerona I. 435.
Angeronali I. 435.
Angizia II. 105.
Anguizia II. 105.
Aniceto II. 73.
Anigridi I. 449.
Anite I. 441.
Anna Pesenna II. 172.
Annon I. 237.
Anosia I. 342.
Ansiro I. 101.
Ansuro I. 101.
Ansea I. 225.
Antero I. 360.
Antesforie I. 343.
Antesterie I. 149.
Antevonta I. 208.
Antianire I. 450.
Antifane I. 250.
Antifate II. 232.
Antifo II. 120. 124. 134. 175. 182.
Antiloco II. 82. 132. 134. 217. 225.
{p. 349}Antinoo II. 238. 247. 248.
Antio I. 143.
Antiopa I. 381.
Antiope I. 303. 304. II. 34. 52. 81.
Antipeno II. 292.
Anto II. 82.
Antro Delfico I. 250.
di Trofouio I. 280.
Antrone Coracio I. 323.
Antropofagie II. 232.
Anubi I. 435.
Anzia I. 196.
Aonidi I. 295.
Apatenore I. 142.
Apatore I. 420.
Apatori I. 148.
Apaturie I. 147.
Apecanto II. 48.
Api I. 110.
Apide I. 44.
Apollo I. 246.
Apollonie I. 253.
Apomio I. 97.
Apopompei I. 286.
Apostrofia I. 344.
Apoteosi I. 362.
Apotropei I. 286.
Apotropeo I. 259.
Appiadi II. 312.
Aptera II. 301.
Ara Delia I. 258.
Massima II. 73.
Aracne I. 389.
Arcade I. 132.
Arceofonte I. 351.
Arcesilao II. 139.
Arcesio I. 437.
Archelao II. 146.
Archeloco II. 294.
Archemoro II. 281.
Archia I. 444.
Archigallo I. 29.
Archion I. 43.
Architide I. 353.
Architricliso I. 21.
Arcolo I. 245.
Ardalidi I. 295.
Ardaliotidi I. 295.
Ardalo I. 295.
Area I. 390.
Arejo I. 198.
Areilico II. 184.
Areitoo II. 134.
Arenarj I. 78.
Arene II. 258.
Areo II. 115.
Areopago I. 417.
Areto II. 226.
Argatona II. 242.
Argea I. 266.
Argee I. 49.
Argeo II. 62.
Argicida I. 427.
Argifonte I. 427.
Arginaide I. 347.
Arginno I. 347.
Argiope II. 5.
Argira I. 350.
Argiva I. 191.
Argo I. 178. 196. II. 25. 33. 35. 36.
Argolica I. 191.
Ariannea II. 111.
Aricia I. 451.
Aricina I. 315.
Ario II. 145.
Arisba II. 119.
Aristene I. 440.
Aristeo I. 305.
Aristomene I. 96.
Aristone II. 208.
Arito II. 82.
Armilustri I. 409.
Armonia II. 7.
Arne II. 241.
Arneo II. 238.
Arpalico II. 219.
Arrachione I. 114.
Arrife II. 86.
Arroganza II. 325.
Artemide I. 309.
Artemisia I. 438.
Artemisie I. 320.
Artofilace I. 133.
Aruspici I. 39.
Aruspicina I. 39.
Asbameo I. 101.
Asclepie I. 446.
Asclepio I. 440.
Ascolia I. 151.
Asfalico I. 366.
Asfalio I. 366.
Asfodelo I. 235.
Asia I. 16.
Asiero I. 136.
Asila I. 37.
Asineo II. 259.
Asio I. 111. II. 128. 134. 210.
Asiocersa I. 136.
Asiocerso I. 136.
Asterodea II. 28.
Asterodia I. 329.
Asteropeo II. 215.
Astiadamia II. 150.
Astialo II. 187.
Astidamante I. 114.
Astidamia II. 150.
Astilo II. 114.
Astimedusa II. 280.
Astinome II. 177.
Astioche II. 142.
Astrabaco I. 323.
Astrea II. 304.
Astrologia I. 36.
Asuro I. 101.
Atabirio I. 101.
Atamanti II. 31.
Atamantidi II. 31.
Atene I. 393.
Atenea I. 132.
Atenee I. 396.
Atimnio II. 225.
{p. 351}Atlante I. 161. II. 18.
Atlantidi I. 162.
Atleti I. 76.
Atloteti I. 77.
Ato I. 111.
Atride II. 178.
Atropo I. 227.
Attalo II. 107.
Atteo II. 168.
Attore II. 184.
Attoride II. 184.
Augia II. 52.
Auguracolo I. 39.
Auguri I. 38.
Auloto II. 259.
Ausesia I. 397.
Auso I. 358.
Auspici I. 38.
Autia I. 66.
Automata I. 343.
Automatia II. 340.
Autonoo II. 184.
Avarizia II. 326.
Aventino II. 171.
Averno I. 235.
Averrunci I. 286.
Avispici I. 38.
Azie I. 254.
Azio I. 255.
Azione II. 289.
Azoni I. 11.
B
BAccanali I. 145.
Baccanti I. 152.
Balio II. 285.
Bapti I. 71.
Bassareo I. 153.
Bassaridi I. 152.
Batone II. 288.
Batto I. 428.
Baubo I. 58.
Baucide I. 103.
Belate II. 113.
Belide II. 241.
Belidi I. 240.
Bellero I. 225.
Bellerofonte I. 225.
Bellonarj I. 416.
Belomanzia I. 120.
Beneficenza II. 309.
Berecinzia I. 27.
Beroe I. 140.
Besbico I. 111.
Bestiarj I. 78.
Betilos I. 18.
Beto I. 380.
Bibli I. 302.
Bidentale I. 126.
Bidentali I. 126.
Bidente I. 216.
Bienore II. 176.
Bifronte I. 19.
Bimatre I. 140.
Bisultore I. 407.
Bitone e Cleobi I. 209.
Boeto I. 380.
Bomonici I. 322.
Boopide I. 189.
Boote I. 133.
Borgione e Albione II. 58.
Boro II. 222.
Boschi sacri I. 52.
Brabeuti I. 77.
Branchiade I. 286.
Brauronia I. 317.
Brauronie I. 317.
Brimo I. 319.
Brise II. 214.
Briseide II. 214.
Briseo I. 143.
Britona I. 312.
Brizo I. 221.
Brome I. 144.
Bromie I. 144.
Bromio I. 144.
Bromo II. 116.
Bronte I. 17.
Bronteo I. 89.
Brontonte I. 89.
Broteo I. 424.
Brumali I. 147.
Brumo I. 147.
Bubona I. 284.
Bufonia I. 86.
Bugia II. 328.
Buon Evento II. 392.
Buona Fortuna II. 342.
Buon Senso I. 355.
Buraico II. 63.
Busiride II. 57.
Busto I. 128.
Bustuarj I. 127.
Butacide I. 118.
Bute II. 144.
C
Caballino I. 298.
Cabera I. 136.
Cabiri I. 136.
Cabirie I. 236.
Caca II. 60.
Caco II. 60.
Cadmo II. 5.
Caducco I. 427.
Caducifero I. 427.
Cagne dello Stige I. 222.
Caieta II. 154.
Caistro II. 212.
Calamo I. 106.
Calavro I. 371.
Calbe II. 57.
Calcide I. 219.
Calcie I. 422.
Calciecie I. 394.
Calcieco I. 394.
Calciope II. 33.
Calcomedusa I. 437.
Calcone II. 212.
Calendaride I. 189.
Calesio II. 285.
Caletore II. 252.
Calinitide I. 390.
{p. 353}Calipso I. 162. II. 235.
Callicoro I. 63.
Callicrate I. 403.
Calligenia I. 66.
Callinico II. 256.
Calliope I. 293.
Callistie I. 193.
Callisto I. 132.
Callitele I. 117.
Calo II. 107.
Calva I. 343.
Camele I. 200.
Camene I. 294.
Camiro I. 239.
Campidoglio I. 122.
Campi Elisj I. 212.
Campo della verità. I. 212.
Campo delle lagrime I. 211.
Campo lapideo II. 58.
Canace I. 301.
Canefore I. 396.
Canente I. 288.
Cani del Cocito I. 223.
Cani di Giove I. 223.
Canifore I. 169.
Canobo II. 207.
Caone II. 125.
Caos I. 16.
Capello fatale I. 243.
Capi II. 192.
Capitolino I. 98.
Capnomanzia I. 24.
Capra Amaltea I. 81.
Capripedi I. 163.
Caprotina I. 190.
Caraso II. 114.
Cardea I. 166.
Cardinea I. 166.
Cariatide I. 315.
Cariddi I. 379.
Carie I. 315.
Carila I. 171.
Carile I. 171.
Carisie I. 359.
Caristie II. 310.
Cariti I. 359.
Carmene I. 295.
Carmenta I. 280.
Carmentali 281.
Carmenti I. 208.
Carna I. 167.
Carneati I. 262.
Carneo I. 262.
Carnie I. 262.
Carno I. 262.
Caronte I. 231.
Carpenti I. 170.
Casmene I. 295.
Cassandra II. 120. 128. 176. 250.
Castalia I. 298.
Castalie I. 294.
Castalio I. 298.
Castore II. 258.
Catagogia I. 348.
Catascopia I. 451.
Cati II. 33.
Cavallo Trojano II. 192.
Cavea I. 78.
Cauno I. 302.
{p. 354}Cebrione II. 139. 143. 185.
Ceculo I. 424.
Cedalione I. 327.
Cefeo I. 392. 437. II. 16. 19.
Ceice I. 385.
Celado I. 111.
Celadonte II. 113.
Celeo I. 58.
Celmo I. 82.
Cencride I 348.
Cenide II. 113.
Cenotafio I. 231.
Centauri I. 273. 447. II. 100.
Centauro I. 273.
Ceutimani I. 112.
Cerasti I. 337.
Ceraton I. 258.
Ceraunio I. 102.
Cerdemporo I. 430.
Cereali I. 66.
Cerere I. 58.
Cerice I. 68.
Cero I. 22.
Cerva di Menalo II. 49.
Ceste mistiche I. 168.
Cestrino II. 125.
Chelidonte I. 180.
Chelone I. 176.
Chimera I. 224.
Chioma di Berenice II. 221.
Chione I. 311. 328. 436. II. 83.
Chiromanzia I. 40.
Chitra I. 149.
Cianippo I. 154. 155. II. 322.
Cibele I. 26.
Cibernesie II. 98.
Cibi ferali I. 335.
Ciceone I. 162.
Ciconi II. 230.
Cicreo II. 255.
Cielo I. 12.
Cilice II. 5.
Cilindro II. 33.
Cillabaro II. 286.
Cillaro II. 115.
Cillenio I. 426.
Cimelo II. 116.
Cimindide I. 219.
Cimone II. 307.
Cindiade I. 315.
Cinerario I. 127.
Cinghiale di Calidone I. 400.
Cinghiale di Cremonia II. 93.
Cinghiale d’Erimanto II. 50.
Ciniradi I. 338.
Cinisca I. 114.
Cinno I. 111.
Cinosarge II. 65.
Cinossemate II. 136.
Cinsia I. 184.
Cinzia I. 309.
Cipresso I. 273.
Ciptia I. 340.
Ciprigna I. 340.
Circe I. 122. 267. 288. 378. II. 28. 233.
Cirene I. 272.
Cirianassa I. 196.
Cisissoro II. 33.
Cisseo II. 119.
Cistofori I. 169.
Citerea I. 340.
Citerone I. 185.
Citeronia I. 186.
Citeronidi I. 207.
Citissoro II. 33.
Citoro II. 33.
Clani II. 115.
Clario I. 260.
Clatra I. 307.
Claudio Appio II. 77.
Clava I. 436.
Clavigero I. 20.
Clausa I. 42.
Clausio I. 19.
Cleia I. 161.
Clemenza II. 302.
Cleobi e Bitone I. 209.
Cleobula II. 224.
Cleobulo II. 250.
Cleomede I. 115.
Cleonimo II. 184.
Clepsidra I. 418.
Cleromanzia I. 119.
Clida I. 141.
Clio I. 292.
Clita I. 358.
Clite II. 41.
Clitennestra II. 174. 176. 180. 197. 258.
Cloacina I. 342.
Cloreo II. 172.
Clori I. 42. 269. 383. II. 83.
Cloto I. 227.
Clusino I. 19.
Clusio I. 19.
Cnidia I. 340.
Coa I. 149.
Cobali I. 164.
Cocalo II. 109.
Cocito I. 234.
Cocizie I. 234.
Colatoi vinarj I. 159.
Coliado I. 341.
Collana d’ Erifile II. 288.
Collatina I. 46.
Colomba d’oro II. 72.
Colonna bellica I. 416.
Colonne d’ Ercole II. 75.
Comani I. 416.
Comasia I. 358.
Comete II. 114.
Compasso II. 107.
Compitali II. 163.
Concordia II. 310.
Conio I. 102.
Connidia II. 104.
Conone II. 221.
Consenzie I. 11.
Conservatrice I. 191.
Consevio I. 207.
Consiglio II. 296.
Conso I. 121.
Contra-Amore I. 360.
Convito di Giove I. 129.
Coone II. 176.
Copreo II. 48.
Coralli II. 21.
Coreso I. 153.
Coreta I. 251.
Coribantica I. 110.
Coricia I. 297.
Coricidi I. 297.
Coricie I. 297.
Corie I. 71.
Corimbifero I. 159.
Corinete II. 92.
Coritallia I. 319.
Cornucopio I. 69.
Coro di Fiscoa I. 174.
Corona d’Arianna II. 110.
Coronide I. 141. 161. 238. 440. 447.
Corono II. 61.
Corsa I. 75.
Cortina I. 251.
Cotileo I. 443.
Cotittie I. 71.
Cotitto I. 71.
Crambo II. 84.
Cranone II. 270.
Crantore II. 115.
Crateo II. 278.
Cratide I. 165.
Creneo II. 115.
Creo I. 12.
Creonte II. 29. 30. 275. 283. 293.
Creonziade II. 66.
Cresmo II. 187.
Creteide II. 150.
Creteo II. 23.
Cretone II. 154.
Creusa I. 282. 404. II. 30. 44. 120. 128.
Crine I. 259.
Crine fatale I. 210.
Criniso I. 375.
Crioforo I. 427.
Crisantide I. 61.
Crisaore II. 21.
Crise II. 177.
Criseide I. 209. II. 177. 213.
Crisorroa I. 168.
Crisotte I. 60.
Croco I. 291.
Cromia I. 329.
Cromide II. 115.
Cromio II. 229.
Cronie I. 14.
Croto I. 448.
Crotone II. 76.
Crudeltà II. 328.
Cteato II. 53.
Ctesio I. 102.
Cronia I. 62.
Cuardo II. 87.
Culine I. 335.
Cunina I. 208.
Cureti I. 30.
Curite I. 182.
Curotrofo I. 260.
D
Daduco I. 68.
Dafneforie I. 265.
Dafneforo I. 265.
Damagete I. 114.
Damaso II. 187.
Damasore I. 111.
Damaste II. 94.
Damio I. 42.
Danace I. 231.
Dattili I. 30.
Dedali I. 186.
Dedalione I. 328.
Dedalo II. 107.
Dee candide I. 222.
Dee del Cefiso I. 359.
Dee madri II. 12.
Dee Palestine I. 222.
Dee rispettabili I. 223.
Dei aggiunti I. 21.
Dei azoni I. 11.
Dei comuni I. 417.
Dei consenti I. 10.
Dei delle maggiori Genti I. 10.
Dei domestici II. 161.
Dei epicorj I. 11.
Dei indigeti I. 11.
Dei locali I. 11.
Dei maggiori I. 10.
Dei topici I. 11.
Deiconte II. 66.
Deificazione I. 362.
Deifile II. 284.
Deifilo II. 126.
Deifobe I. 51.
Deifonte I. 72.
Deitone II. 52.
Deioco II. 148.
Dejonea I. 337.
Dejopeia II. 168.
Delfico I. 249.
Deliasti II. 97.
Delie II. 97.
Delio I. 257.
Delli I. 134.
Delo I. 277.
Demarato I. 117.
Demarmeno II. 272.
Demetrie I. 65.
Demo I. 413.
Democoome II. 228.
Democrito II. 11.
Demodoco II. 237.
Demofonte II. 102.
Demoleo II. 154.
Demoniaci I. 36.
Demuco II. 212.
Dendrite II. 207.
Dendroforia I. 30.
Denicali I. 336.
Deccilo e Albione II. 54.
Desameno II. 59.
Destino I. 18.
Detrazione II. 333.
Deucalione I. 83.
Deverra I. 166.
Dia I. 240.
Diagora I. 114.
Diamastigosa I. 322.
Diasle I. 102.
Diattoro I. 430.
Dicasti II. 305.
Dice II. 304.
Didimeo I. 260.
Diespitero I. 95.
Diffidenza II. 335.
Difrefore I. 396.
Diipolia I. 86.
Diligenza II. 297.
Dimante II. 119.
Dino I. 227.
Diomede I. 411. II. 51. 134. 135. 143. 140. 154. 229. 285. 286.
Dionisiache I. 146.
Dionisie I. 146.
Diore II. 244.
Diosippe I. 291.
Diota I. 247.
Dire I. 222.
Disaule I. 72.
Disco I. 76.
Discoboli I. 76.
Discordia I. 120.
Disobbedienza II. 325.
Ditirambo I. 140.
Divali I. 435.
Divinazione I. 36.
Dodoneo I. 92.
Dodonidi I. 161.
Dodonine I. 161.
Dodono I. 161.
Dolio I. 430.
Domiduca I. 181.
Domiduco I. 200.
Domizio I. 200.
Dorila II. 115.
Draconigeni II. 6.
Dragoni I. 72.
Driadi I. 47.
Dubbio II. 343.
Duelliona I. 416.
Duunviri I. 54.
E
EAci II. 222.
Eacide II. 216.
Eaco I. 212. 242. II. 221. 222. 255.
Eano I. 19.
Eante II. 184.
Ebdomagene I. 254.
Ebdomee I. 254.
Ebialo I. 196.
Ecale I. 89.
Ecalesie I. 89.
Ecalesio I. 89.
Ecalo I. 89.
Ecamede II. 182.
Ecate I. 309.
Ecatesie I. 320.
Ecatombe I. 207.
Ecatompedon I. 388.
Ecatonchiri I. 112.
Ecdisie I. 278.
Echecleo I. 325.
Echecrate I. 252.
Echeforone II. 82.
Echelo II. 184.
Echemo II. 89.
Echepolo II. 225.
Echidna I. 217.
Echinadi I. 46.
Ecmagora II. 72.
Eco I. 233.
Economia II. 297.
Edipo II. 274.
Edonidi I. 152.
Educa I. 209.
Edulica I. 209.
Edusa I. 209.
Eezione II. 215.
Efebarca I. 78.
Efebeo I. 78.
Efebi I. 78.
Efebio I. 78.
Efesie I. 322.
Efestiea I. 132.
Efestrie II. 12.
Efialte I. 111.
Efira II. 35.
Efori I. 64.
Egea II. 112.
Egemonie I. 318.
Egeone I. 112.
Egesta I. 375.
Egimio II. 61.
Egioco I. 97.
Egipane I. 202.
Egitto I. 240.
Egobolo I. 144.
Egofage II. 58.
Elacatee II. 73.
Elacato II. 73.
Elafebola I. 314.
Elafebolie I. 315.
Elaide II. 188.
Elaira II. 259.
Elara I. 270.
Elato II. 176.
Elege I. 196.
Eleleidi I. 144.
Eleleo I. 144.
Elena II. 102. 117. 120. 124. 130. 205. 207. 258. 259.
Elenie II. 207.
Elettrione II. 22.
Eleusinie I. 62.
Eleusio I. 72.
Eleuteria II. 339.
Eleuterie I. 91.
Eleuterio I. 91.
Eleutò I. 205.
Elia I. 291.
Eliadi I. 291.
Elice I. 133.
Elicio I. 94.
Elicona I. 297.
Elicone I. 297.
Eliconiadi I. 294.
Eliconio I. 370.
Elimo II. 116.
Elios I. 291.
Eliotropro I. 267.
Elisa II. 167.
Elissa I. 50.
Ellanodici I. 85.
Elleno I. 84.
Elope II. 115.
Elpenore II. 245.
Elpide II. 300.
Emacurie II. 268.
Emilia I. 48.
Emitea II. 215.
Emo I. 238.
Emone II. 293.
Empietà II. 317.
Empuse I. 228.
Emulazione II. 299.
Endeo II. 108.
Endimione I. 312.
Endromide I. 76.
Eneo I. 400. 402. II. 174. 284.
Enisterie II. 74.
Ennea I. 61.
Ennomo II. 212.
Eno II. 188.
Enomao II. 183. 266. 269. 270.
Enopeo I. 326.
Enosictone I. 367.
Entello II. 168.
Entusiasti I. 36.
Eolie I. 384.
Eono II. 57.
Eoo I. 268.
Epacte I. 67.
Epibaterio II. 286.
Epicasta II. 274.
Epicurio I. 259.
Epidaurie I. 446.
Epidelio I. 264.
Epidemie I. 256.
Epideta I. 344.
Epidoti I. 208.
Epifane I. 95.
Epigeo II. 138.
Epigoni II. 291.
Epimenide I. 329.
Epione I. 443.
Epipirgide I. 317.
Epistorre II. 184.
Epitafio I. 335.
Epitalamio I. 206.
Epitimbia I. 330.
Epito I. 367.
Epitragia II. 96.
Epona I. 284.
Epopti I. 64.
Epule I. 335.
Epuloni I. 129.
Equirie I. 408.
Eracle II. 65.
Eraclea II. 292.
Eraclidi II. 87.
Erafiote I. 143.
Eratelia I. 182.
Erato I. 293.
Erceo I. 95.
Ercina I. 242.
Ercinna I. 243.
Ercinnie I. 243.
Ercole I. 130. 374. II. 39. 45. 251. 291.
Eree I. 184.
Eremartea I. 412.
Eresidi I. 194.
Eretusa I. 195.
Ergane I. 389.
Ergazie II. 74.
Ericina I. 345.
Erigona II. 201.
Erilo II. 171.
Erimante II. 183.
Erinnie I. 222.
Erisittone I. 68.
Eritia I. 295.
Ermafrodito I. 438.
Ermatene I. 431.
Ermeracle I. 431.
Ermete I. 429.
Ermotimo I. 37.
Erofila I. 49.
Eroi II. 3.
Eroide I. 152.
Erone I. 354.
Erostrato I. 324.
Erozie I. 362.
Erseforia I. 404.
Ersilia I. 133.
Esadio II. 114.
Esculapio I. 440.
Esimnete II. 182.
Esperetusa I. 195.
Esperia II. 124.
Espiazione I. 414.
Esposizione de’ fanciulli I. 197.
Estatici I. 36.
Estia I. 26.
Estiei I. 26.
Estipici I. 39.
Estipicio I. 39.
Età d’argento I. 83.
Età di bronzo I. 83.
Età di ferro I. 83.
Età d’oro I. 18.
Età di rame I. 83.
Etalide I. 436.
Eteobutadi I. 390.
Eteocle I. 359.
Eteocle e Polinice II. 275. 281.
Eteoclee I. 359.
Eteoclimene II. 31.
Eteria I. 291.
Eternità I. 23.
Etlio I. 84.
Etmi I. 159.
Etna I. 134.
Etolo I. 329.
Ettore II. 119. 132. 138. 185. 186. 226. 252.
Eubea I. 175.
Euchenore II. 148.
Eucleo I. 113.
Euclia I. 358.
Eudemonia II. 336.
Eudora I. 141.
Eudore I. 261.
Eudosa I. 161.
Eufeme I. 291.
Eufrosine I. 358.
Eugenia II. 338.
Eumede II. 165.
Eumelo II. 186.
Eumenidee I. 224.
Eumenidi I. 222.
Eumolpidi I. 74.
Eupiteo II. 248.
Euploea I. 345.
Euriale I. 226.
Eurianasse II. 266.
Euribate II. 213.
Euribea I. 244.
Euridamante II. 285.
Euriganea II. 279.
Eurilite II. 28.
Euriloco II. 233.
Eurimaco II. 248.
Eurinomie I. 359.
Eurinomo II. 115.
Euripilo I. 374. II. 26. 148. 175. 181. 219. 291.
Eurippo II. 272.
Eurisace II. 181.
Euristemiste II. 266.
Eurito I. 111. II. 53. 68. 100. 150.
Euro I. 384.
Euronoto I. 384.
Europe II. 9.
Eusebia II. 306.
Eutelida I. 233.
Eutenia II. 338.
Euterpe I. 292.
Eutimio I. 118.
Evadne II. 287.
Evagro II. 114.
Evanoride II. 291.
Evante I. 144.
Evanti I. 145.
Evemerione I. 449.
Evenia II. 33.
Eveno II. 86.
Evio I. 144.
F
FAbarj I. 167.
Fabulino I. 209.
Fae II. 279.
Faenna I. 358.
Faesfora I. 319.
Faetonziadi I. 291.
Falce II. 225.
Falero I. 405.
Falisio I. 441.
Fallalogie I. 356.
Fareo II. 101.
Fascelide II. 202.
Fasci I. 332.
Fatalità di Troja II. 210.
Fatiche d’ Ercole II. 47.
Fato I. 18.
Fatua I. 42.
Fauna I. 42.
Faunali I. 164.
Fauni I. 163.
Fauno I. 164.
Favonio I. 383.
Feacide II. 98.
Febade I. 251.
Febe I. 12. 291. 318. II. 259. 264.
Febo I. 265.
Februa I. 183.
Februale I. 183.
Februali I. 229.
Februata I. 183.
Februla I. 183.
Februo I. 213.
Fede II. 316.
Fedra I. 441. 450. 451. II. 102.
Fegeo II. 289.
Fela I. 291.
Femio II. 239.
{p. 364}Fenice I. 23. II. 5. 214. 224.
Feo I. 161.
Feole I. 161.
Ferali I. 229.
Ferefattie I. 71.
Ferenice I. 113.
Feretrio I. 98.
Feretro I. 331.
Ferie Latine I. 96.
Festa delle Fiaccole I. 241.
Festa degli Egineti I. 370.
Festo II. 185.
Fiale I. 310.
Fidio I. 128.
Fidippo II. 182.
Fidoco II. 110.
Fidola I. 117.
Filaco II. 143.
Filammone I. 328.
Filandro I. 274.
Filemone I. 103.
Filesio I. 286.
Filezio II. 247.
Filiride I. 449.
Fillide II. 117.
Fillo II. 72.
Filomela I. 198.
Filonomia I. 410.
Filopatore II. 226.
Filostene Ercinio II. 329.
Filotidé I. 190.
Filottero II. 71. 142. 149. 229. 243. 244. 272.
Fiscoa I. 174.
Fisj I. 286.
Fitale I. 59.
Fitalidi I. 60.
Fitò I. 52.
Fiumi I. 16.
Fixio II. 33.
Flamine Diale I. 87.
Flammeo I. 206.
Flegetonte I. 235.
Flegone I. 268.
Flegreonte II. 115.
Flogio II. 52.
Florali I. 42.
Floriferto I. 65.
Fobo I. 413.
Foche I. 376.
Folgora I. 201.
Fonolenide II. 115.
Fontinali I. 46.
Forba II. 274.
Forbante II. 115.
Forcine II. 252.
Forco I. 226.
Forculo I. 166.
Fordicali I. 33.
Fordicidie I. 33.
Fornacali I. 424.
Fornace I. 424.
{p. 365}Forte Fortuna II. 342.
Fortezza II. 298.
Fortuna II. 340.
Fortune Gemelle II. 341.
Fosfora I. 319.
Fosforo I. 288.
Fossa d’Agamede I. 280.
Fratelli Arvali I. 79.
Frisso II. 24. 31. 32. 33. 34.
Fronti II. 33.
Fugali II. 339.
Fulguratori I. 39.
Fulmine I. 125.
Fune ali I. 330.
Fuochi di Castore e Polluce II. 265.
Fuoco sacro I. 31.
Furatrino I. 429.
Furie I. 221.
Furina I. 434.
Furinali I. 434.
Furto II. 327.
G
GAlantide II. 46.
Galasie I. 256.
Galasio I. 256.
Galli I. 29.
Gamelia I. 182.
Gamelie I. 182.
Gelasia I. 358.
Gelissa II. 201.
Gelosia II. 319.
Gemelli II. 261.
Genesio I. 367.
Genetlia I. 355.
Genetlio I. 367.
Genio II. 168.
Genita I. 208.
Gerestie I. 372.
Gerestio I. 372.
Gerione II. 54.
Gerofante I. 68.
Geromnemoni I. 284.
Gesione II. 110.
Gia II. 171.
Giacinzie I. 255.
Giambe I. 59.
Giante I. 28.
Gianuali I. 19.
Giasione I. 136.
Giganti I. 110.
Gigantomachia I. 82.
Ginecotene I. 407.
Ginnasio I. 78.
Giobate II.
Giocasta II. 274. 275. 276. 279.
Giove Indigete II. 160.
Giove Ospitale I. 337.
Giove Stigio I. 214.
Giove Trofonio I. 280.
Gioventù I. 99.
Girasole I. 267.
Giuga I. 184.
Giulio Proculo I. 414.
Giulo II. 163.
Giunonali I. 192.
Giunone I. 175.
Giunoni II. 169.
Giuochi I. 74.
Giuochi Apollinarj I. 256.
Giuochi Capitolini I. 100.
Giuochi Circensi I. 122.
Giuochi Demetrj I. 65.
Giuochi di Castoré e Polluce II. 261.
Giuochi Florali I. 42.
Giuochi Funebri I. 22.
Giuochi Ginnici I. 75.
Giuochi Istmici I. 369. 382. II. 99.
Giuochi Marziali I. 408.
Giuochi Olimpici I. 84.
Giuochi Scenici I. 75.
Giuochi Secolari I. 214.
Giuochi Taurj I. 214.
Giuochi Taurilj I. 214.
Giuochi Terentini I. 214.
Giuochi Tlepolemj II. 89.
Giuochi Trofonj II. 280.
Giuochi Trojani II. 168.
Giuoco II. 336.
Giuramento I. 120.
Giuturna I. 41.
Giuventa I. 99.
Gladiatori I. 22.
Glauco I. 377.
Gola II. 329.
Gonippo e Panormo II. 262.
Gordio I. 300.
Gorge I. 402.
Gorgofone II. 22.
Gorgoni I. 226.
Gradivo I. 407.
Grane I. 167.
Grazie I. 358.
Grea I. 386.
Gree I. 227.
Grillo II. 244.
Grineo II. 113.
Grue II. 98.
Gufo I. 61.
I
Ialemo I. 293.
Ialmeno II. 175.
Iampeo I. 297.
Iante I. 162.
Iarba II. 167.
Ibi I. 43.
Icario I. 153. 172. II. 227. 241.
Iceo I. 115.
Icelonte I. 220.
Ida I. 81. II. 38. 86. 224. 259.
Idalia I. 338.
Idei I. 30.
Idmone II. 38.
Idolatria I. 9.
Idolotiti I. 24.
Idomeneo II. 134. 139. 175. 183.
Idriafote I. 396.
Idromanzia I. 376.
Idromeli I. 296.
Iceo I. 227.
Ieracobosci I. 43.
Ierofile I. 54.
Iezio I. 97.
Ificlo I. 85. II. 41. 47. 81. 142. 272.
Ifidamante II. 176.
Ifigeneia II. 175. 177. 190. 198. 202.
Ifinoo II. 115.
Ifizione II. 213.
Ignipotente I. 421.
Ilapinaste I. 102.
Ilarie I. 33.
Ilebia I. 196.
Ilene II. 115.
Ileo I. 55.
Ilissiadi I. 295.
Ilissidi I. 295.
Ilitia I. 205.
Illo II. 88.
Ilo II. 163.
Ilonome II. 115.
Imbrasia I. 187.
Imbreo II. 115.
Imeneo I. 356.
Immolazione I. 24.
Inachie II. 13.
Incostanza II. 339.
Incubi I. 166.
Indicante II. 64.
Indigeti I. 11.
Indocilità II. 325.
Indovini I. 38.
Inferno I. 217.
Ingratitudine II. 334.
Iniziazione ne’ Misterj I. 74.
Inno Callinico I. 370.
Inno delle Furie I. 223.
Ino I. 141. 382. II. 7. 13. 32.
Inoe Il. 13.
Intercidona I. 166.
Invidia II. 332.
Io I. 177.
Iobate I. 225.
Iofosse II. 33.
Iolee II. 74.
Iona I. 72.
Ione I. 253. 282. 341. II. 112.
Iperboreo I. 258.
Iperchiria I. 187.
Iperione I. 12.
Iperippe I. 329.
Ipermnestra I. 241.
Ipiroco II. 229.
Ipogei I. 334.
Ippa I. 141.
Ippia I. 390.
Ippocampi I. 372.
Ipocentauri I. 447.
Ippocoonte II. 57.
Ippocrene I. 298.
Ippocrenidi I. 294.
Ippodamia Il. 100. 213. 224. 266. 271.
Ippodamo II. 229.
Ippodromia I. 75.
Ippoforbante II. 110.
Ippolito I. 111. 112. 441. 450. 451.
Ippomene I. 56.
Ipponoe I. 196.
Ipponomo I. 225.
Ipponoo II. 119.
Ippote I. 375.
Ippottono II. 51.
Ipsipile I. 351. II. 25. 281. 290.
Ira II. 332.
Irbo I. 323.
Ireo I. 326.
Iro II. 238.
Irzio II. 252.
Isandro I. 226.
Ischide I. 440.
Iscomache II. 101.
Isiaci I. 28.
Iside I. 28.
Ismenio I. 261.
Ismeno I. 271.
Iso Il. 124.
Issa II. 457.
Istmico I. 369.
Italo II. 240.
Iterduca I. 181.
Itome I. 96.
Itomee I. 96.
Itometo I. 95.
Itonia I. 393.
Itonio I. 393.
L
LAbirinto di Creta II. 95. 108.
Labradeo Il. 87.
Lachesi I. 227.
Lacinio II. 61.
Lafira I. 391.
Lafistio II. 33.
Lafrie I. 320.
Lafrio I. 336.
Laide I. 342.
Laira II. 259.
Lallo I. 208.
Lamio II. 66.
Lampa I. 439.
Lampadedromia I. 131.
{p. 369}Lampadeforie I. 131. 422.
Lampadi perpetue I. 334.
Lampo I. 268.
Lampterie I. 148.
Lamptero I. 149.
Lampusia di Colofone I. 252. 280.
Lanuvia I. 191.
Laocoonte II. 192.
Laodamante II. 237.
Laodamia I. 226. II. 100. 142. 143. 201.
Laodice II. 120. 128. 178. 223.
Laogono II. 212.
Laomede II. 70.
Laonome II. 84.
Laotoe II. 126.
Lapidazione I. 398.
Lapide I. 101.
Lapideo I. 101.
Lara I. 41.
Laranda I. 41.
Lararie II. 163.
Larario II. 161.
Larentinali I. 80.
Larnace I. 296.
Larnasso I. 296.
Larve I. 228.
Larunda I. 41.
Latago II. 165.
Laterano I. 424.
Latreo II. 116.
Lattucina I. 70.
Latturcia I. 70.
Latturno I. 70.
Laurentali I. 79.
Laurentinali I. 79.
Lavazione I. 33.
Laverna I. 434.
Lavernioni I. 434.
Laziale I. 96.
Laziare I. 96.
Lazio I. 13.
Leandro I. 354.
Learco II. 31.
Lecori I. 358.
Leito II. 138.
Lelapo II. 279.
Lemuri I. 228.
Lemurie I. 229.
Lenec I. 146.
Leode II. 249.
Leone Cleoneo II. 49.
Leone Nemeo II. 48.
Leonimo II. 255.
Lestrigoni II. 232.
Lete I. 234.
Lettisterni I. 129.
Leucadio I. 285.
Leuce I. 213.
Leuco II. 124.
Leucona II. 322.
Leucosia II. 245.
Levana I. 319.
Libazione I. 25.
Libentina I. 342.
Libera II. 110.
Liberali I. 143.
Liberalità II. 310.
Libero I. 143.
Libertà II. 339.
Liberti I. 189.
Liberti Orcini I. 333.
Libetridi I. 295.
Libide I. 156.
Libitinarj I. 332.
Libri Sibillini I. 55.
Licaste II. 123.
Licasto I. 410.
Licee I. 203.
Liceto II. 101.
Licida II. 115.
Licinnio II. 89.
Licio I. 260.
Licnofori I. 169.
Lico I. 155. 172. 381. II. 60. 66. 102. 115.
Licofonte II. 282.
Licofrone II. 139.
Licogene I. 261.
Licoreo I. 297.
Licottono I. 261.
Lieo I. 143.
Ligdamide I. 115.
Ligea II. 245.
Ligodesmo II. 202.
Limentino I. 166.
Limniadi I. 49.
Lince I. 59.
Linco I. 59.
Lirco I. 196.
Lisj I. 286.
Lisidice II. 21.
Lisio I. 143.
Lisizone I. 314.
Lissa I. 221.
Liti I. 135.
Litierse II. 58.
Litierside II. 58.
Litobolia I. 398.
Litomanzia II. 125.
Littorale I. 166.
Lituo I. 39.
Loquacità II. 331.
Lotide I. 172.
Loto I. 172.
Lotofagi II. 230.
Lotta I. 76.
Lua I. 415.
Lucerio I. 95.
Lucezia I. 183.
Lucezio I. 95.
Lucifera I. 319.
Lucifero I. 288.
Luna I. 309.
Lupercali I. 203.
Luperci I. 204.
Lusso II. 318.
Lustrazione I. 414.
MAcaone I. 443. 451. II. 148. 219.
Macaria II. 88.
Macride I. 142.
Madre I. 394.
Magna-Madre I. 27.
Magnamità II. 300.
Mago II. 171.
Malignità II. 327.
Mallofora I. 62.
Mamurio Veturio I. 408.
Mani I. 228.
Manie II. 202.
Manturna I. 200.
Mariandino II. 84.
Marica I. 289.
Marone II. 231.
Marpesa II. 86.
Marpissa II. 86.
Marzio I. 256.
Mastigoforo I. 77.
Matragirti I. 29.
Matrali II. 14.
Matrimonio I. 205.
Matrona I. 394.
Matronali I. 409.
Matura I. 70.
Matura II. 13.
Mausoleo I. 438.
Mausolo I. 438.
Mecaneo I. 89.
Mecanitide I. 344.
Medede I. 156.
Medesicasta II. 180.
Medippe II. 110.
Meditrina I. 452.
Meditrinali I. 452.
Medo II. 105.
Medonte II. 114.
Megalesie I. 33.
Megareo II. 272.
Megera I. 221.
Melampigo I. 130.
Melanegido I. 148.
Melaneo II. 114.
Melanippa I. 380.
Melantio II. 239.
Meleagridi I. 402.
Meleagro I. 400.
Melete I. 291.
Melissa I. 81.
Melisse I. 64.
Melitta II. 110.
Mellona I. 284.
Mellonia I. 284.
Melpomene I. 293.
Mematre I. 102.
Mematterj I. 102.
Meneceo II. 292.
Menelao II. 120. 130. 131. 134. 144. 148. 204.
Menelee II. 206.
Meneste II. 138.
Menezio I. 17.
Menfi I. 196.
Menippe I. 328.
Meunonidi II. 133.
Menta I. 215.
Mentore II. 239.
Meone II. 282.
Mercuriali I. 432.
Mercurio I. 426.
Merione II. 31. 124. 129. 134. 135. 183.
Merito II. 299.
Mermeronte II. 114.
Merope I. 162. 291. II. 41. 120. 274.
Messapo II. 171.
Mestle II. 134.
Mestore II. 21.
Metabo II. 172.
Metaponte I. 380.
Metempsicosi I. 234.
Meti I. 13.
Metioche I. 328.
Metra I. 69.
Mezenzio II. 159. 160. 165. 171.
Miagro I. 121.
Micala II. 18.
Micone II. 307.
Midone II. 134.
Migdone II. 52.
Milanione I. 57.
Milone I. 115.
Mimalloni I. 152.
Mimallonidi I. 152.
Mimante I. 111.
Minerva I. 387.
Minervali I. 395.
Minete II. 214.
Minia I. 154.
Minucia I. 48.
Miode I. 121.
Mirena I. 363.
Mirina I. 351.
Mirra I. 348.
Mirto II. 270.
Mirtone II. 270.
Mirzia I. 341.
Misericordia II. 87.
Misie I. 64.
Misio I. 64.
Misterj Eleusinj I. 63.
Misti I. 64.
Mneme I. 291.
Mnemosina I. 296.
Mnemosine I. 12.
Mnesibo II. 259.
Mnesimaca II. 59.
Moli II. 233.
Molosso II. 144.
Molpe II. 245.
Momo I. 219.
Moneta I. 189.
Monico II. 116.
Monti I. 42.
Montino I. 46.
Monumento eroico I. 3.
Mopso I. 286. II. 38. 116. 189. 190.
Morfo I. 346.
Moribondi I. 36.
Morce I. 217.
Mulcibero I. 421.
Mulio II. 185.
Munichia I. 316.
Munichie I. 316.
Munito II. 131.
Muroia I. 341.
Murzia I. 341.
Musagete II. 62.
Muscario I. 97.
Mutino I. 356.
N
NAjadi I. 451.
Nance I. 47.
Narce I. 174.
Narcea I. 174.
Narcisso I. 233.
Nascione I. 207.
Natale I. 191.
Naulo I. 231.
Naumachie I. 78.
Nausinoo II. 246.
Nausitoo II. 246.
Naute II. 165.
Necessità I. 18.
Nedimno II. 101.
Neera I. 437.
Nefalie I. 296.
Nefele II. 31.
Nemese I. 222.
Nemesee II. 305.
Nemestrino I. 47.
Nenia I. 333.
Nenie I. 333.
Neomenie I. 321.
Neottolomee II. 220.
Nereidi I. 45.
Neriene I. 410.
Nestore II. 54. 82. 116. 175. 182.
Nettare I. 110.
Nettuno I. 365.
Nice II. 301.
Niceterie I. 393.
Nicippe II. 46.
Nife I. 310.
Ninfe I. 45.
Ninfolepti I. 207.
Nireo II. 219.
Niseidi I. 141.
Nisiadi I. 141.
Nittelie I. 150.
Nittelio I. 150.
Nittimene I. 381.
Nobiltà II. 338.
Nodino I. 70.
Nodo Gordiano I. 301.
Nodoto I. 70.
Nodutide I. 70.
Noduto I. 70.
Noemone II. 229.
Nondina I. 208.
Novensili I. 11.
Nottiluca I. 318.
Nubigeni I. 448.
Numenie I. 321.
O
OBbedienza II. 309.
Occasione I. 22.
Occatore I. 70.
Oceano I. 16.
Ocipete I. 224.
Ocipode I. 224.
Ociroe I. 224.
Ocno I. 286.
Odio II. 176.
Odite II. 116.
Ofelte I. 156.
Ofionj II. 6.
Offa I. 38.
Ofiusa II. 33.
Ogmio II. 63.
Oicleo I. 374.
Oileo II. 19.
Olenio II. 284.
Olimpiadi I. 84.
Olimpico I. 90.
Olimpio I. 90.
Olimpo I. 90.
Olocausto I. 24.
Ombra I. 228.
Omonia II. 310.
Omusia II. 310.
Onchestio I. 367.
Onfale II. 69.
Onore II. 294.
Ope I. 27.
Opigena I. 183.
Oppia I. 48.
Ora I. 133.
Oracolo I. 35.
Oracolo di Delfo I. 250.
Orcio I. 96.
Orcomene II. 34.
Orde I. 260.
Ordicali I. 33.
Ordicidie I. 33.
Ore I. 133.
Oreadi I. 46.
Oree I. 133.
Oreio e Agrio I. 325.
Oreste I. 149. II. 177. 192. 220.
Orestiadi I. 46.
{p. 375}Orfeo I. 274. 297. 305. II. 38.
Orfiche I. 145.
Orfne I. 61.
Orfneo I. 216.
Orione I. 311. 326. 327. 328. II. 18. 114.
Orito II. 84.
Ormeno II. 187.
Ormo II. 112.
Orneate I. 356.
Ornee I. 356.
Orneo II. 114.
Ornitomanzia II. 11.
Oronte II. 165.
Oropeo I. 257.
Orse I. 317.
Orsiloche I. 324.
Orsiloco II. 154.
Orta I. 134.
Ortione I. 314.
Ortrione II. 194.
Ortro II. 54.
Oscillazione II. 112.
Oscille I. 151.
Osii I. 250.
Ospitale I. 103.
Ospitali II. 303.
Ospitalità I. 103. 128. II. 303.
Ospizj II. 303.
Ossilagine I. 449.
Ossilegio I. 127.
Ossipagina I. 449.
Ossuario I. 127.
Ostilina I. 70.
Otrioneo II. 183.
Ottimo Massimo I. 100.
Ottonea I. 404.
Ozio II. 334.
P
PaceAce II. 312.
Padre I. 88.
Pafia I. 340.
Pafo I. 338.
Paganali I. 66.
Pagaso I. 258.
Palatino I. 255.
Palatua I. 284.
Pale I. 284.
Palemone I. 382.
Palemonie I. 383.
Palestine I. 222.
Palestra I. 75.
Palici I. 134.
Palilie I. 284.
Palingene I. 234.
Palinodia II. 208.
Palinuro II. 165.
Palisci I. 134.
Pallade I. 387.
Pallante I. 111. 112. II. 67. 91. 94. 159.
Palautidi II. 91.
Pallene II. 269.
Pallenco I. 111.
Pallore I. 424.
Pambasilea I. 160.
Pambiozie I. 393.
Pamila I. 43.
Pamilie I. 44.
Panagea I. 314.
Panatence I. 395.
Pancrasiasti I. 76.
Pancrazio I. 76.
Panda I. 386.
Pandemia I. 341.
Pandemo I. 337.
Pandione I. 198.
Pandora I. 105.
Pandroso I. 397.
Pane I. 201. 203. 204. 271. II. 70.
Panfolige I. 16.
Panionie I. 370.
Panionio I. 370.
Panonfeo I. 101.
Panopte I. 178.
Panormo e Gonippo II. 262.
Pantee I. 416.
Pantica I. 386.
Panto II. 163.
Parammone I. 426.
Paraninfi I. 206.
Parche I. 227.
Paredri I. 10.
Paride II. 119. 120. 130. 146. 204. 216.
Parilie I. 28.
Parnassidi I. 294.
Parnasso I. 296.
Parrasio I. 410.
Parsimonia II. 298.
Partenia I. 388.
Parteno I. 175.
Partenon I. 388.
Parzialità II. 328.
Pasifae II. 95.
Pasitea I. 358.
Passalo I. 130.
Patalena I. 70.
Patareo I. 257.
Patelena I. 70.
Patellarj II. 162.
Patroclo II. 134. 138. 143. 175 184.
Patroo I. 95.
Patulcio I. 19.
Pavenzja II. 208.
Peane I. 258.
Peante II. 87.
Peculio I. 21.
Pecunia I. 244.
Pedaso II. 285.
Pedeo II. 187.
Pedotriti I. 78.
Pefredo I. 227.
Pegasidi I. 295.
Pegaso I. 295.
Pelasgo I. 61.
Peliaca II. 36.
Pelide II. 216.
Pelopea II. 195.
Peloponneso II. 268.
Pelore II. 6.
Peloro I. 111.
Pemandro I. 385.
Pene I. 272.
Peneleo II. 195.
Penelope I. 154. II. 227. 238. 241. 247.
Penelopi II. 241.
Penfredo I. 227.
Penia I. 360.
Pentatli I. 76.
Pentatlo I. 76.
Pentecontoro II. 37.
Perasia II. 203.
Perdice II. 107.
Perfica I. 200.
Pergamo II. 144.
Periandro I. 304.
Peribea I. 402. II. 110. 111. 256. 274. 284.
Periclimeno II. 82.
Perifante II. 116.
Perigona II. 93.
Perila II. 20.
Perilao II. 20.
Perimede II. 234.
Perimele II. 85.
Perimo II. 184.
Peristera I. 352.
Perizione II. 110.
Permesso I. 298.
Pero I. 197.
Perse II. 21.
Perseo II. 15.
Perseptoli II. 246.
Persio II. 82.
Pertunda I. 200.
Petaso I. 432.
Petre I. 291.
Petreo II. 115.
Pianepsia II. 96.
Pico I. 288.
Pidite II. 229.
Piede di Cadmo II. 7.
Pielo II. 144.
Pieridi I. 294.
Pierio I. 294.
Piero I. 294.
Pietà II. 306.
Pietra manale I. 97.
Pigmei II. 56
Pigrizia II. 334.
Pilade II. 195. 197. 198. 201.
Pilarte II. 185.
Pilegori I. 284.
Piletide I. 394.
Pilone II. 187.
Pimedusa II. 110.
Pimpleidi I. 294.
Pinario II. 76.
Pindo I. 298.
Piovoso I. 97.
Piplea II. 58.
Pira I. 128.
Piramo I. 172.
Pirecme II. 61. 121. 134. 184.
Pirene I. 368. 225. 368. 375. II. 72.
Pirenco I. 297.
Pirgofora I. 34.
Piriflegetonte I. 235.
Pirilampe I. 118.
Pirisoo II. 209.
Pirisporo I. 140.
Piro II. 187.
Piroente I. 268.
Piromanzia I. 40.
Pirra I. 83.
Pirseforo I. 132.
Pisenore II. 114.
Pisidice II. 216.
Pisidoro I. 113.
Pisinoe II. 245.
Pisistrato II. 82.
Pistore I. 95.
Pite I. 118.
Pitegia I. 149.
Piti I. 202.
Pitia I. 251.
Pitio I. 257.
Pitiocampte II. 92.
Pitonessa I. 251.
Pitoniti I. 247.
Pittalo I. 118.
Platea I. 185.
Plejone I. 161.
Plemneo I. 60.
Plesippo I. 401.
Pliadi I. 162.
Plinterie I. 404.
Plote I. 384.
Pluto I. 244.
Plutone I. 211.
Pluvio I. 97.
Podarge I. 224.
Podargo I. 439.
Pode II. 205.
Polemata I. 266.
Polemoclate I. 452.
Poliade I. 391.
Policalco II. 291.
Policaste II. 82.
Policlere II. 291.
Polidamna II. 130.
Polidete II. 222.
Polideuce II. 262.
Polidoro II. 7. 120. 125. 135. 155. 213.
Polieo I. 86.
Polifago II. 64.
Polifema II. 31.
Polifemo I. 17. 165. II. 84. 230.
Polifide II. 174.
Polifite I. 117.
Polifonte I. 325.
Poligono e Telegono II. 55.
Poliido II. 285.
Poliie I. 256.
Polimede II. 31.
Polinice ed Eteocle II. 275. 281.
{p. 379}Polinnestore II. 125. 135. 137. 155.
Polinnia I. 293.
Polio I. 256.
Polipemone II. 93.
Pollarj I. 38.
Polli sacri I. 38.
Pollintori I. 331.
Polluce II. 258.
Pomona I. 377.
Pontonoo II. 236.
Ponzia I. 346.
Poro I. 360.
Porte Gadaritane II. 75.
Portunali I. 383.
Posidie I. 367.
Posidone I. 367.
Posidonie I. 367.
Postverta I. 208.
Postvorta I. 208.
Postumo II. 173.
Potamidi I. 45.
Potina I. 209.
Potizj II. 77.
Potizio II. 76.
Prassidice II. 294.
Prassidici I. 400.
Predatore I. 98.
Prefiche I. 333.
Prema I. 200.
Prenestina II. 341.
Pretorie I. 66.
Presbone II. 33.
Preto I. 179. 225. II. 18. 20.
Prili I. 437.
Pritani II. 229.
Procride I. 404. II. 279. 319.
Procruste II. 94.
Prodicio II. 62.
Prodico II. 62.
Prodigalità II. 326.
Prodromei I. 207.
Prodromia I. 186.
Proerosia I. 66.
Proerosie I. 66.
Profeti I. 35.
Progne I. 198.
Prometia I. 132.
Pronoo II. 184.
Pronuba I. 181.
Pronubi I. 206.
Propetidi I. 339.
Prosa I. 208.
Prosclistio I. 368.
Proserpina I. 58. 70. 132. 212. 243. 309.
Prosinna I. 175.
Protelia I. 336.
Protesilaia II. 143.
Protoenore II. 255.
Protogenia I. 84.
Protoone II. 180.
Psafone I. 237.
Psalacanta II. 110.
Psamate I. 302.
Psicagogia I. 231.
Psiche I. 360.
Pteleone II. 322.
Ptoliporto II. 246.
Pudicizia II. 307.
Pugilato I. 76.
Puta I. 71.
Puticuli I. 334.
Q
QUadrifonte I. 20.
Quietale I. 214.
Quindicenviri I. 54.
Quinquatrie I. 394.
Quinquerzio I. 76.
Quinquerzioni I. 76.
Quirinali I. 414.
Quirino I. 414.
R
RAbdomanzia I. 119.
Rabdonomi I. 77.
Rabduchi I. 77.
Racio I. 286.
Rame d’oro I. 231.
Ranide I. 310.
Rapsodomanzia I. 119.
Raria I. 62.
Ratumeno I. 121.
Re I. 88.
Reca II. 265.
Reco I. 55.
Re del bosco I. 316.
Re del convito I. 21.
Redicolo I. 229.
Reggia I. 412.
Regifugio II. 339.
Regina I. 184.
Registro di Libitina I. 320.
Remutie I. 229.
Resibio I. 118.
Retania I. 190.
Ricchezza II. 337.
Ricinio I. 333.
Rifeo II. 101.
Rinocoluste II. 66.
Riprensione II. 314.
Riso I. 354.
Robigali I. 70.
Robigo I. 70.
Rodope I. 238.
Rubigo I. 70.
Rudiario I. 22.
Rumia I. 208.
Rumilia I. 208.
Rumina I. 208.
Runcina I. 71.
Rurina I. 71.
Rusina I. 71.
S
SAba I. 50.
Sabazj I. 145.
Sabazie I. 165.
Sacco vinario I. 159.
Sacerdoti de’campi I. 79.
Sacrifizj I. 23.
Salacia I. 375.
Salamina I. 380.
Salaminia II. 111.
Saleada I. 118.
Salio I. 408.
Salisubsolo I. 407.
Salmacide I. 438.
Salto I. 75.
Salto dì Leucade I. 285.
Salute II. 453.
Sambete I. 50.
Sana I. 439.
Sanco I. 128.
Sancto I. 128.
Sango I. 128.
Santio I. 147.
Santo II. 285.
Saronia I. 316.
Saronie I. 316.
Sarpedone II. 184.
Satiri I. 163.
Saturnali I. 13.
Saturno I. 12.
Sauro II. 75.
Scelti I. 19.
Scettro d’Agamennone II. 178.
Sciere I. 147.
Scierie I. 147.
Scirade I. 390.
Scire I. 390.
Sciroforie I. 390.
Scopa II. 262.
Secespita I. 39.
Sega II. 107.
Segesta I. 70.
Segezia I. 70.
Seia I. 70.
Selene I. 309.
Salinno I. 349.
Semetide I. 165.
Semidei II. 3.
Semipadre I. 128.
Semoni II. 3.
Senio I. 103.
Sennone I. 130.
Senoclea II. 69.
Sentino I. 208.
Senvio I. 125.
Sepolcri I. 334.
Sepoltura del dito II. 202.
Serapide I. 44.
Serpenti I. 72.
Serpentipedi I. 110.
Servi I. 21.
Sfragididi I. 207.
Sibilla Caldea I. 50.
Sibilla Cumana I. 54.
Sibilla Cumea I. 51.
Sibilla Delfica I. 50.
Sibilla Ellesponziaca I. 53.
Sibilla Eritrea I. 52.
Sibilla Frigia I. 53.
{p. 382}Sibilla Italica I. 71.
Sibilla Libica I. 50.
Sibilla Persica I. 50.
Sibilla Samia I. 52.
Sibilla Tiburtina I. 53.
Sibille I. 49.
Sicarba II. 166.
Sicheo II. 166.
Sicinnio I. 333.
Sicinnisti I. 333.
Siface II. 56.
Sigalione I. 431.
Sigillarie I. 20.
Sigillarizie I. 20.
Siloni I. 167.
Sileno I. 167.
Silicernj I. 335.
Silvano I. 165.
Silvio II. 173.
Simoisio II. 124.
Simposiarco I. 21.
Sincerità II. 314.
Sini II. 92.
Sinni II. 92.
Sinoe I. 201.
Sinoide I. 201.
Sinone II. 193.
Sinousa I. 374.
Sintesi I. 22.
Siringa I. 202.
Sirna I. 452.
Siro I. 273.
Sistro I. 307.
Sitone II. 269.
Sminteo I. 259.
Sogni I. 219.
Sole I. 265.
Sonniale II. 65.
Sonno I. 218.
Sopatro I. 87.
Soratte I. 263.
Soro II. 33.
Sorti I. 119.
Sospita I. 187.
Sotade I. 116.
Sparti II. 6.
Speranza II. 300.
Spermo II. 188.
Spettri I. 228.
Spiniese I. 90.
Spinojo II. 34.
Spiraglio di Tifone I. 114.
Spodio I. 262.
Spoglie opime I. 122.
Spondio I. 261.
Sponsore I. 103.
Stadio I. 78.
Stadiodromi I. 78.
Stafilo I. 174.
Stagioni I. 133.
Statano I. 209.
Statilino I. 209.
Statore I. 88.
Statulino I. 209.
Stefanoro I. 65.
Steniade I. 394.
Steno I. 226.
Sterculio I. 43.
Stercuzio I. 43.
Sternomantide I. 251.
Sterope I. 17. 162. II. 86. 123.
Stesicore II. 208.
Stichio II. 139.
Sticomanzia I. 119.
Stifelo II. 116.
Stinfalidi II. 51.
Stinfalo II. 51.
Stimola I. 134.
Stolisti I. 169.
Strambelo II. 215.
Strazio II. 82.
Strene I. 20.
Strenua I. 355.
Srtofio II. 195.
Suada I. 241.
Suadela I. 358.
Succidanee I. 39.
Suggrundarj I. 334.
Sulpicia I. 344.
Summano I. 213.
Suovetaurilio I. 67.
Superbia II. 317.
T
TAcita I. 41.
Tage I. 37.
Taigete I. 162.
Talaira II. 259.
Talao I. 198.
Taliride II. 107.
Tallofori I. 396.
Tallote I. 133.
Talo II. 107.
Tamiride I. 303.
Tanagre I. 385.
Tarasippo II. 169.
Tarconte II. 159.
Tardipede I. 420.
Tarpeja I. 122.
Taso II. 9.
Taulone I. 87.
Tauruante II. 114.
Taumantide I. 193.
Taumanziade I. 193.
Tauricorno I. 159.
Taurostene I. 116.
Tedifera I. 58.
Tegeata I. 162.
Tegeeo I. 203.
Teiante I. 362.
Teinie I. 145.
Teino I. 145.
Telchini II. 168.
Telchio II. 265.
Teleboante II. 116.
Telegono e Poligono II. 55.
Teleia I. 175.
Telemaco II. 227. 237. 247. 248.
Telemo I. 17.
Telesforo I. 449.
Telesta I. 118.
Tellure I. 26.
Telsiepia II. 245.
Telsinia I. 387.
Temeno I. 175.
Temone II. 289.
Temperanza II. 302.
Tempesta I. 386.
Tempio I. 39.
Tempio della Chersoneso Taurica I. 324.
Tempio di Delfo I. 249.
Tempio d’Efeso I. 323.
Tempio del monte Aventino I. 323.
Tempo I. 14.
Tenaro I. 371.
Tenie I. 335.
Tensa I. 170.
Teoclimeno II. 248.
Teofane I. 254.
Teofanie I. 254.
Teogamie I. 243.
Teoguete II. 31.
Teomanti I. 36.
Teomanzia I. 35.
Teone I. 439.
Teonoe II. 40.
Teopompo I. 117.
Teori II. 97.
Teoria II. 97.
Teoride II. 97.
Teosenie I. 263.
Teosenio I. 263.
Teotimo I. 118.
Terense I. 71.
Terimaco II. 66.
Termero II. 67.
Terminale I. 124.
Terminali I. 123.
Termine I. 123.
Terpandro I. 263.
Terpsicore I. 293.
Terrore Panico I. 203.
Tersiloco I. 118.
Tersite II. 175. 188. 212. 224.
Tesie II. 103.
Tesmofora I. 65.
Tespio II. 65.
Testore II. 40.
Testoride II. 175.
Teutate I. 427.
Teutrante II. 222.
Tiadi I. 152.
Tibia I. 299.
Tichio II. 142.
Tiella I. 224.
Tieste II. 174. 195. 268. 270.
Tifeo I. III.
Tifi II. 37.
Tiie I. 151.
Timanto I. 117.
Timasiteo I. 116.
Tindaridi II. 260.
Tinga II. 56.
Tinuei I. 371.
Tino II. 84.
Tiodamante I. 197.
Tione I. 145.
Tioneo I. 145.
Tirintio II. 62.
Tiro II. 23.
Tirro II. 173.
Tirseo I. 263.
Tisameno II. 199.
Tisbe I. 172.
Tisifone I. 221.
Titani I. 12.
Titania I. 309.
Titanidi I. 12.
Titano I. 12.
Tite I. 141.
Titea I. 12.
Titenidie I. 319.
Titiri I. 167.
Titoreo I. 296.
Tlepolemo II. 89.
Tmilo I. 376.
Tmolo II. 86.
Toante I. 324. 336. 351. 362. 363. II. 175. 187. 198. 205. 290.
Telo I. 122.
Tolommeo Evergete II. 221.
Tolumnio II. 171.
Tomari I. 119.
Tomo II. 43.
Tonante I. 89.
Tone II. 130.
Tonee I. 188.
Toosa I. 17.
Toro II. 10.
Toro di Maratona II. 51. 81. 93.
Torone I. 376.
Tosseo I. 401.
Trace I. 16.
Trasea II. 57.
Trasimede II. 82.
Trasio II. 57.
Triclaria I. 318.
Triclarie I. 318.
Tricopatreo I. 136.
Tridente I. 372.
Trie I. 119.
Trienuie I. 142.
Trieteriche I. 142.
Trieteridi I. 142.
Trifilio I. 102.
Triforme I. 317.
Trigone I. 447.
Triopa I. 73.
Triopio I. 263.
Tripode I. 92.
Trisomato I. 224.
Tritone I. 381.
Trivespero II. 45.
Trivia I. 318.
Trochilo I. 71.
Troe II. 212.
Trono di Giove I. 90.
Tropea I. 191.
Tubilustrio I. 415.
Tuccia I. 49.
Turio I. 407.
Turrigera I. 34.
Turrita I. 34.
Tutano I. 356.
Tutela I. 190.
Tutelina I. 71.
Tutilina I. 71.
Tutino I. 356.
Tutulina I. 71.
Tutuno I. 356.
Tuzia I. 49.
U
UCalegonte II. 164.
Uccelli della palude di Stinfalo II. 50.
Udeo II. 6.
Ufente II. 171.
Ulcippe II. 86.
Ulisse II. 135. 136. 144. 191. 227.
Ultore I. 103.
Umiltà II. 316.
Unsia I. 183.
Urano I. 12.
V
VAgitano I. 208.
Valesio I. 245.
Vallonia I. 47.
Vanagloria II. 324.
Vaticano I. 208.
Vejove I. 108.
Vendetta II. 319.
Venere I. 337. 422. II. 161. 285.
Venere Giunone I. 344.
Venilia I. 375.
Venti I. 383.
Vergilie I. 162.
Vergine II. 304.
Verità II. 313.
Verticordia I. 344.
Vertunnalia I. 377.
Vertunno I. 377.
Vestali I. 31.
Vestalie I. 32.
Vestibolo I. 27.
Viale I. 427.
Viali II. 161.
Viltà II. 329.
Virginiese I. 200.
Viriplaca II. 341.
Virtù II. 294.
Vittoria II. 301.
Vitunno I. 207.
Volumna I. 358.
Volumno I. 358.
Volusio I. 435.
Volutina I. 70.
Vulcania I. 182.
Vulcano I. 420.
Vulturno I. 384.
XEra I. 175.
Z
ZAcinto II. 82.
Zagreo I. 132.
Zefiro I. 383.
Zelotipa I. 177.
Zeto I. 303.
Zigia I. 184.
Zoilo I. 150.
Zona I. 353.
Zuto I. 282.
FINE DE L’OPERA.